IL PRETORE
    Sciogliendo la riserva e letti gli atti;
                             O S S E R V A
    Con  atto  di  intimazione  di  licenza  per  finita  locazione  e
 contestuale citazione per la convalida notificato il 15 ottobre 1992,
 la signora Provenza Gerarda, premettendo di essere proprietaria di un
 appartamento sito in Battipaglia (Salerno) alla  v.  Olevano  n.  13,
 terzo  piano,  concesso in locazione, per uso abitativo, alla signora
 Villecco Maria in virtu' di contratto regolarmente sottoscritto e con
 decorrenza dall'1 gennaio 1982, e sulla scorta  della  considerazione
 che,  a  norma  delle  vigenti  leggi in materia, il contratto stesso
 sarebbe venuto  a  scadenza  il  31  dicembre  1993,  essendo  stato,
 peraltro,  disdetto,  per  impedirne  la  ulteriore rinnovazione, con
 racc. a.r. n. 6302 del 6 ottobre 1992, ricevuta  in  data  7  ottobre
 1992, intimava alla predetta Villecco licenza per finita locazione in
 ordine  al  descritto  immobile  per la indicata data del 31 dicembre
 1993 e, nel contempo, la  conveniva  innanzi  a  questo  giudice  per
 sentir  convalidare  l'intimata licenza, con il conseguente ordine di
 rilascio e la fissazione della data per la sua esecuzione, e, in  via
 subordinata,  per  l'ipotesi  di  opposizione, per sentir pronunciare
 ordinanza (provvisoria) di rilascio immediatamente esecutiva ai sensi
 dell'art. 665  del  c.p.c.,  il  tutto,  ed  in  ogni  caso,  con  il
 riconoscimento  del  favore  per  le  spese legali, da attribuirsi al
 procuratore antistatario.
    Radicatosi,    ritualmente,    il   contraddittorio,   all'udienza
 prestabilita si costituiva in giudizio l'intimata, la  quale  instava
 per  il rigetto della domanda e, comunque, di tutte le richieste for-
 mulate dalla parte avversa; di contro il  procuratore  dell'intimante
 insisteva  per l'emanazione dell'ordinanza inimpugnabile di rilascio,
 con riserva delle eccezioni della convenuta.
    Questo  giudicante  si  riservava  di  decidere  sulla   anzidetta
 istanza, concedendo congruo termine per il deposito di note illustra-
 tive di parte.
    Rileva  questo  pretore che la fattispecie in considerazione, alla
 stregua  delle  prospettazioni  delle  parti  e   della   controversa
 interpretazione  del disposto di cui all'art. 11 della legge 8 agosto
 1992, n. 359, di  conversione  del  d.l.  11  luglio  1992,  n.  333
 (recante "misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica"),
 meriti  un  approfondito  e  pregiudiziale esame in ordine al profilo
 inerente   l'applicabilita'   ad   essa   della   appena   richiamata
 regolamentazione   normativa   e,  all'esito,  in  caso  di  risposta
 positiva, un'altrettanto incisiva ed attenta analisi in  merito  alle
 possibili  censure di incostituzionalita' che potrebbero investire lo
 stesso dettato legislativo.
    Con riferimento all'individuazione dell'ambito  di  applicabilita'
 del  menzionato  art. 11 e, segnatamente, del comma 2- bis, in cui e'
 imposta la proroga coatta biennale del contratto locativo qualora  le
 parti,  alla  prima  scadenza  del  contratto successiva alla data di
 entrata in vigore della legge di conversione (14  agosto  1992),  non
 concordino, rideterminandolo liberamente, sulla misura del canone, le
 problematiche maggiormente rilevanti che hanno affaticato la dottrina
 e   la  giurisprudenza  si  sono  incentrate,  e  che  ricoprono  una
 fondamentale importanza ai fini della risoluzione del caso di specie,
 sono due: la prima investe l'interpretazione della parte della  norma
 in  cui  si  pone  riferimento  "alla  prima  scadenza  del contratto
 successiva  alla  data  di  entrata  in   vigore   della   legge   di
 conversione";  la seconda concerne direttamente la focalizzazione del
 meccanismo di operativita' della prevista proroga legale.
    E', innanzitutto, doveroso operare una precisazione. La previsione
 della piu' volte richiamata proroga si atteggia come la previsione di
 una indiscutibile proroga del contratto e  non  dell'esecuzione,  per
 cui,  secondo  l'opinione  largamente  predominante,  essa  investe i
 rapporti in corso al momento dell'entrata in vigore  della  legge  n.
 359/1992,   connotandosi   come   una   disposizione   di   carattere
 transitorio.
    Orbene, nel mentre appare  incontrovertibile  che  la  proroga  si
 applica  ai  contratti  in  corso  con  prima  scadenza  contrattuale
 successiva  al   14   agosto   1992,   integrando   la   fattispecie,
 esaustivamente, la condizione normativamente contemplata dal comma 2-
 bis,   discutibile  si  profila  l'estensibilita'  della  proroga  ai
 contratti pendenti alla predetta data e  gia'  rinnovatisi  in  tempo
 pregresso   con   scadenza  (successiva  alla  prima)  a  verificarsi
 posteriormente all'indicato momento discretivo temporale.  E'  appena
 il  caso  di  specificare l'essenzialita' della risoluzione di questo
 punctum pruriens, dal momento che, nell'ipotesi  che  ci  occupa,  il
 contrasto  in  discussione  si  era  gia'  rinnovato  per due volte e
 soltanto in relazione alla terza scadenza (successiva  al  14  agosto
 1992) e' stata intimata licenza per finita locazione.
    Ritiene   il   decidente   che,   in   relazione   al   fondamento
 giustificativo dell'intervento di proroga  (ovvero  di  graduare,  in
 generale, il passaggio da una disciplina con sistema vincolato ad una
 disciplina  che  preveda un regime di mercato tendenzialmente libero,
 in  cui  la  regolamentazione  del  rapporto  locativo  sia   rimesso
 all'esclusiva   volonta'   dei   contraenti)   e   alla  correlazione
 sistematica delle disposizioni contenute globalmente nella  norma  in
 esame, anche ponendo mente agli interventi legislativi del passato in
 tema  di  proroga  delle  locazioni,  e fronteggiando quello che deve
 valutarsi  come  un  infortunio  di   coordinamento   letterale,   la
 definizione  di  "prima  scadenza  del  contratto" deve intendersi in
 senso cronologico e temporale,  e  non  con  una  valenza  tecnica  e
 contrattuale,  per  cui  nella  proroga devono ricomprendersi anche i
 contratti con scadenze rinnovate successive al 14 agosto 1992.
    Come conservato, infatti, da un raffinato orientamento  dottrinale
 la  circostanza  che  la  norma si richiama specificamente alla prima
 scadenza del contratto "successiva all'entrata in vigore della legge"
 implica e lascia trasparire che la volonta' del  legislatore  si  sia
 intesa rivolgere indiscriminatamente a tutte le locazioni pendenti de
 iure  alla  predetta  data, ovvero ai rapporti gia' in corso, perche'
 altrimenti non sarebbe stata necessaria una tale puntualizzazione.
    Superato ermeneuticamente questo primo scoglio, e' il memento  ora
 di   affrontare   l'altra   tormentata  questione  sulla  natura  del
 procedimento di operativita'  della  proroga  coatta,  ovvero  quella
 della  risoluzione  del  dilemma  del  se  trattasi  di  una "proroga
 automatica e generalizzata" oppure  di  una  "proroga  particolare  e
 condizionata"  (cfr.  pret.  Napoli,  ord. 13 novembre 1992, in Rass.
 equo canone 1992, 397).
    Al riguardo si sono sbizzarrite le tesi piu' disparate: 1) secondo
 alcuni la proroga legale sarebbe applicabile di  diritto  in  maniera
 indiscriminata,  senza  necessita'  di  alcuna  richiesta delle parti
 interessate e senza  alcuna  prova  del  mancato  disaccordo  per  il
 rinnovo  del  contratto  (indirizzo  propendente per la c.d. "proroga
 secca o  incondizionata",  al  quale,  peraltro,  aderisce  anche  la
 procuratrice  dell'intimata nel giudizio de quo, invocando, pertanto,
 il rigetto dell'istanza di emanazione dell'ordinanza ex art. 665  del
 c.p.c.)  (v.  per  tutti  in giurisprudenza, Pret. Milano 10 novembre
 1992, est. Tateo, in Giustizia civ. 1992, 2904, con nota  adesiva  di
 Nunzio  Izzo);  2)  ad  avviso  di  altri  la  proroga legale sarebbe
 suscettibile di applicazione soltanto nell'ipotesi in cui  sia  stata
 concretata   una   trattativa   tra   le  parti  o,  quantomeno,  una
 manifestazione di disponibilita' del locatore a  stipulare  un  nuovo
 contratto   (c.d.   proroga   condizionata   dalle   parti)   (v.  in
 giurisprudenza, pret. Milano, 20 ottobre 1992, est. Vitali,  in  foro
 it.  1992, 3161 e segg. con nota di Piombo); 3) secondo l'opinione di
 altri ancora la proroga troverebbe applicazione anche se non  si  sia
 realizzata  alcuna trattativa inter partes, purche' il giudice tenti,
 in sede giudiziaria, l'accordo tra le  parti  per  il  rinnovo  (c.d.
 proroga  condizionata  dall'intervento  del giudice); 4) ad avviso di
 altri, infine, la proroga si applicherebbe a  favore  del  conduttore
 che  la  invochi, a condizione che vi sia stata una comunicazione del
 locatore ovvero una  richiesta  dello  stesso  conduttore,  anche  in
 mancanza  di  risposta  della  controparte  (trattasi di orientamento
 esprimente una sottospecie di quello sub 2).
    A   parere   di  questo  pretore  appare  condivisibile  il  primo
 indirizzo, peraltro  ampiamente  accolto  nella  giurisprudenza  gia'
 dipanatasi sul punto.
   In  effetti  -  come  tra  l'altro, oculatamente evidienziato dalla
 migliore dottrina - l'art. 11, comma 2- bis, in discorso non  prevede
 alcuna  prescrizione  sui  modi e sui tempi dell'eventuale trattativa
 tra le parti, ne' impone di far luogo ad un preventivo  tentativo  di
 conciliazione,  ed,  inoltre,  non contempla alcuna sanzione a carico
 della parte che non abbia voluto addivenire all'intesa in  deroga,  e
 non  subordina  ad  alcuna  attivita' di natura precontenziosa sia la
 proponibilita' della domanda giudiziale  di  rilascio  da  parte  del
 locatore,  sia  la proponibilita' dell'eccezione di proroga legale da
 parte del locatario.
    La vasta portata  ed  il  tenore  secco  della  norma  in  oggetto
 manifesta che, in fondo, quel che rileva sufficientemente, allo scopo
 di  far  scattare l'efficacia immediata della proroga biennale, e' un
 dato di fatto che si connota come negativo, ovvero che  il  contratto
 non   venga  a  scadere  secondo  la  prescrizione  normativa  (ossia
 successivamente al 14 agosto 1992) e non sia  stato  raggiunto  alcun
 accordo  in deroga, non interessando (in difetto di un'esplicitazione
 sul punto del legislatore) se a seguito di fallimento della intestata
 trattativa od anche in manzanza di  un  qualsiasi  approccio  tra  le
 parti  o  di  una  qualunque  iniziativa  bilaterale  o semplicemente
 unilaterale.  Pertanto,  sempre  sulla  scia  della   dottrina   piu'
 accreditata,  puo' sostenernsi che la proroga biennale deve ritenersi
 presupposta dal locatore in sede  di  intimazione  di  licenza  o  di
 sfratto per finita locazione, naturalmente riferibile ad una scadenza
 successiva  alla  data  innanzi richiamata, cosi' come deve reputarsi
 opponibile la relativa eccezione ad opera del  locatario,  senza  che
 quest'ultimo  sia  onerato  dall'incombente di dover fornire la prova
 dell'esito negativo della preventiva trattativa.
    Sull'onda di tali argomentazioni appare  fondatamente  sostenibile
 che  la  proroga coatta sia sollevabile, sotto la forma di eccezione,
 sempre dal conduttore, pure nella fase di merito ed anche allorquando
 sia stata emanata, all'esito della fase di cognizione superficiale  o
 sommaria, ordinanza ex art. 665 del c.p.c. anteriormente al 14 agosto
 1992  in ordine ad una scadenza posteriore a tale "fatidica" data, e,
 peraltro, sentita altrettanto degna  di  adesione  la  considerazione
 secondo  cui  la predetta proroga sia eccepibile dal conduttore anche
 come   motivo   legittimante   la   proposizione    di    opposizione
 all'esecuzione,  nel  momento  in  cui  il titolo esecutivo (sia esso
 sotto forma di titolo provvisorio, riconducibile  alla  condanna  con
 riserva  enucleata nel menzionato art. 665 del c.p.c., sia esso nella
 sua caratterizzazione di titolo definitivo) abbia conosciuto  la  sua
 formazione  in  epoca  antecedente  alla  data cruciale ripetutamente
 ribadita,   ancorche'   in   relazione   ad   una   data   successiva
 all'anzidetta:  tale  ultima  riflessione  si  collega  al principio,
 abbracciato dalla prevalente giurisprudenza, in virtu' del  quale  la
 proroga  sopravvenuta,  non  essendo  possibile farla valere all'atto
 della formazione del titolo, non viene ad essere coperta dal velo del
 giudicato. In definitiva, ad  avviso  di  questo  decidente,  tenendo
 presente  la  scadenza  per la quale e' stata intimata la licenza nel
 caso in esame (31 dicembre 1993)  e  il  meccanismo  di  operativita'
 della disposta proroga legale (improntato ad automaticita'), non puo'
 esservi  dubbio che il contratto oggetto del giudizio di cui trattasi
 rientra  nella  sfera  di  applicabilita'   della   proroga   stessa.
 Senonche',  optandosi  per  l'appena  cennata  soluzione  ermenutica,
 l'intimante, a mezzo del suo procuratore, per l'eventualita'  in  cui
 ci si fosse schierati per tale orientamento, ha adombrato sospetti di
 incostituzionalita', adducendo "che ogni attivita' normativa tendente
 alla  sottrazione  del potere e del diritto di iniziativa economica e
 privata ed alla libera disposizione delle commesse facolta', quale e'
 quella mirante a prorogare rapporti giuridici di natura privatistica,
 non sfuggirebbe a censura di  incostituzionalita',  alla  luce  degli
 insegnamenti  della  Corte costituzionale, che, con alcune pronunzie,
 proprio in subiecta materia, ha  affermato  fortemente  il  principio
 enunciato".
    I   dubbi   che   possono   insorgere   circa   la  compatibilita'
 costituzionale della norma in discorso (art. 11, comma 2- bis,  della
 legge  n.  359/1992),  con riferimento alla fattispecie oggetto della
 controversia e, quindi, correlandosi ad  una  evidente  rilevanza  in
 ordine all'esito del giudizio, ineriscono i parametri enucleati negli
 artt.   3,  24,  primo  comma,  e  42,  secondo  comma,  della  Carta
 fondamentale.
    Ad avviso del giudicante, pero', sull'onda dell'insegnamento della
 stessa  Corte  costituzionale,  appare  manifestamente  infondata  la
 questione correlata al disposto dell'art. 3 della Costituzione, nella
 parte  in  cui  si  sostiene  che  i  contratti conclusi nello stesso
 periodo  fra  proprietari  e  locatari   appartenenti   a   qualsiasi
 condizione  economica  rimangono  assoggettati o meno ad un regime di
 proroga coatta a seconda del momento in cui si verifica  la  scadenza
 contrattuale,  ovvero  a  seconda della mera circostanza temporale in
 virtu' della quale per il contratto locativo sia stata  prevista  una
 scadenza naturale antecedente o posteriore al 14 agosto 1992, data di
 entrata  in  vigore  della  legge  sui  cc.  dd.  "patti  in deroga".
 Conseguentemente con  riferimento  ai  primi,  i  locatori,  dopo  il
 decorso  del  periodo  utile  per  la intimazione della disdetta e la
 successiva cessazione de iure  del  contratto,  rimangono  svincolati
 dall'applicazione della proroga biennale del contratto stesso, la cui
 protrazione  avviene  solo  de  facto  fino  all'attualizzazione  del
 momento utile per l'esecuzione in relazione  al  termine  fissato  ai
 sensi dell'art. 56 della legge n. 392/1978; in relazione ai secondi,
 invece,  merce'  la  sola  circostanza che la scadenza del contratto,
 riferita   all'esaurimento   del   termine   della   disdetta    gia'
 tempestivamente intimata al locatario, sia venuta a coincidere con la
 stessa  data  di entrata in vigore della legge n. 359/1992 ovvero con
 una data successiva che si ricomprenda nell'intervallo temporale  del
 quadriennio  previsto  come periodo di durata minima del contratto; i
 locatori subiranno la protrazione legale del  contratto,  che,  sorto
 con  la  previsione  di una determinata durata, conoscere una diversa
 scadenza allungata a prescindere dall'esplicitazione di una  volonta'
 negoziale in merito.
    Senonche',  con  riferimento  a  fattispecie  analoghe,  lo stesso
 giudice  delle  leggi  ha  ritenuto  la  questione,  per   l'appunto,
 manifestamente  infondata,  dal  momento  che, non solo rientra nella
 discrezionalita' del legislatore individuare la data  di  entrata  in
 vigore  di  un  provvedimento  legislativo,  essendo connaturale alla
 generalita'  delle  leggi  la demarcazione temporale, in relazione al
 principio sancito dall'art. 73, ultimo comma, della Costituzione, ma,
 soprattutto, perche', in una materia come quella locatizia, non  puo'
 prescindersi  dalla  previsione  di  un  momento  di  raccordo tra il
 vecchio ed il nuovo regime, per  cui  l'individuazione  di  una  fase
 transitoria   e'   riconducibile  alla  razionalita'  di  una  scelta
 legislativa idonea a disciplinare, attraverso  la  previsione  di  un
 sistema  normativo  intermedio, il passaggio ad un definitivo assetto
 dei  rapporti  locativi,  con   la   conseguenza   che   non   appare
 completamente illogica l'individuazione di scadenze differenziate per
 contratti  iniziati  in  momenti temporalmente differenti (cfr. Corte
 costituzionale ordinanza 18 febbraio 1988, n.  196;  ed  anche  Corte
 costituzionale n. 251/1983 e 33/1985).
    Peraltro  non  puo' sottacersi che la stessa Corte costituzionale,
 con la pronuncia del 5 aprile 1984, n. 89, ha ribadito che la  scelta
 di  una proroga generalizzata ovvero prevista solo a vantaggio di de-
 terminate  categorie  implica  il  legittimo  esercizio  dei   poteri
 discrezionali del legislatore.
    Maggiormente  problematico  si prospetta l'esame dell'incidente di
 costituzionalita' in relazione alla valutazione della  sussistenza  o
 meno  di  una giustificazione in linea con i parametri costituzionali
 e, segnatamente, con quello contemplato dall'art. 42, secondo  comma,
 della  Costituzione,  della  imposizione  autoritativa di una proroga
 coatta indiscriminata, cosi' come concentrata nell'art. 11, comma  2-
 bis, della legge n. 359/1992.
    Da  parte  di  qualche  orientamento  giurisprudenziale, (v. pret.
 Roma, 25 novembre 1992, in rass. equo canone 1992, 371 e  ss.),  gia'
 espresso  sul  punto,  si  e'  ritenuto  che  tale giustificazione e'
 rinvenibile nel  carattere  straordinario  e  temporalmente  limitato
 della  proroga  in  discorso  che,  -  guardando  al fondamento della
 normativa  -  tenderebbe  a  garantire  un   passaggio   graduale   e
 dilazionato  da  un  regime fondamentalmente vincolistico, agganciato
 all'equo canone, ad un regime di sostanziale liberta' negoziale nella
 quantificazione del canone quale controprestazione della  concessione
 in  godimento  dell'immobile  adibito  ad  uso  abitativo, cosi' come
 introdotto con le norme riportate ai commi primo e secondo  dell'art.
 11   della  piu'  volte  menzionalta  legge.  E,  sempre  secondo  il
 prospettato  indirizzo,  il  certo  sacrificio  al  quale  rimarrebbe
 assoggettato il diritto alla proprieta' privata sarebbe adeguatamente
 compensato  dai  vantaggi usufruibili dalla categoria dei locatori in
 virtu' della totale ed immediata abrogazione dell'equo canone per gli
 immobili di nuova costruzione (ai sensi dell'art. 11, primo comma)  e
 della eventualita' di concordare alle scadenze dei contratti in corso
 de  iure o, comunque, per i contratti stipulati successivamente al 14
 agosto 1992 (ai sensi  dell'art.  11,  secondo  comma)  corrispettivi
 rapporti  agli  effettivi  valori  applicati  all'ambito  del mercato
 immobiliare.
    Senonche', secondo il parere di questo pretore,  sembra  piuttosto
 che  con  la  previsione  del  comma  2-  bis  del  cit.  art.  11 il
 legislatore  abbia  inteso,  in  un  certo  modo,   "sanzionare"   la
 resistenza  delle parti a pervenire alla conclusione di un accordo in
 deroga, colpendo, pero', in pratica il solo  locatore,  presupponendo
 implicitamente  che  l'esito  negativo  del  patto  in  deroga  debba
 indispensabilmente  imputarsi  solo  a  quella  parte   contrattuale,
 comprimendo,  in  tal  modo, ingiustificatamente, le esplicazioni del
 suo  diritto  di  proprieta',   senza,   peraltro,   prevedere,   con
 riferimento alla sola ipotesi della proroga coatta (che va, comunque,
 esaminata  disgiuntamente  dal  corpo  delle  altre  due disposizioni
 contenute nello stesso art. 11) un meccanismo  di  bilanciamento  del
 sacrificio  autoritativamente  imposto  (cfr.  anche, l'art. 17 della
 Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo).
    Bene  e'  stato  detto  in  dottrina,  procedendo  ad  una  rapida
 comparazione delle strutture normative, che si prospettava fondata su
 un  principio  di  maggiore  ragionevolezza la previsione del sistema
 individuato dall'art. 1,  commi  9-  bis  e  segg.,  della  legge  n.
 118/1985,  poi  dichiarato costituzionalmente illegittimo (cfr. sent.
 22 aprile 1986, n. 108), che, ancorche' con riferimento ai  contratti
 destinati  ad  uso diverso dall'abitativo, sanciva la possibilita' di
 compensare con un adeguamento del canone il sacrificio  derivante  in
 capo  al  locatore per effetto della imposizione di una nuova proroga
 legale.
    Invero a seguito della nota pronuncia n. 108/1986 il giudice delle
 leggi sembra aver voluto statuire che non  possa  piu'  operarsi  una
 razionale  distinzione  tra  proroghe  legali  tollerate  e  non,  e,
 comunque,   ha   inteso   ribadire   che   non   puo'   prescindersi,
 nell'imposizione   autoritativa  di  un  allungamento  dei  contratti
 locativi, dal prevedere quale funzione  sociale  si  ricolleghi  alla
 protrazione  imperativa,  qualificandosi questo come l'unico ostacolo
 eccezionale alla libera  gestione  della  cosa  privata,  cosi'  come
 desumibile  dal  chiaro  disposto  dell'art. 42, secondo comma, della
 Costituzione.
    Orbene, nell'ipotesi della proroga legale contemplata dalla  legge
 n.  359/1992  non  e'  individuata alcuna funzione sociale alla quale
 possa essere ricondotto,  a  mo'  di  giustificazione  razionale,  il
 sacrificio  addossato  al locatore di dover vedere allungato di altri
 due anni il contratto concluso nell'esplicazione della piena e libera
 autonomia contrattuale.
    Nel sistema della legge sui patti in deroga e', infatti,  prevista
 una  possibilita'  alternativa nei riguardi del locatore: a questi e'
 demandata la facolta' di concludere un  contratto  in  virtu'  di  un
 accordo  in deroga per la determinazione del canone libero, oppure e'
 previsto l'assoggettamento dello stesso all'osservanza della  proroga
 coatta   biennale,   con  il  conseguente  effetto  automatico  della
 soppressione della facolta' di disdetta alla prima scadenza, per  cui
 non si vede, argomentando in termini razionali, quale funzione, sotto
 il   profilo   del   perseguimento  degli  interessi  generali,  puo'
 conferirsi ad una sorta di sanzione di fatto, conseguente  all'omessa
 conclusione  del  nuovo  contratto,  che veste i panni di quella che,
 argutamente, e' stata ritenuta, in effetti, una proroga generalizzata
 "mascherata".
    Pertanto, alla luce dei profili innanzi esposti,  si  rivela  come
 non   manifestamente   infondata   la   questione   di   legittimita'
 costituzionale - in  relazione  all'art.  42,  secondo  comma,  della
 Costituzione  -  dell'art. 11, comma 2- bis del d.l. 11 luglio 1992,
 n. 333, convertito nella legge 8 agosto 1992, n. 359, che prevede una
 proroga biennale alla  prima  scadenza  del  contratto  di  locazione
 successiva  alla data di entrata in vigore della legge di conversione
 nell'ipotesi di mancato raggiungimento di accordo sul canone, perche'
 comportante    un'ingiustificata,    indiscriminata   e   irrazionale
 compressione del diritto  di  proprieta'  unitamente  alle  ordinarie
 facolta' di godimento in cui esso si esplica.
    E'  appena il caso di evidenziare la rilevanza della questione nel
 presente giudizio, dal momento che dall'operativita'  (come  invocata
 dalla  parte  intimata)  o  meno  della  proroga  coatta,  una  volta
 chiaritosi che trattasi di "proroga automatica",  nei  sensi  di  cui
 innanzi, dipende la convalidabilita' dell'intimata licenza, ancorche'
 con riserva delle altre eccezioni sollevate dalla parte convenuta.
    Ma,  ad avviso del decidente, si prospetta come non manifestamente
 infondata  anche  l'altra  questione,   peraltro   dipendente   dalla
 soluzione della prima e chiaramente rilevante nell'ipotesi di mancato
 accoglimento  della  predetta,  in virtu' della quale si profilerebbe
 l'incostituzionalia' sempre dell'art. 11, comma 2- bis,  della  legge
 citata,  nella parte in cui non contiene la previsione del diritto di
 recesso  del  locatore  alla  scadenza  naturale  del  contratto,  o,
 comunque, nel corso della proroga coatta biennale, qualora sussita la
 necessita'  di  disporre  dell'immobile  oggetto  del  contratto  per
 adibirlo ad  una  delle  destinazioni  o  per  effettuarvi  le  opere
 rispettivamente  contemplata  negli  artt.  29  e  59  della legge n.
 392/1978.
    La mancata previsione di una tale "valvola di salvaguardia",  come
 efficacemente  e'  stata  qualificata  in  dottrina,  infatti, appare
 irragionevole  e,  comunque,  ingiustificata,  con   la   conseguente
 intollerabilita'  della  compressione  del diritto di proprieta' e la
 derivante incompatibilita' con  la  garanzia  prevista  dall'art.  42
 della Costituzione.
    Al riguardo appare sufficiente ricordare che anche quando la Corte
 costituzionale   era   tollerante   verso   le  proroghe  legali,  ne
 subordinava la legittimita' alla previsione del riconoscimento  della
 facolta'   di  recesso  al  locatore  in  presenza  di  sue  esigenze
 apprezzabili di vita e di lavoro, ora normativizzate negli artt. 29 e
 59 della legge 27 luglio 1978, n. 392.
    Peraltro e' opportuno considerare  che,  in  ordine  al  complesso
 delle   proroghe  legali  dei  contratti  di  locazioni  nel  periodo
 vincolistico, era stata sempre ammessa la possibilita'  del  predetto
 "recesso"  collegato a fondamentali esigenze del locatore, secondo il
 limpido disposto dell'art. 4 della legge n.  253/1950,  facolta'  non
 piu'  prevista  dall'ordinamento  e  non  richiamata  dalla  legge n.
 359/1992.
    Al riguardo appare conferente  riportare  quanto  sostenuto  dalla
 stessa  Corte  costituzionale nella sentenza 22 febbraio 1980, n. 22:
 "nel complessivo sistema vincolistico ..  l'istituto della necessita'
 come causa di cessazione della proroga legale ha assunto nella comune
 interpretazione adeguatrice carattere strumentale per la composizione
 dei  contrapposti  interessi,  prevalendo,  di  regola,  quelli   dei
 conduttori,  che  rimangono  sacrificati  di  fronte all'esigenza del
 locatore proprietario di ottenere la disponibilita' dell'immobile  in
 caso  di necessita'" (cfr., anche, Corte costituzionale n. 132/1972 e
 Corte costituzionale n. 300/1983).
   Ne' l'ostacolo della mancata  previsione  esplicita  dell'anzidetta
 facolta'  di  recesso  appare superabile, ritenendosi, con estensione
 interpretativa analogica, operante al riguardo l'istituto del diniego
 di rinnovazione incluso nell'art. 11, secondo comma,  seconda  parte,
 della   legge  n.  359/1992,  dal  momento  che  tale  meccanismo  e'
 applicabile, quanto al suo ambito di operativita', solo alla scadenza
 quadriennale dei contratti conclusi in virtu' della prima parte della
 stessa disposizione normativa. Peraltro, come pure e' stato  ritenuto
 in  giurisprudenza  (cfr.  la cit. pretura Roma 25 novembre 1992), il
 prospettato  diniego  di  rinnovo,  operando  nei  limiti  precisati,
 potrebbe  soltanto  consentire  al locatore di evitare l'ingresso del
 contratto nel regime di proroga, ma non gia' di farlo cessare, "medio
 tempore",  durante  il  decorso  del  biennio  per  una  sopravvenuta
 esigenza  di  necessita'. Tra l'altro l'inoperativita' del menzionato
 meccanismo di diniego di rinnovo in relazione all'ipotesi di  cui  al
 comma  2-  bis,  deriva  dal  carattere  eccezionale della previsione
 dell'istituto, con la conseguenza che la relativa  norma  non  appare
 suscettibile  di subire estensioni non contemplate dalla medesima per
 la fattispecie considerata.
    Risulta, inoltre,  con  riferimento  all'omessa  previsione  della
 facolta'  di  recessione  per  i  contratti prorogati ex lege violato
 anche il parametro costituzionale di cui all'art.  24,  primo  comma,
 della  Costituzione,  relativo  alla  salvaguardia  del  fondamentale
 diritto di difesa, derivando l'impossibilita' per il locatore di  far
 valere  in  giudizio  esigenze  di  vita  e di lavoro particolarmente
 qualificate e degne di tutela, sempre salvaguardate dalla  precedente
 legislazione  vincolistica,  come  innanzi detto, ed apprezzabilmente
 valutate anche in ordine alla fase di esecuzione del provvedimento di
 rilascio, come puo' evincersi dal disposto degli artt. 2  e  3  della
 legge n. 61/1989.
    La  questione  prospettata  e' rilevante nel presente giudizio, in
 quanto la licenza, correlata al contenuto dell'intimata disdetta,  si
 fonda  sull'esigenza,  manifestata  da parte del locatore, di adibire
 l'immobile ad uso  proprio,  riconoscendosi  in  tale  intenzione  la
 sussistenza  di  uno  stato di necessita' personale del locatore, per
 cui, nel caso in cui non  dovesse  essere  fondata  la  questione  di
 costituzionalita'  principale innanzi prospettata, e dovesse, invece,
 essere accolta quella  da  ultimo  evidenziata,  potrebbe,  comunque,
 valutandosi  l'esistenza  di  tutte  le  altre  richieste condizioni,
 adottarsi il provvedimento di rilascio  per  l'addotta  e  comprovata
 necessita'  del  locatore, non senza aver prima disposto il mutamento
 del rito ex art. 48 della legge n. 392/1978.
    In definitiva,  alla  stregua  delle  argomentazioni  svolte,  non
 possono  che  ritenersi  rilevanti  e non manifestamente infondate le
 prospettate questioni di costituzionalita' inerenti l'art. 11,  comma
 2-  bis,  della  legge  8  agosto  1992,  n.  359,  nei sensi innanzi
 profilati, eccepite dal procuratore dell'intimante e  considerate  in
 modo  piu' ampio ex officio da questo giudicante con l'adozione delle
 conseguenti statuizioni di cui  al  dispositivo  e  la  verificazione
 della  sospensione della presente controversia in relazione alla fase
 sommaria, dipendendo ogni pronuncia, da adottarsi all'esito di  essa,
 dalla   risoluzione   della   sollevata   questione   incidentale  di
 legittimita'  costituzionale,  prima  di  far  luogo  alle  ulteriori
 disposizioni  in  ordine  alla  successiva  fase per la decisione nel
 merito.