IL PRETORE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nella causa previdenziale
 promossa con ricorso depositato il 10 aprile 1991 da  Passone  Dinea,
 col  proc.  e dom. avv. Gaetano Mutarelli da Udine, ricorrente contro
 l'I.N.A.I.L.  Istituto  nazionale  per  l'assicurazione  contro   gli
 infortuni  sul  lavoro,  in  persona  del presidente pro-tempore, col
 proc. e dom. avv.ti Raffaele de Mitri, Renzo Baldo  e  Mario  Grillo,
 resistente.
                         IN FATTO E IN DIRITTO
    Con  ricorso  10 aprile 1991 Passone Dinea, premesso che il marito
 Gosparini Dante era  in  vita  affetto  da  silicosi,  per  la  quale
 l'I.N.A.I.L.  gli aveva riconosciuto la rendita, e che tale affezione
 si era aggravata al punto da portarlo alla morte il 21 febbraio  1988
 e  precisato  che  aveva  presentato infruttuosamente il 24 settembre
 1988 all'I.N.A.I.L. domanda di rendita  ai  superstiti,  chiedeva  al
 pretore  di  Udine  che,  accertato  il  nesso  di  causalita' tra la
 pregressa patologia respiratoria del marito e il decesso, condannasse
 l'I.N.A.I.L. a riconoscerle la rendita ai superstiti.
    L'I.N.A.I.L., costituitosi, si opponeva al ricorso, eccependo, tra
 l'altro, che la  ricorrente  era  incorsa  nella  decadenza  prevista
 dall'art.  122  del  d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, alla cui stregua
 gli eventuali aventi diritto alla rendita ai superstiti, in  caso  di
 morte  sopraggiunta  in conseguenza dell'infortunio (o della malattia
 professionale) dopo  la  liquidazione  della  rendita  di  inabilita'
 permanente,  dovevano  presentare  domanda entro 90 giorni dalla data
 della morte (nel caso di specie morte del Gosparini risalente  al  21
 febbraio  1988,  domanda  della vedova all'I.N.A.I.L. il 24 settembre
 1988).
    Nel corso del procedimento  la  ricorrente  solleva  questione  di
 legittimita'  costituzionale dell'art. 122 del d.P.R. n. 1124/1965 in
 riferimento agli artt. 3, 24 e 38 della Costituzione.
    All'udienza 18  gennaio  1993,  esaurita  la  discussione,  veniva
 pronunciata e letta l'ordinanza in atti.
    La   questione  sollevata  e'  rilevante  e  non  manifestatamente
 infondata.
    Va  premesso  che  l'art.  122  del  d.P.R.  n.  1124/1965,  nello
 stabilire   testualmente   che:  "quando  la  morte  sopraggiunse  in
 conseguenza dell'infortunio dopo la  liquidazione  della  rendita  di
 inabilita'  permanente,  la  domanda  per  ottenere  la rendita nella
 misura e nei modi stabiliti nell'art. 85  deve  essere  proposta  dai
 superstiti,  a  pena  di  decadenza, entro 90 giorni dalla data della
 morte", si riferisce non solo agli infortuni sul lavoro ma anche alle
 malattie professionali, quanto meno perche' l'art. 131  dello  stesso
 d.P.R.  prevede  che  per  le malattie professionali si applichino in
 generale le disposizioni concernenti gli infortuni sul lavoro.
    Va   altresi'  premesso  che  il  termine  di  decadenza  previsto
 dall'art. 122 e' ritenuto ormai, per  prevalente  giurisprudenza  del
 S.C.  (v.  sent. 17 dicembre 1986, n. 7638 e da ultimo 21 marzo 1991,
 n. 3044), di natura  sostanziale,  cioe'  tale  che  il  suo  mancato
 rispetto determina l'estinzione del diritto senza alcuna possibilita'
 di  sanatoria,  sanatoria che l'art. 8 della legge 11 agosto 1973, n.
 533, limita alle decadenze di natura processuale  verificatesi  nelle
 procedure  amministrative  riguardanti  le controversie in materia di
 assistenza e previdenza obbligatoria.
    Cosi' precisato il quadro normativo, nell'interpretazione  offerta
 dal  S.C.  con  decisioni, da cui non vi e' motivo di discostarsi, la
 prospettata questione di costituzionalita'  dell'art.  122  in  esame
 appare,  per tutta evidenza, rilevante, sol che si pensi che, vigendo
 il termine previsto da detto articolo, la vedova ricorrente  vedrebbe
 irrimediabilmente respinto il proprio ricorso, per aver presentato la
 domanda  di prestazione all'I.N.A.I.L. solo il 24 settembre 1988, ben
 oltre i 90 giorni  dalla  morte  del  marito,  (affetto  da  malattia
 professionale),   avvenuta   il  21  febbraio  1988  e  asseritamente
 sopraggiunta in conseguenza della malattia professionale - silicosi -
 dopo una liquidazione della rendita per inabilita' permanente.
    La questione medesima appare poi non manifestamente infondata.
    Va premesso che la  Corte  costituzionale,  gia'  con  sentenza  5
 luglio  1968,  n.  85,  ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale
 dell'art.  28  del  r.d.  17  agosto  1935,   n.   1765   (contenente
 disposizioni  per  l'assicurazione  obbligatoria  degli infortuni sul
 lavoro e  delle  malattie  professionali)  nella  parte  in  cui,  in
 contrasto  con  gli  artt.  24, primo comma, e 38 della Costituzione,
 stabiliva che la domanda diretta ad ottenere la rendita doveva essere
 proposta  dai   superstiti   del   lavoratore,   deceduto   a   causa
 dell'infortunio  dopo  la  liquidazione  della rendita per inabilita'
 permanente, entro un mese dalla data della morte.
    Le ragioni addotte a sostegno della decisione, che non  ha  esteso
 la  declaratoria  di  legittimita'  alla  corrispondente disposizione
 dell'art. 122 del d.P.R. n. 1124/1965, che  ha  elevato  il  suddetto
 termine  a  90 giorni, appaiono, a giudizio di questo pretore, valide
 anche per tale nuovo termine.
    Invero anche questo termine  si  rivela  troppo  breve  e  la  sua
 decorrenza  puo'  condurre  a  conseguenze  tali da rendere del tutto
 inoperante, in contrasto con gli articoli 24, primo comma, e 38 della
 Costituzione, quella tutela dei diritti ai superstiti che la legge ha
 voluto assicurare.
    Basti pensare, per rendersi  conto  di  cio',  "al  turbamento  di
 carattere  psicologico  ed  affettivo  che  la  morte di un congiunto
 suscita, di norma,  nell'ambito  della  famiglia,  con  ripercussioni
 innegabili   sull'attivita'   che   i   superstiti   devono  svolgere
 sollecitamente, per  salvaguardare  i  loro  interessi  patrimoniali,
 ricollegati  all'evento luttuoso; attivita' che puo' trovare maggiore
 difficolta' di espletamento, anche nell'eventuale  scarsa  conoscenza
 delle   disposizioni   legislative   e  regolamentari  da  parte  dei
 superstiti. Ragioni queste che gia'  concorrono  a  far  fondatamente
 dubitare  della  congruita'  del  termine  di un mese stabilito dalla
 disposizione impugnata ed assumono, nel caso, maggior rilievo  se  si
 considera  che  detto  termine  decorre  dalla  data  della morte del
 lavoratore che gia' gode della rendita. Da un elemento di fatto cioe'
 che  prescinde  dalla  possibilita' che del decesso non sia pervenuta
 tempestivamente  notizia  agli  interessati.  Il  che  puo'  accadere
 quando,  come  nella specie, la morte avvenga in localita' diversa da
 quella  dell'abituale  residenza   dell'infortunato   ovvero   quando
 l'evento si e' verificato in circostanze tali da rendere difficile la
 conoscenza   da   parte   della  stessa  pubblica  autorita'"  (Corte
 costituzionale sentenza n. 85/1968).
    Le stesse considerazioni non possono non valere ancor oggi pur  in
 relazione  al maggior termine di 90 giorni previsto dall'art. 122 del
 d.P.R. n. 1124/1965 e pur essendovi l'art. 123 dello  stesso  d.P.R.,
 che   impone   all'I.N.A.I.L.   se   gli  risulti  che  i  superstiti
 dell'infortunato non erano informati del decesso,  l'obbligo,  appena
 venutone  a  conoscenza,  di  dare  notizia  del  decesso  stesso  ai
 superstiti e che stabilisce, altresi', che in ogni caso il termine di
 90 giorni, a pena di  decadenza,  decorre  dal  giorno  nel  quale  i
 superstiti sono venuti a conoscenza del decesso.
    Ne'  vale  osservare  in contrario, come vuole l'I.N.A.I.L. che la
 brevita' del termine di novanta giorni e' necessaria  per  permettere
 un'accertamento tempestivo della relazione causale tra l'infortunio o
 la   malattia   professionale   e  il  decesso,  posto  che  un  tale
 accertamento dopo tre mesi dalla morte non puo' essere  compiuto  per
 il  colliquarsi  dei  tessuti  trasformati  a quel punto in una unica
 massa informe, impeditiva di ogni riscontro che  abbia  carattere  di
 sicurezza o anche di sola probabilita'.
    A  parte  la  considerazione che il progresso della scienza medica
 consente  indagini  efficienti  sul  rapporto  causale   tra   evento
 professionale  e  decesso  anche  dopo  novanta giorni da questo, per
 convincersi  dell'inconsistenza  della  tesi  dell'istituto  bastera'
 notare  che  una  cosa e' la difficolta' di prova dell'indicato nesso
 causale  da  parte  del  ricorrente  superstite,  prova  tanto   piu'
 difficile  quanto  maggiore sara' il tempo trascorso tra il decesso e
 l'azione volta ad accertare il nesso, e altra cosa e' conculcare, con
 la previsione di un termine troppo breve, il diritto  del  ricorrente
 di agire giudizialmente e quindi di fornire la prova stessa.
    Non potra' pertanto l'I.N.A.I.L. mai dolersi della caducazione del
 termine  di novanta giorni, in quanto ogni pregiudizio conseguente al
 ritardo di azione operera' a livello probatorio  solo  a  carico  del
 ricorrente.
    Peraltro,  oltre  alle  argomentazioni  svolte,  fa dubitare della
 legittimita' dell'art. 122 anche la  considerazione  che  tale  norma
 aggiunge,  contro  ogni  ragionevolezza  (art. 3 della Costituzione),
 all'ordinario termine triennale di prescrizione  dell'azione  diretta
 al  conseguimento  della prestazione assicurativa, previsto dall'art.
 112 del  d.P.R.  n.  1124/1965  e  valevole  anche  per  l'azione  di
 riconoscimento  della  rendita  ai  superstiti  (v.  Cass. 21.1185 n.
 5750), un ulteriore termine di decadenza limitato alla  sola  rendita
 ai superstiti.
    Non  solo  ma  la  irrazionalita'  dell'art. 122 appare ancor piu'
 evidente ove si consideri che il  termine  di  decadenza  di  novanta
 giorni  opera  solo quando la morte sia conseguenza dell'infortunio o
 della  malattia  professionale  dopo  il  riconoscimento   da   parte
 dell'I.N.A.I.L.   cioe'   quando   la   morte  sopraggiunge  dopo  la
 liquidazione della rendita di  inabilita'  permanente,  e  non  anche
 invece  quando  la  morte  sia  istantanea  o quasi e coincidente con
 l'evento  (infortunio  o malattia professionale), ipotesi nella quale
 la normativa in vigore non prevede che il  termine  prescrizionale  e
 cio'  nonostante che in entrambi i casi identica sia la necessita' di
 un'accertamento  legale  in   ordine   alla   idoneita'   dell'evento
 professionale a produrre la morte.
    Va   pertanto   rimessa  alla  Corte  Costituzionale  la  indicata
 verifica, sospendendosi, nel contempo, il giudizio in corso.