ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 11  del  decreto
 legislativo  4  marzo  1948,  n.  137  (Norme  per la concessione dei
 benefici  ai  combattenti  della  seconda  guerra  mondiale)  e   del
 combinato disposto dell'art. 11 del decreto legislativo 4 marzo 1948,
 n.  137  con  gli  artt. 72 e 412 del codice penale militare di pace,
 promossi con n. 2 ordinanze emesse  l'8  giugno  1992  dal  Tribunale
 militare  di  sorveglianza  di  Roma sulle istanze proposte da Giotti
 Giovanni e Salvadori Uliviero, iscritte ai nn. 529 e 530 del registro
 ordinanze 1992 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 40, prima serie speciale, dell'anno 1992;
    Visti gli atti di intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 27 gennaio 1993 il Giudice
 relatore Francesco Paolo Casavola;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Adito da Giovanni Giotti per la riabilitazione militare dalla
 condanna  per diserzione riportata nel 1947, il Tribunale militare di
 sorveglianza di Roma,  con  ordinanza  emessa  l'8  giugno  1992,  ha
 sollevato  questioni di legittimita' costituzionale: dell'art. 11 del
 decreto legislativo  4  marzo  1948,  n.  137,  nella  parte  in  cui
 determinerebbe un effetto penale militare della condanna per il reato
 di  diserzione,  in  riferimento  all'art.  25,  secondo comma, della
 Costituzione; del combinato disposto dello stesso art. 11 del decreto
 legislativo n. 137 del 1948 e degli artt. 72 e 412 del codice  penale
 militare di pace (regio decreto 20 febbraio 1941, n. 303), recanti la
 disciplina dell'istituto della riabilitazione militare e del relativo
 procedimento, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
    Perche'  si  estinguano  "le  pene militari accessorie e gli altri
 effetti penali militari" di  una  condanna  per  reato  militare,  e'
 necessario  che,  una  volta  che  sia  intervenuta la riabilitazione
 comune, in un nuovo e distinto procedimento il Tribunale militare  di
 sorveglianza  -  in  luogo del soppresso Tribunale supremo militare -
 dichiari  l'estensione  degli  effetti  estintivi  anche   a   quelle
 specifiche  ulteriori conseguenze della condanna, disponendo cosi' la
 "riabilitazione  militare".  L'autorita'  rimettente  premette   che,
 secondo la giurisprudenza della Cassazione, "gli altri effetti penali
 militari"  di cui all'art. 72 del c.p.m.p. sono riconducibili, per la
 generalita'  dei  reati  militari,  alla  perdita  delle  distinzioni
 onorifiche  di  guerra  e,  "relativamente  ai  reati  di  diserzione
 commessi da soggetti aventi diritto  ai  benefici  combattentistici",
 alla  "perdita  di  tale  diritto  ai  sensi dell'art. 11 del decreto
 legislativo n. 137 del 1948" ("i benefici in favore  dei  combattenti
 non   sono   applicabili   ai  disertori"),  e  che,  ai  fini  della
 ammissibilita' della riabilitazione militare, occorre  valutare  caso
 per  caso  se,  dopo  la  riabilitazione  comune,  residui in capo al
 condannato taluna delle dette conseguenze sfavorevoli,  nella  specie
 consistente nella perdita dei benefici combattentistici attestata dal
 foglio matricolare agli atti.
    Ora, posto che gli effetti penali della condanna devono discendere
 da  una  fattispecie  normativa  compresa  fra  le  fonti del diritto
 penale, dovendo obbedire agli stessi princip/'  che  disciplinano  la
 materia  penale,  l'art. 11, lett. a), del decreto legislativo n. 137
 del 1948, ad avviso  del  giudice  a  quo,  viola  il  princi'pio  di
 legalita'  posto  dall'art. 25, secondo comma, della Costituzione: da
 una parte, infatti, la norma e' retroattiva, perche' le condanne  per
 diserzione da cui fa discendere l'effetto sfavorevole non possono che
 riferirsi  a  fatti,  come  quello in esame, commessi prima del 1948;
 dall'altra,  essa  e'   priva   del   requisito   della   sufficiente
 determinatezza,   in   quanto  gli  effetti  prodotti  sono  indicati
 "sinteticamente ma enigmaticamente", nell'intero testo  del  decreto,
 con   la  formula  "benefici  in  favore  dei  combattenti",  con  la
 conseguenza che "la fattispecie in  questione  condiziona  una  serie
 aperta  di  effetti, potenzialmente di qualsivoglia natura, sottratta
 al dominio della tipicita'" (viene indicata fra essi la maggiorazione
 della pensione sociale riconosciuta dall'art. 6 della  legge  n.  140
 del  1985  agli " ex combattenti" di cui alla legge n. 336 del 1970 e
 "successive modificazioni e integrazioni").
    Una  seconda  censura  l'autorita' rimettente rivolge al combinato
 disposto dello stesso art. 11 del decreto legislativo n. 137 del 1948
 e degli artt. 72 e 412 del c.p.m.p. nella  interpretazione  fornitane
 dalla Corte di Cassazione, lamentando la violazione dell'art. 3 della
 Costituzione:  la  qualifica  di effetto penale "militare" attribuito
 alla previsione del detto art. 11 determina  per  il  condannato  per
 diserzione  la  necessita'  di  attivare  un  procedimento  ulteriore
 rispetto alla riabilitazione comune.
    Da quella particolare  condanna  discende  quindi,  oltre  che  un
 effetto    penale   specifico,   un'ulteriore   gravosa   conseguenza
 processuale,  attesa  la  impermeabilita'   di   quell'effetto   alla
 riottenuta riabilitazione comune.
    Tale  duplicita'  procedimentale - che non riposa sulla previsione
 di differenti parametri formali, essendo regolati i due  giudizi  dal
 medesimo  procedimento,  ed  avendo  ad  oggetto  i medesimi elementi
 indicati dall'art. 179 del codice penale - si spiega solo  alla  luce
 di  una concezione dell'ordinamento militare come separato e distinto
 da quello statuale, e realizza per il condannato per  diserzione  una
 ingiustificata e irragionevole disparita' di trattamento.
    2.  -  E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
 ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   dello   Stato,
 eccependo  in  primo luogo l'inammissibilita' della questione. L'art.
 11 del decreto legislativo  n.  137  del  1948  non  rileverebbe  nel
 giudizio  a  quo,  che  non  ha  ad  oggetto  la  legittimita'  della
 esclusione  dei  disertori  da  benefici,   nella   specie   peraltro
 imprecisati,  mancando  nell'ordinanza  ogni riferimento a specifiche
 domande del ricorrente.
    Le  questioni  sollevate,  ad  avviso  dell'Avvocatura,  sono  poi
 infondate,   perche'   l'art.   11   denunciato  non  disciplina  una
 fattispecie penale, ma piuttosto  collega  a  determinate  situazioni
 alcune  esclusioni  da  benefici  di  vario  tipo, effetti quindi non
 rimuovibili con la riabilitazione  militare.  Quanto  alla  lamentata
 indeterminatezza  della  fattispecie,  la sentenza n. 234 del 1989 ha
 chiarito che le esclusioni previste dall'art. 11 si applicano ad ogni
 tipo di beneficio, stabilito da leggi anteriori o non al 1952.
    Infine, la questione sollevata in  riferimento  all'art.  3  della
 Costituzione  -  cui  in  ogni caso e' estraneo l'art. 11 del decreto
 legislativo n.  137  del  1948  -  e'  manifestamente  infondata:  se
 condivisa,  porrebbe  infatti in radicale discussione lo stesso campo
 di applicazione del codice penale militare di pace ed i princip/' che
 lo sorreggono.
    3. - Nel corso di un analogo procedimento  per  la  riabilitazione
 militare  promosso  da  Uliviero  Salvadori, la medesima autorita' ha
 sollevato, con distinta ordinanza (n. 530 del 1992) emessa l'8 giugno
 1992, identica questione.
    Anche in tale giudizio ha spiegato intervento  il  Presidente  del
 Consiglio  dei ministri, riportandosi alle difese svolte nel giudizio
 rubricato al n. 529 del 1992.
                        Considerato in diritto
    1. - Le due ordinanze (R.O. nn. 529 e 530 del 1992) del  Tribunale
 militare  di  sorveglianza  di Roma, emesse entrambe l'8 giugno 1992,
 sollevano identiche questioni.  I  relativi  giudizi  vanno  pertanto
 riuniti e decisi con un'unica sentenza.
    2.  - La prima questione investe l'art. 11 del decreto legislativo
 4 marzo 1948, n.  137  (Norme  per  la  concessione  di  benefici  ai
 combattenti della seconda guerra mondiale). La norma, nel disporre la
 non   applicabilita'   ai  disertori  dei  "benefici  in  favore  dei
 combattenti", determinando cosi' un  effetto  penale  militare  della
 condanna  per detto reato, violerebbe il principio di legalita' posto
 dall'art. 25, secondo comma, della Costituzione: a) in  quanto  norma
 retroattiva,  perche'  le  condanne  per  diserzione da cui l'effetto
 discende non possono che riferirsi, come  nei  giudizi  a  quibus,  a
 fatti  commessi  prima  della sua entrata in vigore; b) in quanto gli
 effetti sono indicati in modo generico, con  la  conseguenza  che  la
 fattispecie,  in  forza del richiamo agli " ex combattenti" contenuto
 in leggi successive, investe una serie aperta di  effetti,  sottratta
 al dominio della tipicita'.
    3. - La questione e' infondata.
    Il decreto legislativo 4 marzo 1948, n. 137, come modificato dalla
 legge  n.  93  del  1952,  costituisce la fonte normativa cui occorre
 riferirsi per la qualifica di "combattente"  e  per  l'individuazione
 dei  requisiti  -  comprese  le cause di esclusione - che definiscono
 l'ambito soggettivo di applicazione  dei  benefici  combattentistici.
 Tanto  i  requisiti  che  le  cause di esclusione fissate dal decreto
 hanno portata  generale  perche'  determinano,  circoscrivendola,  la
 categoria dei combattenti ai fini dell'individuazione dei destinatari
 dei  benefici (gia') previsti (all'epoca dell'entrata in vigore della
 normativa: art. 1, primo comma) nonche'  di  quelli  riconosciuti  da
 leggi successive (sentenza n. 234 del 1989).
    L'autorita'  rimettente  muove  dalla  premessa che l'esclusione -
 recte:  la  non  applicabilita'  -  dai  benefici   dei   combattenti
 disertori,  disposta  dall'art.  11  del  detto decreto, costituisca,
 messa in relazione  con  disposizioni  successive  che  attribuiscono
 singoli  benefici  alla  categoria,  un effetto penale militare della
 condanna per il reato di diserzione.
    La premessa e' inesatta.  Alla  inapplicabilita',  disposta  dalla
 norma  del 1948, di benefici specifici attribuiti da leggi successive
 agli ex combattenti, categoria che per definizione  non  comprende  i
 disertori,  fa  invero  difetto il carattere della afflittivita'. Dal
 disposto dell'art. 11 del decreto, come interpretato  dal  giudice  a
 quo, non puo' farsi discendere una limitazione della sfera giuridica,
 prima integra, dei soggetti destinatari.
    Proprio  l'esclusione  della  maggiorazione della pensione sociale
 riconosciuta agli ex combattenti dall'art. 6 della  legge  15  aprile
 1985,  n.  140,  che  l'autorita'  rimettente addita come conseguenza
 pregiudizievole  derivante  dalla  norma   censurata,   dimostra   la
 fragilita'  dell'assunto,  basato  su  un'inversione  logica.  Questa
 Corte,  premesso  che  in  materia  di  concessione  di  benefici   a
 particolari  categorie di cittadini il legislatore ha un ampio potere
 discrezionale, ha affermato infatti (nella sentenza n. 234  del  1989
 gia'  citata)  che quello previsto dall'art. 6 della legge n. 140 del
 1985 ha "funzione di  gratificazione  di  un  merito  che  non  senza
 ragione  si ritiene non possa essere rivendicato" da chi - nella spe-
 cie si trattava  dell'ipotesi,  pure  prevista  dall'art.  11,  primo
 comma,  del  decreto legislativo n. 137 del 1948, degli ufficiali che
 avevano  in  seguito  aderito   alla   R.s.i.   -,   pur   rientrando
 astrattamente   nel   novero   degli  ex  combattenti,  per  espressa
 esclusione non ne rivesta la qualifica.
    Posto  che l'attribuzione del beneficio ha funzione di gratificare
 un merito, il suo mancato riconoscimento non puo' dunque assumere una
 valenza anche in senso lato sanzionatoria.
   4. - Viene altresi' impugnato il combinato  disposto  dell'art.  11
 del  decreto  legislativo n. 137 del 1948, e degli artt. 72 e 412 del
 c.p.m.p., che recano la  disciplina,  rispettivamente,  dell'istituto
 della  riabilitazione  militare  e  del  relativo  procedimento. Tale
 normativa, imponendo al condannato  per  diserzione  che  abbia  gia'
 ottenuto   la   riabilitazione   comune  di  instaurare  un  giudizio
 ulteriore, diretto  alla  riabilitazione  militare,  qualora  intenda
 rimuovere  i  residui effetti penali militari della condanna, darebbe
 luogo ad un gravoso ed ingiustificato raddoppio di giudizi,  regolati
 dalla  medesima  procedura  ed aventi ad oggetto i medesimi elementi,
 realizzando una disparita' di trattamento a danno di tali condannati,
 in violazione dell'art. 3 della Costituzione.
    La questione e' inammissibile.
    5.  -  La  riabilitazione  militare,  a  norma  dell'art.  72  del
 c.p.m.p.,  ha  la  funzione  specifica di estinguere le pene militari
 accessorie e gli altri  effetti  penali  militari.  Essa  costituisce
 un'eccezione  ("salvo che la legge disponga altrimenti") alla regola,
 fissata  dall'art.  178  del  codice  penale,  che  attribuisce  alla
 riabilitazione  comune  la funzione di estinguere "le pene accessorie
 ed  ogni  altro  effetto  penale  della  condanna".  Anche  a   voler
 trascurare  che  le  condizioni  cui e' subordinata la riabilitazione
 militare sono di ordine squisitamente militare, essendo  il  giudizio
 diretto  alla  reintegrazione  dell'onore  militare, alla stregua dei
 valori propri di  quel  consorzio  ed  ai  peculiari  riflessi  della
 condanna sullo status militare, per definire la questione e' decisiva
 una considerazione di carattere preliminare.
    Sia  la  valutazione della proporzionalita' della pena rispetto al
 fatto contemplato come  illecito,  sia  la  previsione  di  cause  di
 estinzione  del  reato  in  relazione al disvalore ad esso assegnato,
 sono  affidate  all'apprezzamento  discrezionale   del   legislatore,
 sindacabile  solo  quando  integri arbitrio perche' irrazionale o non
 giustificato. Al legislatore e' dunque  attribuita  anche  la  scelta
 della   forma  di  riabilitazione  per  la  rimozione  degli  effetti
 pregiudizievoli ulteriori rispetto  alla  sanzione  principale  della
 condanna. Questa Corte, con la sentenza n. 289 del 1992, ha affermato
 che la riabilitazione come istituto in se' considerato e' espressione
 di  un principio generale e di un'esigenza, ancorche' non rispondenti
 ad alcuna norma costituzionale, di vasta applicabilita'. In  ciascuna
 delle  forme  di riabilitazione previste dall'ordinamento vigente "si
 riscontra un  nucleo  normativo  comune,  tanto  con  riferimento  ai
 presupposti  per  l'applicazione  (  ..), quanto con riferimento agli
 effetti". Tuttavia, ciascuna delle forme di  riabilitazione  indicate
 costituisce un modello a se'.
    La scelta di un modello o di un altro ovvero, in radice, la scelta
 del  meccanismo  per  la  rimozione  degli  effetti ulteriori, non e'
 costituzionalmente obbligata e spetta al legislatore,  nell'esercizio
 della sua discrezionalita' politica, valutare quale istituto sia piu'
 coerente con le sanzioni prescelte.