IL TRIBUNALE MILITARE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa contro D'Avossa Gianalfonso, nato il 17 marzo 1940 a Torino, atto di nascita n. 1260/P.1 S.1, residente a Roma in via Monte Savello n. 30, coniugato, incensurato, generale di brigata E.I. effettivo presso l'ispettorato dell'arma di artiglieria e della difesa N.B.C. in Roma, gia' comandante della 132a brigata corazzata "Ariete" in Pordenone, libero imputato di: a) tentata truffa ai danni dell'amministrazione militare (art. 56 del c.p., art. 234, primo e secondo comma del c.p.m.p.) perche', comandante della 132a brigata corazzata "Ariete" in Pordenone, compiva atti idonei diretti in modo non equivoco a procurare a se' un ingiusto profitto in quanto da gennaio 1991 disponeva la ristrutturazione totale della palazzina n. 15 sita presso la porta carri all'interno del comprensorio della caserma "Zappala'" di Aviano, e induceva in errore vari organi dell'amministrazione militare e, in violazione di norme anche amministrative, provvedeva a far effettuare lavori con manodopera militare presso la palazzina di cui sopra al fine di creare un alloggio di servizio per se' con annessi locali di rappresentanza. In particolare, con una alterazione della realta' sfruttava l'errore incolpevole del capo ufficio infrastrutture e materiali del genio - S.M.E. Roma, con due promemoria di servizio del 21 gennaio 1991, e induceva in errore costui chiedendo una integrazione al capitolo 2802 (minuto mantenimento) per ricavare un alloggio per il comandante, una foresteria per ufficiali in transito, modifica idrico alloggi ufficiali e sottufficiali della caserma "Zappala'" di Aviano, sistemazione del locale da adibire a Chiesa nella caserma "Baldassarre" di Maniago, facendo intendere che l'alloggio da ristrutturare per ricavare un alloggio per il comandante della brigata fosse quello che in realta' gia' esisteva in Pordenone, e che gli competeva perche' assegnatoli dalla R.M.N.E., che la foresteria da realizzare fosse sita in altra palazzina da questo, che gli organi tecnici superiori alla brigata "Ariete" fossero gia' stati interessati alla revoca d'uso degli alloggi ASI 12/01, 12/02, 12/03 della palazzina n. 15 e che addirittura fosse gia' stata disposta dalla R.M.N.E. la trasformazione in alloggi di diversa utilizzazione e cioe' ASC o AST (quando in realta' la revoca di costituzione d'uso dell'immobile vi fu con atto della direzione del genio del Ministero della difesa solo successivamente e, cioe', il 13 aprile 1991 e, quando in realta' a lavori gia' ultimati doveva ancora essere autorizzata la nuova destinazione d'uso visto che la richiesta in tal senso della brigata "Ariete" e' del 29 luglio 1991); induceva in errore l'amministrazione militare anche perche' i 120 milioni di lire stanziati e assegnati con atto dispositivo C/SME del 23 aprile 1991 e devoluti per due localita' della brigata "Ariete" (Aviano e Maniago) e a favore di due caserme (Zappala' e Baldassarre) e per "integrazione per interventi manutentori" presso la caserma "Zappala'" di Aviano e "Baldassarre" di Maniago, in realta' furono utilizzati per coprire le spese di acquisto di materiali e beni avvenute gia' nella quasi totalita' nel periodo gennaio 1991 agosto 1991 e per la sola ristrutturazione della palazzina n. 15 della caserma "Zappala'" di Aviano; induceva in errore gli organi tecnici dell'amministrazione militare della R.M.N.E. falsamente prospettando, e a partire dall'8 febbraio 1991, che tre ufficiali scapoli della brigata erano interessati ad avere la concessione di utilizzo di alloggi ASC nella palazzina 15 in via di ristrutturazione e quando in realta' gia' godevano gli stessi di alloggio ASI presso la caserma "Zappala'" (due ufficiali) ed uno risiedeva con la famiglia fuori luogo militare. In modo tale veniva realizzato un proprio e personale alloggio di servizio con sale di rappresentanza, con danno della amministrazione militare, che a lavori gia' ultimati doveva poi corrispondere le ditte private che ebbero a rifornire l'imputato di materiali di ogni genere (vedasi corpo di reato 27/91), acquistati nel libero mercato nella noncuranza di qualsiasi gara di appalto e di licitazione privata. E, perche', impiegava nei lavori della palazzina n. 15 di Aviano, a proprio vantaggio, un considerevole numero di militari di leva specializzati che venivano comandati alla caserma "Zappala'" previo ordine di aggregazione del comando brigata da vari reparti della brigata stessa nel presupposto di legittima attivita' manutentoria capitolo 2802 minuto mantenimento e, distraendo, pertanto, delle energie lavorative aventi valore economico dalle attivita' di istituto, con danno della amministrazione militare; b) peculato militare continuato (artt. 81, secondo comma, del c.p., 215 del c.p.m.p., e 314, secondo comma, del c.p.) perche' in qualita' di comandante della brigata "Ariete" di Pordenone dal 2 settembre 1990 si appropriava in piu' occasioni, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, delle due autovetture in dotazione al suo comando (Alfa 33, targata EI-102 CB, Alfa 33, targata EI-041 CQ) e le utilizzava per scopi privati per raggiungere localita' fuori dalla propria giurisdizione e sempre senza la prescritta autorizzazione del comandante del quinto corpo d'armata di Vittorio Veneto (ved. circolare USG-G-007 del Ministero della difesa); c) plurimo abuso di autorita' con ingiuria (art. 196, secondo comma, del c.p.m.p.) perche' il 21 marzo 1991 in una pubblica adunata all'interno della caserma "Zappala'" di Aviano, avanti tutti i marescialli maggiori e aiutanti della brigata "Ariete" recava nocumento alla dignita', onere e prestigio degli inferiori loro dicendo e urlando "Mi vergogno di voi, siete dei carbonari" e didendo che i sottufficiali erano dei ladri perche' rubavano lo stipendio allo Stato non avendo gli stessi diritto a protestare e che meritavano di stare dove stanno; d) ingiuria ad inferiore (art. 196, secondo comma, c.p.m.p.) perche' il 21 marzo 1991 in una pubblica adunata all'interno della caserma "Zappala'" di Aviano, avanti tutti i marescialli maggiori e aiutanti della brigata appena entrato in sala e dopo aver guardato gli astanti gridando in malo modo, senza giustificato motivo cacciava dal sito il maresciallo Straziuso Nicolantonio urlandogli contro "Vada fuori maleducato"; cosi' recando danno al prestigio, onore e dignita' dell'inferiore; e) ingiuria ad inferiore (art. 196, secondo comma, del c.p.m.p.) perche' il 20 dicembre 1990 mattino nel palazzo del comando brigata in Pordenone, presenti il colonnello Ratti Roberto e due militari di leva, urlando rimproverava il sergente Signore Danilo di aver sbagliato strada il giorno precedente (quanto per colpa dell'imputato era andato con vettura di servizio all'Aeroporto di Venezia a prendere un suo amico) e gli diceva, senza dar tempo al sottufficiale di spiegarsi: "Nemmeno un cane avrebbe sbagliato la strada di casa", cosi' recando danno alla dignita', onore e prestigio dell'inferiore. Poi lo minacciava ingiustamente rivolgendosi al colonnello Ratti con le parole: "Per fargli rinfrescare le idee lo mandi un turno in polveriera a Natale o a Capodanno". E infine lo minacciava il giorno seguente dopo che seppe che il sottufficiale intendeva mettersi a rapporto dal comandante del quinto corpo d'armata gridando in sua presenza e ordinando al colonnello Ratti: "Trasferitelo, bisogna trasferirlo". Trasferimento che senza motivazioni veniva disposto il giorno seguente 22 dicembre 1990. f) ingiuria ad inferiore (art. 196, secondo comma, del c.p.m.p.) perche' all'inizio di aprile 1991 e anche prima in Pordenone comando brigata, recava danno al prestigio, onore e dignita' del colonnello D'Avolio Sabatino dicendogli piu' volte, presenti anche altre persone, e, urlando, che era un incapace e un inetto, e dicendo le stesse espressioni urlando per citofono; O S S E R V A 1. - All'odierno procedimento dinanzi a questo tribunale militare a carico di D'Avossa Gianalfonso, generale di brigata E.I., imputato dei reati descritti in epigrafe, la difesa, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, ha, tra le altre questioni, sollevato eccezione di legittimita' costituzionale dell'art. 419, terzo comma, c.p.p., in relazione all'art. 24, secondo comma, della Costituzione. In particolare, dal coordinato disposto dell'art. 407, unico comma, con l'art. 419, terzo comma, del c.p.p., si desume il potere del p.m. di proseguire le indagini anche a seguito della richiesta di rinvio a giudizio e fino alla celebrazione dell'udienza preliminare, ricorrendo solo l'obbligo per detta parte di trasmettere al g.i.p. gli atti relativi alle indagini eventualmente espletate. Tuttavia - secondo l'assunto difensivo - la mancanza di un congruo termine precedente la data fissata per l'udienza preliminare entro cui adempiere l'obbligo di trasmissione - e quindi di deposito - degli atti d'indagine susseguenti alla richiesta di rinvio a giudizio, renderebbe, come nella fattispecie in esame, la discovery attuabile anche alla stessa udienza preliminare e comporterebbe percio' squilibrio tra i poteri delle parti a detrimento della difesa, in ipotesi esposta ad atti "a sorpresa", anche di rilevante peso gravatorio, senza possibilita' di una preventiva conoscenza degli stessi ed incapace, in sostanza, di fornire controprova e discolparsi, secondo il diritto di difesa garantito dalla Costituzione (art. 24, secondo comma, della Costituzione). Il p.m. ha chiesto che la questione sia dichiarata infondata, assumendo che il potere di presentare atti e documenti e' riconosciuto ad entrambe le parti, ex art. 421, terzo comma, fino al momento dell'inizio della discussione dell'udienza preliminare. Sarebbe in tal modo ampiamente ripristinato il contraddittorio tra le parti, mediante attribuzione alla difesa del potere di controprova e controdeduzione, in ordine agli atti di indagine "susseguenti" del p.m. 2. - Preliminarmente, occorre esaminare la rilevanza della questione nel procedimento in corso. Essa, attenendo alla mancata previsione di un termine, a carico del p.m., per la trasmissione al g.i.p. degli atti compiuti dopo la richiesta di rinvio a giudizio, verte sul diritto dell'imputato a prendere visione di elementi relativi alla sua posizione, e quindi di intervenire in un momento processuale in cui, mediante il meccanismo della discovery, dovrebbe essere garantito il contraddittorio. La questione di legittimita' costituzionale prospettata verte, percio', su un'ipotesi di nullita' prevista dall'art. 178, lett. c), in relazione all'art. 180 del c.p.p., ed e' quindi sollevabile nella fase attuale. Il collegio, dovendone esaminare la rilevanza, ha chiesto l'esibizione degli atti del fascicolo del p.m., da cui si deve ricavare che effettivamente, dopo la richiesta di rinvio a giudizio, la parte compi' altri atti di indagine, nonche' le relative date di effettuazione e trasmissione al g.i.p. Cio' fatto, deve ritenersi pacificamente acquisito che: a) il p.m. richiese il rinvio a giudizio in data 2 novembre 1992; b) il g.i.p. fisso' l'udienza preliminare per il giorno 20 gennaio 1993 e cio' comunico' al p.m. in data 10 dicembre 1992, con invito a trasmettere la documentazione di indagine susseguente alla richiesta di rinvio a giudizio; c) che il p.m., tra la data di richiesta di rinvio a giudizio e l'avviso di fissazione dell'udienza preliminare, compi' vari atti di indagine, tra cui richiesta di documentazione al comando genio, (18 dicembre 1992), assunzione di informazioni ex art. 362 del c.p.p. (in data 9 novembre 1992, 10 novembre 1992 e 20 novembre 1992); d) che il p.m. adempi' all'obbligo di trasmissione in data 19 gennaio 1993, giorno precedente l'udienza preliminare. Alla stregua dei riportati dati deve ritenersi rilevante nella specie la questione prospettata. 3. - Infatti, si evince con chiarezza che pressoche' inesistente fu il lasso temporale tra il deposito degli atti di indagine "susseguenti" e la celebrazione dell'udienza preliminare e, comunque, tale da consentire a malapena alla Parte una mera lettura degli atti senza alcun approfondimento, come imporrebbe una corretta interpretazione del diritto di difesa. D'altronde, quest'ultimo, proprio nella fase in questione - compresa tra la richiesta di rinvio a giudizio e l'udienza preliminare - appare sancito mediante la previsione di un termine di giorni dieci (art. 419, quarto comma, del c.p.p.) dall'udienza preliminare, entro cui effettuare anche all'imputato la notifica del decreto di fissazione della stessa. E' evidente, poi, che tale termine e' funzionale rispetto ad un corretto ed ampio esercizio del diritto di difesa, tra i cui aspetti assume preminenza la necessita' che l'imputato venga per tempo a conoscenza degli elementi gravatori a suo carico, onde adeguatamente vagliare la linea difensiva. L'obbligo di trasmissione da parte del p.m. degli atti di indagine "susseguenti" appare inquadrabile nell'ottica dell'attribuzione del diritto di difesa nella fase de qua: significativa e', al riguardo, la circostanza che si intese variare nella stesura finale del codice di rito la "facolta'" inizialmente statuita del p.m. di trasmissione della documentazione "susseguente", in vero "obbligo", sancendosi testualmente che "l'avviso (n.d.r.: di fissazione di udienza preliminare) comunicato al p.m. contiene l'invito a trasmettere la documentazione relativa alle indagini preliminari" (art. 419, terzo comma, del c.p.p.). Eppure, sebbene traspaia dal complesso delle citate disposizioni la statuizione normativa di un diritto dell'imputato a conoscere in tale fase i completi elementi che gravano a suo carico, non si ricava, per converso, da alcuna norma di rito, l'esistenza di un termine - precedente l'udienza preliminare - entro cui il p.m. debba adempiere l'obbligo di trasmissione e deposito degli atti di indagine "susseguenti". Appare superfluo, infatti, soffermarsi sulla fondatezza dell'assunto secondo cui, se all'obbligo di trasmissione della documentazione "susseguente" non si accompagni anche la statuizione di un termine stabilito a pena di inutilizzabilita' della stessa, si svuota di ogni significato - evidentemente ravvisabile come garanzia difensiva - il sancito obbligo di discovery anche in relazione agli atti in questione. Vale la pena di aggiungere che, pure secondo i lavori preparatori, il p.m. puo' trasmettere la documentazione di indagine "susseguente" anche all'udienza preliminare; elemento, questo, ad ulteriore riprova della correttezza dell'interpretazione qui assunta, secondo cui non vi e' de iure condito un termine, ne' espressamente stabilito, ne' aliunde ricavabile, per la discovery di tali atti prima dell'udienza preliminare. Inoltre non e' neppure previsto che il g.i.p. - a fronte dei nuovi elementi di indagine trasmessi nell'imminenza temporale dell'udienza preliminare o nel corso della stessa - conceda un termine per la difesa, analogamente a quanto previsto dall'art. 103 del c.p.p. Ne' un allargamento del disposto di tale norma - mediante ricorso al canone analogico - anche all'ipotesi in questione, appare consentito, comportando esso una dilazione dei termini di celebrazione dell'udienza preliminare, mentre il principio ispiratore del nuovo codice impronta all'opposta esigenza di celerita' e speditezza l'andamento delle fasi processuali, sottraendo alle parti il potere di influirvi mediante atti dipendenti dalla loro mera volonta'. 4. - Giova, poi, osservare che la lesione del diritto di difesa nella fase di cui trattasi appare confermata dalla vasta gamma di atti d'indagine che il p.m. puo' compiere dopo la richiesta di rinvio a giudizio e fino alla discussione nell'udienza preliminare: non e', infatti, fissato testualmente dall'art. 419, terzo comma, del c.p.p. alcun divieto, da parte del p.m., di procedere al compimento di taluno di essi, come invece statuito dall'art. 430 del c.p.p., relativo alla fase successiva all'emissione del decreto che dispone il giudizio, nel quale si esclude la possibilita' di espletamento di atti integrativi d'indagine, per i quali sia necessaria la presenza del difensore. Ne consegue che puo' verificarsi, a seguito dell'attivita' d'indagine di cui all'art. 419 del c.p.p., uno stravolgimento del quadro probatorio degli atti quale risultante al momento della richiesta di rinvio a giudizio, con conseguente effetto "a sorpresa", per l'imputato. Si aggiunge che lo stesso p.m. puo' avvalersi dello strumento della trasmissione di cui all'art. 419, terzo comma, del c.p.p. per chiedere, nel rispetto dei termini di legge o prorogati dal g.i.p., il rinvio a giudizio, nella supposizione di raccogliere gli elementi necessari solo successivamente alla richiesta stessa, dal momento che il g.i.p. e' obbligato a fissare l'udienza preliminare senza avere il potere di valutare la sussistenza degli elementi a fondamento della stessa. Certamente non e' da porre in discussione la preminenza dell'interesse della giustizia a che le indagini del p.m. continuino anche successivamente alla richiesta di rinvio a giudizio, come consentito dal combinato disposto degli artt. 405 e 407, ultimo comma, del c.p.p.: cio', in osservanza al principio costituzionale, secondo cui il p.m., una volta esercitata l'azione penale, deve (salvo i casi stabiliti dalla legge) proseguire nell'esercizio di essa (art. 112 della Costituzione). 5. - Proprio nella ricerca di un contemperamento - delle due menzionate opposte esigenze - quella del p.m. di compiere indagini anche successivamente alla richiesta di rinvio a giudizio e quella di tutela della difesa dell'imputato in ordine a tali atti - si colloca una recente giurisprudenza di merito (tribunale di Roma, g.i.p., 7 aprile 1990, Di Bella ed altri, in giur. it., febb., p. 2, pg. 58), secondo cui il limite temporale al potere del p.m. per l'espletamento di ulteriori indagini da utilizzare all'udienza preliminare, si ricaverebbe dallo stesso art. 419, terzo comma, del c.p.p.: infatti, la ricezione da parte del p.m. dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare e, quindi, dell'invito a presentare la documentazione delle indagini "susseguenti" al g.i.p., segnerebbe il momento limite dell'attivita' di indagine del p.m. in questa fase. Cio', secondo tale tesi, consentirebbe di realizzare la discovery in modo pieno e non parziale per garantire all'imputato di difendersi. Ne deriverebbe percio' l'inutilizzabilita', ai fini dell'udienza preliminare, della documentazione realizzata dopo l'invito del g.i.p. di cui all'art. 419, terzo comma, del c.p.p., della quale - si osserva - comunque ci si potra' servire vuoi nel caso di cui all'art. 433, primo comma, del c.p.p., vuoi nella fase dibattimentale. Senza contare che tali atti di indagine, non utilizzabili, come detto, all'udienza preliminare, potrebbero legittimare una richiesta di revoca (art. 435 del c.p.p.) della sentenza di non luogo a procedere, eventualmente emessa. Detta giurisprudenza, pur degna di rilievo per il limite temporale posto alla utilizzabilita' degli atti in indagine "susseguenti" del p.m., non risolve il problema che rileva nella specie: la mancata previsione di un termine, precedente la celebrazione dell'udienza preliminare, per la trasmissione degli atti e relativo deposito. 6. - Posto pertanto che l'attuale soluzione normativa non stabilisce nella fase in esame un termine per la discovery, il collegio si chiede se sussistono ragioni insite nella natura e funzione stessa dell'udienza preliminare, tali da giustificare una parziale menomazione del diritto di difesa in questo momento. La risposta deve essere negativa, in quanto il g.i.p., oltre a disporre il giudizio, puo' emettere sentenza di non luogo a procedere (art. 425 del c.p.p.), sentenza applicativa della pena su richiesta (art. 444 del c.p.p.), infine sentenza conseguente a giudizio abbreviato (art. 438 del c.p.p.). Vale la pena di rilevare che sara' proprio la conoscenza degli elementi raccolti dal p.m. a far si' che l'imputato o ricerchi prove a discarico per ottenere gia' in questa fase il "non luogo a procedere" o, al contrario, si induca ad adire un rito speciale (patteggiamento, abbreviato o immediato), al fine di definire con sollecitudine e vantaggio per se' il procedimento. E', pero', chiaro che solo a seguito di una piena ed ampia discov- ery potra' realizzarsi, da un lato, la complessa valutazione legata alla scelta di propendere per un rito speciale - in relazione alla quale possibilita' deve anche formularsi il riferimento ad un adeguato diritto di difesa -, dall'altro lo studio della linea difensiva da seguire, in vista della prosecuzione del processo nella fase dibattimentale. 7. - Per quanto attiene alle argomentazioni del p.m. poste a sostegno della richiesta di rigetto della sollevata questione, effettivamente l'art. 421, terzo comma, del c.p.p., riconosce alle parti il potere di produrre all'udienza preliminare stessa, prima dell'inizio della discussione, atti e documenti. Cio', secondo l'assunto dal p.m. - qualora riguardato con riferimento alla posizione della difesa - reintegrerebbe il contraddittorio, attribuendo all'imputato un potere di controprova in ordine alla documentazione trasmessa al g.i.p. o presentata alla stessa udienza preliminare ex art. 419, terzo comma, del c.p.p. Deve pero' ritenersi che il riconoscimento del potere in questione attribuito all'imputato non ripristini pienamente il principio della parita' tra le parti: il contraddittorio e' infatti stato leso proprio dalla mancata attuazione della discovery entro un congruo termine precedente l'udienza preliminare. Sicche' la possibilita' dell'imputato di presentare atti e documenti, ex art. 421, terzo comma, del c.p.p., non comportera' pieno diritto alla controprova relativamente alla documentazione di indagine allegabile "a sorpresa" dal p.m. fino al momento dell'inizio della discussione nell'udienza preliminare. La difesa, infatti, avra' potuto discolparsi solo in ordine alla situazione processuale risultante dalla discovery e non anche in riferimento agli atti di indagine "susseguenti" presentati in extremis all'udienza preliminare stessa. La tesi del p.m. non merita percio' accoglimento. 7. - Dalle esposte argomentazioni si ricava che non e' manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 419, terzo comma, del c.p.p., in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui non prevede un termine per l'adempimento dell'obbligo del p.m. di trasmissione al g.i.p. della documentazione degli atti di indagine compiuti dopo la richiesta di rinvio a giudizio. Dovendo poi formulare la detta questione con riferimento a parametri legislativi che consentano di individuare nitidamente il petitum, ai fini della precisazione di detto termine, sembra ci si possa fondatamente richiamare all'art. 430 del c.p.p., riguardante l'attivita' integrativa di indagine del p.m. successiva all'emissione del decreto che dispone il giudizio. L'esigenza, sia di consentire al p.m. la prosecuzione delle indagini per un corretto andamento della giustizia, sia di non dilatare le fasi processuali a seguito di emergenze derivanti da indagini sopravvenute, sia infine di tutelare la discovery e, quindi, il diritto dell'imputato a difendersi in merito a ogni emelento raccolto a suo carico, appaiono poste a fondamento sia dell'art. 430 del c.p.p., sia dello stesso art. 419, terzo comma, del c.p.p. qui impugnato. Ne consegue che l'art. 430 del c.p.p. pur presentando pecularieta' derivanti dall'avanzato stato del procedimento (divieto di compiere atti di indagine per i quali e' prevista la partecipazione dell'imputato o del difensore), costituisce un valido riferimento per la ricerca del termine di trasmissione della documentazione, che deve essere depositata, secondo quanto testualmente affermato "immediatamente". Ne deriva che, altresi' "immediatamente" dovrebbero essere trasmessa la documentazione relativa alle indagini eventualmente espletate dopo la richiesta di rinvio a giudizio. Resta chiaro che, secondo quanto innanzi affermato, con l'invito del g.i.p. a trasmettere la documentazione, viene comunque meno il potere del p.m. di procedere ad ulteriori indagini utilizzabili per l'udienza preliminare. Consegue che l'illegittimita' costituzionale dell'art. 419, terzo comma, in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, appare palesarsi nella parte in cui esso non prevede l'obbligo di "immediata" trasmissione della documentazione di indagine posta in essere dopo la richiesta di rinvio a giudizio, a seguito dell'invito del g.i.p. al p.m. ai sensi dell'art. 419, terzo comma, del c.p.p. Evidentemente, la sanzione processuale per l'inottemperanza dell'obbligo in questione sarebbe l'inutilizzabilita' degli atti stessi ai fini dell'udienza preliminare. 9. - Si segnala, infine, alla Corte la illegittimita' costituzionale conseguenziale (art. 27 della legge 11 marzo 1957, n. 87) dell'art. 421, terzo comma, del c.p.p., in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione. Infatti detta norma processuale, prevedendo la possibilita' del p.m. - e della difesa - di esibire al g.i.p. all'udienza preliminare documenti ed atti, non limita la produzione in tale sede dei soli documenti riconducibili allo schema dell'art. 234 del c.p.p., ma consente di esibire, fino al momento dell'inizio della discussione, anche "atti" di indagine preliminare (consulenze tecniche, assunzioni di informazioni ex art. 362 del c.p.p., ecc.), non trasmette immediatamente a seguito dell'invito del g.i.p. di cui all'art. 419, terzo comma, del c.p.p. Per le ragioni diffusamente esposte, detti atti assumono un effetto chiaramente "a sorpresa" e comportano pertanto lesione del diritto di difesa, proprio per difetto della discovery in un congruo termine antecedente l'udienza preliminare. Conseguentemente l'accoglimento della questione di legittimita' costituzionale riguardante il citato art. 419, terzo comma, del c.p.p., non potrebbe non riflettersi anche sull'art. 421, terzo comma, del c.p.p. nella parte in cui quest'ultimo consentirebbe che atti di indagine, susseguenti alla richiesta di rinvio a giudizio, non trasmessi "immediatamente" ai sensi dell'art. 419, terzo comma, del c.p.p., siano presentati direttamente all'udienza preliminare. Pertanto si devolve alla Corte anche la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 421, terzo comma, del c.p.p., in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, nei termini citati.