IL TRIBUNALE
   Vista  la  richiesta  di  riesame  ex  art. 324 del c.p.p. porposta
 dall'avv. Giuseppe De Rosa, quale difensore e  nell'interesse  di  De
 Santis  Lina, quale amministratore unico della S.r.l. Mike con sede a
 San Severino Marche,  avverso  il  decreto  di  sequestro  preventivo
 emesso  in  data  17  dicembre 1993 dal g.i.p. presso il tribunale di
 Camerino nell'ambito del procedimento penale  a  carico  di  Malasisi
 Antero,  imputato  del reato di cui all'art. 12-quinquies del d.l. 8
 giugno 1992, n. 306, convertito nella legge n. 356/1992;
    Udite le conclusioni del p.m. e del difensore della ricorrente non
 comparsa formulate al termine dell'udienza camerale;
    Sciogliendo la riserva assunta all'udienza camerale odierna;
                             O S S E R V A
    L'ipotesi  delittuosa   contestata   a   Malasisi   Antero   (art.
 12-quinquies,  secondo comma, della legge 7 agosto 1992, n. 356, come
 modificato dall'art. 1 del d.l.  17  settembre  1993,  n.  369)  con
 richiesta  di  rinvio  a giudizio avanzata dal p.m. presso la Procura
 delle Repubblica di Camerino in data 14 dicembre 1993,  si  fonda  su
 meticolose  e approfondite indagini patrimoniali che hanno acclarato,
 con  metodologia  immune  da  vizi  evidenti,  l'esistenza  in   capo
 all'imputato  di disponibilita' patrimoniali "attuali" sproporzionate
 rispetto ai redditi dichiarati e all'attivita' economica (il Malasisi
 e' un vigile urbano) senza che ne sia stata dimostrata  la  legittima
 provenienza  (v.  le  risultanze  dell'elaborato formato dal c.t. del
 p.m.). Piu' in particolare il  c.t.  ha  evidenziato  come  tutte  le
 attivita' e i beni apparentemente riconducibili alla De Santis, anche
 nella  qualita'  di  amministratore della Societa' r.l. Mike, sono in
 realta'   da   ricondurre   nella    disponibilita'    dell'imputato,
 manifestatosi attraverso il compimento di numerosi atti di gestione.
    Appare  quindi concretamente prospettabile la titolarita' soltanto
 fittizia di detti beni e  attivita'  (colpiti  dal  provvedimento  di
 sequestro preventivo) alla De Santis che, del resto, si trova in eta'
 avanzata ed e' madre dell'imputato (indagato per il reato di usura in
 separato procedimento).
    Il   decreto  di  sequestro  preventivo  impugnato  sottolinea  la
 confiscabilita'  dei  beni  ai  sensi  dell'ultimo  comma   dell'art.
 12-quinquies della legge cit.
    E'  tuttavia  opinione di questo tribunale, in coerenza con quanto
 deliberato in sede di riesame in analogo procedimento, che  la  norma
 in  questione  non  si sottragga a riserva sotto il profilo della sua
 compatibilita' con il dettato costituzionale. Di qui il convincimento
 di  sottoporre  la  fattispecie  incriminatrice  al  giudizio   della
 Consulta, sulla scorta delle considerazioni qui di seguito esposte.
    Questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 12-quinquies,
 secondo comma della legge n. 356/1992 e successive modificazioni.
    La fattispecie di reato in discorso prevede la reclusione da due a
 quattro anni nei confronti  di  soggetti  sottoposti  a  procedimento
 penale  in  relazione  a determinati nomina juris, ovvero a misura di
 prevenzione pesonale e, comunque, a procedimento  per  l'applicazione
 della  citata  misura,  che  risultino  titolari,  direttamente o per
 interposta persona, di disponibilita' (beni, denaro etc.)  di  valore
 sproporzionato  al  proprio  reddito  oppure  alla  propria attivita'
 economica, senza  essere  in  grado  di  giustificarne  la  legittima
 provenienza.
   L'obiettivo   perseguito  dal  legislatore  e'  quello  di  colpire
 patrimoni o attivita' ritenute illecite  nella  loro  attualita'.  La
 formulazione  della  fattispecie  e'  inoltre  tale da non consentire
 l'individuazione di un collegamento causale tra un  determinato  tipo
 di  reato  e  l'acquisizione  di  beni.  Non  v'e'  cioe' un "vincolo
 pertinenziale" tra le possidenze e i reati per i  quali  il  soggetto
 subisce  il  procedimento  penale. "Il legislatore, infatti, e' mosso
 dalla considerazione che molti di  coloro  i  quali  sono  ricompresi
 nelle   categorie  soggettive  di  cui  al  secondo  comma  dell'art.
 12-quinquies, hanno in parte terminato il processo di  'accumulazione
 selvaggia del capitale' fondato sul ricorso ed attivita' criminali ed
 hanno riciclato parte dei proventi in attivita' lecite di modo che un
 sequestro  e  la  successiva  confisca  he  colpissero esclusivamente
 quella parte  di  patrimonio  ancora  direttamente  legato  al  ciclo
 criminale,  non  coglierebbero  la  vicenda nella sua interezza e non
 consentirebbero di  incidere  in  radice  sull'innesto  dell'economia
 criminale  nell'economia  legale"  (cosi' trib. Bari, ord. 19 ottobre
 1992).
    La norma, dunque, si inserisce, con altre di  recente  produzione,
 nel  piu'  generale  contesto degli strumenti volti a fronteggiare la
 criminalita' organizzata ad aggredire i proventi delle organizzazioni
 criminali.
    Non   competono,   ovviamente,   in   questa   sede,   valutazioni
 sull'efficacia di questi strumenti legislativi. Va pero' rilevato che
 la   norma  di  cui  si  sospetta  l'incostituzionalita'  non  appare
 necessariamente collegabile all'area di incriminazione  tipica  della
 criminalita'  organizzata.  Il  caso  sottoposto  a  questo tribunale
 costituisce, in tal senso, una significativa conferma.
    Sotto il profilo classificatorio, la norma rientra nella categoria
 di "reati di sospetto", o comunque dei delits obstacle. A prima vista
 parrebbe accostabile alla previsione di cui all'art.  708  del  c.p.,
 che  si  connota per una funzione prevalentemente repressiva: dato il
 possesso  di  cose  non  confacenti  allo  stato  del  soggetto,   la
 pericolosita' di questo dovrebbe concretizzare il sospetto che quelle
 cose  provengano  da  delitti contro il patrimonio o rappresentino il
 pretium sceleris di delitti da commettere.
    La notorieta' degli argomenti, con i quali la Corte costituzionale
 - anche di recente (v. decisione n. 464/1992) - ha negato l'esistenza
 di contrasto tra la norma del codice penale e la Carta  fondamentale,
 ci esime dal riepilogarli.
    Purtuttavia  un  attento  esame  dimostra  come l'affinita' tra la
 disposizione  dell'art.  12-quinquies,  secondo  comma,  e  la  norma
 codicistica risulta soltanto apparente.
    La  norma  dell'art.  12-quinquies  e'  collegata ad una qualifica
 soggettiva "provvisoria", relativa alla "pendenza"  del  procedimento
 penale,  non  cristallizzata  da  un giudicato di condanna. Uno stato
 soggettivo provvisorio, pertanto, suscettibile di  "trasfigurazione",
 il  cui  esito  finale (la sentenza passato in giudicato" e' estraneo
 alla figura di reato in esame.
    Quanto al restante contenuto della previsione  incriminatrice,  e'
 piuttosto  agevole  rilevare che non descrive "una specifica forma di
 offesa al bene  giuridico":  non  predica,  cioe',  un  "fatto",  una
 "azione"  o  una  "omissione"  ma  enuncia soltanto una "situazione".
 Estremamente  evocativo,  in  proposito,   il   termine   "risultato"
 utilizzato  per  collegare  all'attore  la  disponibilita' di beni in
 misura sproporzionata.
    E' l'intera trama delle attivita' economiche e  professionali  del
 soggetto a costituire il presupposto del fatto reato.
    Di  qui  il  sospetto  di  incostituzionalita' nei confronti della
 norma dell'art. 25, secondo comma, della  Costituzione  che  pone  il
 divieto di pene non collegate ad "un fatto commesso".
    In  un  diritto  penale  volto  alla  tutela di beni giuridici, il
 "fatto" individua specifiche forme di aggressione e di offesa ai beni
 giuridici. La citata disposizione costituzionale  riconosce  siffatta
 funzione  e  la  impone  al legislatore. Di qui l'inammissibilita' di
 incriminazione che sanzionassero esclusivamente  un  modo  di  essere
 dell'attore,  la  mera pericolosita' soggettiva, i suoi atteggiamenti
 interiori.
    Non  appare  allora  manifestamente   infondato   dubitare   della
 legittimita' costituzionale della fattispecie dell'art. 12-quinquies,
 secondo  comma.  E'  difficile  -  come  si  e'  detto - scorgervi un
 "agire": non guarda infatti all'uomo "agente", ma all'uomo "ente". La
 pendenza del procedimento penale per usura  (come  nel  nostro  caso)
 costituisce   l'occasione   per   rivisitare   il  lato  patrimoniale
 dell'esistenza dell'attore, al fine di saggiare la  congruita'  o  la
 sperequazione delle sue attuali disponibilita'.
    Il fulcro del "tipo" gravita non gia' sull'oggettiva pericolosita'
 di un fatto, ma sulla mera pericolosita' dell'attore.
    Si   punisce,   in  definitiva,  la  pericolosita'  del  soggetto,
 attraverso una fattispecie coniata con lo stampo del  diritto  penale
 sintomatico e preventivo.
    Questo stato soggettivo non trova peraltro obiettiva consacrazione
 in  precedenti  penali  cristallizzati  nel  giudicato.  Viene invece
 "anticipato"  e   "individuato"   all'interno   di   una   situazione
 processuale  ancora "in movimento" che potrebbe persino smentire, nel
 procedimento che la riguarda,  la  prognosi  negativa  evocata  nella
 norma dell'art. 12-quinquies, secondo comma.
    Gravi  le ripercussioni sulla concreta esercitabilita' del diritto
 di difesa (art. 24 della Costituzione). L'ampiezza  della  previsione
 incriminatrice   rischia   di   compromettere   la   possibilita'  di
 giustificare la sperequazione tra i beni a disposizione e il  reddito
 dichiarato.  Non  risulta,  infatti,  agevole fornire una attendibile
 asserzione di legittima provenienza di  beni  acquisiti,  ad  es.  in
 epoca  remota, specie se i relativi atti giuridici non prevedevano il
 compimento di particolari forme di documentazione.
    Ne' l'autore poteva orientare il suo  comportamento  alla  stregua
 della odierna norma sanzionatoria. Questa, fondamentalmente, colpisce
 oggi   pregresse   condotte   di   vita,  rilevanti  sotto  l'aspetto
 patrimoniale,  all'epoca  "svincolate"  da   qualsiasi   disposizione
 orientata a "motivare" il singolo verso un determinato comportamento.
    Non  si  configura,  beninteso,  la  violazione  del  principio di
 irretroattivita' della norma penale di cui al secondo comma dell'art.
 25  della   Costituzione   essendo   ininfluente,   ai   fini   della
 configurazione  del  reato,  l'epoca  di acquisizione delle ricchezze
 sospette, rilevando invece la sola attuale, effettiva disponibilita',
 anche se  iniziata  prima  dell'entrata  in  vigore  della  legge  n.
 356/1992.
    Il   possibile  contrasto  con  l'art.  24,  secondo  comma  della
 Costituzione  si  collega,  invece,  proprio  alla  struttura,  della
 fattispecie  incriminatrice  che,  sanzionando  -  come  si  e' detto
 poc'anzi  -  una  "situazione"  non  gia'  un  "fatto",  rischia   di
 vanificare obiettivamente l'esercizio del diritto di difesa.
    Appare cosi' non manifestamente infondato evocare un contrasto fra
 la  fattispecie incriminatrice dell'art. 12-quinquies, secondo comma,
 e l'art. 24, secondo comma, della Costituzione.
    La rilevanza delle questioni di legittimita' sin qui descrittte e'
 di  intuitiva   evidenza:   l'eventuale   caducazione   della   norma
 determinerebbe  il  venir  meno  del  sequestro  per  inesistenza del
 presupposto normativo sostanziale.