OSSERVA IN FATTO Il reclamo proposto dal Mellone concerne il decreto ministeriale 25 novembre 1992 in forza del quale, in data 27 novembre 1992, egli veniva sottoposto al regime previsto dall'art. 41- bis cit., con conseguente modificazione del trattamento penitenziario: 1) non sara' consentito partecipare al sorteggio mensile per la designazione dei detenuti e degli internati (artt. 9, 12 e 27 della legge n. 354/1975); 2) saranno consentiti colloqui con i famigliari e conviventi con frequenza complessivamente non superiore a due al mese. Non saranno consentiti colloqui con persone diverse dai congiunti, dai conviventi e dai difensori, salvo per il comprovato di atti giuridici (art. 18, primo comma, e art. 35, primo comma, del d.P.R. n. 431/1976); 3) sara' consentito un solo colloquio telefonico mensile alle condizioni di legge; 4) non sara' consentita corrispondenza epistolare e telegrafica non sottoposta a visto di controllo da parte della direzione; 5) non sara' consentita la permanenza all'aria aperta per piu' di due ore al giorno; 6) saranno sospesi i colloqui premiali; 7) sara' consentito il possesso, l'acquisto, la ricezione dei generi ed oggetti permessi dal regolamento interno, nei limiti in cui cio' non comporta pericoli per la sicurezza. In particolare sara' consentita la ricezione soltanto di due pacchi mensili nei limiti di peso gia' stabilito che possono contenere esclusivamente abiti, biancheria e indumenti intimi; 8) non sara' consentita la ricezione dall'esterno di somme in peculio superiore all'ammontare mensile stabilito ai sensi dell'art. 54, sesto comma, del d.P.R. 29 aprile 1976, n. 431 e invio di somme all'esterno, fermo restando il pagamento di spese inerenti alla difesa legale e il pagamento di multa o di ammende (art. 25 della legge n. 354/1975); 9) non sara' consentito lo svolgimento di attivita' artigianali per proprio conto e per conto terzi (c.d. lavoro a domicilio, art. 20, ottavo comma, della legge n. 354/1975). Le sopracitate disposizioni hanno efficacia sino al 24 novembre 1993. A fondamento del reclamo il detenuto assume che detto regime compromette il proprio stato di salute, gia' debilitato. Il reclamo proposto appare identico a quello gia' proposto da altri detenuti, per i quali questo tribunale con ordinanze del 17 marzo 1993 (Ercolano Salvatore) e 7 aprile 1993 (Nuvoleta Lorenzo) ha ritenuto di sollevare, dinanzi alla Corte costituzionale, questione di legittimita' costituzionale; identico e', infatti, il provvedimento amministrativo oggetto del reclamo, adottato, ai sensi dell'art. 41- bis o.p., dal Ministro di grazia e giustizia il 20 luglio 1992. In relazione al reclamo de quo, appare dunque necessario richiamare coerentemente le stesse considerazioni gia' svolte nella citata ordinanza del 17 marzo 1993, prospettando la medesima questione di legittimita' costituzionale. OSSERVA IN DIRITTO Preliminare appare la questione della ammissibilita' del reclamo ai sensi dell'art. 14- ter o.p. avverso il provvedimento ministeriale. Il dato dal quale occorre partire e' quello relativo all'assenza di una specifica disposizione legislativa che preveda la facolta' di reclamo avanti alla magistratura di sorveglianza da parte del detenuto, avverso il provvedimento amministrativo di applicazione del regime detentivo di cui all'art. 41- bis o.p. A fronte della mancanza di un'espressa disposizione normativa che contempli la possibilita' di un controllo giurisdizionale ad opera della Autorita' Giudiziaria ordinaria nei confronti dell'atto ministeriale sospensivo delle regole trattamentali, occorre stabilire se possa applicarsi in via analogica la disciplina dettata dall'art. 14- ter o.p. per il reclamo avverso il regime di sorveglianza particolare di cui all'art. 14- bis o.p. Ritiene questo collegio che non possa farsi ricorso, per analogia, alla procedura contemplata dal citato art. 14- ter o.p., stante l'impossibilita' di assimilare, quanto alla ratio legis ed ai presupposti, il regime di sorveglianza particolare ex art. 14- bis o.p. a quello di cui al secondo comma dell'art. 41- bis o.p. In proposito, deve osservarsi come certamente diverse sono le finalita' cui tendono i due istituti della sorvegianza particolare e della sospensione delle normali regole del trattamento penitenziario. Mentre il primo risponde all'evidente intento di garantire, da un lato, la tutela della sicurezza e dell'ordine nelle carceri, assicurando comunque il normale svolgimento delle attivita' trattamentali volte al perseguimento della finalita' rieducativa della pena, e, d'altro lato, la convivenza pacifica e paritaria tra i reclusi, il regime previsto dal citato art. 41-bis, secondo comma, o.p., il quale sostanzialmente riproduce l'abrogato art. 90 o.p., mira a tutelare esigenze estranee al governo interno degli istituti ed inerenti, invece, alla situazione esterna agli stessi, che potrebbe essere compromessa da iniziative di persone ristrette. Non deve dimenticarsi, infatti, che l'occasio legis determinante l'emanazione del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, successivamente convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356, il quale ha introdotto il secondo comma dell'art. 41- bis o.p., fu proprio una grave situazione di emergenza esterna. Peraltro, l'intento del legislatore di utilizzare il regime di sospensione delle regole trattamentali non come strumento teso ad assicurare l'ordine all'interno degli istituti di pena, ma, piuttosto, come mezzo di contrasto di situazioni di grave pericolo per l'ordine pubblico, e' espressamente richiamato dal comma secondo dell'art. 41- bis o.p. il quale fa riferimento a "motivi di ordine e di sicurezza pubblica" e attribuisce al Ministro degli interni il potere di richiedere l'adozione del provvedimento di sospensione delle regole trattamentali. Anche la diversa collocazione sistematica degli artt. 14- bis e 41- bis o.p. depone per una sostanziale diversita' dei due istituti: invero, mentre il primo e' inserito nel capo terzo concernente le modalita' del trattamento, il secondo si trova nel capo quarto relativo al regime penitenziario. Se certamente diversi debbono configurarsi, per le ragioni sin qui esposte, la ratio ed i presupposti del provvedimento di sorveglianza particolare applicato nei casi previsti dalle lettere a), b) e c), dell'art. 14-bis, primo comma o.p., rispetto a quelli del regime di cui al secondo comma dell'art. 41- bis o.p., nondimeno quest'ultimo si differenzia, nei suoi presupposti, dalla fattispecie di cui al quinto comma dell'art. 14- bis o.p. Mentre nella ipotesi di cui al primo comma dell'art. 14- bis o.p. gli elementi dai quali desumere la pericolosita' sociale dei detenuti da sottoporre al regime di sorveglianza particolare ineriscono esclusivamente alla condotta inframuraria, il quinto comma della norma medesima subordina l'applicazione delle restrizioni detentive all'esistenza di comportamenti, sintomatici di pericolosita', tenuti non solo in costanza di detenzione ma anche in liberta'. Tuttavia anche quest'ultima fattispecie e' sostanzialmente diversa da quella introdotta dall'art. 19 della legge n. 356/1992: invero la sottoposizione al regime di cui all'art. 41- bis o.p. riguarda esclusivamente "i detenuti per taluno dei delitti di cui al comma primo dell'art. 4- bis legge 26 luglio 1975, n. 354", con riferimento ai quali il legislatore pare aver sancito una presunzione di pericolosita' sociale in relazione al mero titolo di reato. L'ipotesi di applicazione della sorveglianza particolare introdotta al quinto comma dell'art. 14- ter o.p. si fonda, invece, su precedenti penitenziari o altri comportamenti tenuti, indipendentemente dalla natura dell'imputazione, in stato di liberta', con l'espressa esclusione del mero riferimento alla natura del reato per il quale il detenuto e' indagato o ha subito condanna (cfr. in tal senso Cassazione, sezione prima, sentenza del 7 ottobre 1987). Sulla base delle considerazioni fin qui esposte ritiene questo collegio che, non potendosi applicare in via analogica il procedimento previsto dall'art. 14- ter o.p. per le ipotesi di sorveglianza particolare, occorre verificare se il provvedimento di sospensione delle regole trattamentali ex art. 41-bis, secondo comma o.p. sia sottoponibile al controllo giurisdizionale avanti ad altre autorita' giudiziarie. Ci si puo' chiedere se sia ravvisabile la giurisdizione in materia del magistrato di sorveglianza. In proposito va in primo luogo osservato che non e' rinvenibile alcuna norma che attribuisca al detenuto la facolta' di instaurare, con le garanzie del contraddittorio, dinanzi al magistrato di sorveglianza, un procedimento giurisdizionale avente ad oggetto il provvedimento di cui all'art. 41- bis o.p. cosi' come il legislatore ha invece previsto all'art. 69 o.p., richiamando la procedura di cui all'art. 14- ter o.p., per i reclami avanzati in materia di lavoro e di esercizio del potere disciplinare. Come e' noto, il magistrato di sorveglianza, in qualita' di organo monocratico, esercita una funzione diretta a sovrintendere l'esecuzione delle pene, tramite l'attivita' di vigilanza sulla organizzazione degli istituti di prevenzione e di pena (consistente anche nel prospettare al Ministero le esigenze dei vari servizi) e della custodia nei confronti degli imputati, assicurando il rispetto delle norme imposte da leggi e regolamenti. In capo al magistrato di sorveglianza e' ravvisabile, pertanto, un potere di controllo sulla legalita' dell'azione della amministrazione penitenziaria sia periferica che centrale. Se le doglianze dedotte dal detenuto sottoposto al regime di cui al secondo comma dell'art. 41- bis o.p., nell'ambito di detto potere di vigilanza, ben possono essere prospettate al magistrato di sorveglianza nella forma del reclamo, cosi' come previsto dall'art. 35 o.p., tuttavia non appare configurabile, nell'esercizio di tale potere sancito dall'art. 69, primo e secondo comma o.p., alcuna forma di tutela giurisdizionale. Tale norma nulla stabilisce in ordine alle modalita' con cui viene concretamente esercitata la funzione di vigilanza, salva l'indicazione di un generico potere di prospettazione al Ministero delle necessita' di volta in volta emergenti in relazione ai servizi penitenziari volti ad attuare il trattamento rieducativo. A fronte del silenzio del legislatore, il quale non introduce alcun mezzo di impugnazione specifico da esperire dinanzi all'organo monocratico, il suddetto potere di controllo certamente non assume la veste dell'atto giurisdizionale, bensi' di un'attivita' meramente amministrativa, seppure promanante da una autorita' giudiziaria. Se quindi il detenuto sottoposto al regime penitenziario di cui all'art. 41-bis, secondo comma o.p., il quale si ritenga leso dal provvedimento penitenziario, non dispone di alcuno strumento giurisdizionale da esperire davanti all'autorita' giudiziaria ordinaria, resta da accertare se rimane per il detenuto reclamante la facolta' di adire l'autorita' giudiziaria amministrativa, secondo i principi generali che regolano la giustizia amministrativa. E' da ricordare, in proposito, che, nella vigenza dell'art. 90 della legge 26 luglio 1975, n. 354, il quale disciplinava analogo potere ministeriale di sospensione delle regole del trattamento, il t.a.r. affermava il proprio difetto di giurisdizione sui reclami proposti dai detenuti avverso l'atto amministrativo di sottoposizione al regime di cui all'art. 90 o.p. (t.a.r. Lazio sezione I, sentenza 13 settembre 1984, n. 771). In particolare il t.a.r. osservava che "gli effetti del riparto di giurisdizione fra giudice ordinario e giudice amministrativo, cio' che conta non e' la qualificazione giuridica che l'istante conferisce alla posizione soggettiva di cui chiede tutela, ma la reale consistenza di detta posizione cosi' come risulta disciplinata dalle fonti di normazione .." non potendo " .. dubitarsi che i provvedimenti ministeriali che hanno disposto nei confronti dei ricorrenti la sospensione delle regole del trattamento carcerario (art. 90 della legge 26 luglio 1975, n. 354), incidono in via immediata e diretta su posizioni giuridiche soggettive qualificabili come diritti di liberta' costituzionalmente garantiti. Nei confronti delle determinazioni impugnate i ricorrenti si presentano quindi come titolari di diritti soggettivi inviolabili i quali, proprio per la loro inerenza alla persona umana e per essere costituzionalmente garantiti innanzitutto nei confronti dell'autorita' pubblica, per definizione non sono degradabili ad interessi legittimi .. nei loro confronti sono infatti ipotizzabili forme di restrizione nei casi e con le procedure garantistiche espressamente previsti dalla legge, ma mai la loro degradazione ad interessi legittimi, la quale presuppone poteri ablatori in capo all'amministrazione di cui quest'ultima certamente non dispone". Le considerazioni riportate paiono a questo tribunale pienamente condivisibili. Non vi e', infatti, chi non veda come il regime penitenziario di cui al secondo comma dell'art. 41- bis o.p. incida non certo su posizioni di mero interesse legittimo e come tali tutelabili in via esclusivamente amministrativa, bensi' sui diritti essenziali della persona umana (in primo luogo il diritto alla liberta' personale ed, inoltre, anche i diritti alla liberta' di espressione e di comunicazione) riconosciuti dalla Costituzione, la cui compressione non puo' mai determinare l'affievolimento degli stessi ad interessi legittimi. Se, quindi, la posizione giuridica soggettiva su cui incide direttamente l'atto amministrativo ministeriale rientra nella categoria dei diritti soggettivi, ne deriva, in ossequio al criterio del riparto della giurisdizione, il difetto di giurisdizione dell'Autorita' Giudiziaria amministrativa in ordine ai reclami avanzati dai detenuti sottoposti al regime penitenziario di cui all'art. 41- bis o.p. Ritiene questo collegio che la mancata previsione di un mezzo di impugnazione avverso il provvedimento emesso ai sensi dell'art. 41-bis, secondo comma o.p., contrasti con alcuni principi costituzionali e, che, pertanto, detta norma debba essere sottoposta al vaglio della Corte costituzionale. Va in primo luogo affermata la rilevanza della prospettata questione di legittimita' costituzionale ai fini della decisione. Invero, il giudizio instaurato avanti a questo tribunale ha, come fine essenziale, quello di consentire un controllo di legittimita' dell'operato dell'amministrazione penitenziaria che ha sottoposto il detenuto Mellone Ferdinando al regime trattamentale di cui al secondo comma dell'art. 41- bis o.p. Orbene, l'eventuale pronuncia di illegittimita' costituzionale della norma richiamata nella parte in cui non prevede la possibilita' per il detenuto di impugnare il provvedimento ministeriale sospensivo delle regole del trattamento, consentirebbe a questo tribunale di esaminare il merito del reclamo e quindi di pronunciarsi in ordine alla legittimita' del provvedimento di cui il detenuto chiede la disapplicazione. Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, ritiene questo tribunale che il secondo comma dell'art. 41- bis o.p. appaia in contrasto con i seguenti principi costituzionali: 1) art. 3 della Costituzione laddove a situazioni eguali - detenuti che si vedono comprimere i propri diritti personali a fronte di maggiori esigenze di sicurezza e di controllo della pericolosita' di volta in volta individuate - non corrisponderebbero eguali garanzie giurisdizionali. Invero, mentre il provvedimento dell'amministrazione penitenziaria che dispone il regime di sorveglianza particolare consistente, ai sensi dell'art. 14-quater o.p., in restrizioni dell'esercizio dei diritti dei detenuti e delle regole del trattamento, e' sottoposto alla giurisdizione del tribunale di sorveglianza attraverso la proposizione del reclamo previsto dall'art. 14- ter o.p. assistito da tutta una serie di garanzie idonee ad assicurare un regolare contraddittorio delle parti, l'atto amministrativo di sottoposizione al regime penitenziario di cui al secondo comma dell'art. 41- bis o.p. che pure, si e' visto, incide in misura gravemente repressiva sui diritti essenziali dell'individuo costituzionalmente tutelati, sfugge a qualsiasi tipo di controllo di legalita' in ordine alla conformita' dello stesso alla legge, non consentendo a colui che vi e' sottoposto, di dolersi dell'eventuale illegittimita'; 2) art. 24 comma primo della Costituzione secondo cui "tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti", norma che deve essere letta insieme all'invocato principio di eguaglianza di cui costituisce una specificazione (Corte costituzionale, sent. n. 55/1974). Il diritto alla tutela giurisdizionale sancito da tale norma "va annoverato fra i principi supremi del nostro ordinamento costituzionale in cui e' intimamente connesso con lo stesso principio di democrazia l'assicurare a tutti e sempre, per qualsiasi controversia, un giudice ed un giudizio" (cosi' ha affermato la Corte costituzionale nella sentenza n. 18/1982). Nel caso che qui occupa, e' pacifico, come piu' volte ricordato, che il provvedimento ministeriale di sottoposizione al regime di cui all'art. 41- bis o.p. incide su posizioni giuridiche soggettive qualificabili come diritti e, come tali, oggetto di indefettibile tutela giurisdizionale intesa come possibilita' di esercizio dell'azione processuale e, una volta instaurato il giudizio, come possibilita' di vedersi assicurata la facolta' di difesa sotto il duplice profilo della difesa tecnica, e del rispetto del principio del contraddittorio; 3) art. 113, primo e secondo comma, della Costituzione, secondo cui "contro gli atti della pubblica amministrazione e' sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi della giurisdizione ordinaria o amministrativa. Tale tutela giurisdizionale non puo' essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti". La norma, che costituisce puntuale specificazione ed applicazione di quanto disposto in termini generali dal primo comma dell'art. 24 della Costituzione e che deve essere letta in connessione al principio di eguaglianza, garantisce la giurisdizione dell'autorita' giudiziaria ordinaria in materia di diritti soggettivi dei singoli che si ritengano lesi da un atto della pubblica amministrazione. Corollari del principio di cui al primo comma sono i divieti sanciti dal successivo secondo comma. La regola della indefettibilita' della tutela prevista dall'art. 113 della Costituzione non pare rispettata nel caso di specie posto che avverso il provvedimento ministeriale che applica nei confronti del singolo detenuto il regime penitenziario di cui al secondo comma dell'art. 41- bis o.p., incidente, si ripete, sui diritti soggettivi del medesimo, la legge non attribuisce al recluso alcun mezzo di impugnazione avanti all'autorita' giudiziaria ordinaria, laddove la magistratura di sorveglianza e' pacificamente riconosciuta quale giudice naturale della situazione giuridica sostanziale del detenuto nei suoi rapporti con l'Amministrazione penitenziaria, allorche' l'operato di questa venga ad incidere sui suoi diritti soggettivi.