ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  promosso  con  ricorsi  delle Regioni Toscana, Umbria,
 Emilia-Romagna e Lombardia notificati l'11, il 14 ed il 15  settembre
 1992,  depositati in Cancelleria il 17 settembre, il 1›, il 2 ed il 5
 ottobre 1992, per conflitto  di  attribuzione  sorto  a  seguito  del
 decreto  del  25 maggio 1992, n. 338 del ministero dell'agricoltura e
 delle  foreste  concernente  il  "Regolamento   recante   norme   per
 l'applicazone delle disposizioni del regolamento Cee n. 2092 del 1991
 del  Consiglio  del  24 giugno 1991 in materia di produzione agricola
 con metodo biologico  dei  prodotti  vegetali  non  trasformati",  ed
 iscritti ai nn. 34, 35, 36 e 37 del registro conflitti 1992;
    Visti  gli  atti  di costituzione del Presidente del Consiglio dei
 ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 20 aprile 1993 il giudice relatore
 Gabriele Pescatore;
    Uditi  gli  avvocati  Fabio  Lorenzoni  per  la  Regione  Toscana,
 Maurizio   Pedetta   e   Alberto  Predieri  per  la  Regione  Umbria,
 Giandomenico Falcon per la Regione Emilia-Romagna, Valerio Onida  per
 la Regione Lombardia e l'Avvocato dello Stato Ivo M. Braguglia per il
 Presidente del Consiglio dei ministri.
                           Ritenuto in fatto
    1. - La Regione Toscana, con ricorso n. 34 del 1992, depositato il
 17  settembre  1992,  ha proposto conflitto di attribuzione contro il
 Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo  l'annullamento  del
 decreto 25 giugno 1992, n. 338, con cui il ministro per l'agricoltura
 e   le   foreste   ha  emanato  il  "Regolamento  recante  norme  per
 l'applicazione delle disposizioni del regolamento  Cee  n.  2092  del
 1991  del  Consiglio  del  24  giugno  1991, in materia di produzione
 agricola con metodo biologico dei prodotti vegetali non trasformati",
 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, serie generale, n.  167  del  17
 giugno 1992.
    Secondo   quanto   deduce  la  regione,  il  decreto  ministeriale
 impugnato, dettando una disciplina applicativa del regolamento Cee ed
 individuando il ministero quale soggetto  competente  a  svolgere  le
 relative  attivita',  lederebbe le competenze attribuite alle regioni
 in materia di agricoltura e foreste dal d.P.R. n. 616  del  1977,  in
 relazione agli art. 117 e 118 della Costituzione.
    Il provvedimento e' stato emanato ritenendo che l'instaurazione di
 un  sistema  di  controlli, previsto dall'art. 9 del regolamento Cee,
 rientri tra gli interventi di interesse nazionale ai sensi  dell'art.
 71,  primo  comma,  lettera  b) del d.P.R. n. 616 del 1977, in quanto
 volto alla regolazione del  mercato.  Sulla  base  di  tale  assunto,
 infondato,   lo  Stato  avrebbe  emanato  norme  in  un  settore  non
 rientrante nella sua competenza.
    2. - Lo stesso decreto del ministro per l'agricoltura e le foreste
 e' stato impugnato altresi' dalla Regione Umbria, con ricorso  n.  35
 del 1992 depositato in data 1› ottobre 1992.
    Ad  avviso  della  ricorrente,  il  provvedimento, col pretesto di
 "assicurare l'uniforme applicazione sul  territorio  nazionale  delle
 disposizioni del regolamento della Cee" (art. 12), detta in proposito
 una disciplina di estremo dettaglio, completa ed esaustiva, senza mai
 accennare  a un qualsiasi pur minimo ruolo delle regioni e in pratica
 ignorandone  l'esistenza,  come   se   nell'ordinamentoitaliano   non
 esistesse la l. n. 86 del 1989.
    Tale  legge,  invece,  ha  modificato  il  precedente  assetto  di
 rapporti, riconoscendo alle  regioni  competenze  piu'  incisive  per
 l'attuazione del diritto comunitario derivato.
    Nel  testo  del  regolamento  impugnato si indica nella "Direzione
 generale della produzione agricola" del ministero dell'agricoltura  e
 foreste  il  centro  di  riferimento,  che  presiede  al  sistema  di
 controlli considerato, e si  provvede  ad  una  ampia  disciplina  di
 dettaglio per l'esercizio di tale attivita'.
    Le  regioni  gia' da tempo si sono andate occupando di agricoltura
 biologica. Cosi' la Regione Umbria con la legge regionale 28 dicembre
 1990, n. 46 (precedente, dunque,  il  regolamento  Cee  n.  2092  del
 1991),  ha  adottato  una normativa organica in materia, definendo le
 "produzioni biologiche" e la loro disciplina.
    Con il d.m. 25 maggio  1992,  n.  338  non  solo  si  vanifica  la
 disciplina   dettata   dalla  Regione  Umbria,  ma  le  si  impedisce
 illegittimamentedi esercitare le  competenze  ad  essa  spettanti  in
 materia di agricoltura e foreste in generale e con specifico riguardo
 all'attuazione nel nostro ordinamento dei regolamenti della Comunita'
 economica europea e del regolamento n. 2092 del 1991 in particolare.
    Si  osserva  ancora  che, in ordine all'attuazione dei regolamenti
 comunitari relativi a materie di  competenza  regionale,  ove  questi
 richiedano  norme  di  attuazione  e  di  adattamento all'ordinamento
 interno,  lo  Stato  ha  una  competenza  del   tutto   residuale   e
 assolutamente  eccezionale.  Sono,  invero, riservate alle regioni, a
 norma dell'art. 6 del d.P.R. n. 616 del 1977, "le  funzioni  relative
 all'applicazione dei regolamenti della Comunita' economica europea" e
 la  Corte  costituzionale ha confermato in maniera inequivoca che "la
 competenza ad attuare anche le necessarie misure normative  richieste
 per  la  concreta attuazione degli atti comunitari non puo' essere in
 principio preclusa alle regioni e alle province autonome"  (sent.  n.
 304 del 1987).
    Ove  fossero  effettivamente  ricorse  esigenze di ordine unitario
 nell'attuazione del regolamento Cee, queste avrebbero dovuto  essere,
 se   mai,   soddisfatte  attraverso  l'esercizio  della  funzione  di
 indirizzo e  coordinamento  e,  dunque,  tramite  atti  adottati  nel
 rispetto  dei  limiti  formali  e sostanziali stabiliti dalla legge -
 art. 3 della legge 22 luglio 1975, n. 382 - vale a dire con  legge  o
 con  atto  avente  forza  di  legge,  ovvero  con  deliberazione  del
 Consiglio dei ministri (v. anche art. 2, lett. d) della legge n.  400
 del  1988)  su proposta del Presidente del Consiglio, d'intesa con il
 ministro o i ministri competenti.
    Ad avviso della Regione ricorrente, il decreto  del  ministro  per
 l'agricoltura   e   le   foreste   n.   338   del   1992   si  palesa
 costituzionalmente illegittimo e lesivo  delle  competenze  regionali
 per  violazione  degli  artt.  5,  115,  117,  118,  119  e  3  della
 Costituzione sotto il profilo della irragionevolezza.
    3. - Il medesimo decreto  del  ministro  per  l'agricoltura  e  le
 foreste  e'  stato  impugnato  anche dalla Regione Emilia-Romagna con
 ricorso n. 36 del 1992, depositato il 2 ottobre 1992.
    Esposti il contenuto e  le  caratteristiche  dell'atto  impugnato,
 rileva   la   ricorrente   regione   che   lo  Stato  avrebbe  dovuto
 semplicemente, con la "designazione" prevista dagli artt. 8,  secondo
 comma  e  9,  quarto comma, del regolamento comunitario, provvedere a
 rendere nota e formalizzare in ambito comunitario  la  situazione  di
 diritto  nazionale,  sollecitando  semmai  le  regioni a provvedere a
 quanto di propria spettanza.
    Viceversa, con l'impugnato decreto del 25 maggio 1992, n. 338,  il
 ministro per l'agricoltura e le foreste ha emanato un "regolamento" -
 sprovvisto peraltro di ogni base giuridica - con il quale attribuisce
 a  se  medesimo  la  qualifica  di  autorita' nazionale competente ad
 esercitare il complesso delle funzioni  amministrative  previste  dal
 regolamento comunitario.
    Ma  tale  decreto  -  ad avviso della Regione Emilia-Romagna - non
 traendo origine da alcun atto legislativo, e' privo di base giuridica
 ed illegittimamente lesivo delle  attribuzioni  costituzionali  delle
 regioni.      Si   contesta   anche   dalla   Regione  Emilia-Romagna
 l'affermazione - contenuta nel preambolo del provvedimento -  che  il
 sistema   dei  controlli  sulle  produzioni  biologiche,  voluto  dal
 regolamento comunitario, rientri "tra  gli  interventi  di  interesse
 nazionale ai sensi dell'art. 71, primo comma, lett. h), del d.P.R. 24
 luglio  1977,  n.  616,  in quanto volto alla regolazione del mercato
 agricolo".  4. - Il piu' volte richiamato decreto  del  ministro  per
 l'agricoltura  e  le  foreste e' stato impugnato infine dalla Regione
 Lombardia, con ricorso n. 37 del 1992 depositato il 5 ottobre 1992.
    Si contesta,  nel  ricorso,  il  fondamento  normativo  (e  quindi
 costituzionale)  del decreto impugnato alla stregua di considerazioni
 gia'  svolte  dalle  precedenti  ricorrenti,  anche  in   base   alla
 giurisprudenza  della  Corte,  in  tema  di  disciplina  del  mercato
 agricolo.
    In particolare, non  varrebbe  invocare  l'esigenza  di  "adottare
 disposizioni uniformi per l'applicazione nel territorio nazionale del
 regolamento  della  Cee  n.  2092  del  1991", poiche' le esigenze di
 uniformita'  sarebbero  gia'  interamente  assolte  dalle  norme  del
 regolamento stesso.  Si contesta in particolare la scelta di affidare
 i  controlli ad associazioni di produttori autorizzati dal ministero.
 Il decreto impugnato sarebbe pertanto lesivo della  competenza  delle
 regioni,  e in particolare gli artt. 117 e 118 Cost. e gli artt.  66,
 67, 71 e 77 del d.P.R. n. 616 del 1977.
    Si afferma inoltre la violazione del principio di cui all'art. 17,
 primo comma, lett. b), della stessa legge n. 400 del 1988  (valido  a
 fortiori  nei  confronti dei regolamenti ministeriali), secondo cui i
 regolamenti governativi di attuazione o integrazione delle leggi  non
 possono  essere  dettati  nelle  "materie  riservate  alla competenza
 regionale".
    5. - Con un unico atto  del  5  aprile  1993,  il  Presidente  del
 Consiglio   dei  ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
 generale dello Stato, si e' costituito nei  giudizi  promossi  con  i
 quattro conflitti di attribuzione, chiedendone il rigetto.
    Ha  dedotto che per definire l'ambito di incidenza dell'intervento
 statale, e' necessario rifarsi proprio al regolamento Cee n. 2092 del
 1991.   A questo riguardo le regioni  ricorrenti  mostrano  di  voler
 attribuire  uno  scopo  assai  limitato  alla  sfera  del legislatore
 comunitario. Il regolamento Cee su ricordato sarebbe  stato  adottato
 soltanto a tutela dei consumatori, affinche' essi possano agevolmente
 identificare  i  prodotti di "agricoltura biologica rispetto a quelli
 di agricoltura "tradizionale". Viceversa, non sarebbe questa soltanto
 la finalita' dell'intervento comunitario. Risulta, infatti, dai  suoi
 "considerando",  che  tale  intervento  e'  stato  adottato anche per
 esigenze   connesse  alla  politica  relativa  al  mercato  agricolo.
 L'attivita'  esplicata  nel  decreto  impugnato   realizza,   quindi,
 "interventi  di  interesse  nazionale  per la regolazione del mercato
 agricolo", quali definiti dalla giurisprudenza della Corte.    L'atto
 impugnato  rientrerebbe  pertanto  nella  competenza statale, e tanto
 basterebbe per ritenere l'infondatezza dei ricorsi.
    Quanto al rilievo della Regione Umbria,  secondo  il  quale,  dopo
 l'introduzione della legge comunitaria ad opera della legge n. 86 del
 1989, l'attuazione per via regolamentare della normativa comunitaria,
 nelle  sue  disposizioni  non  immediatamente applicabili, puo' esser
 consentita  soltanto   nell'ambito   della   legge   comunitaria   di
 riferimento e soltanto se prevista da tale legge comunitaria, osserva
 l'Avvocatura che la tesi appare priva di giuridico fondamento, sia in
 astratto che con riferimento al caso concreto.
    Sarebbe  indubbio,  dunque, che il decreto impugnato rientri nella
 competenza del ministro per l'agricoltura e le foreste, incidendo  in
 materia  tuttora  riservata  allo Stato, ai sensi dell'art. 71, primo
 comma, lett. b, del d.P.R. n. 616  del  1977;  se  cosi'  non  fosse,
 rientrerebbe  comunque  nelle attribuzioni statali per le esigenze di
 carattere unitario che mira a soddisfare  e  che  sono  indicate  nel
 regolamento Cee.
                        Considerato in diritto
    1.  - Sulla base di argomentazioni in parte coincidenti e in parte
 diverse, le Regioni Toscana, Umbria, Emilia-Romagna e Lombardia hanno
 proposto conflitto di attribuzione contro il Presidente del Consiglio
 dei ministri per l'annullamento del decreto 25 maggio 1992,  n.  338,
 con  cui  il  ministro  per  l'agricoltura e le foreste ha emanato il
 "Regolamento recante norme per l'applicazione delle disposizioni  del
 regolamento Cee n. 2092 del 1991 del Consiglio del 24 giugno 1991, in
 materia  di  produzione  agricola  con  metodo biologico dei prodotti
 vegetali non trasformati".
    I giudizi possono essere riuniti per l'identita' dell'oggetto  dei
 ricorsi, che attiene allo stesso provvedimento.
    Secondo  le ricorrenti regioni, il ministro per l'agricoltura e le
 foreste avrebbe violato gli artt. 117 e 118 della Costituzione  e  le
 connesse  disposizioni  di legge ordinaria (in particolare, gli artt.
 6, 7 e 66 -  78  del  d.P.R.  24  luglio  1977,  n.  616),  invadendo
 competenze riservate alle regioni stesse.
    2.  -  Come  risulta  dallo  stesso  titolo  e  dall'art. 1, comma
 secondo,  del  provvedimento,  il  decreto  impugnato  contiene   una
 disciplina  di  carattere  generale  diretta ad assicurare l'uniforme
 applicazione sul territorio nazionale del regolamento  emanato  dalla
 Cee in materia di produzione agricola con metodo biologico.
    Le disposizioni attengono alla individuazione dell'autorita', alla
 quale  devono  essere  effettuate  le notifiche (art. 2, in relazione
 all'art. 8, par. 2, del regolamento della Cee), alle  indicazioni  di
 conformita'  dei  prodotti  (art.  3),  alle  comunicazioni di inizio
 dell'attivita'  produttiva  (art.  4),  alla  organizzazione  ed   al
 funzionamento del sistema dei controlli (artt. 5 - 10).
    Si  tratta  di  una  disciplina  di  indubbio  rilievo,  diretta a
 indirizzare e coordinare l'attuazione interna del regolamento Cee  in
 materia  di agricoltura biologica, e quindi a salvaguardare, anche in
 questo  ambito,  l'omogeneita'  del  regime  giuridico  vigente   sul
 territorio nazionale.
    3. - Il provvedimento risulta peraltro emanato in violazione delle
 norme  che  disciplinano  la  fonte  e  le modalita' di esercizio del
 potere regolamentare del governo.
    Non v'e' dubbio che negli anni piu' recenti, molto opportunamente,
 si e' provveduto ad ampliare la possibilita' di ricorso  a  normative
 emanate  con  provvedimenti di natura amministrativa. L'orientamento,
 che e' di carattere generale, ha trovato specifiche previsioni  anche
 per  quanto  concerne  il  recepimento  e  l'attuazione  delle  norme
 comunitarie.
    Al tempo stesso, pero', la  previsione  di  casi  e  modalita'  di
 esercizio  del potere regolamentare ha avuto espressa e condizionante
 disciplina.
    Secondo il richiamo contenuto nel preambolo, il decreto 25  maggio
 1992,  n.  338,  e'  stato emanato a norma dell'art. 17, comma terzo,
 della legge 23 agosto 1988, n. 400,  che  consente  di  disporre  con
 regolamento  nelle  materie di competenza del ministro o di autorita'
 sottordinate al ministro, quando la  legge  espressamente  conferisca
 tale potere.
    Il  riferimento  alla  legge  di  conferimento  del  potere non e'
 peraltro indicato nel preambolo, ne' e' rinvenibile nella  disciplina
 dei rapporti tra normativa comunitaria e normativa nazionale.
    L'art.  4  della  legge  9  marzo  1989, n. 86 consente infatti di
 attuare le direttive mediante regolamento;  ma  e'  indispensabile  -
 come  nella  stessa  norma  si  precisa - che cosi' disponga la legge
 comunitaria.
    Peraltro tale disposizione non e' contenuta  ne'  nella  legge  29
 dicembre  1990,  n.  428  (legge  comunitaria per il 1990), ne' nella
 legge 19 febbraio 1992, n. 142 (legge comunitaria per il 1991).
    In ogni caso, l'uso del potere regolamentare previsto dall'art.  4
 cit. avrebbe comportato un procedimento diverso da quello seguito nel
 caso  di  specie  (soprattutto, deliberazione collegiale del Governo;
 parere delle Commissioni permanenti della Camera dei deputati  e  del
 Senato della Repubblica).
    Assorbente  e' comunque il rilievo inerente all'avvenuto esercizio
 della potesta'  regolamentare  nella  materia,  senza  quel  supporto
 legislativo  che la Corte ha gia' indicato come indispensabile sia in
 termini generali (sentenza  n.  453  del  1991),  sia  con  specifico
 riferimento   all'esercizio  della  potesta'  da  parte  del  singolo
 ministro (sentenza n. 204 del 1991). Tale  riferimento  all'esercizio
 della  potesta' da parte del ministro sarebbe necessario, anche se si
 ravvisi nello stesso regolamento comunitario (cfr. sent. n.  453  del
 1991 cit.) la fonte legittimante l'esercizio del potere attuativo.
    I ricorsi presentati dalle regioni Toscana, Umbria, Emilia-Romagna
 e  Lombardia  devono  dunque  essere  accolti  e  va conseguentemente
 annullato il decreto del ministro per l'agricoltura e le  foreste  25
 maggio 1992, n. 338.