ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 446 del  codice
 di  procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 10 aprile 1992
 dal Pretore di Camerino nel procedimento penale a carico di  Giordano
 Luigi  ed  altra,  iscritta  al  n. 506 del registro ordinanze 1992 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  40,  prima
 serie speciale, dell'anno 1992;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del 27  gennaio  1993  il  Giudice
 relatore Vincenzo Caianiello;
    Ritenuto  che  nel corso di un procedimento penale a carico di due
 imputati di violazione di domicilio aggravata e  di  furto,  entrambi
 irreperibili,  il  Pretore  di  Camerino, con ordinanza del 10 aprile
 1992,  ha  sollevato,  in  riferimento  agli  artt.  3  e  24   della
 Costituzione  e  "all'art.  6  della  Convenzione europea dei diritti
 dell'uomo", questione di  legittimita'  costituzionale  dell'articolo
 446  del  codice  di procedura penale, nella parte in cui non prevede
 che la facolta' di  richiedere  l'applicazione  della  pena  a  norma
 dell'art.  444  dello  stesso  codice  possa  essere  esercitata  dal
 difensore dell'imputato irreperibile non munito di procura speciale;
      che, premessa la rilevanza della questione (avendo il  difensore
 degli  imputati formulato la richiesta di patteggiamento, ritenendola
 per essi vantaggiosa), il Pretore  rimettente  reputa  che  la  norma
 impugnata contrasti con gli articoli:
       3  della Costituzione, per il diverso trattamento dell'imputato
 irreperibile rispetto al contumace non irreperibile, in  ragione  del
 diverso grado di "sicurezza di effettiva conoscenza" del procedimento
 derivante, nei due casi, dalla disciplina delle notificazioni;
       24  della  Costituzione,  in  quanto  le  facolta' esercitabili
 personalmente  dall'imputato,  tra  cui  quella  di   richiedere   il
 patteggiamento,  divengono  "impraticabili" per l'irreperibile se non
 si ammette una concorrente facolta' del  difensore  (non  procuratore
 speciale);
      che  nessun  argomento  viene  addotto  dal  giudice  a  quo  in
 relazione al parametro  dell'articolo  6  della  Convenzione  per  la
 salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e delle liberta' fondamentali,
 ratificata e resa esecutiva in Italia con legge  4  agosto  1955,  n.
 848;
      che  e' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
 Ministri, tramite l'Avvocatura generale dello Stato, concludendo  per
 l'infondatezza della questione, ed osservando, in particolare, che la
 disciplina  denunziata tutela proprio il diritto alla migliore difesa
 dell'imputato, cui unicamente spetta valutare  la  convenienza  della
 richiesta  di un rito speciale e delle conseguenze sostanziali che ne
 derivano;
    Considerato che l'attribuzione in via esclusiva all'imputato della
 facolta' di  richiedere  l'applicazione  -  o  di  dare  il  consenso
 all'applicazione  -  della  pena  concordata trova fondamento proprio
 nell'esigenza di piena e completa tutela della  difesa  della  parte,
 sul rilievo della particolare natura dell'impegno che viene ad essere
 assunto nel concordare la pena, e dunque nel "rinunciare ad avvalersi
 della  facolta'  di  contestare  l'accusa"  (sent.  n. 313 del 1991),
 accettando le diverse conseguenze che discendono dalla pronuncia resa
 ex art. 444 c.p.p. (giudizio formulato in base agli elementi raccolti
 dall'accusa,   inappellabilita',   applicazione    della    confisca,
 equiparazione a una sentenza di condanna);
      che   la   riserva  esclusiva  di  tale  facolta',  riconosciuta
 legittima in termini generali  dall'art.  99,  comma  primo,  c.p.p.,
 risulta  pertanto coerente con i connotati centrali dell'istituto del
 c.d. patteggiamento, strumento "negoziato" idoneo ad  incidere  sulla
 sfera   della   liberta'   personale   e   dei  diritti  patrimoniali
 dell'imputato medesimo, per tali ragioni ricompreso  nella  categoria
 degli   atti   "personalissimi"  da  questo  esercitabili  (Relazione
 ministeriale al progetto preliminare del  c.p.p.,  Libro  VI,  titolo
 II), in linea del resto con la giurisprudenza formatasi sull'istituto
 -  analogo,  per  questo  specifico aspetto - dell'applicazione delle
 sanzioni sostitutive di pene detentive brevi  a  norma  dell'art.  77
 della legge n. 689 del 1981;
      che   l'attribuzione   esclusiva   all'imputato  delle  suddette
 facolta' e' dunque conforme al parametro costituzionale  ex  art.  24
 invocato,  in  quanto  si  tratta  di  un  istituto  in cui la scelta
 determina una non reversibile disposizione di  fondamentali  diritti,
 ond'e' che l'eventuale concorrente attribuzione di quelle facolta' al
 difensore   nell'ambito   del   generico   potere  di  rappresentanza
 determinerebbe la possibilita' di opzioni, da parte di  quest'ultimo,
 tali   da   consumare  l'esercizio  della  facolta'  per  l'imputato,
 compromettendone la posizione  (al  pari  di  quanto  gia'  rilevato,
 riguardo  alla  facolta' di impugnazione della sentenza contumaciale,
 nella sentenza n. 315 del 1990);
      che la disciplina denunziata non appare  in  alcun  modo  lesiva
 neppure  del  principio  di  eguaglianza invocato, sia perche' in se'
 razionale in rapporto alle  finalita'  e  ai  "rischi"  dell'istituto
 quali   sopra  enucleati,  sia  perche',  nel  regolare  il  modo  di
 espressione della volonta' di accedere alla pena concordata, essa non
 crea alcuna differenziazione in rapporto alla diversa  situazione  in
 cui  versi l'imputato sul piano della presenza nel processo (imputato
 presente, considerato tale, contumace, irreperibile, latitante);
      che in proposito e' da ritenersi prevalente  per  tutti  i  casi
 l'esigenza   di   una   formulazione   di   volonta'   riconducibile,
 direttamente o per  il  tramite  di  un  procuratore  speciale,  alla
 persona   dell'interessato,   naturalmente   sul   presupposto  della
 validita' e legittimita' degli strumenti di conoscenza  del  processo
 adottati nei singoli casi (sent. n. 211 del 1991);
     che,  per  quanto  riguarda  la  censura  svolta  in  riferimento
 dell'art.  6  della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti
 dell'uomo  e  delle  liberta' fondamentali, se da un lato va ribadita
 l'impossibilita' di assumere le relative norme  quali  parametri  del
 giudizio  di  legittimita'  costituzionale, di per se' sole (sent. n.
 188  del  1980)  ovvero  come  norme  interposte  ex  art.  10  della
 Costituzione  (sent.  n.  153  del  1987),  va d'altra parte rilevata
 l'assenza, nell'ordinanza di rimessione, di qualsiasi  argomentazione
 in  ordine a tale profilo, non essendo neppure individuato il diritto
 che si assume violato tra quelli enumerati nella norma pattizia;
      che pertanto, in relazione a tale ultimo profilo,  la  questione
 va  dichiarata  manifestamente inammissibile per genericita' (ord. n.
 23 del 1993);
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo  1953,  n.
 87  e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.