IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul ricorso proposto dal
 dott. Sergio Vero, rappresentato e difeso dall'avv.    Enzo  Paolini,
 presso  il cui studio, in Cosenza, viale della Repubblica, n. 110, e'
 elettivamente domiciliato, contro l'unita' sanitaria locale n. 18  di
 Catanzaro,   in   persona   del   legale  rappresentante  in  carica,
 rappresentato e difeso dagli avv.ti R.  Di  Lieto  e  A.  Forte;  per
 l'annullamento  della  delibera  di revoca dell'autorizzazione a pre-
 stare attivita' di consulenza presso la Casa di cura privata, ammessa
 dalla U.S.L. n. 18 di Catanzaro, in data 26 novembre 1992.
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Designato alla  camera  di  consiglio  del  18  febbraio  1993  la
 dott.ssa  Concetta Anastasi e uditi, altresi', l'avv.  M. Paolini per
 il  ricorrente  e  gli  avv.ti  R.  Di   Lieto   e   A.   Forte   per
 l'amministrazione intimata;
    Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
                               F A T T O
    Con  ricorso  depositato  in data 28 gennaio 1993, il dott. Sergio
 Vero ha impugnato - chiedendone  l'annullamento,  previa  concessione
 della  sospensione  degli  effetti  -  la  deliberazione  indicata in
 epigrafe, con cui la U.S.L.  n.  18  di  Catanzaro  gli  ha  revocato
 l'autorizzazione  a  prestare  attivita' di consulenza presso casa di
 cura privata, nonche' tutti gli atti propedeutici e conseguenziali  o
 comunque connessi.
    Premette  in fatto il ricorrente, medico specialista in radiologia
 nonche' dipendente del servizio sanitario nazionale, di aver prestato
 attivita' di consulenza presso una casa di cura privata  fino  al  31
 dicembre  1992,  in virtu' di una convenzione, all'uopo sottoscritta,
 tra la predetta casa di cura e la U.S.L. n. 18 di Catanzaro, ai sensi
 dell'art. 35 del d.P.R. n. 761/1979.
    Successivamente, in seguito all'entrata in vigore della  legge  n.
 412/1991, la U.S.L. n. 18 di Catanzaro, con la delibera impugnata, e'
 intervenuta revocando la preesistente autorizzazione all'espletamento
 della  predetta  attivita'  di  consulenza, in attuazione del divieto
 stabilito con l'art. 4, settimo comma della legge  n.  412/1991,  che
 disciplina  i  casi  di incompatibilita' fra l'esercizio della libera
 professione del sanitario ed il rapporto  di  lavoro  dipendente  dal
 servizio sanitario nazionale.
    A  sostegno  del  proprio ricorso, il dott. Sergio Vero deduce, in
 via principale,  la  illegittimita'  della  delibera  impugnata,  per
 eccesso  di  potere  e  solleva  -  in via subordinata - questione di
 legittimita' costituzionale del settimo comma dell'art. 4 della legge
 n. 412/1991, in relazione agli artt. 3, 32 e 35 della Costituzione.
    Nella camera del consiglio del 18 febbraio 1993, il  collegio,  ha
 accolto  la  domanda  di  sospensione  del  provvedimento  impugnato,
 motivando per relationem con riferimento alla presente ordinanza.
    L'amministrazione intimata si e' costituita in giudizio.
                             D I R I T T O
    La    disposizione     di     legge,     asseritamente     viziata
 costituzionalmente, e' stata indicata espressamente anche con
 riferimento alle disposizioni della Costituzione che si assumono vio-
 late, ai sensi dell'art. 23, lettera a) e b), della legge
 n. 87/1953.
    Il  presente  giudizio  non  e'  suscettibile  di  essere definito
 indipendentemente dalla risoluzione della questione  di  legittimita'
 costituzionale  eccepita, posto che dalla risoluzione della questione
 stessa dipende l'accoglimento o meno del ricorso proposto.
    La questione e' non manifestamente  infondata  in  relazione  agli
 artt. 3, 32 e 35 della Costituzione.
    La norma di cui al settimo comma dell'art. 4 della legge n. 412/91
 -   che   qui   si  sospetta  di  incostituzionalita'  -  esclude  la
 possibilita'  per  i  medici  ospedalieri  del   Servizio   sanitario
 nazionale  di  esercitare  la libera professione in case di cura pri-
 vate, convenzionate con il Servizio sanitario nazionale.
    La disposizione di cui al comma settimo dell'art. 4 della legge n.
 412/91 prevede, in altro passaggio,  che  il  medico  dipendente  del
 Servizio  sanitario nazionale, possa esercitare la libera professione
 al  di  fuori  dell'orario  di  lavoro  all'interno  delle  strutture
 pubbliche ovvero "all'esterno delle stesse", cioe', in altri termini,
 anche  nelle case di cura non convenzionate con il Servizio sanitario
 nazionale.
    La previsione  legislativa  sembra  essere  in  contrasto  con  il
 principio  della  parita' di trattamento fra il sanitario, che presta
 la propria attivita'  libero  professionale  in  strutture  pubbliche
 oppure in strutture private non convenzionate, e quello che presta la
 propria  attivita'  professionale  in strutture private convenzionate
 con il Servizio sanitario nazionale, cui si pone un divieto.
    Il  corpo  normativo,  nel  quale  la   disposizione   legislativa
 asseritamente   incostituzionale   e'   inserita,  e'  ispirato  alla
 realizzazione del principio relativo al divieto di "duplicazione" del
 rapporto di lavoro con il Servizio sanitario nazionale.
    Tuttavia, nel caso disciplinato dalla norma de  qua,  mancano  del
 tutto   i  presupposti  per  la  realizzazione  della  "duplicazione"
 predetta, poiche' l'attivita' libero-professionale del sanitario  non
 viene realizzata con soggetto privato nonche' "iure privatorum".
    Inoltre,   e'   da   rilevare  che,  anche  in  strutture  private
 convenzionate, esistono  reparti,  unita'  di  degenza,  settori  non
 convenzionati.
    La   norma   de  qua  vieta  anche  l'espletamento  dell'attivita'
 professionale  del  medico  che  potrebbe  operare  in  settori   non
 convenzionati di strutture private convenzionate.
    In  realta', l'esistenza o meno di una convenzione fra una casa di
 cura privata ed il Servizio sanitario nazionale  non  puo'  ritenersi
 rilevante  ai  fini  dello  svolgimento  dell'attivita' del sanitario
 dipendente ospedaliero, perche' la  convenzione  opera  al  di  fuori
 della  sua  sfera - che rimane circoscritta ad un rapporto di locatio
 operis strettamente di diritto privato ed  effettuata  con  modalita'
 puramente  libere nella disciplina, per cui non e' possibile ritenere
 che essa sia in grado di invalidare il principio della "unicita'" del
 rapporto di lavoro.
    La  rilevanza  della  disposizione  -   che   si   assume   essere
 suscettibile  di  violazione  della  Costituzione  - ha una ulteriore
 incidenza sul piano piu' generale della tutela del diritto  alla  sa-
 lute.
    Non  vi e' dubbio, infatti, che, per le collettivita' stanziate in
 zone in cui sono particolarmente  carenti  i  servizi  forniti  dalle
 strutture pubbliche, un divieto di tal genere priverebbe - di fatto -
 ogni  possibilita'  di  tutela "alternativa" della salute, rispetto a
 quella fornita dal Servizio sanitario nazionale, posto che, in  molte
 zone,  come quella in cui vive ed opera il ricorrente, quasi tutte le
 case di cura private sono convenzionate  con  il  Servizio  sanitario
 nazionale.
    Le  suesposte  considerazioni  consentono di valutare la rilevanza
 delle censure di anticostituzionalita' svolte.
    Con  riferimento  al  dedotto  contrasto  con   l'art.   3   della
 Costituzione  -  principio  di  eguaglianza  formale  -  e' opportuno
 ricordare l'interpretazione che  dell'art.  3  ha  fornito  la  Corte
 costituzionale  secondo  cui  esso mira ad impedire che - a danno dei
 cittadini - le  leggi  possano  operare  discriminazioni  arbitrarie,
 posto  che  il  legislatore  (sentenza n. 62/72) puo' disciplinare in
 modo eguale situazioni eguali ed in modo diverso  quelle  differenti:
 sempre  che  -  in  contrario  -  non  ricorrono  logiche e razionali
 giustificazioni.  In  altri  termini  (sentenza   n.   200/1972)   la
 discrezionalita'   legislativa   trova   sempre   un   limite   nella
 ragionevolezza delle statuizioni, volte a giustificare la  disparita'
 di trattamento fra i cittadini.
    Ad  avviso  del  Collegio  remittente,  la  norma,  sospettata  di
 incostituzionalita' dal ricorrente, potrebbe essere  suscettibile  di
 presentare  sperequazioni  illogiche  ed irrazionali nella disciplina
 per le diverse modalita' di espletamento della libera professione del
 sanitario dipendente del Servizio sanitario nazionale.
    Le suindicate presunte illogicita' della disposizione  legislativa
 de  qua  presentano  dubbi  di illegittimita' costituzionale anche in
 relazione all'art. 35, primo comma della Costituzione.
    Infatti,  la  disparita'  di  trattamento  -  qualora  si  ritenga
 ingiustificata  -  fra  il  sanitario che presta la propria attivita'
 libero-professionale all'interno delle  strutture  pubbliche,  ovvero
 anche  in strutture private non convenzionate, e fra il sanitario che
 presta la propria attivita'  all'interno  di  casa  di  cura  privata
 convenzionata   (e   magari   in  settore  non  convenzionato  ovvero
 intrattenendo un rapporto privatistico con il paziente, al  di  fuori
 di  ogni  contatto  -  sia pure indiretto - con il Servizio sanitario
 nazionale) si traduce in una limitazione - da parte del legislatore -
 del diritto al lavoro, che la Costituzione garantisce.
    E' ancora opportuno esaminare un  ulteriore  profilo  di  sospetta
 illegittimita' della disposizione di cui al comma settimo dell'art. 4
 della legge n. 412/1991, in relazione all'art. 32 della Costituzione,
 posto  che  il divieto de quo, se si ritiene ingiustificato, ha delle
 inevitabili ripercussioni per la collettivita', in ordine alla tutela
 del diritto alla salute del cittadino.
   La giurisprudenza  costituzionale  ha  considerato  la  tutela  del
 diritto   alla   salute  come  articolato  in  situazioni  giuridiche
 soggettive  diverse:  infatti,  sotto   il   profilo   della   difesa
 dell'integrita'  fisico-psichica della persona umana, il diritto alla
 salute  e'  un  diritto  erga  omnes,  direttamente   tutelabile   ed
 azionabile  nei  confronti  degli  autori  dei comportamenti illeciti
 (sent. nn. 88/1979, 184/1986  e  559  del  1987),  mentre,  sotto  il
 profilo del diritto a trattamenti sanitari, il diritto alla salute e'
 soggetto  alla  "determinazione degli strumenti, dei tempi e dei modi
 di  attuazione"  della  relativa  tutela  da  parte  del  legislatore
 ordinario (sent. nn. 142/1982, 81/1966, 175/1982, 212/1983, 226/1983,
 342/1985 e 1011 del 1988).
    Il  diritto  alla  salute,  inteso  come   diritto   ad   ottenere
 trattamenti  sanitari,  ha  natura  programmatica  e,  quindi, la sua
 attuazione appartiene al legislatore ordinario, che  deve  concretare
 un    bilanciamento    fra    tale   diritto   ed   altri   interessi
 costituzionalmente protetti, tenuto conto dei limiti  oggettivi,  che
 lo   stesso   legislatore   incontra,   in   relazione  alle  risorse
 organizzative e finanziarie di cui  dispone  al  momento  (sent.  nn.
 992/1988,  313/1989, 127/1990 e 298 del 1990), senza che questo possa
 comportare una degradazione della tutela primaria,  assicurata  dalla
 Costituzione, ad una puramente legislativa.
    Il  predetto  bilanciamento, operato dal legislatore, rimane pero'
 soggetto al sindacato della Corte costituzionale nelle  forme  e  nei
 modi   propri   all'uso  della  discrezionalita'  legislativa,  anche
 rispetto  alle  cosiddette   "prestazioni   aggiuntive"   (sent.   n.
 455/1990).
    In  particolare,  la  Corte  costituzionale  ha  precisato  che il
 legislatore e' altresi' tenuto - oltre che al predetto  bilanciamento
 degli  interessi - anche "ad osservare una ragionevole gradualita' di
 attuazione, dipendente dalla obiettiva considerazione  delle  risorse
 organizzative  e finanziarie a disposizione", nello svolgimento delle
 norme costituzionali sul diritto a  trattamenti  sanitari  (sent.  n.
 455/1990).
    Pertanto,  il  collegio  ritiene  di  dover  rimettere  alla Corte
 costituzionale la valutazione sulla logicita' e la razionalita' della
 norma di cui al settimo comma, art. 4  della  legge  n.  412/1991  in
 relazione all'art. 32 della Costituzione, soprattutto con riferimento
 all'esatta ponderazione che il legislatore ordinario - nell'esercizio
 della  sua  discrezionalita' ha effettuato - fra l'interesse tutelato
 dal diritto alla salute della  collettivita'  -  nella  sua  funzione
 programmatica  -  e  gli  altri  interessi,  di rango costituzionale,
 nonche' la possibilita' reale ed obiettiva di disporre delle  risorse
 necessarie, per la medesima attuazione.
    La  Corte  costituzionale  valutera',  altresi', se il legislatore
 della norma censurata, ha osservato una  ragionevole  gradualita'  di
 attuazione,  dipendente  dalla obiettiva considerazione delle risorse
 organizzative e finanziarie a disposizione.