IL PRETORE
   Nella  pubblica  udienza  del  29  giugno  1993,  ha pronunciato la
 seguente ordinanza nella causa r.g. n. 770/1993, promossa  da  Amadei
 Emanuela,  elettivamente  domiciliata  in  Brescia  presso gli avv.ti
 Mario Berruti  e  Pierluigi  Gerardi,  i  quali  la  rappresentano  e
 difendono  in  forza  di procura a margine dell'atto introduttivo del
 giudizio ricorrente,  contro  l'I.N.P.S.,  Istituto  Nazionale  della
 Previdenza   Sociale,   in   persona   del   presidente  pro-tempore,
 rappresentato e difeso dal dott. proc. Vincenzo di Maio in unione con
 l'avv. Giovanni Melluso, procuratori per mandati alle liti  a  rogito
 del notaio Lupo di Roma del 7 giugno 1991 e del 17 dicembre 1986, con
 domicilio  eletto  nel  proprio ufficio di avvocatura in Brescia, via
 Cefalonia n. 49, convenuto, e contro  Presidenza  del  Consiglio  dei
 Ministri  in  persona  del  Presidente  del Consiglio dei Ministri in
 carica, rappresentato e difeso ex lege  dall'avvocatura  distrettuale
 dello  Stato  di  Brescia,  con  domicilio  eletto negli uffici della
 medesima avvocatura in Brescia, via Cefalonia n. 50, convenuto;
    Visto il decreto legislativo n. 80  del  27  gennaio  1992  e,  in
 particolare l'art. 2, commi sesto e settimo e l'art. 4;
    Vista  la  sentenza  10-16  giugno  1993,  n. 285/1993 della Corte
 costituzionale;
    Visti gli artt. 81 e 3 della Costituzione;
    Letti gli atti difensivi delle parti;
    Considerato che nelle conclusioni la  parte  ricorrente  chiede  a
 questo   pretore,   previo   accertamento   e   dichiarazione   della
 responsabilita' dello Stato italiano  per  la  mancata  e,  comunque,
 ritardata  attuazione  della  direttiva  CEE n. 80/987, di condannare
 l'I.N.P.S. e per  esso  il  fondo  di  garanzia  di  cui  alla  legge
 297/1982,  in  persona  del suo legale rappresentante al pagamento in
 favore  della  parte  attrice  della  somma  di  L.  1.186.369  oltre
 rivalutazione monetaria e interessi legali sul totale rivalutato;
    Rilevato  che  la difesa dell'I.N.P.S. ha eccepito e sostenuto, in
 via preliminare, l'incompetenza del giudice adito  e  il  difetto  di
 legittimazione   passiva   dell'istituto,   mentre,  nel  merito,  ha
 affermato  la  nullita'  della   domanda   proposta   nei   confronti
 dell'I.N.P.S.  per  indeterminatezza dell'oggetto ed, inoltre, la sua
 infondatezza per prescrizione e, comunque, per carenza di prova;
    Valutate le argomentazioni difensive svolte dall'avvocatura  dello
 Stato  e  le  formulate  conclusioni  miranti  ad  ottenere,  in  via
 preliminare, la dichiarazione 1) di nullita' della  domanda  proposta
 nei  confronti  della  Presidenza  del Consiglio dei Ministri, 2) del
 difetto  di  legittimazione  passiva della stessa Presidenza e 3) del
 difetto di competenza funzionale del pretore in funzione  di  giudice
 del lavoro e, infine, nel merito, il rigetto del ricorso;
                            COSI' ARGOMENTA
    Con  la  recente sentenza n. 285/1993 la Corte costituzionale, tra
 l'altro, ha affermato di condividere, da qui si riporta testualmente,
 "l'interpretazione dell'art. 2, settimo comma, nel senso che soggetto
 passivo del diritto all'indennizzo  ivi  previsto  e'  l'I.N.P.S.  La
 norma  quantifica la responsabilita' risarcitoria imposta allo Stato-
 ordinamento dalla sentenza della Corte di giustizia, ma in pari tempo
 costituisce la relativa obbligazione non in capo allo  stato-persona,
 ma   a   uno  degli  enti  pubblici  in  cui  si  articla  l'apparato
 dell'amministrazione indiretta  statale.  La  legittimazione  passiva
 dell'I.N.P.S. si argomenta dalla lettera dell'art. 4 del decreto, che
 pone  'a  carico del fondo di garanzia di cui alla legge n. 297/1982'
 gli 'oneri derivanti dall'applicazione degli artt. 1, 2 e 3' e dunque
 - dato il  riferimento  all'intero  art.  2  -  anche  l'applicazione
 dell'art.  2,  settimo comma. L'argomento letterale e' corroborato da
 un argomento logico: il rinvio del settimo comma  al  secondo  comma,
 per   cui   il   risarcimento   viene  ragguagliato  forfettariamente
 all'ammontare della prestazione  previdenziale  che  spetterebbe  nel
 sistema  a  regime, e quindi assoggettato al medesimo limite massimo,
 si  spiega  e  si  giustifica  appunto  in  correlazione  all'accollo
 dell'onere finanziario al fondo di garanzia finanziato con contributi
 a carico dei datori di lavoro".
    Quanto  la  Corte  costituzionale dichiara di condividere, benche'
 autorevolmente espresso, non puo' essere condiviso, non comunque  nei
 termini  proposti  e teste' riferiti, da questo pretore per le stesse
 ragioni che imposero l'emissione della precedente ordinanza, in  data
 21   aprile  1993,  di  rimessione  alla  Corte  della  questione  di
 costituzionalita' dell'art. 2 sesto comma del d.l.  n.  80,  del  27
 gennaio  1992,  in  relazione  all'art.  3  della Costituzione. Deve,
 infatti, rilevarsi che, ne' dal punto di  vista  dell'interpretazione
 letterale,  ne' sotto il profilo logico, quanto condiviso dalla Corte
 e' corretto, non offrendo la normativa esaminata  spazio  alcuno  per
 ritenere  l'I.N.P.S. soggetto passivo della disposizione e le ragioni
 di quanto qui si sostiene verranno chiare nel prosieguo della lettura
 della presente ordinanza.
    Pertanto,  poiche'  neppure  a  seguito  della  predetta  sentenza
 285/1993,  inidonea  a  modificare  la  legge vigente dello Stato, in
 nessun modo sono state superate o  possono  ritenersi  irrilevanti  o
 inammissibili  le  questioni  gia' sollevate da questo giudice con la
 ordinanza in data 21  aprile  1993,  devono  riproporsi  immutate  le
 precedenti argomentazioni, al fine di sollecitare una decisione della
 Corte  costituzionale  che  esamini  e  dirima  l'intera questione di
 costituzionalita', senza margini di equivoco e senza  interpretazioni
 inaccettabili  in  diritto,  benche'  miranti a dare giusta tutela ai
 soggetti interessati.
    Si riproduce, dunque, il testo  dell'ordinanza  emessa  da  questo
 giudice in data 21 aprile 1993.
    L'art. 2 sesto comma del d.l. 27 gennaio 1992, n. 80 dispone, con
 assoluta  chiarezza:  "L'intervento  del  Fondo  di garanzia previsto
 dalle disposizioni che precedono opera soltanto nei casi  in  cui  le
 procedure  indicate  nell'art.  1  siano  intervenute successivamente
 all'entrata in vigore del presente decreto legislativo".
    Nel   comma   successivo   si   afferma:  "Per  la  determinazione
 dell'indennita' eventualmente spettante, in relazione alle  procedure
 di  cui all'art. 1, comma primo, per il danno derivante dalla mancata
 attuazione della direttiva CEE n.  80/1987,  trovano  applicazione  i
 termini,  le  misure  e le modalita' di cui ai commi primo, secondo e
 quarto. L'azione va promossa entro un anno dalla data di  entrata  in
 vigore del presente decreto".
    Nell'art.  4  si  legge:  "Agli  oneri derivanti dall'applicazione
 degli artt. 1, 2 e 3, valutati in lire 125 miliardi per il  1992,  in
 lire  130  miliardi  per  il 1993 e in lire 135 miliardi per il 1994,
 posti a carico del Fondo di garanzia di cui alla  legge  n.  297  del
 1982,  si provvede ai sensi dell'art. 2, ottavo comma, della medesima
 legge. Per l'anno 1992  l'aliquota  contributiva  prevista  da  detto
 comma  ottavo,  e'  elevata  dello 0,05% e per gli anni successivi si
 provvede  a  determinare   l'aliquota   sulla   base   dell'andamento
 gestionale del Fondo".
    Poiche',  come  emerge  senza  possibilita' di equivoco dall'esame
 delle norme sopra riportate, il fondo e' ex lege tenuto a sostituirsi
 all'insolvente datore  di  lavoro  nel  pagamento  delle  tre  ultime
 mensilita'  di  retribuzione  solo e soltanto per le ipotesi previste
 nell'art. 1 del d.l.  n.  80/1992  verificatesi  dopo  l'entrata  in
 vigore  del  medesimo  decreto  legislativo,  mentre  per  il periodo
 precedente viene affermato l'obbligo del  risarcimento  del  danno  a
 carico  dello Stato italiano, si presume, ma qui riemerge la tendenza
 del nostro legislatore a proporre enigmi e non certezza  di  diritto,
 per  la  tardiva  recezione  della  direttiva CEE n. 80/1987, risulta
 chiaro, senza spazi per diversa interpretazione, che non e' in  alcun
 modo previsto l'obbligo del risarcimento del danno a carico del fondo
 di  garanzia  in  relazione ai periodi precedenti l'entrata in vigore
 della predetta normativa.
    Poiche', inoltre,  nella  normativa  che  qui  si  esamina,  viene
 individuata  la  copertura  finanziaria, art. 4 del d.l. n. 80/1992,
 esclusivamente per quanto concerne gli oneri a carico  del  fondo  di
 garanzia,  mentre,  in  relazione  agli  oneri ricadenti direttamente
 sullo Stato e, comunque, sicuramente non sul fondo, dei  qali  si  e'
 gia'  detto,  non  risulta  prevista alcuna copertura finanziaria, le
 disposizioni relative risultano in assoluto contrasto con  l'art.  81
 ultimo comma della Costituzione della Repubblica italiana.
    Unica   conseguenza  e  soluzione  possibile  dovrebbe  essere  la
 dichiarazione dell'illegittimita' costituzionale  del  comma  settimo
 dell'art.  2  del d.l. n. 80/1992 e la sua consequenziale cessazione
 di efficacia ai sensi dell'art. 136 della Costituzione.
    Dovrebbe, ma non puo' essere.
    Si  consideri  con  attenzione:  dall'abrogazione  della  suddetta
 disposizione  discenderebbe la totale assenza di protezione giuridica
 per i soggetti interessati e, in via teorica, tutelati dalla medesima
 disposizione:   tale   evenienza   determinerebbe   una   illegittima
 disparita'  di  trattamento  tra portatori di un medesimo diritto (il
 momento d'insorgenza dello stesso non puo',  infatti,  avere  rilievo
 discriminante),   senza   alcuna  razionalita'  e,  non  deve  essere
 dimenticato, contro la volonta' stessa  del  legislatore,  il  quale,
 benche'  con  strani  artifici  di  tecnica  legislativa,  ha inteso,
 doverosamente,  con  la  normativa citata dare rilievo e tutela anche
 alle situazioni giuridiche verificatesi prima dell'entrata in  vigore
 del d.l. n. 80/1992, dando effettivita' ai diritti pregressi.
    La dichiarazione d'incostituzionalita' del settimo comma dell'art.
 2  del  d.l.  n.  80  del  1992,  benche'  ad un primo esame utile e
 necessaria, darebbe, dunque, strada ad  una  violazione  ancora  meno
 sopportabile  della  Costituzione,  dal  momento che, lo si e' visto,
 comporterebbe  l'assenza,  per  le  situazioni   verificatesi   prima
 dell'entrata  in  vigore  del  d.l.  n.  80/1992,  di una previsione
 legislativa del diritto ad ottenere la prestazione  da  parte  e  del
 fondo  di  garanzia  e dello Stato italiano: cosi' una, esatta in via
 astratta, dichiarazione  di  illegittimita'  del  settimo  comma  per
 violazione palese dell'art. 3 della stessa Costituzione.
    E  che  il  verificarsi  di  tale  violazione sia ipotesi piu' che
 concreta risulta evidente dalla semplice lettura delle argomentazioni
 difensive delle parti convenute, le quali, sotto diversi profili,  ma
 con il medesimo fine di sfuggire ad ogni obbligo di legge - e cio' e'
 tanto piu' grave per quanto concernente la posizione della Presidenza
 del  Consiglio  dei Ministri, organo per il quale giustizia e diritto
 dovrebbero essere ad ogni altra considerazione o esigenza  prioritari
 -, hanno tratto dalla sussistenza della violazione dell'art. 81 della
 costituzione  ragione  ulteriore  per  negare  il  diritto vantato in
 giudizio dal ricorrente.
    Non puo' ritenersi, pertanto, conforme a diritto la  dichiarazione
 d'incostituzionalita'  del,  gia'  piu'  volte  citato, settimo comma
 dell'art. 2 del d.l. n. 80/1982 per violazione  dell'art.  81  della
 Costituzione,  poiche',  come  detto,  tale pronuncia determinerebbe,
 nell'ambito della normativa  che  qui  si  esamina  e  con  specifico
 riferimento all'art. 2 comma sesto, l'emergere della, ben piu' grave,
 violazione dell'art. 3 della Costituzione.
    Sussiste,  invece,  la possibilita', con un semplice intervento di
 "chirurgia giuridica" della Corte costituzionale,  di  riportare  nei
 confini  della  Costituzione  la  normativa  che  qui si esamina e di
 ripristinare, cosi', il diritto violato: risulta  sufficiente  a  tal
 fine  la  dichiarazione d'incostituzionalita' dell'art. 2 sesto comma
 del d.l. 27 gennaio 1992, n. 80, lasciando inalterato il resto delle
 disposizioni del suddetto decreto legislativo.
    Infatti, l'abrogazione  del  sesto  comma  eliminerebbe  i  limiti
 dell'intervento  del  fondo  di garanzia, dei quali si e' gia' detto,
 consentendo l'identico trattamento giuridico per tutte le  situazioni
 ipotizzate  legislativamente nel d.l. n. 80/1992 e, cosi', per tutti
 i  soggetti  interessati,  mentre  non  sussisterebbe   piu'   alcuna
 violazione  dell'art.  81  della  Costituzione,  giacche', per quanto
 concernente  gli  oneri  a  carico  del  Fondo,  esiste,  come  sopra
 rilevato,   la  previsione  legislativa  della  necessaria  copertura
 finanziaria.
    Giacche' ai fini del decidere  e'  essenziale  avere  certezza  in
 ordine  alla  vigenza  o  meno dell'art. 2, sesto comma, del d.l. n.
 80/1992 e poiche' tale certezza puo' derivare solo da  una  decisione
 della  Corte  costituzionale, risulta necessario investire il giudice
 delle  leggi  della  questione  di   costituzionalita'   come   sopra
 precisata,  essendone  palese  per  le  argomentazioni che precedono,
 senza necessita' di altra superflua precisazione,  la  rilevanza  nel
 giudizio.