IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 319/92 proposto
 da  Manca  Maria  Celeste,  rappresentata  e difesa dall'avv. Giacomo
 Manca  di  Mores,  ed  elettivamente  domiciliata  in  Cagliari,  via
 Baccelli  n.  2,  presso  l'abitazione della sig.na Chiara Passeroni,
 contro il  Ministero  dell'interno,  in  persona  del  Ministro  pro-
 tempore,  rappresentato  e  difeso dall'avvocatura distrettuale dello
 Stato di Cagliari, presso i cui uffici e' legalmente domiciliato, per
 l'annullamento del decreto del Ministro dell'interno n. 51989 del  21
 ottobre    1991,    concernente   l'esclusione   dal   concorso   per
 duecentocinquantadue  posti  di  commesso   della   terza   qualifica
 funzionale;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero intimato;
    Viste  le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
 difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Designato relatore alla pubblica udienza del 4  novembre  1992  il
 consigliere Francesco Scano;
    Uditi l'avv. Giacomo Manca di Mores per la ricorrente e l'avvocato
 dello Stato Giulio Steri per l'amministrazione resistente;
    Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue;
                               F A T T O
    La   ricorrente,  signora  Manca  di  Mores  Maria  Celeste  aveva
 presentato   domanda    di    partecipazione    al    concorso    per
 duecentocinquanta   posti   di   commesso,   indetto   dal  Ministero
 dell'interno in data 19  luglio  1988  e  pubblicato  nella  Gazzetta
 Ufficiale del 22 dicembre 1989.
    Nella  domanda  aveva  indicato le condanne penali, per i reati di
 cui agli articoli  624,  625,  640  e  494  del  c.c.,  a  suo  tempo
 riportate,  precisando,  peraltro, di aver ottenuto la riabilitazione
 con sentenza della corte d'appello di Cagliari n. 94 del 28  febbraio
 1989.
    La  signora  Manca di Mores era stata ammessa a sostenere la prova
 d'esame,  risultando  poi  vincitrice  del   concorso   per   essersi
 classificata  al  ventitreesimo  posto  della  graduatoria di merito,
 approvata con decreto del Ministro dell'interno in  data  1½  ottobre
 1991.
    Successivamente, in data 28 dicembre 1991, le veniva notificato il
 decreto  impugnato  col  quale  lo  stesso  Ministro la escludeva dal
 concorso  perche'  "risulta  trovarsi   nelle   condizioni   previste
 dall'art. 12, secondo comma, del d.P.R. 24 aprile 1982, n. 340".
    Avverso di esso l'interessata ha proposto la censura di violazione
 dell'art.  40,  decimo  comma,  della  legge  1½ aprile 1981, n. 121,
 dell'art. 12, secondo comma, del d.P.R. 24 aprile  1982,  n.  340,  e
 dell'art. 178 del c.p.
    La  disposizione  normativa  applicata  dall'amministrazione  deve
 essere   letta   tenendo   conto   del   principio   generale   della
 riabilitazione  e  dei  principi  generali  in  materia  di  pubblico
 impiego.
    L'amministrazione  resistente  ha   dedotto   l'infondatezza   del
 ricorso,  chiedendone  il  rigetto, perche' il legislatore laddove ha
 voluto che gli effetti preclusivi  della  condanna  penale  venissero
 meno in seguito a riabilitazione, lo ha esplicitamente sancito.
    Alla  pubblica  udienza del 4 novembre 1992 la causa e' passata in
 decisione.
                             D I R I T T O
    La ricorrente e' stata esclusa dalla graduatoria  del  concorso  a
 duecentocinquanta  posti di commesso, nella quale si era classificata
 al ventitreesimo posto, ai sensi dell'art.  12,  secondo  comma,  del
 d.P.R.  24  aprile  1982,  n. 340, per aver commesso alcuni reati non
 colposi; cio' nonostante avesse ottenuto la sospensione  condizionale
 della pena, la non menzione ed infine la riabilitazione.
    Il  secondo  comma  dell'art.  12  dispone che "sono esclusi dalla
 partecipazione  ai  concorsi  -  per   l'assunzione   del   personale
 dell'amministrazione  civile  dell'interno  -  coloro che siano stati
 destituiti   o   dispensati   dall'impiego   presso   una    pubblica
 amministrazione  ovvero  abbiano  riportato condanna a pena detentiva
 per  reati  non  colposi  o  siano  stati  sottoposti  a  misure   di
 prevenzione".
    Ai  fini della risoluzione della controversia il tribunale ritiene
 di  sollevare  d'ufficio  la  questione  di  costituzionalita'  della
 suindicata   disposizione  normativa,  atteso  che  essa  cosi'  come
 formulata, non puo' essere  interpretata  nel  senso  proposto  dalla
 ricorrente,  secondo  cui  la riabilitazione comporta l'estinzione di
 tutti gli effetti conseguenti alla condanna penale e secondo  cui  la
 norma   deve   essere  letta  tenendo  conto  dei  principi  generali
 dell'ordinamento del pubblico impiego.
    La censura cosi' come proposta, non puo' essere condivisa  perche'
 la    giurisprudenza    ritiene   pacificamente   che   l'intervenuta
 riabilitazione, sebbene estingua le pene  accessorie  ed  ogni  altro
 effetto  penale  della condanna, non impedisce all'amministrazione di
 valutare   le   condanne   riportate   dall'interessato    ai    fini
 dell'assunzione  in  servizio  di  un pubblico dipendente (cfr. Cons.
 St., sezione sesta, 17 ottobre 1988,  n.  1136;  sezione  quinta,  21
 febbraio 1987, n. 124; sezione terza, 20 ottobre 1987, n. 1074).
    Anche  la  seconda  censura  non  puo'  essere condivisa stante la
 precisa formulazione della norma applicata  dall'amministrazione  che
 non consente l'interpretazione proposta dalla ricorrente.
    Occorre quindi una verifica sulla costituzionalita' della norma in
 questione,  anche  alla  luce  dei  principi  generali  sul  pubblico
 impiego, richiamati dalla ricorrente.
    A quest'ultimo riguardo conviene premettere che la legge 1½ aprile
 1981, n. 121, con la  quale  all'art.  40,  decimo  comma,  e'  stato
 attribuito al Governo il potere di provvede con decreto avente valore
 di   legge   ordinaria   all'ordinamento   del   personale   ed  alla
 organizzazione degli uffici dell'amministrazione civile dell'interno,
 precisava nei successivi commi del medesimo articolo che  doveva  re-
 stare  ferma  nei  confronti del personale l'applicazione di principi
 generali dell'ordinamento del pubblico impiego statale.
    Le  norme  dettate  in  tema  di  accesso  ai  pubblici  impieghi,
 contenute  nel  t.u. degli impiegati civili dello Stato approvato con
 d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, stabiliscono l'esclusione dai  pubblici
 concorsi  di  coloro che siano stati privati dell'elettorato attivo e
 di coloro che siano stati destituiti o dispensati dall'impiego presso
 una pubblica amministrazione.
    Per  costante  interpretazione  giurisprudenziale   venivano   poi
 esclusi  dai  pubblici  concorsi  coloro che avevano commesso uno dei
 reati  per  i  quali  l'art.  85  del  medesimo  t.u.  prevedeva   la
 destituzione   di  diritto  dall'impiego,  nella  considerazione  che
 sarebbe illogico ammettere ad un concorso un soggetto,  assumerlo  in
 servizio  ove vincitore, e doverlo contestualmente destituire perche'
 incorso in una delle situazioni  che  comportano  necessariamente  la
 destituzione  d'ufficio (parere n. 221 del 1985 in data 13 marzo 1980
 della commissione speciale pubblico impiego del Consiglio di Stato).
    L'art. 85, lett. a), del t.u. in questione e' stato poi dichiarato
 incostituzionale  con  decisione  della  Corte  costituzionale  12-14
 ottobre  1988, n. 971, perche' in contrasto con gli articoli 3, 4, 35
 e 97 della Costituzione nella parte in cui non prevede, in luogo  del
 provedimento  di  destituzione  di diritto del condannato, per taluni
 delitti specificamente indicati,  l'apertura  e  lo  svolgimento  del
 procedimento disciplinare.
    Per  l'applicazione  estensiva  dall'art.  85  citato,  cosi' come
 risultante    dalla    pronuncia    della    Corte    costituzionale,
 l'amministrazione    prima    di   procedere   all'esclusione   dalla
 partecipazione al concorso di colui che sia stato condannato per  uno
 dei  reati  previsti  dalla  lettera  a dello stesso articolo, dovra'
 emettere un provvedimento motivato nel  quale,  nell'esercizio  della
 discrezionalita'  propria  della  funzione  amministrativa dara' atto
 delle valutazioni effettuate al fine  di  escludere  o  ammettere  il
 candidato  alla  partecipazione  al concorso (cfr. Cons. St., sezione
 sesta, 7 maggio 1991, n. 272; sezione sesta,  26  novembre  1990,  n.
 986;  sezione  quarta,  20  febbraio 1989, n. 107; sezione quinta, 21
 febbraio 1987,  n.  124;  t.a.r.  Puglia,  Bari,  prima  sezione,  27
 febbraio 1990, n. 105; t.a.r. Emilia-Romagna, Bologna, sezione prima,
 29 gennaio 1990, n. 75).
    La  ratio dell'art. 85 del t.u. n. 3/1957 e' la stessa del secondo
 comma dell'art. 12 della legge 24 aprile 1982  del  quale  si  chiede
 venga dichiarata l'incostituzionalita'.
    Tale   ultima   norma   prevede   l'esclusione  di  diritto  dalla
 partecipazione ai  concorsi  banditi  per  l'accesso  agli  impiegati
 presso il Ministero dell'interno, oltre che di coloro che siano stati
 destituiti    o   dispensati   dall'impiego   presso   una   pubblica
 amministrazione, altresi' di coloro  che  siano  stati  sottoposti  a
 misura  di  prevenzione o abbiano riportato condanna a pena detentiva
 per reati non colposi.
    Tale  norma,  alla   luce   della   gia'   citata   pronuncia   di
 incostituzionalita',   appare   in   contrasto  con  l'art.  3  della
 costituzione sotto il  profilo  della  violazione  del  principio  di
 uguaglianza o di ragionevolezza.
    Essa  infatti  sottopone  ad un diverso trattamento il cittadino a
 seconda  che  concorra  per   l'impiego   presso   un'amministrazione
 piuttosto  che  presso  un'altra senza che vi sia, in linea generale,
 una specifica ragione che giustifichi la diversita' di trattamento.
    Allo stesso tempo appare  irragionevole  che  la  norma  in  esame
 vincoli  l'amministrazione  ad  applicare di diritto l'esclusione dal
 concorso senza alcun regime di discrezionalita' che  le  consenta  di
 applicare  il  principio  generale di graduazione della sanzione alla
 gravita' del fatto reato e di valutare l'eventuale compatibilita' tra
 condanna ed ammissione a specifici posti di impiego in considerazione
 delle mansioni proprie della qualifica.
    Conseguentemente possono verificarsi dei casi limite - come quello
 in esame - nel quale, per  l'entita'  della  pena  irrogata,  per  la
 concessione  della  sospensione  condizionale  della pena e della non
 menzione, per la scarsa propensione a delinquere, quale puo'  dedursi
 dal  fatto  che  gli  illeciti  penali  si  siano  verificati  in  un
 brevissimo arco di tempo, ed infine per l'accertato ravvedimento  del
 colpevole  il quale non ha successivamente commesso alcun illecito ed
 al quale e' stata concessa la riabilitazione,  venga  a  determinarsi
 una  situazione  nella  quale,  la  sanzione  della non ammissione al
 servizio, appare  eccessiva  e  difficilmente  giustificabile  con  i
 principi  dell'ordinamento;  specie in considerazione della qualifica
 (commesso) del posto da coprire.
    La rigidita' della  sanzione  appare  altresi'  in  contrasto  con
 l'art.  97 della Costituzione ove si consideri che l'imparzialita' ed
 il  buon  andamento  possono  essere  assicurati  mediante  un'azione
 amministrativa     adeguata     al    caso    concreto    consentendo
 all'amministrazione medesima di apprezzare situazioni soggettivamente
 ed oggettivamente diverse.
    Inoltre la norma appare illegittima per violazione  del  principio
 di  accesso  al  lavoro  di cui agli artt. 4 e 35 della Costituzione.
 Infatti essa impone per un'ampia categoria di reati (i non  colposi),
 indipendentemente  dalla gravita' o meno e dalla natura degli stessi,
 peraltro potendo come nel caso di specie restare  privi  di  concrete
 conseguenze  penali  (grazie alla concessione dei benefici di legge),
 la preclusione all'accesso al lavoro, sanzione ben piu' grave, penosa
 e duratura di quella stessa pena  detentiva  che  il  legislatore  ha
 talvolta  trasformato  in  semplice  minaccia  con  l'istituto  della
 sospensione condizionale. Peraltro  tale  preclusione  viene  imposta
 dalla norma indipendentemente dalle particolari funzioni del posto da
 ricoprire  e  quindi  anche  per funzioni in cui il precedente penale
 specifico possa essere ininfluente.
    La  norma  inoltre  appare contrastare gravemente con il principio
 costituzionale di rieducazione del condannato (art. 27, terzo  comma,
 della  Costituzione)  da  intendersi  anche  come reinserimento dello
 stesso nella comunita' civile.
    Tale funzione, quando si concreti  nel  consentire  al  condannato
 l'ingresso  nel  mondo  lavorativo,  non  puo'  esere  posta a carico
 esclusivamente del datore di lavoro privato, ma deve  essere  assunta
 in  prima  persona  dallo  Stato  che  deve  farsi  carico  della sua
 realizzazione  consentendo  l'accesso  al  lavoro   nelle   pubbliche
 amministrazioni  di  coloro  che siano incorsi in sanzioni penali, in
 funzioni   ovviamente   compatibili,   mediante    una    valutazione
 discrezionale che tenga conto del tipo di reato, della inclinazione a
 delinquere del colpevole, del suo ravvedimento e delle mansioni della
 qualifica da ricoprire.
    Va  rilevato  al  riguardo  come  al  datore di lavoro privato che
 intenda  procedere  all'assunzione  di  personale,   anche   per   lo
 svolgimento  di  mansioni  di estrema delicatezza, non sia consentito
 prendere conoscenza (legale) dei precedenti penali dell'aspirante  al
 lavoro,  posto  che il certificato penale che il lavoratore produrra'
 (lo stesso certificato che  sino  all'entrata  in  vigore  del  nuovo
 codice  di procedura penale il datore di lavoro privato era abilitato
 a richiedere) non conterra' le condanne per le quali il giudice abbia
 concesso il beneficio della non menzione, ne' tanto meno  quelle  per
 le quali sia intervenuta la riabilitazione.
    La   norma  in  questione  appare  inoltre  incostituzionale,  per
 violazione, sotto altro profilo degli articoli 27, terzo comma, e  97
 della  Costituzione,  atteso  che  non  prende  in  considerazione la
 riabilitazione come condizione di inoperativita' della preclusione in
 esame.
    La mancanza di una simile precisazione comporta l'inapplicabilita'
 dell'istituto    della    riabilitazione,    stante    l'orientamento
 giurisprudenziale   in   proposito,  con  cio'  lasciando  sussistere
 l'effetto tanto grave della non ammissione al pubblico impiego  anche
 rispetto a reati non gravi.
    Al  riguardo giova osservare come sia irragiovevole non attribuire
 efficacia  pienamente  estintiva   alla   riabilitazione   la   quale
 presuppone una valutazione sul ravvedimento del colpevole, effettuata
 da   un  organo  giurisdizionale  il  quale  deve  accertare  che  il
 condannato abbia dato prove effettive e costanti  di  buona  condotta
 per  il periodo di cinque anni dalla fine dell'esecuzione della pena,
 ed al contrario si attribuisce questa efficacia alla amnistia propria
 che ha l'attitudine di escludere il reato anche in presenza di  prova
 pienamente   raggiunta   e  quindi  per  l'art.  12,  in  esame,  non
 costituisce preclusione all'assuzione.
    Per le considerazioni suesposte, e  a  norma  dell'art.  23  della
 legge   11   marzo  1953,  n.  87,  va  quindi  disposta  l'immediata
 trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la  risoluzione
 della illustrata questione incidentale di costituzionalita' dell'art.
 12, secondo comma, per contrasto con gli artt. 3, 4, 27, 35, 97 della
 Costituzione,  e  va  conseguentemente  disposta  la  sospensione del
 giudizio instaurato con il ricorso in esame.