IL TRIBUNALE
    All'esito   dell'odierna   udienza   di  discussione  della  causa
 rubricata al numero di  ruolo  sopra  riportato,  ha  pronunciato  la
 seguente ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale
                           PREMESSO IN FATTO
    In  data  6 ottobre 1988 Guareschi Giuditta, mentre attraversava a
 piedi   la   via   Lorenteggio,   in   Milano,    veniva    investita
 dall'autovettura  condotta  da  Parducci  Mario,  assicurata  per  la
 responsabilita'  civile  presso  la  S.p.a.  Riunione  Adriatica   di
 Sicurta' (RAS).
    Dagli  accertamenti  e  dai  rilievi  eseguiti  dai  vigili urbani
 nell'immediatezza del fatto risultava che:
      la Guareschi era stata investita quando  aveva  quasi  terminato
 l'attraversamento  (il  punto  d'urto  veniva  localizzato  a m. 2 di
 distanza dal marciapiedi di destinazione del peddone);
      il   Parducci  procedeva  impegnando  la  parte  sinistra  della
 carreggiata unidirezionale interessata ed aveva operato  il  sorpasso
 di altra vettura;
      il  Parducci  stesso  procedeva,  in centro abitato, a velocita'
 molto elevata, come riferito dal teste  oculare  sentito  a  sommarie
 informazioni  dai  verbalizzanti,  e come era all'evidenza desumibile
 dalle tracce di frenata lasciate al suolo  dal  veicolo  investitore,
 misurate in ben m. 30,22.
    L'infortunata  subiva un "gravissimo insieme menomante permanente"
 con un danno biologico valutato del  75%  (v.  ctu  medico-legale  in
 atti).
    La  Guareschi  conveniva  in  giudizio conducente, proprietaria ed
 assicuratore del veicolo investitore, chiedendo il  risarcimento  dei
 gravi danni subiti.
    La  causa  veniva  istruita  e,  all'udienza  del  29 ottobre 1992
 passava in decisione.
    Sino all'udienza di discussione la  RAS  non  ha  avanzato  alcuna
 offerta   di   indenizzo  all'attrice,  contestato  integralmente  la
 responsabilita' del sinistro.
                          PREMESSO IN DIRITTO
    Il collegio ritiene che il comportamento totalmente omissivo della
 RAS,  rispetto  all'obbligo  di  indennizzare   la   Guareschi,   sia
 ascrivibile  a  dolo  o,  quanto  meno, a colpa grave della compagnia
 assicuratrice, atteso che:
      in caso di  investimento  di  pedone  opera  la  presunzione  di
 responsabilita'  di cui all'art. 2054, primo comma, del c.c. a carico
 dell'investitore  e,   conseguentemente,   dei   soggetti   che   con
 quest'ultimo debbano rispondere solidalmente;
      dalle modalita' del sinistro sopra riassunte, inoltre, emerge ed
 emergeva  sin  ab  initio una macroscopica colpa del Parducci per non
 aver avvistato il pedone, gia' da tempo in  fase  di  attraversamento
 (la  Guareschi aveva 81 anni al momento del sinistro e va escluso che
 abbia percorso gli 8,50 metri, prima di  essere  investita,  in  modo
 repentino)  e  per  aver  proceduto  a  velocita'  molto  elevata (il
 conducente veniva contravvenzionato per guida pericolosa).
    La  compagnia  era,  dunque,  pienamente  consapevole   di   dover
 risarcire  la  danneggiata,  almeno  in forma parziale, non potendosi
 ragionevolmente   prospettare   una   completa    esclusione    della
 responsabilita' del Parducci.
    L'entita'  delle  lesioni  e dei postumi residuati alla Guareschi,
 poi, dovevano indurre la compagnia, quanto meno, alla  corresponsione
 di  in  acconto idoneo a contribuire alle ingenti spese di assistenza
 generica rese  necessarie  dalla  gravissima  invalidita'  permanente
 riportata dall'infortunata.
    La RAS, invece, e' rimasta a tutt'oggi inerte.
    Va  rilevato che nella specie ricorrono tutti gli estremi previsti
 dall'art. 3 del d.l. 23 dicembre  1976,  n.  857,  convertito  nella
 legge  26  febbraio  1977, n. 39, per l'applicabilita' della sanzione
 ivi comminata e, in particolare:
      1)  la  notevole  sproporzione  tra  la  somma  liquidata   alla
 danneggiata   con  la  sentenza  non  definitiva  in  pari  data  (L.
 321.125.000)  e  l'offerta  (zeroƝ)  di  indennizzo  da  parte  della
 compagnia  (la  s.C.,  con  sent.  n.  4468  del  24  aprile 1991, ha
 affermato l'applicabilita' della sanzione in  discorso  anche,  ed  a
 maggior   ragione,   nelle   ipotesi  di  mancata  offerta  da  parte
 dell'assicuratore);
      2)  il  dolo  o,  quanto  meno,  la  colpa  grave  dell'impresa,
 desumibile da quanto sin qui detto.
    Deve  osservarsi  che  il  disposto  dell'art. 3 del d.l. cit. va
 correttamente interpretato alla luce delle considerazioni seguenti.
    Il nono comma delll'art. 3 cit. configura una ipotesi di  illecito
 amministrativo  del  tutto  autonoma  rispetto a quella riconducibile
 alla  violazione  degli   obblighi   imposti   all'assicuratore   dai
 precedenti  commi  dell'art. 3 stesso e dagli artt. 8 e 13 del d.P.R.
 16 gennaio 1981, n. 45.
    Diversi sono, infatti:
       a) gli elementi costitutivi dei due illeciti;
       b) la misura della sanzione;
       c) l'organo competente per la loro applicazione.
    In particolare:
        a) i commi da 1 a 8 dell'art. 3 cit. (e gli artt. da  8  a  13
 del  d.P.R. n. 45) prevedono l'obbligo per l'assicuratore entro certi
 termini e di provveddere, comunque, al versamento della somma offerta
 entro   altri   termini   precisi,   subordinando    tali    obblighi
 all'adempimento  di  determinate  formalita' da parte del danneggiato
 (richiesta con raccomandata, compilazione del modulo di cui  all'art.
 5  del  d.l.  n.  857/1976,  ecc.); mentre il nono comma dell'art. 3
 presuppone la  "notevole  sproporzione"  tra  l'offerta  e  la  somma
 liquidata  a  favore  del  danneggiato,  nonche'  il "dolo o la colpa
 grave" dell'impresa nel procedere alla liquidazione del sinistro;
       b) l'illecito di cui ai primi commi dell'art. 3 e'  punito  con
 la  sanzione  pecuniaria  di  L. 100.000, ovvero di importo pari alla
 somma "offerta" dall'assicuratore; mentre il nono comma  consente  al
 giudice  la  quantificazione  discrezionale, nel limite massimo della
 "differenza fra l'offerta e il liquidato al netto di rivalutazione  e
 interessi";
       c)   l'applicazione  della  sanzione  di  cui  ai  primi  commi
 dell'art.  3  e'  di  competenza   degli   uffici   provinciali   per
 l'industria,  il  commercio  e  l'artigianato,  i  quali  versano gli
 importi all'INA; mentre la sanzione di cui al nono comma e' applicata
 dal giudice ordinario con sentenza, la quale  dispone  il  versamento
 dell'importo direttamente all'INA.
    Sarebbe,  pertanto,  erroneo  ritenere  che,  per  la  sussistenza
 dell'illecito di cui al nono comma, debbano  essere  state  espletate
 dal  danneggiato  le formalita' di cui al primo comma; si tratterebbe
 di interpretazione contraria al sistema sanzionatorio delineato dalla
 legge in due distinte e  autonome  ipotesi;  l'una  ricollegata  alla
 violazione  di  precisi  termini,  e  colpita  con sanzione fissa (L.
 100.000 o somma pari all'offerta), l'altra nascente da  comportamento
 doloso  o  gravemente  colposo  e  punita con sanzione graduabile dal
 giudice nell'ambito discrezionale sopra detto.
    E', infine, appena il caso di osservare  che  il  legislatore  non
 avrebbe  richiesto  al  giudice l'accertamento del dolo o della colpa
 grave dell'impresa ove avesse voluto subordinare l'applicazione della
 sanzione di cui al non comma agli adempimenti formali di cui al primo
 comma.
    L'adempimento  di  dette  formalita'  da  parte  del  danneggiato,
 infatti, facendo sorgere nell'assicurazione l'obbligo di fare offerta
 "congrua", renderebbe superfluo  l'accertamento  in  parola,  essendo
 insiti nella violazione stessa dell'obbligo di fare offerta il dolo o
 la colpa dell'impresa assicuratrice.
    Cio'  premesso  appare  di  tutta  evidenza che, nel verificare la
 sussistenza dell'autonomo illecito delineato dal  nono  comma  e,  in
 particolare,   del   dolo  o  della  colpa  grave,  e'  rimesso  alla
 valutazione del giudice anche l'accertamento della possibilita',  per
 l'assicuratore,  di  prendere  contezza  del  sinistro e dell'entita'
 delle conseguenze dannose in  tempi  ragionevoli  relativamente  alle
 circostanze.
    Alla  luce  di  quanto  precede  deve ritenersi non manifestamente
 infondata, in relazione all'art. 3 della Costituzione,  la  questione
 di legittimita' costituzionale dell'art. 3 del d.l. cit. nella parte
 in  cui  non  prevede  l'applicabilita'  della sanzione in oggetto ai
 sinistri che  abbiano  causato  lesioni  personali  guarite  oltre  i
 quaranta   giorni   e/o   che  abbiano  prodotto  postumi  di  natura
 permanente.
    E', infatti, palese che la limitazione normativa ai soli  sinistri
 con  danni  a  cose  o  con  danni  lievi  alle  persone comporta una
 ingiustificata disparita'  di  trattamento  di  situazioni  analoghe;
 addirittura, esclude l'applicabilita' della sanzione nelle ipotesi di
 danni  piu'  gravi  e  che  richiederebbero,  invece, una piu' pronta
 attivazione delle  compagnie  assicuratrici  nella  liquidazione  del
 sinistro.