ha pronunciato la seguente ORDINANZA nel giudizio sull'ammissibilita' del conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato sollevato dal Tribunale civile di Roma, sezione 1a, nei confronti del Senato della Repubblica, con ricorso depositato in Cancelleria l'8 agosto 1992 ed iscritto al n. 42 del registro ammissibilita' conflitti; Udito nella camera di consiglio del 16 dicembre 1992, il Giudice relatore Vincenzo Caianiello; Ritenuto che, con ordinanza del 20 febbraio 1992, il Tribunale di Roma ha sollevato conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato,ai sensi degli artt. 134 della Costituzione e 37 della legge 11 marzo 1953 n. 87; che in tale ordinanza il tribunale riferisce che, con citazione del 28 aprile 1986, il sig. Nicola Falde aveva convenuto in giudizio il senatore Raimondo Ricci per sentirlo condannare, insieme alla s.p.a. Marsilio editori, al risarcimento del danno derivato ad esso attore da atti, a suo dire, diffamatori e calunniosi, consistiti nell'addebito - espresso in un libro intitolato " I poteri occulti dello Stato" - di aver partecipato ad attivita' politica-eversiva posta in essere dalla loggia massonica P 2 e di avere conseguentemente svolto attivita' politica illecita, e che, a seguito di tale addebito, l'attore sosteneva di aver subito danni anche patrimoniali in relazione alla perdita di varie occasioni di lavoro; che il senatore Ricci, costituitosi, aveva sostenuto che il contenuto dello scritto riproduceva fedelmente la relazione svolta in un congresso organizzato nel 1983 dal Comune di Venezia, cui egli era stato invitato quale vicepresidente della commissione parlamentare di inchiesta sulla loggia massonica P2 e che, a sua volta, la relazione riproduceva gli atti ed i documenti acquisiti dalla commissione stessa, per cui le opinioni da lui espresse in tale sede dovevano ritenersi coperte dalla insindacabilita' di cui all'art. 68, primo comma, della Costituzione, onde l'improponibilita'della domanda giudiziale nei suoi confronti; che questa tesi era stata fatta propria con decisione del 16 aprile 1987 dalla giunta per le immunita' parlamentari e quindi dall'assemblea del Senato che, con delibera dell'8 maggio successivo, aveva statuito all'unanimita' che i fatti per i quali era stata esperita nei confronti del senatore Ricci l'azione civile oggetto del giudizio ricadevano nella prerogativa dell'insindacabilita'; che il tribunale, premesso che detta delibera avrebbe dovuto condurre ad una pronuncia di improponibilita' della domanda giudiziale, ha richiamato quanto affermato da questa Corte nella sentenza n. 1150 del 1988 che, pur riconoscendo alla camera di appartenenza il potere di valutare la condotta addebitata ad un suo membro, ha tuttavia ammesso che tale potere non e' arbitrario o soggetto soltanto ad una regola interna di self-restraint, ma deve essere correttamente esercitato e di conseguenza assoggettato a controllo della Corte costituzionale mediante il rimedio del conflitto di attribuzione; che il tribunale, dubitando che con la delibera dell'8 maggio 1987 il Senato abbia fatto corretto uso del proprio potere, perche' avrebbe finito con l'esprimere un "giudizio sulla non esistenza del carattere diffamatorio nelle affermazioni contenute nel libro e quindi in ultima analisi si e' pronunciato sul merito della domanda proposta" in sede giudiziaria, esercitando una funzione giurisdizionale che gli e' preclusa, ha sollevato conflitto tra poteri dello Stato in ordine al corretto uso del potere di decidere sulla "imperseguibilita' stabilita dall'art. 68, 1 comma, della Costituzione, cosi' come esercitato dal Senato della Repubblica con la delibera adottata l'8 maggio 1987"; Considerato che, a norma dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge n. 87 del 1953, "la Corte, in questa fase, e' chiamata a delibare senza contraddittorio se il ricorso sia ammissibile, in quanto esista 'la materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza', rimanendo percio' impregiudicata, ove la pronuncia sia di ammissibilita', la facolta' delle parti di proporre nel corso ulteriore del giudizio, anche su questo punto, istanze ed eccezioni" (cfr. ordinanze nn. 228 e 229 del 1975); che deve essere riconosciuta la legittimazione del tribunale a sollevare conflitto, essendo principio ripetutamente affermato da questa Corte che "i singoli organi giurisdizionali, esplicando le loro funzioni in situazioni di piena indipendenza, costituzionalmente garantita, sono da considerarsi legittimati - attivamente e passivamente - ad essere parti di conflitti di attribuzione" (oltre alle citate ordinanze, cfr. sentenza n. 231 del 1975, ordinanza n. 38 del 1986 e, ancora, sentenza n. 1150 del 1988); che la forma dell'ordinanza, prescelta dal tribunale come mezzo di proposizione del ricorso previsto dall'art. 37 della legge n. 87 del 1953, deve ritenersi adeguata per una valida instaurazione del conflitto, come e' gia' stato deciso in precedenti occasioni (cfr. ordinanze nn. 228 e 229 del 1975 e 10-18 febbraio 1988, quest'ultima richiamata nella parte espositiva della sentenza n. 1150 del 1988); che, assumendosi dal tribunale ricorrente che la delibera del Senato in data 8 maggio 1987 invaderebbe indebitamente la sfera del potere giurisdizionale (cfr. sentenze nn. 231 del 1975 e 1150 del 1988), il conflitto sollevato involge, dal punto di vista oggettivo, l'ambito di applicazione delle norme costituzionali sulla giurisdizione.