ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 38, primo comma,
 del regio decreto legge 30 marzo  1938,  n.  680  (Ordinamento  della
 Cassa  di  previdenza  per  le  pensioni  agli  impiegati  degli enti
 locali), dell'art. 7, secondo comma, della legge 22 novembre 1962, n.
 1646 (Modifiche agli ordinamenti degli Istituti di previdenza  presso
 il  Ministero del tesoro) e dell'art. 3, secondo comma, della legge 8
 marzo 1968, n. 152 (Nuove norme  in  materia  previdenziaale  per  il
 personale degli enti locali), promossi con ordinanze:
      1)  ordinanza emessa il 19 giugno 1992 dalla Corte dei Conti sul
 ricorso proposto  da  Boari  Luciana,  vedova  De  Palma,  contro  la
 Direzione  Generale  degli  Istituti  di Previdenza del Ministero del
 tesoro, iscritta al n. 101 del registro ordinanze 1993  e  pubblicata
 nella   Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  11,  prima  serie
 speciale, dell'anno 1993;
      2) ordinanza emessa il 1› dicembre 1992 dal Pretore di Roma  nel
 procedimento  civile  vertente  tra  Davide  Maria  e l'I.N.A.D.E.L.,
 iscritta al n. 129 del registro ordinanze  1993  e  pubblicata  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica,  n. 14, prima serie speciale,
 dell'anno 1993;
    Visti l'atto di costituzione di Davide  Maria  nonche'  l'atto  di
 intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 22 giugno 1993 il Giudice relatore
 Fernando Santosuosso;
    Uditi  l'avv.  Bruno  Aguglia  per Davide Maria e l'Avvocato dello
 Stato Mario Imponente per il Presidente del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Nel procedimento civile  vertente  tra  Luciana  Boari  e  la
 Direzione  generale  degli  Istituti  di previdenza del Ministero del
 Tesoro, in cui la ricorrente, in quanto vedova di Antonio  De  Palma,
 iscritto  alla C.P.D.E.L. e deceduto in data 27 aprile 1983, chiedeva
 che venisse dichiarato illegittimo il provvedimento con il quale alla
 stessa era stato negato il diritto alla pensione di reversibilita' ai
 sensi  dell'art.  38,  primo  comma,  del regio decreto legge 3 marzo
 1938, n. 680, risultando la stessa separata legalmente  per  sentenza
 passata  in  giudicato all'atto del decesso del coniuge, la Corte dei
 conti, sezione terza giurisdizionale,  con  ordinanza  emessa  il  19
 giugno  1992,  e  pervenuta  alla Corte costituzionale il 23 febbraio
 1993 (R.O. n. 101 del 1993), ha sollevato, in riferimento all'art.  3
 della   Costituzione,   questione   di   legittimita'  costituzionale
 dell'art. 38, primo comma, del regio decreto legge 30 marzo 1938,  n.
 680  (Ordinamento  della  Cassa  di  previdenza  per le pensioni agli
 impiegati degli enti locali) e  dell'art.  7,  secondo  comma,  della
 legge  22  novembre  1962,  n. 1646 (Modifiche agli ordinamenti degli
 Istituti di previdenza presso il Ministero del tesoro),  nella  parte
 in  cui,  con  la  prima  disposizione, viene escluso il diritto alla
 pensione indiretta (o di reversibilita') a  favore  della  vedova  di
 impiegato  iscritto  alla  C.P.D.E.L. che sia separata legalmente per
 sentenza passata in giudicato pronunziata per di lei colpa,  e  nella
 parte in cui, stante il suddetto divieto, con la seconda disposizione
 viene  riconosciuto  soltanto  il  diritto  alla corresponsione di un
 assegno alimentare, ove sussista lo stato di bisogno.
    Osserva il giudice  remittente  che  mentre  al  coniuge  separato
 legalmente  per sua colpa, benche' titolare di assegno alimentare, e'
 negato  il  diritto  alla  pensione  di  reversibilita',  salvo,  ove
 sussista lo stato di bisogno, la corresponsione di un assegno pari al
 20  per  cento  della  pensione  diretta,  a  colui  che  sia  invece
 divorziato  e  gia'  titolare  dell'assegno   di   mantenimento,   e'
 consentito  il  conseguimento,  a  domanda, ex art. 9, secondo comma,
 della legge 1› dicembre 1970, n. 898, introdotto dalla legge 6  marzo
 1987,  n. 74, della pensione di reversibilita' sia pure a determinate
 condizioni. L'acquisito  carattere  di  automaticita'  che  viene  ad
 assumere il diritto alla pensione nel caso di divorzio, in quanto non
 soggetto  al  verificarsi  di concrete situazioni di bisogno, sarebbe
 irrazionale in quanto teso a  privilegiare  situazioni  irreversibili
 del matrimonio (quali sono quelle che ne determinano lo scioglimento)
 rispetto alla semplice separazione (nella quale il rapporto e' ancora
 in  vita),  ed  inoltre  in  quanto creerebbe un incentivo in capo al
 coniuge separato per colpa a chiedere il divorzio, e cosi' a  rendere
 definitiva  quella  crisi che, invece, il legislatore mira a sanare e
 comporre (art. 157 del codice civile).
    Come ulteriore motivo di contrasto della normativa  impugnata  con
 l'art.  3  della Costituzione, la Corte dei conti rileva l'intrinseca
 irrazionalita'  del  valore  preclusivo  riconosciuto  alle   vicende
 personali  -  che hanno condotto alla separazione legale - rispetto a
 un diritto che e',  di  regola,  causalmente  ricollegabile  a  fatti
 oggettivi.
    2. - Nel corso del procedimento tra Maria Davide e l'I.N.A.D.E.L.,
 nel  quale  la ricorrente, coniuge separata per sua colpa in forza di
 sentenza passata in  giudicato,  di  Raffaele  Paolini,  deceduto  in
 attivita' di servizio, ha chiesto la condanna dell'Istituto convenuto
 al  pagamento  dell'indennita'  premio  di  fine  servizio  in  forma
 indiretta, il Pretore di Roma ha sollevato, con ordinanza  emessa  il
 1›  dicembre  1992  (R.O. n. 129 del 1993), questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 3 della legge 8 marzo 1968,  n.  152  (Nuove
 norme  in  materia previdenziale per il personale degli enti locali),
 nella parte in cui esclude che l'indennita' premio di  fine  servizio
 in  forma  indiretta  spetti  alla  vedova  separata  legalmente  con
 sentenza passata in giudicato per sua colpa. Rileva il giudice a  quo
 che   la   Corte  costituzionale  ha  gia'  ritenuto  sussistente  in
 fattispecie sovrapponibili la violazione degli artt.  3  e  38  della
 Costituzione   da   parte   di   norme  di  pari  contenuto  relative
 all'indennita' di buonuscita (sentenza  n.  213  del  1985)  ed  alla
 pensione di reversibilita' (sentenza n. 286 del 1987).
    3.  -  Nel  giudizio davanti a questa Corte si e' costituita Maria
 Davide, ricorrente nel procedimento instaurato davanti al Pretore  di
 Roma,  chiedendo  che  sia dichiarata l'illegittimita' costituzionale
 della disposizione in oggetto in riferimento agli artt. 3 e 38  della
 Costituzione.
    Osserva al riguardo la parte che la norma in questione costituisce
 un   residuo   ancora   in   vigore  della  legislazione  antecedente
 all'introduzione della legge n. 150 (rectius: n. 151) del 1975 in cui
 aveva rilevanza il concetto della "colpa" nella separazione personale
 dei coniugi, mentre cio' sarebbe  stato  profondamente  modificato  a
 seguito  dell'entrata  in vigore del nuovo diritto di famiglia che ha
 abolito il  concetto  di  "colpa".  A  seguito  di  tale  innovazione
 legislativa,   si   sarebbe   dispiegato   l'intervento  della  Corte
 costituzionale che  ha  gia'  eliminato  disposizioni  analoghe  alla
 presente  con  le  richiamate  sentenze  n. 213 del 1985 e n. 286 del
 1987.
    4. - Nel giudizio relativo all'ordinanza del Pretore  di  Roma  e'
 intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
 difeso   dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che  la
 questione sia dichiarata infondata e riservandosi  di  illustrare  in
 seguito le ragioni a sostegno di tale richiesta.
    In  prossimita' dell'udienza, la difesa erariale ha depositato una
 memoria illustrativa, in cui ha rilevato come il richiamo operato dal
 giudice remittente alla sentenza n. 286  del  1987  di  questa  Corte
 risulti  inconferente,  riferendosi  detta decisione ad una acclarata
 disparita'   di   trattamento   in   relazione   alla   pensione   di
 reversibilita',  come  tale  connessa  allo stato di bisogno e quindi
 alla natura alimentare della stessa.
    Nel caso in esame, invece, si ha riguardo all'indennita' premio di
 fine servizio, la quale, per disciplina descritta nello stesso art. 3
 della legge 152  del  1968  (terzo  e  quarto  comma),  ha  natura  e
 contenuto diversi dalla pensione di reversibilita': di conseguenza, i
 principi affermati in relazione alla pensione non sono estensibili ad
 una indennita' definita quale "premio di servizio".
    Viene richiamata a sostegno di tale conclusione la sentenza n. 213
 del  1985  di questa Corte, in cui si afferma che al coniuge separato
 "non puo' spettare il diritto  alle  indennita'  in  caso  di  morte,
 qualora la separazione gli fosse stata addebitata ed egli non godesse
 di alimenti a carico del lavoratore".
                         Considerato in diritto
    1.  -  La Corte dei conti dubita della legittimita' costituzionale
 del combinato disposto di cui agli artt. 38, primo comma,  del  regio
 decreto  legge  30  marzo  1938,  n.  680 (Ordinamento della Cassa di
 previdenza per le pensioni agli impiegati degli enti  locali),  e  7,
 secondo  comma, della legge 22 novembre 1962, n. 1646 (Modifiche agli
 ordinamenti degli Istituti di  previdenza  presso  il  Ministero  del
 tesoro),  nella  parte  in  cui  viene  escluso il diritto a pensione
 indiretta  (o  di  reversibilita') a favore della vedova di impiegato
 iscritto alla C. P.D.E.L. che sia separata  legalmente  per  sentenza
 passata  in giudicato pronunziata per di lei colpa, riconoscendo alla
 stessa  soltanto  il  diritto  alla  corresponsione  di  un   assegno
 alimentare, ove sussista lo stato di bisogno.
    2.  -  Dal  Pretore  di  Roma  e'  stata  sollevata  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 3 della legge 8 marzo 1968,  n.
 152 (Nuove norme in materia previdenziale per il personale degli Enti
 locali),  nella  parte in cui esclude che l'indennita' premio di fine
 servizio in forma indiretta spetti alla vedova di dipendente di  ente
 locale  separata legalmente con sentenza passata in giudicato per sua
 colpa.
    Rileva il giudice a quo  che  la  Corte  costituzionale  "ha  gia'
 ritenuto  sussistente  in  fattispecie  sovrapponibili  la violazione
 degli art. 3 e 38 della  Costituzione  da  parte  di  norme  di  pari
 contenuto  relative  all'indennita'  di  buonuscita (sentenza 213 del
 1985) ed alla pensione di reversibilita' (sentenza 286 del 1987)".
    Data l'analogia, le questioni possono, unificati i giudizi, essere
 decise con unica sentenza.
    3. - Quanto alla prima questione, sollevata dalla Corte dei conti,
 va  in  primo  luogo  osservato  come  non  sia  possibile  attenersi
 esclusivamente  all'argomento - che pur in diverse occasioni e' stato
 richiamato - secondo cui  il  trattamento  di  reversibilita'  ha  la
 funzione  di assicurare la continuita' dei mezzi di sostentamento che
 il titolare della pensione era obbligato a fornire al co niuge:  tale
 garanzia  condurrebbe,  tra  l'altro,  alla conseguenza che la misura
 della pensione sia comunque proporzionata all'ammontare  dell'assegno
 gia' goduto dal superstite prima della morte del coniuge.
    Ne'  ci  si  puo'  limitare,  per  l'accoglimento della questione,
 all'argomento sul quale fa leva l'ordinanza di rimessione, e cioe' al
 tertium comparationis rappresentato dalla situazione normativa cui e'
 assoggettato il coniuge divorziato rispetto  a  quello  separato.  Se
 infatti e' vero, da un lato, che con l'art. 9 della legge 1› dicembre
 1970,  n.  898,  come  modificato dalla legge 6 marzo 1987, n. 74, il
 legislatore ha operato una scelta favorevole  al  coniuge  divorziato
 riconoscendo  al  superstite,  in  caso  di morte dell'ex-coniuge, il
 diritto alla pensione di reversibilita', purche' non passato a  nuove
 nozze  e sempre che sia titolare dell'assegno di cui all'art. 5 della
 stessa legge, va tuttavia rilevato che tra la situazione del  coniuge
 divorziato  e quella del separato permangono notevoli differenze, sia
 con riguardo ai presupposti  generativi  delle  due  situazioni,  sia
 riguardo  agli  effetti  delle  stesse,  sia  infine relativamente ai
 parametri cui riferirsi per la determinazione dell' an e del  quantum
 dell'assegno  di  divorzio  rispetto  a  quanto  spettante al coniuge
 separato.
    Analogamente, va rilevato come anche la situazione in cui viene  a
 trovarsi  il  coniuge separato per colpa (o con addebito) sia diversa
 rispetto a quella del  coniuge  separato  senza  colpa:  quest'ultima
 viene  anzi,  ed  opportunamente,  equiparata  -  quanto  a rilevanti
 aspetti della disciplina - a quella della vedova non  separata,  come
 e' stato riconosciuto dalla sentenza n. 213 del 1985 di questa Corte.
    Senonche', altre precedenti pronunce di questa Corte (sentenze nn.
 286  del  1987, 1009 del 1988, 450 del 1989), pur tenendo presenti le
 rilevate differenze -  che  conducono  ad  escludere,  quale  tertium
 comparationis relativamente al caso di specie, la disciplina prevista
 per  il  divorzio  -  hanno  tuttavia dichiarato il contrasto con gli
 artt. 3 e 38 della  Costituzione  delle  disposizioni  di  legge  che
 negavano  il  diritto  alla  pensione  di  reversibilita'  in capo al
 coniuge superstite  separato  per  propria  colpa  (o  con  addebito)
 ancorche'  questi  risultasse  titolare  del  diritto agli alimenti a
 carico del coniuge defunto, in quanto "tra la posizione  del  coniuge
 divorziato che sia titolare dell'assegno alimentare di cui all'art. 5
 e  la  situazione  del coniuge separato che sia titolare dell'assegno
 alimentare di cui all'art. 156, terzo comma, del  codice  civile,  si
 puo'  ragionevolmente  riconoscere un'analogia, la quale comporta che
 pure al secondo, come al primo, debba essere  attribuito  il  diritto
 alla  pensione  di reversibilita'" (sentenza n. 1009 del 1988). Nelle
 richiamate  occasioni,  questa  Corte  ha  proceduto   ad   espungere
 dall'ordinamento  disposizioni  relative  principalmente a dipendenti
 del  settore  privato  soggetti  a  regimi  previdenziali   collegati
 all'INPS, e ad alcune categorie di lavoratori autonomi.
    La  questione  ora sollevata riguarda invece il combinato disposto
 degli artt. 38, primo comma, del regio decreto legge 30  marzo  1938,
 n.  680  e  7,  secondo comma, della legge 22 novembre 1962, n. 1646,
 relativi  al  trattamento  pensionistico  erogato  dalla   Cassa   di
 previdenza per le pensioni agli impiegati degli enti locali.
    Tale  disciplina  e'  almeno  in  parte  diversa rispetto a quella
 esaminata  in  precedenza  da  questa  Corte:  mentre  infatti  nelle
 circostanze  cui si riferivano le pronunce richiamate le disposizioni
 impugnate escludevano del tutto il trattamento pensionistico  per  il
 coniuge  separato per propria colpa, nelle disposizioni ora impugnate
 e'  invece  prevista,  in  uno  con  l'esclusione  del  diritto  alla
 pensione,  la spettanza di un assegno alimentare pari al 20 per cento
 della  pensione  diretta.  Alle  ragioni  di  differenziazione  fanno
 tuttavia riscontro motivi di analogia rispetto alle situazioni allora
 considerate,  trattandosi  pur  sempre di vedove separate per colpa o
 con addebito che godevano gia' di assegno  alimentare  a  carico  del
 defunto coniuge.
    Di  fronte  a  tali contrapposte ragioni, questa Corte ritiene che
 sia costituzionalmente necessario accordare prevalenza ai consistenti
 aspetti di  assimilazione  rispetto  a  quelli  di  differenziazione,
 cosicche'  la  normativa  risultante  quale  effetto delle precedenti
 pronunce costituisce un tertium comparationis ineludibile rispetto al
 caso di specie, che per coerenza rende  illegittimo,  in  riferimento
 agli  artt.  3  e 38 della Costituzione, il trattamento pensionistico
 previsto dalla disciplina impugnata in questo giudizio.
    Circa  il  gia'  citato  rilievo  della  parte  qui  costituita  -
 relativamente  al  venir  meno  del concetto di responsabilita' della
 separazione personale - va osservato che, pur avendo la  riforma  del
 diritto di famiglia del 1975 mantenuto la diversita' delle situazioni
 fra  separazione  con  o  senza addebito e delle relative conseguenze
 patrimoniali,  la  parita'   di   trattamento   delle   stesse   puo'
 giustificarsi    limitatamente    allo   stato   della   legislazione
 previdenziale,  cosi'  come  risulta   anche   dalla   giurisprudenza
 costituzionale.
    Quanto  al  principio,  contenuto  anche in precedenti pronunce di
 questa Corte, secondo cui il trattamento di reversibilita' avrebbe la
 funzione di assicurare la continuita' dei mezzi di sostentamento  che
 il  titolare  della pensione era obbligato a fornire al coniuge prima
 della morte, e da cui dovrebbe dedursi come conseguenza un livello di
 assistenza uguale a quello precedente, va considerato che l'eventuale
 differenza  del risultato economico riconosciuto alla vedova separata
 rispetto all'assegno anteriormente goduto trova  giustificazione  nel
 fatto  che il trattamento pensionistico e' un diritto che si acquista
 a seguito del fatto sopravvenuto della morte dell'ex-coniuge.
    Va, pertanto, riconosciuto che, come per le ipotesi decise con  le
 pronunce  286  del  1987,  1009  del  1988  e 450 del 1989, anche nel
 presente caso, spetti alla vedova separata per colpa (o con addebito)
 il diritto a pensione: di conseguenza, va dichiarata l'illegittimita'
 costituzionale del combinato disposto di  cui  agli  art.  38,  primo
 comma,  del  regio  decreto legge 30 marzo 1938, n. 680, e 7, secondo
 comma, della legge 22 novembre 1962, n.  1646,  nella  parte  in  cui
 esclude  il  diritto  a  pensione  a favore della vedova di impiegato
 iscritto alla C.P.D.E.L. che sia  separata  legalmente  per  sentenza
 passata in giudicato pronunziata per di lei colpa, allorche' a questa
 fosse  stato  riconosciuto  il diritto agli alimenti verso il coniuge
 deceduto, riconoscendo alla stessa soltanto la corresponsione  di  un
 assegno alimentare ove sussista lo stato di bisogno.
    4.  -  La  questione  sollevata  dal  Pretore  di Roma deve essere
 dichiarata inammissibile.
    Osserva infatti questa Corte come nell'ordinanza di rimessione  il
 giudice   a   quo   ometta   di  indicare  direttamente  i  parametri
 costituzionali che si ritengono violati, ed anche la motivazione  sul
 punto  della  non  manifesta  infondatezza si limita ad un apodittico
 rinvio a precedenti pronunce di questa Corte (sentenze  nn.  213  del
 1985  e  286  del  1987),  le  quali  invece  risultano in gran parte
 inconferenti con il caso di specie.
    Con la prima,  infatti,  (sentenza  n.  213  del  1985),  relativa
 all'indennita'  di  cui  agli artt. 2118 e 2120 del codice civile, e'
 stata respinta la questione di legittimita' costituzionale sulla base
 del rilievo per cui deve escludersi che il "coniuge di cui si ragiona
 nel primo comma dell'art. 2122 comprenda anche il vedovo o la  vedova
 cui  sia  stata  addebitata la separazione (o nei cui confronti fosse
 stata pronunciata - prima della riforma del diritto di famiglia -  la
 separazione per colpa)"; mentre la seconda (sentenza n. 286 del 1987)
 aveva   come   oggetto   disposizioni   riguardanti  la  pensione  di
 reversibilita', istituto  che  presenta  caratteri  e  finalita'  non
 completamente assimilabili all'indennita' premio di fine servizio, il
 cui  contrasto  con  le  disposizioni  costituzionali  avrebbe dovuto
 pertanto essere direttamente motivato.
    A cio' si aggiunga che il Pretore omette del tutto di motivare  su
 un  aspetto  decisivo  in  ordine alla rilevanza, relativamente cioe'
 alla spettanza in capo alla ricorrente del  giudizio  principale  del
 diritto  agli assegni alimentari, presupposto ritenuto necessario, in
 forza della costante giurisprudenza  di  questa  Corte,  al  fine  di
 estendere il diritto alla reversibilita' di trattamenti previdenziali
 a favore del coniuge separato per colpa.
    La  questione sollevata dal Pretore di Roma va pertanto dichiarata
 inammissibile.