IL PRETORE Visto il ricorso proposto da Cameletti Giovanni in data 16 febbraio 1993; Visti gli scritti difensivi depositati dall'INPS e dal Governo italiano; Esaminata la documentazione prodotta dalle parti; Sentiti i difensori all'odierna pubblica udienza; Visti gli artt. 2 e 4 del d.l. n. 80 del 27 gennaio 1992; Visti gli artt. 3, 24, 25, 81 della Costituzione; O S S E R V A 1. - Il ricorrente ha provato, mediante la produzione dell'intervenuta insinuazione allo stato passivo della B.M.B. di Baronchelli dichiarata fallita dal tribunale di Brescia in data 26 maggio 1989, di essere titolare di crediti di lavoro, per retribuzioni maturate e non corrisposte, per complessive lit. 1.898.812 (mesi di ottobre, novembre, dicembre 1988). 2. - Il ricorrente ha altresi' attestato di non aver goduto di trattamenti sostitutivi, quali quello della cassa integrazione guadagni. 3. - Non v'e' dubbio che il Cameletti si trovi nella situazione richiamata dall'art. 1 del d.l. 27 gennaio 1992, n. 80, circostanza peraltro non contestata dai convenuti. 4. - Nel costituirsi in giudizio l'Inps ha eccepito l'incompetenza del giudice adito e la propria carenza di legittimazione passiva e lo stesso ha fatto il Presidente del Consiglio dei Ministri; 5. - L'art. 2 citato decreto disciplina le modalita' ed i limiti dell'intervento del fondo di garanzia di cui alla legge 29 maggio 1982 n. 27 precisando, nel comma sesto, che il pagamento della somma indicata al comma secondo a favore del lavoratore verra' effettuato solamente nei casi in cui le procedure previste dal precedente articolo 1 siano intervenute "successivamente all'entrata in vigore del presente decreto legislativo". Al successivo comma settimo il medesimo articolo 2 precisa che ai lavoratori, i quali abbiano subito danni dalla mancata attuazione della direttiva CEE n. 80/1987, spetta una indennita' corrisposta secondo i termini, le misure e le modalita' di cui ai commi primo, secondo e quarto. Appare cosi' evidente che il fondo di garanzia sia tenuto a sostituirsi all'insolvente datore di lavoro solamente per le ipotesi in cui le procedure siano intervenute dopo l'entrata in vigore di questo stesso decreto legislativo. Per i periodi precedenti, quale e' quello in esame trattandosi di fallimento dichiarato nel 1989, e' stato ritenuto sussistente ope-legis il danno determinato dalla mancata attuazione della direttiva n. 80/1987 della CEE, e prevista la corresponsione di una indennita' di cui si e' previamente determinata la modalita' di calcolo (secondo i commi primo, secondo e quarto dell'art. 2) ma non si e' individuato il soggetto legittimato al pagamento. L'omissione del richiamo del comma sesto e la chiara dizione di quest'ultimo non consentono interpretazione diversa. Peraltro, anche ammettendo che l'esclusione dell'obbligo a carico del fondo di garanzia possa essere inteso come obbligo gravante sul "Governo italiano", come ha reputato il ricorrente, rimane un ulteriore ostacolo e cioe' che il decreto legislativo in esame, nell'art. 4, prevede copertura finanziaria solo per quanto concerne gli oneri a carico del fondo di garanzia mentre nulla dice per quegli obblighi, sicuramente non ricadenti sul predetto fondo, ma in generale ricadenti sullo Stato italiano. E cio' appare in palese contrasto con l'art. 81 della Costituzione. Inoltre la circostanza che il richiamato settimo comma non individui il soggetto erogatore della indennita' ne' il soggetto nei cui confronti azionare il riconoscimento diritto al risarcimento del danno, limitandosi a prevedere il termine di decadenza dell'azione, impedisce la tutela giudiziale dei diritti di quei lavoratori per i quali l'insolvenza del datore di lavoro sia intervenuta dopo l'emanazione della direttiva comunitaria e prima dell'emanazione del presente decreto. Cio' e' provato dal fatto che, nel costituirsi nell'odierno giudizio, l'avvocatura dello Stato ha rilevato che "l'elevazione in giudizio dello Stato italiano o del Governo genericamente indicato sia pure in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri, e' nulla per la mancata indicazione dell'amministrazione statale nei cui confronti e' proposta e che la Presidenza del Consiglio dei Ministri risulta priva di legittimazione passiva" per arrivare all'ulteriore corollario "l'accertamento della responsabilita' di cui trattasi potrebbe al piu' essere proposto nei confronti del legislatore". Ne consegue la violazione del disposto degli artt. 24 e 25 della Costituzione in quanto la situazione descritta e stigmatizzata dalla stessa avvocatura dello Stato di fatto rende inoperante la possibilita', per alcuni lavoratori, di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e rende, di conseguenza, difficoltosa anche la individuazione del giudice competente. La qualificazione di "indennita'" data dal legislatore alle somme da corrispondere a tutti i lavoratori non consente tuttavia, a parere di questo pretore, di sottrarre la presente vertenza alla competenza dei giudici del lavoro come vorrebbero l'avvocatura dello Stato e lo stesso Istituto Nazionale della Previdenza Sociale. Sull'evidente violazione dell'art. 3 della Costituzione ritiene questo giudice di spendere ulteriori parole. Constatata la fondatezza e la manifesta rilevanza delle questioni di legittimita' costituzionale sopra evidenziate per la decisione del presente giudizio in quanto il dato testuale dell'art. 2 sesto comma, escludendo l'intervento del Fondo di Garanzia nella presente fattispecie, rende impossibile emettere la decisione sulla base del successivo comma sette non chiarendo quest'ultimo il soggetto nei cui confronti la pretesa creditizia possa essere azionata e determinando ad una ingiustificata e palese diversita' di trattamento dei lavoratori.