LA CORTE DI APPELLO Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento in camera di consiglio promossa da Zarrillo rag. Vincenzo, rappresentato e assistito dagli avvocati procuratori Enrico Siboldi, via S. Sebastiano, 15, Genova, e Vincenzo Maglione di Alassio e presso il primo elettivamente domiciliato, giusta mandato in calce al ricorso, reclamante, con l'intervento del procuratore generale della Repubblica. Con ricorso 21 luglio 1992 Zarrillo Vincenzo chiedeva al tribunale di Savona di pronunciare l'adozione, da parte di esso ricorrente, di Caprarola Stefania, maggiorenne, in quanto nata il 18 gennaio 1974, figlia di prime nozze dell'attuale moglie di esso Zarrillo, Sanna Paola. All'esito della procedura in camera di consiglio, il tribunale, con decreto 5 settembre 1992, dichiarava, ai sensi dell'art. 313 del c.c., di non far luogo all'adozione perche' preclusa, ex art. 291 del c.c., dal fatto di avere lo Zarrillo un figlio legittimo, Paolo, ancora minorenne, essendo nato il 9 aprile 1982, oltre ad una figlia, legittima, Alessandra, maggiorenne, la quale aveva prestato assenso in proprio e in qualita' di curatore speciale del fratello, tale nominata dal giudice tutelare. Osservava, il tribunale, che nella specie la preclusione sussisteva nonostante la sentenza della Corte costituzionale 11-19 maggio 1988, n. 557, giacche' questa aveva dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 291 cit. soltanto nella parte in cui non consentiva l'adozione a persone aventi discendenti legittimi o legittimati maggiorenni e consenzienti. Ha proposto tempestivo reclamo lo Zarrillo con ricorso presentato il 6 ottobre 1992, insistendo nella domanda ed instando a che, ove ritenuto, venga previamente sottoposta alla Corte costituzionale la questione della legittimita' costituzionale dell'art. in parola, in rapporto all'art. 3 della Costituzione, anche per il residuo dettato preclusivo anzidetto. Il reclamante dichiara di ritenere limitativa la "lettura" della sentenza della Corte costituzionale da parte del tribunale, la cui decisione, a suo avviso, si pone in contrasto con lo spirito delle norme sull'adozione e collide con l'art. 3 della Costituzione, per la diversita' di trattamento concepita in relazione a chi - aspirante adottante - abbia discendenti legittimi o legittimati minorenni rispetto a chi li abbia maggiorenni. Il procuratore generale, intervenuto, ha disposto il rigetto del reclamo. O S S E R V A La sentenza della Corte costituzionale n. 557/1988 si e' limitata a dichiarare, in aderenza alla questione allora sollevata, l'illegittimita' costituzionale dell'art. 291 del c.c. nella parte, appunto, in cui non consentiva l'adozione a persone aventi discendenti legittimi o legittimati maggiorenni e consenzienti. Premesso che il legislatore, in via di principio, nell'esercizio del suo potere discrezionale, puo' contenere l'istituto dell'adozione entro l'ambito ritenuto piu' opportuno per salvaguardare i diritti dei membri della famiglia legittima e che e' tuttavia necessario che la normativa non comporti limitazioni eccessive, e come tali irrazionali, rispetto allo scopo perseguito, si' da violare l'art. 3 della Costituzione, la sentenza ha rilevato che, mentre l'esistenza del coniuge non osta all'adozione, sempre che questi presti il suo assenso, ex art. 297, primo comma, del c.c., la circostanza che vi siano figli legittimi o legittimati, benche' maggiorenni e consenzienti, impedisce l'adozione. "Tale differente valutazione legislativa dell'assenso di persone (rispettivamente coniuge e figli), tutte facenti parte della famiglia legittima dell'adottante ed egualmente interessate, sia sotto l'aspetto morale che sotto quello patrimoniale, anche in relazione al favor sempre dimostrato dal legislatore verso l'istituto, appare, ha affermato la Corte costituzionale, chiaramente incongrua. Non sussiste, infatti, un motivo razionale per ritenere sufficientemente tutelata la posizione del coniuge attraverso la previsione del suo assenso, e per non disporre analogamente, in una situazione sostanzialmente identica rispetto ai discendenti legittimi o legittimati maggiorenni e consenzienti. Deve concludersi che la norma impugnata viola, per la parte a cui si riferisce l'ordinanza di rimessione, il principio di eguaglianza (art. 3 della Costituzione) e deve quindi esserne dichiarata l'illegittimita' costituzionale". Questi sono gli esatti limiti entro cui ha perso vigore la preclusione contenuta nell'art. 291, la quale, pertanto, non puo' che essere considerata tuttora operante nel caso, qual e' quello in esame, dell'esistenza di un figlio legittimo minorenne dell'aspirante adottante. La corte di appello di Napoli, con ordinanza 13 novembre 1991, ha sollevato d'ufficio ulteriore questione di legittimita' costituzionale in relazione al caso di esistenza di figlio legittimo o legittimato, dell'aspirante adottante, maggiorenne, ma incapace di esprimere l'assenso perche' interdetto per infermita' di mente. La Corte costituzionale, con sentenza 7 luglio 1992, ha peraltro dichiarato la questione infondata, nel ricostruito sistema normativo, osservando che la prospettazione della Corte remittente non teneva adeguatamente conto dell'art. 297, secondo comma, ultima parte, del c.c., in rapporto all'impossibilita' di ottenere l'assenso per incapacita' delle persone chiamate ad esprimerlo. "In tal caso", ha affermato la sentenza, "il tribunale puo' egualmente pronunziare l'adozione con le modalita' previste dall'art. 297 del c.c., apprezzando gli interessi indicati nella stessa disposizione. Questa specifica disciplina", ha considerato la Corte, "pur se inserita nel contesto delle disposizioni relative all'assenso del coniuge e dei genitori, assume, nel rispetto del tenore letterale del testo normativo che si riferisce a tutte le persone chiamate ad esprimere il proprio assenso all'adozione, un significato ed un contenuto generale e, quindi, a seguito della sentenza di questa Corte n. 557/1988, deve essere applicata anche ai discendenti legittimi o legittimati dell'adottante, quando e' impossibile ottenere il loro assenso per incapacita'". Ma l'ancor diverso caso in esame non sembra poter essere risolto tout court con il ritenerlo attratto, a sua volta, nell'ambito dell'art. 297 come effetto automatico ulteriore della pronuncia della Corte costituzionale del 1988. Allo stato attuale, l'art. 291 pare, ripetesi, tuttora assolutamente preclusivo di fronte all'esistenza di discendenti - nella specie figlio - minorenni (sempre, s'intende, legittimi o legittimati) dell'aspirante adottante. Per cui si affaccia la nuova questione di legittimita' costituzionale, dalla cui risoluzione dipende la definizione del presente procedimento, dato che si prospettano sussistenti gli altri requisiti di legge; nuova questione che, atteggiantesi nei termini essenziali che seguono, non appare manifestamente infondata. E' giustificata la restante discriminazione, agli effetti dell'applicabilita' dell'istituto, fra l'incapacita' d'agire del minore e quella da infermita' di mente dell'interdetto? Importante differenza sostanziale, in effetti, e' quella della istituzionalmente predeterminata transitorieta' della prima, connessa alla normale crescita della persona, rispetto alla seconda, dipendente questa, dall'accertando evolversi o risolversi nel tempo della genericamente intesa patologia mentale (art. 429 del c.c.); la quale peraltro, dovendo essere contrassegnata, perche' si possa far luogo all'interdizione, dal carattere dell'abitualita',pur non sinonimo di inguaribilita', in molti casi difficilmente regredisce nel breve/medio termine, nonostante le terapie e i trattamenti, ed e' quindi spesso legata ad incertezza di prognosi, quando non a prognosi di irreversibilita' per progressivo decadimento cerebrale e/o dissesto dei delicati equilibri fra le facolta' superiori. All'atto pratico, ammettere anche il caso del discendente minorenne fra quelli dell'art. 297 (u.p.), nei quali, all'impossibilita' di ottenere l'assenso si sopperisce con la pur prudente valutazione del giudice, porterebbe a soluzioni irrevocabilmente privative, per il giovane soggetto interessato, dell'esercizio, a termine magari abbastanza prossimo a maturare, di quella facolta' personalissima di non assenso, con il di lui assoggettamento ai relativi effetti, in particolare, restrittivi sul piano patrimoniale, immediati e futuri (art. 567 pr. c. in relazione al 566 del c.c.). Non si deve, invero, negligere la considerazione della finalita' che, sebbene con i forti contemperamenti e le attenuazioni portati dall'evoluzione dell'istituto, con il crescente favor nei confronti del formarsi della famiglia adottiva e, in particolare, nei confronti dell'adottando, l'adozione, ora "ordinaria" - affiancata da quella specificamente introdotta in chiave marcatamente sociale, a beneficio del delicato settore dei minorenni in stato di abbandono (dove e' possibile l'adozione anche in presenza di figli legittimi minorenni) - ha pur sempre conservato, o comunque non ha del tutto perduto, la finalita', cioe', della perpetuazione del nome dell'adottante e della trasmissione del relativo patrimonio. In un contesto nel quale l'eventuale gia' esistente famiglia legittima dell'aspirante adottante, nei suoi componenti piu' stretti, non puo' essere relegata in secondo piano (vedasi, significativa, nell'art. 297, secondo comma, pr. p., la disciplina correlata al dissenso del coniuge dell'adottante, rispetto a quella relativa al dissenso dei genitori dell'adottando, il quale nel nuovo quadro normativo e' necessariamente maggiorenne e quindi non piu' soggetto alla potesta' genitoriale). Questi differenziali aspetti problematici potrebbero tuttavia, in altra ottica, essere ritenuti affrontabili adeguatamente proprio con il saggio apprezzamento del giudice, il quale, valutando comparativamente gli interessi in campo e gli elementi specifici del caso singolo, potrebbe, ad esempio, pervenire ad una decisione, allo stato, di non opportunita' di far luogo all'adozione, la' dove prossimo sia il raggiungimento della maggiore eta' del discendente dell'aspirante adottante, preservandogli l'esercizio personale di quella condizionante facolta'. La questione di legittimita' costituzionale che sta alla base non puo' mancare, pertanto, di essere sottoposta al giudice delle leggi.