LA CORTE DI APPELLO Ha emesso la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al n. 556/1990 del reg. gen. cont. civ. di questa Corte di appello, posta in decisione all'udienza collegiale del 6 novembre 1992, e promossa da D'Angelo Carmela e Alfano Rosa, elettivamente domiciliate a Palermo, in via Villafranca n. 91, presso lo studio dell'avv. Giovanni Liguori che le rappresenta e difende per procura in calce all'atto di citazione, attrici, contro il comune di Palermo, in persona del sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dal dott. proc. Calogero Bosco per procura alle liti in notar Pizzuto domiciliato presso l'avvocatura comunale in questo corso Vittorio Emanuele n. 164, convenuto; Letti gli atti, sentito il relatore, rilevato che Carmela D'Angelo e Rosa Alfano con atto di citazione notificato il 18 maggio 1990, convenendo in giudizio davanti a questa Corte il comune di Palermo ha proposto, ai sensi dell'art. 19 della legge 22 ottobre 1981, n. 865, opposizione alla stima della indennita' provvisoria di espropriazione fissata in L. 206.000 al mq per i mq 5.900, di proprieta' delle stesse opponenti, espropriati con decreto del 9 maggio 1990 per la costruzione di un edificio scolastico in questa piazza De Gasperi; Considerato che costituitosi il comune ha chiesto il rigetto della domanda; Ritenuto che il consulente tecnico di ufficio, nel corso della istruttoria, riscontrato che l'area espropriata aveva natura edificabile in quanto inserito, come "zona E7", nel piano regolatore di Palermo, applicando il criterio di cui all'art. 39 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, ha stimato in L. 855.000 al mq il valore di mercato della detta superficie; Rilevato che nel corso del giudizio e' entrata in vigore la legge 8 agosto 1992, n. 339, la quale, all'art. 5-bis, primo comma, dispone che fino alla emanazione di una organica disciplina per tutte le espropriazioni preordinate alla realizzazione di opere o di interventi da parte e per conto dello Stato, delle regioni, delle province, dei comuni e degli altri enti pubblici o di diritto pubblico, anche non territoriali, o comunque preordinate alla realizzazione di opere o interventi dichiarati di pubblica utilita', l'indennita' di espropriazione per le aree edificabili e' determinata a norma dell'art. 13, terzo comma, della legge 15 gennaio 1885, n. 2892, sostituendo in ogni caso ai fitti coacervati dell'ultimo decennio il reddito dominicale rivalutato di cui agli articoli 24 e seguenti del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e che l'importo cosi' determinato va ridotto del quaranta per cento; Rilevato che, ai sensi del settimo comma del citato art. 5- bis, detto nuovo criterio estimativo va applicato ai procedimenti di opposizione alla stima in corso e che quindi va applicato anche in questo procedimento; Ritenuto che le opponenti, hanno sollevato questione di legittimita' costituzionale della norma di cui all'art. 5- bis della legge 8 agosto 1992, n. 359, perche' in contrasto con i princi'pi costituzionalmente protetti con gli articoli 3, 24, 42, terzo comma e 53 della Costituzione; Rilevato che il comune ha invece sostenuto la piena legittimita' della detta norma; Considerato in via preliminare che le suddette questioni di incostituzionalita' sono rilevanti per la decisione della causa vertendo sul criterio normativo di stima da applicare per la determinazione della indennita' da liquidare nel procedimento espropriativo di che trattasi; Ritenuto che la detta eccezione non e' manifestamente infondata in quanto il citato art. 5- bis della legge 8 agosto 1992, n. 359, violerebbe gli artt. 42, terzo comma, 3 e 24 della Costituzione; Atteso, in particolare, per quanto attiene alla violazione dell'art. 42, terzo comma, della Costituzione, che, come piu' volte affermato dalla Corte costituzionale (sentenze nn. 5/1980, 223/1983, 231/1984, 530/1988 e 216/1990) detto art. 42, pur se non garantisce all'espropriato il diritto ad una indennita' commisurata al valore di mercato del bene ablato in quanto occorre coordinare il diritto del privato con l'interesse generale che l'espropriazione mira a realizzare, riconosce che l'indennita' non puo' essere fissata in misura irrisoria o meramente simbolica, il suo ammontare non puo' scendere sotto il livello di congruita' e deve essere determinato applicando validi e logici criteri di estimo; Considerato ora che applicando il criterio di cui al citato art. 5-bis secondo il quale l'indennita' di espropriazione e' la risultante della media tra il valore di mercato ed il reddito dominicale rivalutato, ridotta del quaranta per cento, si perviene ad una indennita' di espropriazione del tutto incongrua, tant'e' che per una area edificabile come quella espropriata alla societa' opponente, stimata dal c.t.u., secondo valori di mercato, in L. 855.000 al mq, applicando il criterio dell'art. 5- bis si perviene ad una indennita' di L. 260.000 al mq (L. 855.000 + r.d. 600 = L. 855.600: 2 = L. 427.800 - 40% = 260.000) corrispondente, cioe', al solo 30% circa del valore di mercato dell'area espropriata, che non puo' certo considerarsi giusto ristoro; Rilevato che cio' si verifica, in primo luogo, perche' il legislatore sostituendo, come elemento per la stima dell'area, ai fitti coacervati dell'ultimo decennio di cui alla legge n. 2892/1885 il reddito dominicale sia pure aggiornato, ha fatto riferimento ad un elemento del tutto disomogeneo e quindi tale da portare a risultati aberranti in quanto il reddito dominicale e' proprio dei terreni agricoli, il cui valore e' notevolmente inferiore rispetto a quello delle aree edificabili, e la cui determinazione avviene peraltro mediante un metodo di accertamento che prescinde dalla individuazione del reddito effettivo; Ritenuto che l'art. 5- bis suddetto, nella parte in cui condiziona la riduzione del 40% della indennita' alla mancanza di accettazione della indennita' provvisoria indicata dall'espropriante ovvero della indennita' definitiva fissata dalla commissione provinciale, in concreto, per un aspetto, avrebbe un sostanziale carattere sanzionatorio e punitivo della volonta' del proprietario di non accettare l'indennita' offerta e di non voler addivenire alla cessione volontaria, e per questo profilo sarebbe in violazione dell'art. 42, terzo comma, della Costituzione cui e' del tutto alieno ogni carattere afflittivo dell'espropriato, che, per altro verso, tale carattere sanzionatorio sarebbe gravemente lesivo del diritto di difesa, costituzionalmente garantito dall'art. 24 della Costituzione, in quanto operando come sanzione punitiva nei confronti del proprietario espropriato che non intenda accettare la indennita' offertagli, indubbiamente coarta questi che, per evitare tale sanzione, sarebbe costretto a non esercitare il suo diritto di difesa e a non proporre l'opposizione alla stima di cui all'art. 19 della legge n. 865/1971; Atteso inoltre che l'applicazione di detto criterio normativo di liquidazione della indennita' di espropriazione di certo introdurrebbe una evidente irrazionale disparita' di trattamento tra i proprietari di aree edificabili oggetto del provvedimento di espropriazione che, come gia' evidenziato, si vedranno liquidata una indennita' corrispondente al 30% circa del valore del bene espropriato, ed i proprietari di aree aventi le stesse caratteristiche e poste nella stessa zona, i quali possono disporne in regime di libera contrattazione e ottenere cosi' il valore di mercato pieno, sicche' l'applicazione di detta norma importerebbe la violazione dell'art. 3 della Costituzione gia' peraltro dichiarata dalla Corte costituzionale in analoghe fattispecie con sentenza 30 gennaio 1980, n. 5; Atteso che, come eccepito dalla opponente, altro profilo di incostituzionalita' dell'art. 5-bis, sesto comma, della citata legge n. 359/1992, in relazione all'art. 3 della Costituzione, di non manifesta infondatezza, vi sarebbe, stante che tale nuova norma ha creato una irragionevole e grave disparita' di trattamento tra gli espropriati che hanno accettato la indennita' loro proposta convenendo la cessione volontaria ovvero proprietari la cui indennita' sia divenuta non impugnabile o sia stata definita con sentenza passata in giudicato prima dell'entrata in vigore della legge di conversione, e gli altri soggetti espropriati con lo stesso procedimento di espropriazione le cui opposizioni alla stima, per varie vicissitudini giudiziarie non imputabili agli stessi opponenti, non si sono ancora concluse con sentenza passata in giudicato e che quindi si vedranno applicare il nuovo criterio di determinazione dell'indennita' venendo cosi' a percepire soltanto il 30% circa di quanto hanno percepito i primi; Ritenuto ancora che non appare manifestamente infondata la questione di incostituzionalita' della disposizione normativa in esame perche' determinerebbe una irragionevole disparita' di trattamento, in violazione dell'art. 3 della Costituzione, tra espropriati nei cui confronti, al momento della sua entrata in vigore, e' stato emesso il decreto di espropriazione che ha importato la perdita del diritto di proprieta' del bene espropriato i quali non possono quindi piu' convenire la cessione volontaria senza subire la riduzione del quaranta per cento dell'importo determinato mediando tra valore venale e reddito dominicale rivalutato, e proprietari invece nei cui confronti nello stesso procedimento non e' stato ancora emesso il decreto ablativo e che quindi accettando l'indennita' offerta e convenendo la cessione volontaria ben possono evitare la decurtazione del 40% dell'ammontare della indennita' di espropriazione;