Ricorso della regione Lombardia, in persona del  presidente  della
 giunta   regionale  signora  Fiorinda  Ghilardotti,  autorizzata  con
 deliberazione della g.r. n. 34/898 del 6 aprile 1993, rappresentata e
 difesa dagli avvocati prof. Valerio Onida e Gualtiero Rueca e  presso
 quest'ultimo  elettivamente  domiciliata in Roma, largo della Gancia,
 1, come da delega in calce al presente atto, contro il Presidente del
 Consiglio  dei  Ministri  pro-tempore   per   la   dichiarazione   di
 illegittimita'  costituzionale  dell'art. 1, terzo comma, e dell'art.
 3, del d.l. 8 marzo 1993, n. 54, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale
 del 9 marzo  1993,  n.  56,  recante  "disposizioni  a  tutela  della
 legittimita' dell'azione amministrativa".
    Che   un  provvedimento  come  quello  qui  impugnato,  contenente
 disposizioni destinate comunque a non operare concretamente prima  di
 un  anno  (cfr.  art.  1,  quarto  comma), ma che, per molti aspetti,
 sconvolgono radicati  principi  e  consolidati  assetti  di  istituti
 secolari,  come  la  giurisdizione amministrativa e quella contabile,
 abbia potuto essere dettato con un decreto-legge, e' un indice  dello
 stato  di  estrema  degenarazione  cui  e'  pervenuta la prassi della
 decretazione d'urgenza nel nostro paese, sulla  quale  questa  stessa
 Corte ha gia' avuto modo di richiamare l'attenzione.
    I   contenuti,   poi,   del   decreto-legge,   appaiono  in  parte
 indubbiamente opportuni - come  la'  dove  tendono  a  realizzare  un
 decentramento   della   giurisdizione   contabile   (art.  1)  e  uno
 snellimento dei giudizi pensionistici (art. 6),  o  a  uniformare  la
 disciplina  in  tema  di  prescrizione dell'azione di responsabilita'
 (art. 4) - ma in altra parte appaiono  viceversa  tali  non  solo  da
 sconvolgere  l'assetto  di  delicati  settori dell'ordinamento, ma da
 porsi in contrasto anche con principi della Costituzione.
    Cosi'  e'  a  dirsi  per  il nuovo istituto della "azione a tutela
 della  legittimita'  amministrativa",  previsto   dall'art.   3.   Si
 conferisce al procuratore regionale presso la Corte dei conti - cioe'
 all'ufficio  requirente  costituito  presso  le neo-istituite sezioni
 regionali della Corte - un potere di azione che non ha  nulla  a  che
 vedere  con  il  ruolo  requirente  del Procuratore nell'ambito delle
 funzioni giurisdizionali attribuite  alla  Corte  dei  conti,  ma  si
 esplicherebbe davanti al giudice amministrativo.
    Il  giudizio amministrativo che ne conseguirebbe non avrebbe pero'
 nulla dei caratteri tipici della giurisdizione amministrativa, per la
 tutela degli interessi legittimi ed  eventualmente  dei  diritti  nei
 confronti  della  pubblica  amministrazione,  come  configurata negli
 artt. 103 e 113 della Costituzione, bensi' vedrebbe un  organo  dello
 Stato   impugnare   provvedimenti   delle  pubbliche  amministrazioni
 (statali  o  autonome,  o  intervenire   in   giudizio,   "in   vista
 dell'interesse  generale  al  buon  andamento  e all'imparzialita' di
 esse", cioe' dello stesso interesse  generale  che  istituzionalmente
 deve  essere  perseguito  dalla  amministrazione,  e  "a tutela della
 legittimita' dell'azione amministrativa", cioe' per  lo  stesso  fine
 per  il  quale  sono  previsti  e  organizzati i controlli interni ed
 esterni sull'amministrazione.
    Quello che cosi' verrebbe  ad  instaurarsi  non  sarebbe  un  vero
 giudizio,  poiche'  sia  l'"attore" (il procuratore regionale) sia la
 "convenuta"  (l'amministrazione  che  ha  adottato  il  provvedimento
 impugnato)  perseguono  istituzionalmente  lo stesso interesse (non a
 caso da sempre si  ritiene  inammissibile  un'azione  giurisdizionale
 dell'amministrazione  statale  nei  confronti degli atti di controllo
 che  la  riguardano);  e  sarebbero  del  tutto  assenti   i   comuni
 presupposti  dell'azione  giudiziaria  (legittimazione,  interesse  a
 ricorrere).
    Per di piu' assisteremo  al  fenomeno  di  un  pubblico  ministero
 presso   la   Corte   dei   conti  che  impugna  direttamente  l'atto
 amministrativo gia' assoggettato a riscontro da  parte  della  stessa
 Corte  dei conti in veste di organo di controllo (cfr. infatti l'art.
 3, quarto comma, che  prevede  l'impugnabilita'  solo  di  atti  gia'
 efficaci ed esecutivi).
    Ne'  vi  sarebbe  un vero contraddittorio, poiche' il t.a.r. (e il
 Consiglio di Stato) deciderebbero "in camera di consiglio"  (art.  3,
 terzo comma).
    E  ci  si domanda come potrebbe essere presente in tale "giudizio"
 l'amministrazione statale autrice dell'atto, posto  che  si  dovrebbe
 assistere  al  singolare  fenomeno  dello  "Stato"  (nella  veste del
 procuratore regionale) che agisce  contro  lo  "Stato"  (nella  veste
 dell'amministrazione)      difeso     da     quell'avvocatura     che
 istituzionalmente assiste l'amministrazione e tutela  in  giudizio  i
 suoi  interessi,  e  qui  dovrebbe  invece  (in  ipotesi) contraddire
 l'iniziativa di un altro organo statale agente per la  "tutela  della
 legittimita' dell'azione amministrativa"Ý
    Giurisdizione  amministrativa e giurisdizione contabile - istituti
 ben  distinti  nella  nostra  consolidata  tradizione  legislativa  e
 costituzionale - si unirebbero in uno strano "matrimonio": davanti al
 giudice  amministrativo agirebbe un pubblico ministero costituito non
 gia' presso lo  stesso  giudice,  ma  presso  altro  giudice  (quello
 contabile);  e  il pubblico ministero costituito presso gli organi di
 giurisdizione contabile agirebbe del tutto al di fuori dell'ambito di
 tale  giurisdizione,  e  dello  stesso  interesse  alla  tutela della
 finanza pubblica, dando impulso ad  una  sorta  di  azione  officiosa
 davanti  ad  altra  giurisdizione  (quella amministrativa), a tutela,
 genericamente, della legittimita' dell'azione amministrativa.
    Si potrebbe proseguire a lungo mettendo in rilievo le anomalie  di
 questa  singolare  escogitazione,  uscita a sorpresa dal cilindro del
 legislatore governativo. Ma in questa sede importa rilevare la palese
 violazione della autonomia regionale, che  discende  dalla  descritta
 disciplina.
    E' vero infatti che i singolari giudizio "Stato versus Stato", che
 vengono  qui  configurati  si  hanno  solo  nel caso in cui ad essere
 impugnato sia un atto di un'amministrazione statale. E' peraltro  del
 tutto improbabile che, se mai un siffatto sistema dovesse funzionare,
 esso  possa  trovare  applicazione  nei  riguardi  degli  atti  delle
 amministrazioni statali, gia' assoggettate  al  controllo  preventivo
 della  stessa Corte dei conti. Esso verrebbe essenzialmente applicato
 agli atti di amministrazione autonome (regionali o  locali)  che  non
 sono soggetti al controllo della Corte dei conti.
    Ma  proprio  questa  circostanza  mette  in  evidenza che il nuovo
 istituto, che formalmente disciplina  un'azione  giurisdizionale,  si
 configura  in  realta'  come una nuova forma di controllo, diversa ed
 ulteriore rispetto a quella demandata agli organi di controllo, e per
 questo contrastante con le norme costituzionali.
    Che si  tratti,  nella  sostanza,  di  controllo,  emerge  da  una
 molteplicita' di elementi.
    Le  amministrazioni  sono  tenute  a  trasmettere  al  procuratore
 regionale i propri atti (appartenenti alle ampie categorie  elencate)
 entro  brevissimi termini decorrenti dal momento della loro efficacia
 (art.  3,  quarto  comma).  Il  procuratore  puo'  altresi'  disporre
 d'ufficio    l'acquisizione    di    atti    e    documenti    presso
 l'amministrazione, tenuta  a  trasmetterli  entro  un  breve  termine
 (sesto  comma). In proposito va richiamata la sentenza n. 104/1989 di
 questa Corte, che ha affermato la  illegittimita'  di  una  richiesta
 generale  di  atti della regione da parte del procuratore della Corte
 dei conti, rilevando che si veniva cosi' a  costituire  "una  vera  e
 propria  attivita'  di controllo": ora, l'art. 3 del d.l. n. 54/1993
 configura proprio un  generico  obbligo  di  trasmissione  di  intere
 categorie di atti al procuratore regionale.
    Il  procuratore  "puo'"  proporre  ricorso  (primo  comma), ma, di
 fatto, piu' che di una facolta' si tratterebbe necessariamente di  un
 obbligo,  nell'ipotesi  in  cui  egli  ravvisi  nell'atto elementi di
 illegittimita'.
    Il  ricorso  deve  intervenire,  per  gli  atti  obbligatoriamente
 trasmessi,  entro sessanta giorni dalla trasmissione, o per gli altri
 entro sessanta  giorni  da  quando  il  procuratore  ne  abbia  avuto
 conoscenza (quinto comma).
    La  decisione  interviene  con  rito  semplificato, entro sessanta
 giorni, anche in appello (terzo comma); e deve essere emessa - quando
 il Procuratore intervenga in un giudizio gia' instaurato -  anche  se
 il  ricorso  originariamente  proposto  dalla  parte  interessata sia
 irricevibile, inammissibile o improcedibile, ovvero il ricorrente  vi
 rinunzi (ottavo comma).
    E'  del tutto evidente che la valutazione del Procuratore circa la
 legittimita' dell'atto, e la conseguente  eventuale  impugnazione  di
 esso,  si  muovono  esattamente  sullo  stesso  piano sul quale si e'
 esplicato il controllo preventivo di legittimita' sull'atto medesimo,
 e a tutela della medesima "legittimita' dell'azione amministrativa".
    Ora, questa Corte ha piu' volte affermato la  inammissibilita'  di
 forme  di  controllo  di legittimita' sugli atti amministrativi delle
 regioni, diverse ed ulteriori rispetto  a  quelle  contemplate  dalla
 Costituzione  all'art. 125. In particolare la sentenza n. 229/1989 ha
 ribadito  che  la  natura  costituzionale  dell'autonomia   regionale
 comporta  che  "i suoi contenuti ed i suoi confini" siano fissati "in
 termini  conclusivi"  dalla  Costituzione,  onde   ogni   potere   di
 intervento  dello  Stato  deve  avere  "un fondamento specifico nella
 stessa disciplina costituzionale"; e che la disciplina del  controllo
 sugli  atti  delle  regioni, recata dall'art. 125 della Costituzione,
 "viene a presentarsi come tassativa e insuscettibile di estensione da
 parte del legislatore  ordinario,  in  quanto  posta  a  garanzia  di
 un'autonomia compiutamente definita in sede costituzionale".
    Sono  dunque  violati  l'art. 125, nonche' gli artt. 5 e 115 della
 Costituzione. E' violato l'art. 100, in quanto si estende di fatto il
 controllo della  Corte  dei  conti  agli  atti  amministrativi  delle
 regioni.
    E' violato anche l'art. 130, nella misura in cui la nuova forma di
 controllo   si  sovrappone  anche  a  quello  spettante  agli  organi
 regionali di controllo sugli atti degli enti locali.
    E  sono  violati  altresi'  gli  artt.  103  e  113  della  stessa
 Costituzione  in  forza dell'anomalo utilizzo che il decreto-legge fa
 della giurisdizione amministrativa per  un  fine  estraneo  a  quello
 contemplato  dalle  norme  costituzionali,  nonche'  al  di fuori dei
 comuni presupposti processuali (legittimazione, interesse al ricorso)
 dando vita in sostanza, come si e' detto, ad una ulteriore  forma  di
 controllo sugli atti amministrativi.
    L'art.  1,  terzo  comma, del d.l. n. 54/1993 stabilisce che alle
 sezioni regionali della Corte dei conti, istituite  dal  primo  comma
 del  medesimo provvedimento, si applicano le disposizioni di cui alla
 legge 8 ottobre 1984, n. 658, relativa all'istituzione in Cagliari di
 una sezione giurisdizionale e delle sezioni riunite della  Corte  dei
 conti.  Tra  le  disposizioni di questa legge che vengono estese alle
 sezioni regionali di nuova e generalizzata istituzione vi  e'  quella
 contenuta  all'art.  10,  in  base  alla  quale:  "Le  spese  per  il
 funzionamento della sezione giurisdizionale e delle sezioni regionali
 sono a carico dello Stato, salvo quelle relative  ai  locali  e  alla
 loro manutenzione, che sono a carico della regione".
    L'accollo   alle   regioni  di  questo  onere  finanziario,  senza
 prevedere alcuna forma  di  finanziamento  e  di  ristoro,  viola  il
 principio   di   autonomia  finanziaria  posto  dall'art.  119  della
 Costituzione, nonche' il principio della necessaria  copertura  delle
 nuove  spese  di  cui  all'art.  81, quarto comma, della Costituzione
 (cfr. anche l'art. 27 della legge  n.  468/1978  e  l'art.  2,  sesto
 comma, della legge n. 158/1990).