IL PRETORE Visti gli atti del procedimento penale n. G80/92 del registro gen. affari penali osserva in fatto ed in diritto quanto segue. 1) Svolgimento del processo. A seguito di indagini preliminari il p.m. rinviava a giudizio, dinanzi a questo pretore, Ghidini Ezio per rispondere del reato p. e p. dall'art. 21 della legge n. 319/1976 per aver effettuato, quale titolare della omonima ditta, scarichi in fognatura pubblica super- anti i limiti tabellari. All'odierno dibattimento si procedeva alla escussione di alcuni testimoni, alla acquisizione di documentazione; il p.m., poi, insatava ex art. 507 del c.p.p. per far assumere come testimone il perito campionatore non indicato nella lista depositata dal p.m.; questo pretore prima ammetteva la prova poi ex art. 190/3 del c.p.p. revocava il provvedimento di ammissione e provvedeva con la presente ordinanza dandone lettura in dibattimento. 2) Oggetto del giudizio. Con la presente ordinanza viene impugnato l'art. 507 del c.p.p. in relazione agli artt. 3, 24 e 112 della Costituzione nella parte in cui: a) non preveda che il giudice, una volta disposto il nuovo mezzo di prova, debba rinviare il dibattimento al fine di consentire adeguatamente alla parte onerata l'esercizio del diritto alla controprova; b) nei limiti in cui non preveda che tale rinvio sia equivalente a quello previsto, a seconda del rito, per i termini minimi di comparizione che, nel giudizio a quo, sono da individuare in quarantatre giorni ex artt. 555 e 558 del c.p.p. 3) Premessa. Una premessa si impone. Allorche' vengano impugnate norme processuali, sia nell'impostare la questione che nel risolverla, e' necessario partire da una fondamentale considerazione: la natura della norma e' quella di disciplinare una attivita' concreta che si esplica attraverso atti collegati destinati a realizzare uno scopo normativamente previsto; per cui cio' che assume rilievo, ai fini interpretativi, e' proprio essa. Cio' e' ancor piu' importante allorche', come nel caso di specie, vengano in discussione precetti costituzionali afferenti al diritto alla prova e al correlato principio di uguaglianza. Infatti, innanziatutto, essi impongono ed esigono che su tutti gli aspetti pratici del diritto alla prova (tempo, contenuto e valore) o se si vuole su tutti i poteri che connotano tale diritto, a sua volta espressione del piu' generale diritto alla difesa, le parti non possono e non debbono subire deminutio che non sarebbero, in quanto tali, ragionevoli. In secondo luogo tali aspetti (tempo, contenuto e valore) del diritto alla prova poi - soprattutto quando e' in discussione il diritto alla prova dell'imputato - non possono e non debbono, ex artt. 3 e 24 della Costituzione, essere disciplinati in maniera difforme, a seconda della fase processuale. 4) Sulla interpretazione dell'art. 507 del c.p.p. Come e' noto sia la Corte di cassazione (Sez. un. 6 novembre 1992 Martin) che la Corte costituzionale (sent. 24-26 marzo 1993, n. 111) hanno ritenuto che l'art. 507 del c.p.p. vada interpretato estensivamente attribuendo al termine "nuovi mezzi di prova" il significato di mezzo di prova non richiesto dalle parti, senza che, sia lecito operare dei "distinguo" tra mezzi di prova in riferimento ai quali si e' verificata la decadenza delle parti e mezzi di prova in riferimento ai quali tale decadenza non si sia verificata. Significativo, in tal senso, e' il concetto espresso dalla Corte secondo la quale "ne' gli elementi letterali ne' quelli sistematici consentono di affermare che al giudice sia negato il potere di ammettere prove che le parti avrebbero potuto richiedere e non hanno richiesto". Tale interpretazione, essendo stata comunque avvallata anche dalla Corte costituzionale, puo' ormai ritenersi dato acquisito al sistema normativo (anche se, a parere di questo pretore, ne' l'una ne' l'altra, cosi' come sono motivate, appaiono convincenti). Sostanzialmente, in tale contesto, il giudice del dibattimento potra' liberamente asumere mezzi di prova a due sole condizioni: a) che tale mezzo di prova sia indispensabile ai fini del decidere; b) che la necessita' e la connotazione di esso emergano dagli atti ritualmente acquisiti al fascicolo del dibattimento. A contrario la norma non prevede espressamente che il giudice debba rinviare per la relativa assunzione. A confutare cio' non puo' e non deve essere di pregio, stante il silenzio della norma, l'osservazione fatta incidenter tantum dalla Corte di cassazione secondo la quale "E' da aggiungere che all'ammissione di una prova nuova .. il giudice non potrebbe non far seguire l'ammissione anche delle eventuali prove contrarie". Tale inciso della Corte non e' convincente sotto svariati aspetti. Innanzitutto si deve rilevare e ribadire che la norma espressamente non ha previsto l'obbligo del giudice di rinviare. Cio' assume un particolare significato se tale omissione venga posta in relazione ad altre norme nelle quali, soprattutto per garantire il diritto alla difesa, il legislatore ha imposto un rinvio della udienza e/o del dibattimento (cfr. fra le tante gli artt. 485, 486, 451/6 e 519 del c.p.p. ecc.). E' chiaro che, in tale assetto normativo, nulla vieta che il giudice possa (d'ufficio o su istanza) rinviare; ma nulla vieta che possa disporre immediatamente l'assunzione (ove cio' sia possibile) del mezzo disposto. In tale contesto, anche ove vi sia stata una istanza formale di rinvio al fine di consentire l'assunzione del mezzo di prova, il giudice potrebbe non rinviare ovvero rinviare, pur ammettendo il mezzo di prova richiesto, per un tempo che concretamente non sia sufficiente a consentire l'effettivo esercizio del diritto alla controprova. In altri termini in tale assetto, una volta disposto il nuovo mezzo di prova, il rinvio si atteggia non come obbligatorio, ma come discrezionale sia nell' an che nel quantum. Non solo, ma l'osservazione della Corte, supporrebbe che la parte onerata del diritto alla controprova conosca gia' il mezzo di prova contrario a quello disposto dal giudice. E' chiaro che, allora, in tale contesto, il rinvio avra' esclusivamente la funzione di consentire l'esercizio di quelle attivita' materiali necessarie per evocare in giudizio il mezzo di prova contrario e non anche per ricercarlo. In altri termini, stando a quanto afferma la Corte, il giudice e' tenuto a rinviare solo se vi sia stata una istanza di prova contraria che suppone, non solo la indicazione del fatto, ma anche la indicazione del mezzo; mentre, nell'ipotesi in cui la parte onerata della controprova dovesse limitarsi a richiedere sic et simpliciter un termine per preparare le proprie difese (analogo al termine a difesa per il rito direttissimo), secondo il criterio enucleato dalla Corte, peraltro conforme all'attuale sistema delineato dall'art. 507 del c.p.p., il giudice potrebbe anche rigettare l'istanza di rinvio (in quanto non e' stato indicato un mezzo di prova contrario). Quindi non si puo' non ribadire e concludere che, proprio alla luce della interpretazione data dalla Corte di cassazione all'art. 507 del c.p.p., il rinvio e' discrezionale ed e' finalizzato esclusivamente a consentire l'assunzione del mezzo di prova contrario gia' necessariamente indicato. 5) Sulla non manifesta infondatezza. Se la norma delineata e' quella indicata e se dal sistema non e' dato individuare norme che impongano in subiecta materia un rinvio obbligatorio del dibattimento (al piu', come gia' evidenziato, esso puo' essere discrezionale), la suddetta omissione e' illegittima costituzionalmente. Cio' sotto svariati aspetti. Innanzitutto non e' chi non veda che tale atto di ammissione della prova, da parte del giudice del dibattimento, configura una ipotesi di "prova a sorpresa" certamente necessaria al fine di garantire principi costituzionali (quale quello della obbligatorieta' della azione penale nonche' della sottoposizione del giudice alla legge); ma e' altrettanto vero che cio' non puo' e non deve comportare lesioni ad altri principi costituzionali. Orbene la "prova a sorpresa" senza che sia previsto, un obbligatorio rinvio del dibattimento o dell'udienza al fine di consentire effettivamente l'esercizio del diritto alla controprova, lede - a seconda se il mezzo disposto dal giudice riguardi i fatti oggetto dell'accusa (come statisticamente avviene piu' spesso) ovvero della difesa - o il precetto della obbligatorieta' dell'azione penale ovvero il diritto alla difesa. Invero in riferimento a quest'ultimo, l'imputato - che aveva ragionevolmente impostato la sua difesa sulle prove richieste dal p.m. - si vede "espropriato", in tale sistema, della possibilita' di ricercare ed indicare prove contrarie, aspetto fondamentale del diritto alla prova cosi' come connotato dall'attuale sistema processuale (argomentando tra l'altro dagli artt. 190, 468 e, per quanto afferisce al giudizio dinnanzi al pretore, l'art. 567/2 del c.p.p.). Infatti una volta disposta ex art. 507 del c.p.p., da parte del giudice del dibattimento, la prova nuova, l'imputato, secondo la Cassazione, dovrebbe indicare immediatamente la prova contraria chiedendo un rinvio. Orbene se e' a conoscenza di cio' nulla questio; ma se ignora la prova contraria chiaramente non puo' chiedere un rinvio per ricercarla, cosa che invece avrebbe potuto fare ove il p.m. avesse indicato ritualmente la prova nella lista depositata ex art. 567 del c.p.p. In altri termini l'assunzione di una prova ex art. 507 del c.p.p., nell'attuale sistema, determina una deminutio delle facolta' e dei poteri dell'imputato rispetto a quelli che avrebbe potuto esercitare ove il p.m. avesse ritualmente esercitato i suoi poteri istruttori. Segnatamente non ci si puo' non esimere dall'osservare che, in tale modus operandi, l'imputato non ha a disposizione quel tempo che avrebbe avuto ab origine per ricercare prove contrarie e non ha neanche la possibilita' di scegliere riti alternativi al dibattimento, attivita' che chiaramente rientra nel diritto alla difesa e che poteva essere adeguatamente esercitata solo se l'imputato avesse avuto conoscenza, sin ab origine del thema probandum. In tale contesto appariva ben piu' ragionevole il sistema previgente, delineato dall'art. 432 del c.p.p., che prevedeva, nei casi consentiti dalla legge, un rinvio del dibattimento a tempo indeterminato con il che le parti avrebbero potuto nuovamente esercitare quei poteri o quelle facolta' per le quali non si era verificata una decadenza. E' chiaro allora che l'attuale stesura dell'art. 507 del c.p.p., nel momento in cui non preveda un rinvio obbligatorio dell'udienza determina una sostanziale, giova ribadire, lesione dei poteri dell'imputato rispetto a quelli che avrebbe potuto esercitare ove la prova fosse stata ritualmente indicata nella lista. Cio' costituisce una evidente violazione del diritto alla difesa nonche' del correlato principio di uguaglianza, atteso che, di fatto, tale sistema crea una disparita' di trattamento tra imputati in riferimento ai quali il p.m. aveva indicato sin ab origine la prova (i quali, pertanto, mantengono integri i loro poteri processuali) e imputati in riferimento ai quali la prova viene "recuperata" ex art. 507 del c.p.p. (i quali, stante l'omissione impugnata, vengono a perdere i poteri istruttori "originari"). 6) .. segue. In riferimento al primo aspetto della questione, ove il p.m. non abbia il tempo per proporre prove contrarie, di fatto, verrebbe frustato il precetto di cui all'art. 112 della Costituzione che, come e' noto, impone ed esige anche l'obbligo della completezza istruttoria e quindi la necessita' che al p.m. venga dato quel tempo necessario per svolgere adeguatamente i suoi poteri. Non si puo' non ribadire che, nell'uno e nell'altro caso, la mancata previsione di un rinvio obbligatorio del dibattimento e/o dell'udienza preclude proprio l'adeguato e necessario esercizio del diritto alla difesa ovvero dell'azione penale nel particolare aspetto del diritto-dovere alla prova, cosi' come connotato dagli artt. 24 e 112 della Costituzione. 7) Conclusione. E' chiaro che, alla luce delle suesposte premesse, il rinvio obbligatorio, non previsto dalla norma, si rende necessario proprio al fine di consentire alla parte l'esercizio del diritto alla prova e al fine di garantire che, anche in dibattimento ed anche in riferimento alle prove disposte dal giudice, venga comunque garantita la par condicio tra le parti. Ma da cio' una ulteriore osservazione. Se il rinvio deve essere obbligatorio (nel senso che se la parte lo chiede il giudice non puo' non concederlo) ed e' finalizzato al suddetto scopo, e' necessario che esso sia tale da garantire effettivamente il diritto alla controprova. A tal fine non si puo' non rilevare che, tale termine, non puo' non essere equivalente a quello che la parte aveva a sua disposizione una volta conosciute le prove della controparte. Tale termine dovra' essere individuato alla luce del termine minimo di comparizione previsto a seconda del rito prescelto che, nel caso di specie, e' di quarantatre giorni ex artt. 555 e 567/2 del c.p.p. Giova ribadire che la necessita' di garantire, nel rinvio, tale termine e' dato proprio dalla situazione soggettiva della quale si chiede tutela in sede costituzionale. Infatti il diritto alla controprova va esercitato anche in dibattimento ex artt. 3 e 24 della Costituzione senza subire alcuna deminutio; cio' impone la necessita' che la parte abbia lo stesso tempo necessario ad individuarla rispetto a quello consentito ove la prova fosse stata ritualmente indicata, dall'altra parte, ex art. 190 del c.p.p. 7) Sulla rilevanza della questione. E' chiaro che la questione cosi' come proposta e' rilevante nel caso di specie atteso che una volta ammessa la prova richiesta dal p.m. ex art. 507 del c.p.p. (assunzione come testimone del perito campionatore) dovra' necessariamente seguire, atteso che la difesa nel caso di specie lo ha richiesto, un rinvio che non potra' essere inferiore ai quarantatre giorni pena la inutilizzabilita' della prova che si andra' ad assumere.