ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 32, primo comma, del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico degli imputati minorenni), promossi con n. 2 ordinanze emesse il 14 ottobre 1992 dalla Corte di Appello di Bologna - Sezione per i minorenni nei procedimenti penali a carico di Montanari Barbara e Braghieri Ivan, rispettivamente iscritte ai nn. 17 e 18 del registro ordinanze 1993 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell'anno 1993; Visto l'atto di costituzione di Braghieri Ivan, rappresentato dai genitori esercenti la potesta' nonche' gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri; Udito nell'udienza pubblica del 4 maggio 1993 il Giudice relatore Giuliano Vassalli; Uditi l'avvocato Davide Fratta per Braghieri Ivan e l'avvocato dello Stato Stefano Onufrio per il Presidente del Consiglio dei Ministri; Ritenuto in fatto 1. - Con due ordinanze pronunciate il 14 ottobre 1992, la Corte di appello di Bologna - Sezione per i minorenni, chiamata a decidere su appelli proposti avverso sentenze di non luogo a procedere per concessione del perdono giudiziale, ha sollevato, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, questione di legittimita' dell'art. 32, primo comma, del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico degli imputati minorenni), nella parte in cui prevede che il Giudice per l'udienza preliminare possa pronunciare sentenza di non luogo a procedere per concessione del perdono giudiziale, decidendo allo stato degli atti. Osserva il giudice a quo che la sentenza di non luogo a procedere per concessione del perdono giudiziale implica che gli atti assumono "definitivo rilievo probatorio" non a seguito di un accordo tra le parti, ma in virtu' di una delibazione del giudice che non puo' essere rimossa dall'imputato, il quale rimane quindi privo di ogni strumento per introdurre nuovi mezzi di prova al fine di contrastare le risultanze cosi' "cristallizzatesi". Ne' a tal fine puo' soccorrere il rimedio dell'appello, in quanto, essendo la relativa decisione ugualmente adottata allo stato degli atti e poiche' e' comunque escluso l'esito dibattimentale nel caso di appello del solo imputato, il diritto di difesa non puo' ritenersi esercitato in quello che non puo' essere considerato "un vero e proprio giudizio di primo grado". Tale preclusione di attivita' probatoria si risolve, dunque, per il giudice a quo, in una "rilevantissima compressione del diritto di difesa" che assume rilevanza decisiva nel caso del perdono giudiziale, giacche' questo "presuppone il positivo accertamento del reato e della sua riconducibilita' alla condotta dolosa o colposa dell'imputato". 2. - Nei giudizi e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile od infondata. La questione sarebbe inammissibile, secondo l'Avvocatura, per difetto di rilevanza, in quanto la disposizione impugnata "e' norma che attiene ai poteri decisori del giudice di primo grado e che il giudice di appello non deve applicare". Nel merito la questione sarebbe infondata in quanto, come questa Corte ha avuto modo di affermare (sent. n. 64/1991 e ord. n. 300/1991), l'udienza preliminare non e' fase di "accertamento della verita' materiale" e spetta al giudice individuare, anche su richiesta delle parti, eventuali temi nuovi o incompleti ai fini del controllo che il giudice deve compiere sulla domanda di giudizio avanzata dal pubblico ministero. Non vi sarebbe quindi violazione del diritto di difesa, in quanto i modi del relativo esercizio "possono essere diversamente articolati in relazione alle speciali caratteristiche strutturali dei singoli procedimenti". 3. - Con memoria del 13 febbraio 1993 si e' costituita la difesa di uno degli imputati per sostenere l'incostituzionalita' della norma sulla base di argomenti analoghi a quelli sviluppati dalla Corte rimettente. Nella memoria si e' altresi' osservato che la disposizione denunciata vulnera anche il principio di uguaglianza, in quanto nei confronti degli imputati minorenni "sarebbe preclusa quella ampia possibilita' di difesa che e' invece riservata "agli adulti" dalla normativa del giudizio avanti al giudice per le indagini preliminari e del conseguente giudizio di primo grado". Considerato in diritto 1. - Entrambe le ordinanze sollevano, con argomentazioni identiche, la medesima questione: i relativi giudizi vanno pertanto riuniti al fine di essere decisi con un'unica sentenza. 2. - La Corte di appello di Bologna denuncia, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, l'illegittimita' dell'art. 32, primo comma, del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico degli imputati minorenni), nella parte in cui prevede che il giudice possa pronunciare sentenza di non luogo a procedere per concessione del perdono giudiziale. Rileva a tal proposito il giudice a quo che la sentenza di non luogo a procedere per concessione del perdono giudiziale si inquadra nel modello offerto dall'art. 425 del codice di procedura penale, con la conseguenza che l'appello dell'imputato e' disciplinato dall'art. 428 dello stesso codice. Da cio' scaturisce che la pronuncia che il giudice adotta all'esito dell'udienza preliminare "cristallizza" il materiale probatorio raccolto, senza che all'imputato siano offerti strumenti per dedurre elementi di prova contraria a quelle risultanze. D'altra parte, anche in fase di gravame la decisione as- sume le caratteristiche di una pronuncia emessa allo stato degli atti, giacche' non e' consentito al giudice di appello operare "un ampliamento del costituto istruttorio" sulla base del quale il giudice della udienza preliminare ha adottato la propria sentenza; cosicche', osserva il rimettente, essendo escluso l'epilogo dibattimentale nel caso in cui l'appello sia stato proposto dal solo imputato, questi viene privato del diritto di difesa, essendo mancato "un vero e proprio giudizio di primo grado". La compressione di tale diritto, conclude il giudice a quo, assume poi una "decisiva rilevanza" nel caso della concessione del perdono giudiziale, in quanto, a differenza di altre cause che legittimano l'adozione della sentenza di non luogo a procedere, la concessione di quel beneficio "presuppone il positivo accertamento del reato e della sua riconducibilita' alla condotta dolosa o colposa dell'imputato". 3. - Deve essere preliminarmente disattesa l'eccezione di inammissibilita', per difetto di rilevanza, che l'Avvocatura dello Stato solleva sul presupposto che la norma censurata atterrebbe "ai poteri decisori del giudice di primo grado e che il giudice di appello non deve applicare". Posto, infatti, che la disposizione impugnata costituisce il necessario referente normativo che traccia i confini entro i quali il giudice dell'udienza preliminare e' chiamato a pronunciare la sentenza di non luogo a procedere, e considerato che e' proprio quella sentenza a formare oggetto del giudizio di impugnazione, risulta, allora, del tutto evidente, che il giudice di appello puo' ritenere legittima la propria investitura ai fini della celebrazione della fase di gravame soltanto attraverso la previa delibazione della legittimita' della fonte normativa sulla cui base la pronuncia impugnata e' stata emessa. Nel merito, la questione e' infondata. Questa Corte, infatti, chiamata a pronunciarsi su questione analoga (v. sentenza n. 77/1993), ha avuto modo di affermare che, alla stregua delle previsioni dettate dall'art. 3, lettera l), della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81, l'istituto della opposizione e' stato delineato dal legislatore delegante quale rimedio "inteso a consentire l'accertamento dibattimentale nelle ipotesi in cui la pronuncia del giudice della udienza preliminare contiene un enunciato in punto di responsabilita' che la parte deve avere la facolta' di rimuovere per poter esercitare appieno il proprio diritto alla prova". Da cio' si e' tratto il corollario "che il diritto a proporre l'opposizione deve essere riconosciuto non solo quando la pronuncia sulla responsabilita' e' coessenziale alla sentenza che definisce l'udienza preliminare, come nel caso della condanna, ma anche quando la responsabilita' dell'imputato e' ontologicamente presupposta, come nel perdono giudiziale, ovvero, infine, e' logicamente postulata, come nella ipotesi di sentenza di non luogo a procedere per difetto di imputabilita' a norma dell'art. 98 del codice penale". Tali rilievi hanno dunque comportato la declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 32, terzo comma, del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, come sostituito dall'art. 46 del decreto legislativo 14 gennaio 1991, n. 12, nella parte in cui non prevede la possibilita' di proporre opposizione avverso le sentenze di non luogo a procedere con le quali e' stata comunque presupposta la responsabilita' dell'imputato, restando cosi' assorbita nella statuizione della Corte proprio l'ipotesi della concessione del perdono giudiziale che forma oggetto della specifica questione sollevata dal giudice a quo. Al minorenne nei confronti del quale viene pronunciata sentenza di non luogo a procedere per concessione del perdono giudiziale, e' cosi' offerta la possibilita' di rimuovere, attraverso l'opposizione, la pronuncia adottata in sede di udienza preliminare e dar corso alla celebrazione del dibattimento, nel cui ambito e' posto in condizione di esercitare compiutamente il proprio diritto alla prova. Resta, pertanto, integralmente soddisfatto il petitum che il rimettente mostra di perseguire, giacche' la lamentata compressione del diritto di difesa che scaturirebbe dalla assenza di "un vero e proprio giudizio di primo grado" trova, invece, immediato ristoro attraverso il rimedio della opposizione.