IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento per incidente di esecuzione proposto dalla difesa avv. C. Martinasso di Confalonieri Giancarlo, nato a Torino il 29 marzo 1962, residente in Torino, via Palma di Cesnola n. 36 con ricorso in data 21 aprile 1993. OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO In data 21 aprile 1993 il difensore di Confalonieri Giancarlo presentava istanza di incidente di esecuzione del procedimento n. 8369/92 r.g. p.m. e n. 7207/92 r.g. g.i.p. osservando che "il signor Confalonieri veniva ammesso al patrocinio a spese dello Stato ex legge n. 217/1990; che successivamente a tale ammissione il sottoscritto veniva regolarmente liquidato; che non interveniva successivamente un provvedimento di revoca, di modifica o di cessazione degli effetti; che, in data 2 aprile 1993, veniva notificato al signor Confalonieri un atto di precetto con cui gli veniva intimato il pagamento della somma lire 576.430 comprensiva di lire 74.000 per la scelta del rito abbreviato e lire 484.000 quale somma versata dall'Erario al difensore quale onorario liquidato con decreto dal g.i.p. di Torino". In base alla considerazione che "l'atto di precetto vanifica il decreto di ammissione al pratrocinio alle spese dello Stato; che non vi e' nessuna norma nella legge n. 217/1990 che autorizzi il campione penale a richiedere tali spese" chiedeva al giudice dell'esecuzione provvedesse " ex art. 695 del c.p.p. in ordine alla richiesta di pagamento fatta al sig. Confalonieri". Veniva fissato incidente di esecuzione avente oggetto "esonero parziale pagamento spese gratuito patrocinio" relativo alla sentenza n. 1484 del 7 ottobre 1992 emessa in sede di giudizio abbreviato dal g.i.p. presso la pretura di Torino. Il 19 maggio 1993 la difesa instava per l'accoglimento dell'incidente ed il p.m. chiedeva l'accoglimento del ricorso. Il giudice si riservava e chiedeva all'ufficio campione penale di voler precisare il termine della questione. A scioglimento della riserva il giudice osserva: il Confalonieri risulta ammesso al gratuito patrocinio con ordinanza 31 marzo 1993 e non risulta che la stessa sia stata modificata o revocata. In forza dell'art. 535 del c.p.p. la cancelleria ha ritenuto che la normativa sul patrocinio dei non abbienti non abbia esonerato dal recupero delle "spese di procedimento" nei confronti dei beneficiari. Ha, pertanto, inviato atto di precetto intimando il pagamento della somma di lire 576.430 relative a "spese anticipate dell'erario recuperabili per intero": avvocato n. 4989 del 14 dicembre 1992 lire 484.000; bollo lire 15.000; notifica lire 3.430, per un totale di lire 502.430 piu' spese recuperabili in misura fissa di lire 74.000 per un totale complessivo di lire 576.430. Tutto questo in considerazione del fatto che le condizioni di insolvibilita' verranno accertate in sede di appuramento della partita di campione penale ai sensi dell'art. 693 del c.p.p. e dell'art. 253 del r.d. 23 dicembre 1965, n. 2701. I punti della questione appaiono complessi in quanto si possono distinguere le c.d. spese processuali (nel caso lire 74.000 per il rito abbreviato) dalle spese anticipate dall'erario per la difesa dell'ammesso al patrocinio (lire 502.430). Questi due capitoli di spesa non appaiono discendere dalla stessa fonte. D'altro canto vi e' per la cancelleria l'obbligo all'azione di recupero in conformita' degli artt. 530 e 691 del c.p.p. Occorre, percio', stabilire se non vi sia un contrasto fra la normativa generale prevista dal codice di procedura penale per il recupero delle spese e quanto stabilito dalla normativa specifica sul gratuito patrocinio. Successivamente, si dovra' stabilire se l'interpretazione risultante dalla lettura comparata dell'attuale normativa vigente non sia in contrasto con i principi costituzionali. La risoluzione di questi quesiti appare preliminare e necessaria per poter risolvere in senso positivo o negativo l'incidente di esecuzione proposto. La legge 30 luglio 1990, n. 217, ha riordinato in materia penale il gratuito patrocinio dello Stato per i non abbienti gia' previsto dal r.d. sul gratuito patrocinio del 30 dicembre 1923, n. 3282, e legge n. 533 dell'11 agosto 1973. Si tratta di una normativa che si riferisce in particolare al procedimento penale e penale militare ed ai procedimenti civili connessi, quali risarcimento dei danni o restituzioni, fatti in sede civile come conseguenza di reato. Viene ad integrare il primitivo r.d. sul gratuito patrocinio del 30 dicembre 1923, n. 3282, che si riferiva in prima istanza alle cause civili, commerciali o d'altra giurisdizione, contenziosa, gli affari di volontaria giurisdizione ad anche ai giudizi penali. Si deve pertanto ritenere che il r.d. sia attualmente abrogato, per la parte novellata dalla legge n. 217, che ha disciplinato diversamente la materia penale e connessa alla penale. Occorre verificare se le premesse che hanno portato alle due normative sono nin sisntonia fra di loro, per poter stabilire che cosa in concreto si intende per gratuito patrocinio. Volendo partire dalle origini, si puo' affermare che il patrocinio, era visto come istituto afferene la giustizia civile ed affidato alla sensibilita' della corporazione degli avvocati, i quali dovevano assicurare anche ai poveri una difesa. La qualifica di tale istituto come onorifica ed affidata all'ordine degli avvocati traspare dall'art. 1 del r.d. n. 3282 che afferma come "il patrocinio gratuito dei poveri e' un ufficio onorifico ed obbligatorio della classe degli avvocati e procuratori". Sembra chiaro che la normativa ha voluto sancire un onere dell'ordine forense, su cui la magistratura aveva il dovere di vigilare "perche' le cause dei poveri" fossero "diligentemente trattate" (art. 4). Vediamo quali erano in sintesi gli effetti principali dell'ammissione per il r.d. n. 3282; intanto la difesa gratuita da parte del patrono nominato, che appare un evidente onere, per l'ordine forense temperato solo dalla possibilita' di ripetizione degli onorari alla controparte condannata nelle spese nelle cause civili e nelle cause penali ove fosse costituzione di parte civile; poi l'annotazione a debito delle tasse di registro e l'uso di carte non bollate; spedizione di copie senza diritti o tasse; notai e periti dovevano prestare gratuitamente la loro opera, con la possibilita' tuttavia di ripetere dalla parte condannata alle spese o anche dalla stessa parte ammessa al gratuito patrocinio le stesse, "qualora per vittoria di causa o altre circostanze venisse a cessare in essa lo stato di poverta'". Nella sostanza si parla sempre di un'anticipazione dello Stato per talune spese, un esonero per taluni diritti, mentre si tratta di un onere di difesa che grava su tutte le altre parti interessate alla causa fra cui anche avvocati, notai e periti. Come afferma l'art. 16 "sotto il nome di poverta' non si intende la nullatenenza, ma uno stato in cui il ricorrente non sia in grado di sopperire alle spese della lite". Sia pur espressa in termini strettamente civilistici, si dichiara la volonta' di permettere a tutti di adire le vie legali e far valere le proprie ragioni. Una condizione prevista appositamente dall'art. 34 e' il fumus di ragione che la parte deve avere, al fine di ottenere il patrocinio e continuare nell'azione, ove si afferma che "l'assunto della parte" deve apparire "fondato in ragione". Presupposto di fondo dell'ammissione e' che la parte abbia pertanto ragione, tant'e' che lo Stato stesso incamerera' quanto ottenuto dalla condanna alle spese della parte avversa e lo stesso ammesso al patrocinio, "in condizioni di poter restituire le spese erogate", "sara' in dovere di adempiere a tale rivalsa". Lo Stato pertanto appare voler solo consentire l'adizione della giustizia senza rinunciare alla sua pretesa di rimborso per quanto anticipato. Ne e' conferma l'art. 36 che prevede una procedura di annotazione a debito per procedere successivamente al recupero delle spese e l'art. 37 che prevede espressamente il recupero in danno dell'ammesso al gratuito patrocinio "per tutte le tasse ed i diritti ripetibili" quando questi "per sentenza o transazione abbia conseguito almeno il sestuplo delle tasse e diritti" e, "quanto alle spese anticipate dall'erario, il povero sara' tenuto a rimborsarle in ogni caso con la somma o valore conseguito qualunque esso sia". L'ultimo comma dell'art. 37 precisa poi, parrebbe per tutte le ipotesi, quindi anche quelle di soccombenza, "restano in ogni caso ferme le norme contenute nei commi precedenti per l'esercizio dell'azione di recupero contro il povero". Lo Stato si riserva pertanto di agire civilmente per il recupero contro il "povero" secondo la vigente normativa, attraverso la procedura dell'iscrizione e debito anche degli onorari ed indennita', ivi iscritte a domanda del patrocinante. Questa normativa, se pur era riferita anche al procedimento penale, non poteva in effetti esservi applicata con efficacia. Il principio di difesa obbligatoria era gia' ostacolato dallo stabilire quella probabilita' di vittoria che la normativa sottintendeva per offrire il patrocinio. Prima della legge del 1990, la difesa d'ufficio era per lo piu' solo formale in quanto affidata ancora come onere all'ordine degli avvocati che nulla ne ricavavano se non prestigio, essendo un obbligo piu' normale che giuridico, quello di difendere con la massima solerzia. In un sistema processuale nuovo, di tipo accusatorio, era necessario adeguare l'istituto a criteri che garantissero l'effettivita' della difesa per i non abbienti. Si e' pertanto tolta ogni discrezionalita' di nomina affidata al pubblico ministero con la determinazione di accordi selettivi fra il Consiglio dell'Ordine e la Magistratura per la nomina del difensore d'ufficio. Da quanto emerge a riguardo dalla relazione al progetto preliminare del nuovo codice di procedura penale in materia, la questione di fondo era assicurare la possibilita' a tutti di una difesa puntuale ed efficace. Per questo motivo e' stata prevista una retribuzione anche per il difensore d'ufficio secondo questo canone di base: "in caso di assoluzione l'ammontare sia posto a carico dello Stato, se l'imputato si trova nelle condizioni per essere ammesso al patrocinio dei non abbienti; che in caso di condanna sia posto a carico del condannato; che, se l'obbligato non adempie, l'ammontare degli importi stabilito dal giudice costituisce onere deducibile dal reddito professionale" (relazione al progetto preliminare al c.p.p., 45). Esaminando la relazione al nuovo codice, si possono reperire alcuni punti fermi cui si trova vincolata la normativa relativa al difensore. L'istituto della difesa d'ufficio e' basato su criteri di effettivita'; pertanto anche la difesa d'ufficio deve essere retribuita. I singoli ordini forensi sono impegnati ad esercitare istituzionalmente la tutela della funzione difensiva. Pertanto non si tratta soltanto di un onere ma di un dovere dell'ordine forense. Il patrocinio dei non abbienti e' "un istituto assunto a connotato specifico del diritto di azione e di difesa dell'art. 24, terzo comma, della Costituzione e deve essere particolarmente garantito. Dal tenore della relazione appare evidente che il patrocinio dei non abbienti e' inteso nel senso di consentire una difesa che sia in linea con le esigenze del nuovo processo di parti, della sua dinamica e dei corrispondenti nuovi contenuti della funzione difensiva. Lo Stato, con la normativa specifica, intende consentire pari mezzi e opportunita' a tutti coloro che debbano rispondere penalmente, pertanto l'ammesso al gratuito patrocinio potra' nominarsi il difensore fiduziario. Tuttavia occorre osservare che, nella relazione, dopo aver demandato ad una norma di attuazione la determinazione degli oneri e spese della difesa d'ufficio, testalmente, come gia' ricordato, si distingue il caso di assoluzione da quello di condanna. Solo per la prima ipotesi si afferma "siano posti a carico dello Stato" se l'imputato si trova nelle condizioni di essere ammesso al patrocinio dei non abbienti, mentre nel caso di condanna non appare l'inciso "se ammesso al patrocinio dei non abbienti", ma si ribadisce solo che le spese e onorari "siano posti a carico del condannato". Si puo' poi osservare che non si utilizza mai in materia la parola "gratuito" ma solo "patrocinio dei non abbienti". Da queste affermazioni non appare modificato, per quanto riguarda il giudizio penale, quanto gia' stabilito in linea generale dal d.l. n. 3282, circa le motivazioni di fondo del patrocinio dei non abbienti. Lo Stato anticipa le spese per i non abbienti ed assicura un difensore che, in quanto in ogni caso retribuito, sara' puntuale nella difesa. Tuttavia lo Stato intende solo anticipare le spese, conservandosi la possibilita' di richiedere le spese anche a colui che e' stato ammesso al gratuito patrocinio nel caso di condanna, secondo i principi generali vigenti in materia. Tale linea non appare in contrasto col diritto di difesa solo se inteso nel senso di offrire pari opportunita' ed efficacia di difesa anche ai poveri in quanto si assicura la difesa per tutte le fasi del giudizio, lasciando poi ad altra sede idonea, secondo il procedimento civile di recupero dei crediti, la possibilita' di richiedere al condannato il rimborso di quanto anticipato. Come ricorda la Cassazione nella sentenza 23 giugno 1976, n. 10722 "il diritto di difesa dell'imputato e' garantito dalla nomina, anche d'ufficio o a seguito di ammissione al gratuito patrocinio, di un difensore e dalla sua partecipazione, nei modi e termini di legge allo svolgimento delle attivita' processuali". Pertanto non e' esatto ritenere che "la Costituzione affermi il rigoroso principio della gratuita' della difesa penale", mentre e' vero "che tutela la possibilita' di agire e difendersi il giudizio" per i non abbienti a mezzo di appositi istituti, infatti le disposizioni "rispettano i diritti dei non abbienti con la parola della prenotazione a debito .. per gli imputati ammessi al gratuito patrocinio" (Cass. 18 maggio 1957, n. 4). Analoga decisione e' stata emessa di recente dalla cassazione (sentenza 6071 del 4 giugno 1991) che ha affermato come l'art. 24 della Costituzione "garantisce a tutti la difesa come diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento, ma assicura soltanto ai non abbienti i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione". Pertanto, il patrocinio a spese dello Stato assicura la gratuita' di tutta la difesa nel corso di tutti i gradi del procedimento attraverso le forme stabilite dall'art. 4 della legge n. 217/1990: annotazione a debito; rilasciato gratuito di copie, anticipazione delle spese di difesa; esenzione dall'imposta di bollo. Gli effetti del beneficio decadono in caso di nomina fiduciaria di un secondo difensore e, nel corso del procedimento, ai sensi dell'art. 10, in caso di revoca o modifica. Queste ultime possono esser richieste dall'intendenza di finanza fino a cinque anni dopo la definizione del procedimento. A questo punto occorre stabilire se lo Stato, con l'attuale procedura del gratuito patrocinio, abbia inteso rinunciare, in ogni caso, al recupero delle spese e se in tal senso vada inteso l'art. 24, terzo comma, della Costituzione o se sia tuttora in vigore la distinzione fra sentenza di condanna e di proscioglimento regolata dagli artt. 479 e 488 del c.p.p. abrog. e dagli artt. 533 e 530 del nuovo c.p.p. Il codice stabilisce che il recupero delle spese antic- ipate dallo Stato si attua con le forme stabilite dalle leggi e regolamenti. Compete al cancelliere formare la parcella o nota spese. E' sempre stata affermata la natura giuridica civilistica della parcella e la giurisprudenza ha sottolineiato, inoltre, che tutte le vicende volte al recupero delle somme iscritte nel registro delle spese di giustizia costituiscono elementi di un procedimento a volte di carattere amministrativo, a volte di carattere giurisdizionale- civile, mai penale (Cass. 15 giugno 1983, in Cass. pen. 84, 1691). Pertanto, le controversie insorgenti in sede di esecuzione devono essere risolte secondo le norme ordinarie del rito civile. Il regolamento in materia di patrocinio gratuito (d.m. 3 novembre 1990, n. 327) stabilisce le procedure "per il pagamento delle somme dovute ai soggetti indicati all'art. 12, primo comma, e per il recupero delle medesime e delle spese di cui al precedente art. 4, nei casi in cui e' previsto". Quest'ultimo inciso parrebbe far riferimento a quelle leggi e regolamenti preesistenti fra cui sono da ricomprendere le distinzioni fra sentenze di condanna e di proscioglimento. Pertanto, sembra in linea con il complesso normativo ricavabile ritener che in caso di gratuito patrocinio concesso, a prescindere dalle ipotesi di revoca e modifica che appaiano procedure di tipo incidentale, lo Stato non ha mai inteso rinunciare ad esperire l'azione di rivalsa in caso di condanna anche per gli ammessi al gratuito patrocinio. Pertanto, sembra ammissibile che venga esperita l'idonea azione civile e sarebbe indebita ingerenza da parte del giudice penale voler bloccare, in sede di incidente di esecuzione, tale procedura. L'art. 1 del regolamento, infatti, anche per la legge n. 217/1990, demanda alle disposizioni del regio decreto 23 dicembre 1865, n. 2701, per i procedimenti penali e n. 2700, per quelli civili. L'art. 3 e' suddiviso in tre commi. Il primo afferma che "il recupero delle somme prenotate a debito, nei casi in cui sia previsto, ha luogo nei modi stabiliti dalla vigente normativa in materia di esazione dei crediti iscritti a campioni penale e civile". Gli altri due commi riguardano la cessazione degli effetti dell'ammissione (comma secondo e la modifica del provvedimento di ammissione comma terzo). Sembra chiara la distinzione di tre diverse ipotesi di recupero, fra cui la prima segue le regole normative, da sempre in vigore, circa il recupero in caso di condanna. Le altre due appaiono distinte, in quanto possono riguardare anche soggetti successivamente assolti, poiche' intervengono in corso di causa. Gli effetti della revoca e della modifica del gratuito patrocinio, pertanto, a differenza della normale precedura di recupero, potranno anche essere in danno di coloro che siano successivamente assolti. Costoro dovranno retribuire il difensore di fiducia o d'ufficio nominato, secondo quanto prescrive espressamente l'art. 8 e potranno essere condannati alle spese, se ritenuti colpevoli. Occorre tuttavia osservare che questa interpretazione sistematica ha come conseguenza il fatto di far dipendere dall'esito del procedimento le conseguenze di rimborso delle somme corrisposte dallo Stato. Infatti rimarrebbe valido il corollario sull'obbligo del ristoro delle prese previsto dal c.p.p. (artt. 535 e 691, secondo comma, del c.p.p.) anche ove si sia in presenza di persona ammessa al patrocinio statale che non sia stata oggetto di modifica e revoca del provvedimento. A questo punto parrebbe violato il principio di uguaglianza art. 3 della Costituzione la' dove vengono ad essere distinti i non abbienti ammessi al patrocinio a spese dello Stato in base al dato, oggettivo ed estraneo, della conclusione del procedimento con sentenza di condanna o di assoluzione. Questo appare ancor piu' evidente se si esamina la legge n. 217/1990 che titola "Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti". Si potrebbe infatti intendere che la legge tranne i casi di revoca o modifica del provvedimento abbia voluto accollare sempre allo Stato spese e patrocinio per i non abbienti. Considerato che nella legge non si chiarisce espressamente tale concetto e che, anzi, dalla normativa richiamata e dall'interpretazione sistematica dell'istituto appare dubbia l'interpretazione in tal senso della legge stessa, emerge chiaro il mancato coordinamento fra la normativa processual penalistica vigente e la legge n. 217. Di fronte alla normativa sul patrocinio "a spese dello Stato" inoltre potrebbe ritenersi violato, altresi', il diritto di difesa art. 24, terzo comma, della Costituzione ove si intenda il principio non solo come possibilita' di "agire e difendersi" nel corso del procedimento ma anche di essere esonerati in ogni caso da rimborsi successivi allo Stato o richieste in sede civile qualora siano stati ammessi ad usufruire dell'istituto, in osseguio al principio dell'effettivita' del diritto di difesa. Se infatti si considera che in base a questo stesso principio gia' esiste la difesa d'ufficio, parimenti retribuita, non si vede in che cosa troverebbe attuazione l'art. 24, terzo comma, della Costituzione se il non abbiente puo' essere chiamato a rimborsare lo Stato in caso di condanna. Si farebbe percio' dipendere l'attuazione dell'art. 24, terzo comma, della Costituzione dalla circostanza che sia intervenuta la sentenza di assoluzione o di condanna con un pareggiamento solo approssimativo delle posizioni delle parti in giudizio. La legge appresterebbe gli strumenti per la difesa ma non assicurerebbe alcuna gratuita' del giudizio. Pertanto appare pregiudiziale alla decisione sull'incidente proposto stabilire se e in che misura il non abbiente ammesso al patrocinio gratuito successivamente condannato sia tenuto a rimborsare lo Stato; se, in caso di risposta affermativa, il rimborso debba esser limitato, a norma di quanto stabilito dal codice di procedura penale, alle spese di giustizia o se debba intendersi esteso anche a quanto anticipato dallo Stato per il patrocinio del difensore. Nell'ipotesi di risposta positiva a questi due quesiti appare non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 533 e 535 del c.p.p., 619 e 693 del c.p.p. in relazione alla legge n. 217 del 30 luglio 1990 e regolamento d.m. 3 novembre 1990, n. 327, per contrasto con gli artt. 3 e 24, terzo comma, della Costituzione in quanto appare una disparita' di trattamento dei non abbienti ed una violazione della difesa sostanziale degli stessi. L'accollo delle spese allo Stato e l'attuazione del disposto del diritto di difesa offerto ai non abbienti infatti discenderebbe dal riconoscimento dell'innocenza. Si tornerebbe, pertanto, surrettiziamente a garantire il patrocinio ai non abbienti a spese dello Stato solo in caso di esito favorevole del processo.