IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento civile iscritto al n. 1162 del ruolo generale affari civili contenziosi dell'anno 1989, promosso in primo grado da Sgarito Giuseppe, Argento Gaetana, Sgarito Vincenzo, Sgarito Calogera, Sgarito Angelo, Sgarito Carmela, Sgarito Elisa, Sgarito Franco, elettivamente domiciliati presso lo studio dell'avv. Paolo Gulotta, che li rappresenta e difende per mandato a margine dell'atto di citazione, attori, contro il comune di Favara, in persona del sindaco e legale rappresentante pro-tempore, convenuto contumace; Letti gli atti, udito il giudice relatore; OSSERVA IN FATTO Con atto di citazione notificato il 3 luglio 1989, Sgarito Giuseppe, Argento Gaetana, Sgarito Vincenzo, Sgarito Calogera, Sgarito Angelo, Sgarito Carmela, Sgarito Elisa, Sgarito Franco convenivano in giudizio dinanzi a questo tribunale il comune Favara che, in data 15 dicembre 1983, in esecuzione dell'ordinanza sindacale di occupazione n. 154 del 17 novembre 1983, aveva proceduto all'immissione in possesso di tre contigui appezzamenti di loro proprieta', siti nella contrada Ciccione di quel comune. Gli attori deducevano che l'occupazione era illegittima sia in dipendenza dei vizi insiti nei verbali di consistenza e immissione in possesso, sia per il decorso dei termini entro i quali la procedura espropriativa avrebbe dovuto essere completata. Sul presupposto che i terreni occupati erano stati adibiti alla realizzazione dell'opera pubblica progettata e non potevano piu' essere restituiti, gli attori chiedevano la condanna dell'amministrazione comunale convenuta al risarcimento del danno. Il comune di Favara, ritualmente citato, non si costituiva in giudizio e veniva dichiarato contumace. Nel corso dell'istruttoria, veniva disposta ed espletata c.t.u., per la valutazione dei beni, con riferimento al valore delle aree irreversibilmente destinate alla realizzazione dell'opera pubblica. La causa e' stata rimessa al collegio e posta in decisione. IN DIRITTO La domanda risarcitoria proposta dagli attori si ancora a due profili di illegittimita' dell'occupazione dei terreni di loro proprieta' da parte del comune di Favara che, come risulta dalla c.t.u. espletata, vi ha gia' realizzato massicce opere di sbancamento e muratura in cemento armato per la sistemazione, consolidamento e prolungamento di una pubblica via del centro abitato. La prima prospettazione di illegittimita' va certamente disattesa, in quanto i presunti vizi dei verbali di consistenza e immissione in possesso, di cui si dolgono gli attori, non inficiano la validita' del provvedimento di occupazione d'urgenza. In questa sede bastera' infatti rilevare che l'art. 3, della legge 3 gennaio 1978, n. 1, in- troduce in via generale, con riguardo alla realizzazione di opere pubbliche, una modifica permanente all'art. 71 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, consentendo, che per le opere dichiarate urgenti e indifferibili, lo stato di consistenza, prescritto dall'art. 71 cit., venga compilato dopo che sia stata disposta l'occupazione; pertanto, tale adempimento, proprio perche' successivo, non puo' rappresentare un presupposto del decreto di occupazione, e la sua eventuale illegittimita' non puo' produrre effetti invalidanti su quest'ultimo. Quanto al pretesto decorso dei termini di efficacia della dichiarazione di pubblica utilita' e d'urgenza dell'opera, di cui all'art. 13 della legge n. 2359/1865, va precisato che, con riguardo alle opere contemplate dalla legge 3 gennaio 1978, n. 1, cit., ovvero le opere pubbliche in senso stretto, la delibera di approvazione del relativo progetto (che, nel caso che ci occupa, reca la data dell'11 maggio 1983, mentre il provvedimento di occupazione reca quella del 17 novembre 1983) integra dichiarazione di pubblica utilita' e d'urgenza, con efficacia per un triennio (art. 1, terzo comma, della legge cit.); pertanto, rispetto ad atti ablatori, quali l'occupazione temporanea, resi dall'amministrazione entro quel termine, le controversie promosse dal proprietario, per denunciare l'illegittimita', sono devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo, poiche' non si verte in una situazione di carenza di potere; esse si traducono nella contestazione della regolarita' dell'esercizio del potere espropriativo, correlandosi, quindi, a posizioni di interesse legittimo e non di diritto soggettivo. Conseguentemente, il collegio, chiamato a decidere sulla illegittimita' dell'occupazione del fondo degli attori, sotto il diverso profilo dell'eventuale decorso dei suoi termini di durata, originariamente fissati in cinque anni, ai sensi dell'art. 20 della legge n. 865/1971, con scadenza al 15 dicembre 1988, si e' venuto ad imbattere in una sequenza normativa che pone in essere un articolato sistema di proroghe. E' appena il caso di ricordare che il periodo di efficacia dell'occupazione d'urgenza, originariamente prevesto in due anni, e' stato prorogato a ben cinque anni dall'art. 20 della legge cit., applicabile anche alle opere di competenza statale ex art. 14 della legge n. 10/1977. Si sono poi succedute diverse leggi speciali che hanno prorogato ulteriormente i termini massimi di durata delle occupazioni di urgenza in corso, e precisamente: art. 5 della legge 29 luglio 1980, n. 385, che proroga di un anno il termine di cinque anni previsto dalla legge n. 865/1971, art. 20 cit., per le occupazioni di urgenza in corso al 16 agosto 1980, data di entrata in vigore della legge, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 210 del 1 agosto 1980; art. 5- bis del d.l. 22 dicembre 1984, n. 901, convertito in legge dalla legge 1 marzo 1985 n. 42: "Per le occupazioni d'urgenza in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, la scadenza dei termini di cui al secondo comma dell'art. 20 della legge 20 ottobre 1971, n. 865, e' prorogata di un anno", applicabile alla fattispecie de qua, essendo stato pubblicato il decreto-legge nella Gazzetta Ufficiale n. 357 del 31 dicembre 1984, mentre la legge di conversione e' stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 52 del 1 marzo 1985, ed e' entrata in vigore il 16 marzo 1985, quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione; art. 14, secondo comma, del d.l. 29 dicembre 1987, n. 534, convertito in legge dalla legge 28 febbraio 1988, n. 47: "Per le occupazioni d'urgenza in corso, la scadenza del termine di cui al secondo comma dell'art. 20 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, gia' prorogato dall'art. 5- bis, del d.l. 22 dicembre 1894, n. 901, convetito, con modificazioni, dalla legge 1 marzo 1985, n. 42, convernente precedente proroga delle occupazioni d'urgenza, e' ulteriormente prorogata di due anni", applicabile alla fattispecie de qua, poiche' la legge di conversione e' entrata in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, e cioe' il 1 marzo 1988 (Gazzetta Ufficiale n. 50), mentre il d.l. e' stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 304 del 31 dicembre 1987 e, per l'art. 22, e' entrato in vigore 1 gennaio 1988, giorno successivo a quello della sua pubblicazione; artt. 22 e 23 della legge 20 maggio 1991, n. 158: "Per le occupazioni d'urgenza in corso, la scadenza del termine, di cui al secondo comma dell'art. 20 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, da ultimo prorogata dall'art. 14, secondo comma, del d.l. 29 dicembre 1987, n. 534, convertito con modificazioni dalla legge 29 febbraio 1988, n. 47, e' ulteriormente prorogata di due anni. Le disposizioni della presente legge hanno effetto a decorrere dal 1 gennaio 1991"; art. 1 del d.l. 1 gennaio 1992, n. 195 (non convertito), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 52 del 3 marzo 1992 "Per le occupazioni d'urgenza in corso, la scadenza del termine di cui al secondo comma dell'art. 20 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, da ultimo prorogata dall'art. 22 della legge 20 maggio 1991, n. 158, e' ulteriormente prorogata di due anni". In relazione a tale quadro normativo, va ribadito che lo stesso tenore letterale delle norme in commento, impone alla giurisprudenza di interpretarle nel senso che le proroghe previste, operino automaticamente, senza bisogno di apposito provvedimento dell'ente pubblico occupante. Cio' in quanto i testi legislativi che le prevedono chiaramente riferiscono le proroghe alla scadenza del termine concretamente fissato nel decreto di occupazione d'urgenza, e non alla scadenza dei termini massimi previsti in via generale dall'art. 20 secondo comma, della legge n. 865/1971. Inoltre, ciascuna delle leggi di proroga richiama quella precedente, per cui le proroghe stesse non possono essere considerate isolatamente, ma vanno inserite in quella sequenza normativa gia' evidenziata che determina la protrazione complessiva dei termini di occupazione. La fattispecie che ci occupa, poi, viene a subire tutte le anzidette leggi di proroga, fatta eccezione per la prima, considerato che l'occupazione, fissata originariamente in cinque anni nell'ordinanza sindacale del 17 novembre 1983, con decorrenza dal 15 dicembre 1983, data dell'immissione in possesso, sarebbe scaduta, in applicazione di tutte le proroghe successive a quella data, il 15 dicembre 1993. Il che comporta una durata del termine di occupazione legittima pari ad un decennio. La pendenza del detto termine determina l'impossibilita' degli attori a richiedere il risarcimento del danno per il valore del fondo, ancorche' essi abbiano certamente perso, per la gia' accertata irreversibile destinazione del medesimo alla realizzazione dell'opera pubblica, la possibilita' di ottenerne comunque la restituzione. Inoltre gli attori, pur essendo stati privati della disponibilita' del bene, non possono agire per la determinazione dell'indennizzo, perche' difetta un provvedimento ablatorio che li privi formalmente della titolarita' del bene; e non possono agire per il risarcimento del danno ex art. 2043, perche', per effetto delle citate proroghe, l'occupazione sarebbe tuttora legittima. L'anzidetto evidenzia l'incidenza processuale e sostanziale che le suddette leggi di proroga determinano nella decisione della controversia in esame; e il collegio ritiene giusto esaminare d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale di tale sistema normativo. Tale questione, della cui rilevanza gia' si e' detto, appare al collegio non manifestamente infondata, ove si consideri che il sistema normativo, progressivamente disegnato dalle leggi di proroga dei termini di durata delle occupazioni di urgenza in corso, determina una generale situazione di incertezza per i proprietari di suoli "temporaneamente" occupati dalla p.a. - per non dire di, anche gravi, disagi economici, quando il titolare, imprenditore agricolo, utilizza quel fondo quale fonte di lavoro e sostentamento -. Difatti, considerato che al proprietario vengono sottratti la materiale disponibilita' e il godimento dell'immobile, destinato alla realizzazione dell'opera pubblica, ben si comprende come un termine certo e determinato che stabilisca la durata dell'occupazione, e, dunque, posto a garanzia e tutela del proprietario del bene, costituisca un elemento essenziale del provvedimento amministrativo cui inerisce. Cosicche', il perdurare dell'occupazione d'urgenza, determinata dal continuo stillicidio delle leggi di proroga, di certo non comporta un vantaggio per il soggetto che subisce la procedura ablativa, bensi' costituisce un danno: allungandosi il periodo di indisponibilita' del bene, ritarda nel tempo la possibilita' di ricevere l'indennita' di occupazione, ovvero il risarcimento del danno. Le suesposte considerazioni inducono il collegio a ritenere non manifestamente infondata la questione del contrasto tra il sistema normativo delle leggi di proroga e le norme di cui agli articoli 24, 42, secondo e terzo comma, 97 e 3 della Costituzione, per i seguenti, specifici. M O T I V I Art. 24 della Costituzione in relazione all'art. 42, terzo comma, della Costituzione. Per effetto della reiterazione delle norme di proroga, il proprietario del bene occupato, ma non espropriato, resta, per un lungo e non definito tempo, privo del giusto ristoro, effetto dell'occupazione, frattanto divenuta irreversibile, e paralizzato nella difesa. Il caso portato alla cognizione di questo giudicante e' emblematico della situazione surriferita: in definitiva l'attore, pur avendo perso la disponibilita'del terreno su cui e' stata realizzata l'opera pubblica - strada - da un lato non puo' agire per ottenere la determinazione dell'indennizzo, poiche', in mancanza del provvedimento ablatorio, non ne ha perso formalmente la titolarita', dall'altro non puo' agire per ottenere il risarcimento del danno, benche' la realizzazione dell'opera pubblica abbia determinato la perdita del bene occupato, poiche' l'occupazione deve considerarsi legittima per effetto delle citate proroghe di legge. Art. 42, secondo comma, della Costituzione. Si e' gia' accennato al fatto che ciascuna delle singole leggi di proroga non puo' essere considerata isolatamente, avulsa dal quadro normativo generale, nell'ambito del quale, in effetti, ciascuna di esse funziona come presupposto della successiva e lunga protrazione dei termini di occupazione autoritativamente imposta. La compressione della posizione del proprietario che ne deriva, percio', non presenta i caratteri della straordinarieta' e temporaneita'; caratteri che i limiti legali al diritto di proprieta', previsti dall'art. 42, secondo comma, della Costituzione al fine di assicurarne la funzione sociale, debbono avere per non incorrere nella violazione della posizione soggettiva del proprietario, costituzionalmente garantita. Al contrario, il legislatore ha conferito alla protrazione coattiva dei termini di durata dell'occupazione d'urgenza un carattere di ordinarieta', che ne compromette l'aderenza al principio costituzionale, desumibile dalla norma in commento, secondo il quale non e' consentito al legislatore ordinario intervenire liberamente sul diritto di proprieta', che puo' essere legittimamente compresso sol quando lo esiga il limite della "funzione sociale", considerato nello stesso precetto costituzionale poc'anzi ricordato. Funzione sociale, la quale esprime, accanto alla somma di poteri attribuiti al proprietario nel suo interesse, il dovere di partecipare alla soddisfazione di interessi generali, nel che si sostanzia la nozione stessa del diritto di proprieta', come viene modernamente intesa e come e' stata recepita dalla nostra Costituzione. Art. 42, terzo comma, della Costituzione. Il modo di incidere del provvedimento di occupazione d'urgenza, finalizzata all'espropriazione, sul contenuto tipico del diritto di proprieta', rivela un ulteriore profilo di contrasto tra la normativa di proroga e la Carta costituzionale, ovvero la violazione dell'art. 42, terzo comma, ove si consideri che l'occupazione temporanea e d'urgenza di un fondo da parte della p.a., pur lasciando il bene nella proprieta' del privato, di fatto sottrae al titolare la facolta' di godere, usare e disporre del fondo stesso, realizzando una compressione delle facolta' dominicali pressoche' totale, e di durata, per quel che prima detto, assolutamente incerta e indeterminata. A questa "espropriazione di valore" non fa da pendant la previsione, nelle medesime leggi di proroga, della corresponsione di un indennizzo per il periodo di occupazione prorogato, successivo alla scadenza dei termini di durata fissati originariamente nel provvedimento che l'occupazione aveva disposto, ne' e' previsto che l'ente occupante adotti il provvedimento che liquidi l'indennita' spettante al privato, in relazione alla maggior durata dell'occupazione. Art. 97 della Costituzione. Il processo di graduale, ma costante deformazione legislativa dell'istituto dell'occupazione d'urgenza preordinata all'espropriazione - la quale, in origine, doveva rappresentare una fase non necessaria e purante interinale del procedimento ablatorio, atta a consentire, prima dell'emanazione del decreto espropriativo, l'inizio dei lavori per opere pubbliche urgenti - ha di certo fatto un ulteriore passo avanti con le leggi di proroga, dopo che l'art. 20 della legge n. 865/1971, aveva portato a cinque anni il termine biennale di cui all'art. 71, prima parte, primo comma, della legge n. 2359/1895; e da tanto emerge anche la violazione dell'altro principio costituzionale del buon andamento della pubblica amministrazione, sancito dall'art. 97 della Costituzione. Difatti, questa tendenza legislativa, aggravata anche dal tempo che normalmente intercorre tra l'emanazione della dichiarazione di pubblica utilita' e la pronuncia del decreto di occupazione, finisce col favorire il rallentamento del procedimento ablativo e toglie ogni incentivo a concluderlo, con l'emanazione del decreto definitivo di esproprio, poiche', nel frattempo, data alla celerita' dei cantieri edili, in confronto alla lentezza della macchina burocratica, i lavori per l'esecuzione dell'opera pubblica saranno stati normalmente ultimati, almeno nel senso che l'opera pubblica sara' gia' stata finita se non rifinita. Questo stato di cose innesca forti diseconomie e un maggiore onere a carico dell'ente pubblico espropriante, che sara' tenuto - in base alla sistemazione che la giurisprudenza, a partire da Cass. sez. un. n. 1464/1983, e sino a Cass. sez. un. n. 12546/1992 ha tentato di dare alla materia per risolvere il problema dell'appartenenza dell'opera pubblica costruita su suolo privato in costanza di occupazione preordinata all'espropriazione - al risarcimento del danno e cio' significa che il quantum dovuto al privato non sara' piu' parametrato in base ai criteri riduttivi propri dell'indennita' di espropriazione, ma dovra' tendere all'integrale risarcimento del danno subito e, quindi, mai inferiore al valore venale del fondo, piu' la misura dei frutti perduti (cfr. Cass. sez. un. n. 1940/1988). Tale somma, essendo dovuta a titolo di risarcimento, e' suscettibile poi di rivalutazione monetaria - mentre quella dovuta a titolo di indennizzo non lo e', essendo un debito di valuta. Art. 97 della Costituzione in relazione all'art. 3 della Costituzione. Si delinea, infine, un ulteriore sospetto di illegittimita' costituzionale della normativa di proroga, sotto il profilo della irrazionalita' e arbitrarieta' della stessa, in relazione ai principi costituzionali di uguaglianza dei cittadini e di imparzialita' della p.a., in quanto le citate leggi consentono di costituire, in via del tutto arbitraria, situazioni diverse tra i proprietari dei fondi, oggetto di occupazione. Infatti, non tutti i procedimenti di occupazione in corso vengono coinvolti dalle leggi di proroga dei termini, nonostante le proroghe si succedano senza soluzione di continuita', ma sono quelli per i quali, al momento dell'entrata in vigore delle proroghe, non sono ancora scaduti i termini di durata dell'occupazione, discrezionalmente fissati nei provvedimenti amministrativi che l'occupazione hanno disposto. Ne deriva un trattamento diferenziato tra i proprietari degli immobili occupati, con le rilevanti conseguenze gia' dianzi evidenziate. Questa disparita' di trattamento, derivante dall'essere o meno i singoli procedimenti ablativi in corso assoggettati alle leggi di proroga dei termini di durata dell'occupazione d'urgenza, non ha giustificazione alcuna e poggia sull'elemento, del tutto casuale, della data in cui, nel corso del procedimento si e' verificata la immissione in possesso, da parte della pubblica amministrazione occupante; data, questa, che giurisprudenza dominante indica quale inizio degli effetti propri dell'occupazione d'urgenza. Il contrasto e l'incompatibilita' degli artt.: 5 della legge 29 luglio 1980, n. 385; 5- bis del d.l. 22 dicembre 1984, n. 901, convertito in legge dalla legge 1 marzo 1985, n. 42; 14, secondo comma, del d.l. 29 dicembre 1987, n. 534, convertito in legge dalla legge 28 febbraio 1988, n. 47; 22 della legge 20 maggio 1991, n. 158, rispetto agli artt. 24, 42, secondo e terzo comma, 97 e 3 della Costituzione, da' luogo ad una questione preliminare di legittimita' costituzionale, sulla quale compete alla Corte costituzionale pronunciare. La sospensione del presente giudizio consegue necessariamente alla rimessione degli atti alla Corte costituzionale.