IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
    Ha pronunciato la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  nn.  1496/92
 (563/1992,  sezione  prima),  proposto  da  Agliastro Mirella, Ajello
 Caterina, Birritteri Luigi, Bufalmante  Giovanni,  Cavaretta  Pietro,
 Civiletti  Fabio,  D'Antoni  Giovanni,  De  Luca  Salvatore, Di Marco
 Gabriella, Di Marco Giuseppa, Di  Pisa  Antonino,  Greco  Vincenzina,
 Grimaldi  Caterina,  La  Barbera  Gaetano, Leone Luisa, Loforti Gilda
 Remigia, Loforti Raimondo, Lupo Giuseppe, Malizia Raffaele,  Majolino
 Maria  Carla,  Manduzio  Stefano, Marraffa Daniele, Mazzamuto Nicola,
 Melisenda Giambertoni Giuseppe, Montalbano Giacomo,  Napoli  Antonio,
 Natoli  Gioacchino,  Novara  Antonio,  Occhipinti Andreina, Palmisano
 Roberta, Pappalardo Antonia, Pellino Angelo, Perriera Michele, Pilato
 Salvatore, Principato Teresa Maria, Randazzo  Flora,  Razete  Luciana
 Elisabetta,   Rizzo   Alfonsa  Tullia,  Sabatino  Antonina,  Sabatino
 Vincenza,  Sambito  Maria  Giovanna,   Scarpinato   Roberto,   Teresi
 Vittorio,  Tricoli  Antonio,  Turco  Luisa,  Valenti  Rosa,  Vincenti
 Cesare, Viola Marcello, Virga Tommaso, Ziino Sergio, rappresentati  e
 difesi  dall'avv.  Ignazio Scardina, presso il cui studio in Palermo,
 via Rodi, 1, sono elettivamente domiciliati, contro il  Ministero  di
 grazia  e  giustizia  ed  il  Ministero  del  tesoro,  in persona dei
 rispettivi Ministri pro-tempore, rappresentati  e  difesi  per  legge
 dall'avvocatura  distrettuale dello Stato di Palermo, domiciliataria,
 per il riconoscimento del diritto  dei  ricorrenti  a  percepire  una
 retribuzione  non  inferiore  a  quella  corrisposta al collega dott.
 Esposito, che vanta una minore anzianita'  di  qualifica,  e  per  la
 condanna dell'amministrazione al pagamento in loro favore delle rela-
 tive  differenze retributive, maggiorate di interessi e rivalutazione
 monetaria;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto l'atto di costituzione in giudizio delle amministrazioni in-
 timate;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Designato relatore alla pubblica udienza del 18 dicembre  1992  il
 consigliere  Calogero  Adamo,  ed  uditi  l'avv.  I.  Scardina  per i
 ricorrenti a l'avvocato  dello  Stato  Gianfranco  Pignatone  per  le
 amministrazioni resistenti;
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto:
                               F A T T O
    I  ricorrenti,  magistrati dell'ordine giudiziario in servizio nei
 distretti delle corti di appello di Palermo e Caltanissetta, invocano
 l'applicazione  del  c.d.  "allineamento   stipendiale",   introdotto
 dall'art.  4,  terzo comma, del d.l. n. 681/1982 convertito in legge
 n.  869/1982, confermato per il personale di magistratura dall'art. 2
 della legge 8 agosto 1991, n. 265.
    Espongono di avere tutti un'anzianita'  di  carriera  superiore  o
 uguale a quella del loro collega Antonio Francesco Esposito, il quale
 ha conservato il piu' favorevole trattamento economico maturato nella
 precedente  carriera  di  referendario  parlamentare presso il Senato
 della Repubblica.
    Chiedono  pertanto  che  sia  riconosciunto  il  loro  diritto   a
 percepire    lo   stesso   trattamento   retributivo   dell'anzidetto
 magistrato, con la condanna dell'amministrzione  alla  corresponsione
 delle  relative differenze retributive, con interessi a rivalutazione
 monetaria.
    Deducono a sostegno del ricorso che  l'istituto  dell'allineamento
 stipendiale, rimedio di carattere generale del pubblico impiego volto
 ad  evitare  situazioni  di  squilibrio  retributivo,  e'  conforme a
 principi costituzionali (art. 36  e  97)  e  sulla  retribuzione  nel
 pubblico   impiego,   secondo   cui   a   parita'  di  funzione  deve
 corrispondere  lo  stesso  trattamento  economico.  Ne'  sarebbe   di
 ostacolo  all'accoglimento della loro domanda la legge 8 agosto 1991,
 n. 265, in quanto avente portata innovativa, e quindi non applicabile
 alla presente fattispecie, nella quale i presupposti si sono maturati
 antecedentemente.
    Resistono le  amministrazioni  intimate,  assumendo  la  efficacia
 interpretativa,  e  quindi  retroattiva,  della  legge  n.  265/1991,
 l'insussistenza  delle  condizioni   che   possano   legittimare   un
 intervento  perequativo - in ragione del precedente servizio prestato
 dal dott. Esposito nell'amministrazione di provenienza -, e  comunque
 l'intervenuta    abrogazione    della   normativa   sull'allineamento
 stipendiale ad opera dell'art. 2, quarto comma, del d.l.  11  luglio
 1992,  n.  333,  convertito nella legge 8 agosto 1992, n. 359, con la
 relativa interpretazione autentica di cui all'art.  7  del  d.l.  19
 settembre  1992,  n. 384, convertito nella legge 14 novembre 1992, n.
 438.
    Con memoria  depositata  per  l'udienza  del  30  ottobre  1992  i
 ricorrenti   hanno   osservato   che  l'abrogazione  della  normativa
 sull'allineamento stipendiale, disposta dall'art.  2,  quarto  comma,
 del  d.l.  11  luglio  1992, n. 333, convertito nella legge 8 agosto
 1992, n. 359, e la relativa interpretazione autentica di cui all'art.
 7 del d.l. 18 settembre 1992, n. 384, non incidono  sulla  legge  n.
 265/1991,  che  disciplina  specificamente l'allineamento stipendiale
 del personale di magistratura.
    Comunque si tratterebbe di disposizioni  prive  di  efficacia  sui
 giudizi  pendenti,  risolvendosi  solo  in  un  divieto, rivolto alle
 amministrazioni, di adottare nuovi provvedimenti amministrativi.
    Una  diversa  impostazione,  ad  avviso  degli  interessati,   non
 potrebbe   non   ingenerare   sospetti   di  incostituzionalita'  per
 violazione dei principi di uguaglianza e ragionevolezza (art. 3 della
 Costituzione).
    Alla pubblica udienza del 18 dicembre  1992  i  procuratori  delle
 parti  hanno  chiesto porsi il ricorso in decisione, insistendo nelle
 rispettive conclusioni.
                             D I R I T T O
    1.  -  Nel  far  valere la pretesa all'allineamento stipendiale, i
 magistrati  ricorrenti  premettono  di  avere   tutti   un'anzianita'
 maggiore  rispetto  a  quella del collega Antonio Francesco Esposito.
 Tale  circostanza  e'  pacifica,   non   essendo   stata   contestata
 dall'amministrazione resistente.
    Il  presupposto  dell'allineamento si sarebbe realizzato allorche'
 il dott. Antonio Francesco Esposito fu nominato  uditore  giudiziario
 conservando  il  piu' favorevole trattamento economico maturato nella
 precedente carriera il referendario  parlamentare  presso  il  Senato
 della Repubblica.
    2.   -   Occorre   premettere   che  l'istituto  dell'allineamento
 stipendiale e' stato introdotto dall'art. 4, terzo comma,  del  d.l.
 27  settembre  1982, n. 681, convertito in legge 20 novembre 1982, n.
 869, per il personale militare, con norma del  seguente  tenore:  "al
 personale  con  stipendio inferiore a quello spettante al collega con
 pari o minore anzianita' di servizio, ma promosso successivamente, e'
 attribuito lo stipendio di quest'ultimo".
    La  giurisprudenza  formatasi  successivamente   ha   riconosciuto
 nell'anzidetta  disposizione  un  principio  o  rimedio  di carattere
 generale,  idoneo  ad   evitare   un'ingiustificata   disparita'   di
 trattamento  derivante dalla conservazione di trattamenti retributivi
 personalizzati: all'allineamento  consegue  infatti  il  riequilibrio
 della  retribuzione degli appartenenti al medesimo ruolo, in possesso
 di maggiore anzianita' (cfr. di recente Corte  costituzionale,  sent.
 n.  105/1992,  nonche'  Consiglio di Stato, sezione settima, 26 marzo
 1990, n. 410; Corte dei conti, sezione contr. Stato, 13 luglio  1984,
 n.  1472;  28  settembre  1984,  n. 1479; 3 febbraio 1985, n. 1518; 3
 febbraio 1989, n. 2093; 16 luglio  1992,  n.  67;  T.r.g.a.  Trentino
 A.A.,  sezione Trento, 12 giugno 1989, n. 174, e 3 settembre 1992, n.
 321; t.a.r. Sicilia, sezione Catania, 27 agosto 1990, n. 640;  t.a.r.
 Lazio,  sezione prima, 24 maggio 1991, n. 739, e 11 febbraio 1992, n.
 138; t.a.r. Puglia, sezione Lecce, 13 aprile 1989, n. 315).
    3.  -  Tale  principio,  variante  inteso   ed   applicato   dalla
 giurisprudenza, che ne ha via via definito gli specifici presupposti,
 e'  stato infine confermato, ma anche delimitato, per il personale di
 magistratura, dalla legge 8 agosto 1991, n. 265.
    All'art. 1 di tale  legge  -  ritenuta  interpretativa,  e  quindi
 retroattiva  -,  e specificamente al primo comma, si e', fra l'altro,
 richiamata l'amministrazione resistente nel contestare le pretese dei
 ricorrenti: la norma esclude l'allineamento per trattamenti economici
 conseguiti in settori diversi dalle carriere dirigenziali dello Stato
 o  equiparate.  Tale  limitazione  non  riguarda  peraltro  il   caso
 all'esame, giacche' la carriera di referendario al Senato puo' essere
 equiparata  a  quella  dirigenziale  dello  Stato  (cfr. Consiglio di
 stato, sezione quarta, 26 febbraio 1985, n. 64, che - sulla  base  di
 una  ricognizione  della  normativa vigente - ha ritenuto che anche i
 dipendenti delle Camere  debbano  essere  considerati  dipendenti  di
 un'amministrazione   dello   Stato,   ed   ha  quindi  ritenuto  loro
 applicabile l'art. 202 del d.P.R. 10  gennaio  1957,  n.  3,  per  il
 mantenimento  del  superiore  trattamento economico gia' in godimento
 all'atto del passaggio di carriera).
    Ne',   ad   avviso  del  collegio,  potrebbe  essere  di  ostacolo
 all'accoglimento della pretesa dei  ricorrenti  la  norma  del  terzo
 comma  del  citato  art.  1  che  esclude,  nel  caso di accesso alla
 magistratura mediante concorso di  primo  grado,  la  valutazione  di
 trattamenti  che  nella  precedente carriera erano stati a loro volta
 acquisiti mediante  allineamento,  giacche'  il  miglior  trattamento
 retributivo   conservato   dal   dott.  Esposito  non  deriva  da  un
 allineamento stipendiale nella precedente carriera, ma soltanto dalla
 maggiore entita' del relativo stipendio, come e' pacifico.
    In ogni caso, il presupposto  da  cui  sorgerebbe  il  diritto  al
 preteso  allineamento stipendiale si e' verificato prima dell'entrata
 in vigore della legge n. 265/1991.
    L'amministrazione sostiene di contro che la natura interpretativa,
 da  riconoscere  alla  legge  n.  265/1991,  farebbe  propendere  per
 l'efficacia retroattiva dell'art. 1 della medesima.
    Ora,  sembra  al  collegio  che  in  realta'  tale normativa abbia
 circoscritto e limitato l'istituto, implicitamente risonoscendone  la
 portata generale e la derivazione dalla fonte costituita dall'art. 4,
 terzo comma, del d.l. 27 settembre 1982, n. 681, convertito in legge
 20  novembre  1982,  n.  869,  ma  recependolo  con  modificazioni  e
 precisazioni per le  carriere  di  magistratura,  con  un  intervento
 avente chiara natura innovativa.
    Solo  alle disposizioni di cui ai commi quarto e quinto del citato
 art. 1 va riconosciunta natura  interpretativa,  e  quindi  efficacia
 retroattiva.
    Il  collegio ritiene, conclusivamente, che le condizioni poste dal
 primo e dal terzo comma dell'art. 1 della  legge  n.  265/1991  siano
 rispettate  nella  fattispecie  e che, cio' stante, il riconoscimento
 del diritto non troverebbe alcun ostacolo.
    Ne' avrebbe rilevanza l'art. 2, quarto comma, del d.l. 11  luglio
 1992,  n.  333, convertito nella legge 8 agosto 1992, n. 359, emanato
 nelle more del giudizio, che a decorrere dalla sua entrata in  vigore
 ha   abrogato  le  disposizioni  sull'allineamento,  tra  cui  quella
 contenuta  nell'art.  4  del  d.l.  681/1982.  L'abrogazione   vale,
 infatti,  soltanto  per il futuro, e non elimina i diritti gia' sorti
 in precedenza in virtu' delle norme abrogate.
    4. - Questa soluzione lineare e' pero' ora preclusa  dall'art.  7,
 settimo  comma, del d.l. 19 settembre 1992, n. 384, convertito nella
 legge 14 novembre 1992, n. 438 - invocato dall'avvocatura dello Stato
 - che recita: "L'art. 2, quarto comma, del d.l. 11 luglio  1992,  n.
 333,  convertito,  con  modificazioni,  dalla legge 8 agosto 1992, n.
 359, va interpretato nel senso che dalla data di  entrata  in  vigore
 del   predetto   decreto-legge   non  possono  essere  piu'  adottati
 provvedimenti di allineamento stipendiale, ancorche'  aventi  effetti
 anteriori all'11 luglio 1992".
    I  ricorrenti  contestano  l'applicabilita'  di tale normativa nei
 propri confronti, sostenendo che essa non si applichi  nei  confronti
 degli  appartenenti  alle  carriere  di  magistratura,  e comunque ai
 giudizi gia' pendenti; in via gradata dubitano della sua legittimita'
 costituzionale.
    Il  collegio  pero'  ritiene  di  non  poter  aderire  alle   tesi
 prospettate in via principale; ed invero:
       a)  il  rinvio  operato  dall'art.  1  della  legge n. 265/1991
 all'art. 4, terzo  comma,  del  d.l.  27  settembre  1982,  n.  681,
 convertito  dalla  legge 20 novembre 1982, n. 869, ha natura di rinvo
 formale - operato dalla legge piu' recente a quella che in precedenza
 aveva  disciplinato, in via di applicazione estensiva, le fattispecie
 relative alle carriere dei magistrati -, cosi' che,  venuta  meno  la
 disciplina  di  riferimento,  deve  ritenersi  venuta  meno  anche la
 specifica disciplina di settore che alla prima rinviava;
       b) l'intervento abrogativo appare  avere  efficacia  e  portata
 sostanziale,   risultando  conseguentemente  preclusa  l'applicazione
 delle norme citate tanto alle autorita' amministrative che  a  quelle
 giurisdizionali.
    5.  -  Il  collegio  condivide,  invece,  i  dubbi di legittimita'
 costituzionale  in  ordine   all'intervento   legislativo   teso   ad
 attribuire  efficacia  retroattiva  all'abrogazione  della  normativa
 relativa all'allineamento stipendiale.
    Il dato dal quale occorre muovere per impostare  correttamente  la
 questione e' costituito dalla individuazione della ratio della norma.
 L'intervento  e'  quello  -  evidente  -  di  bloccare ogni ulteriore
 applicazione dell'istituto dell'allineamento stipendiale  fondato  su
 norme  gia'  abrogate,  e  per  far  questo  il legislatore ha voluto
 incidere retroattivamente eliminando, ex  tunc,  ogni  effetto  delle
 norme abrogate.
    La   disposizione,   come   si   e'   detto,   e'  formulata  come
 un'interpretazione autentica. In realta',  se  cosi'  fosse,  la  sua
 retroattivita'  dovrebbe arrestarsi al momento dell'entrata in vigore
 della disposizione interpretata (art. 2, quarto comma, del  d.l.  n.
 333/1992, convertito in legge n. 359/1992); di fatto si e' introdotta
 un'innovazione,  consistente  nell'estensione  della decorrenza della
 legge interpretata (cfr. Corte costituzionale, sentenze n. 233/1988 e
 380/1990).
    La finalita' perseguita dalla legge  "interpretata"  era  (ed  e')
 evidentemente  quella  di  contenere  la  spesa  pubblica riferita ai
 trattamenti stipendiali  del  pubblico  impiego:  finalita'  che  non
 appare   irragionevole   o   comunque   sindacabile   nella  presente
 congiuntura della finanza pubblica.
    Cio' che appare invece irragionevole e' l'interpretazione additiva
 successivamente   introdotta.   L'irretroattivita'   costituisce   un
 principio  dell'ordinamento,  e  la  sua  deroga  si  pone come fatto
 eccezionale da utilizzare solo in presenza  di  una  effettiva  causa
 giustificatrice, prevalente sui rapporti preteriti e sul principio di
 affidamento  (cfr.  Corte  costituzionale,  sentenze  n.  155/1990  e
 389/1991).
    Nella specie, viceversa, appaiono lesi vari principi di  rilevanza
 costituzionale,  come  quello dell'affidamento, della trasparenza nei
 rapporti tra Stato e cittadino, della certezza dei  diritti  maturati
 per  i quali gli interessati coltivavano legittime aspettative, della
 correttezza della funzione giurisdizionale chiamata ad accertare tali
 diritti,  paralizzata   anch'essa   nel   suo   lineare   svolgimento
 dall'intervento  retrospettivo  del  legislatore, nella fictio di una
 interpretazione autentica.
    La norma retroattiva produce  inoltre  un'ingiusta  disparita'  di
 trattamento,  applicandosi a rapporti sorti precedentemente ed ancora
 pendenti  (cfr.  Corte  costituzionale,  sentenza  n.  39/1993):   la
 disparita'  si  verifica  tra  coloro  che, alla stregua del medesimo
 presupposto comunque verificatosi prima dell'intervento  legislativo,
 avevano  gia' ottenuto - per meri fattori estrinseci alla fattispecie
 ed, al limite, casuali - l'applicazione amministrativa o una sentenza
 favorevole  passata  in  giudicato  (rapporti  esauriti), e tutti gli
 altri (rapporti non ancora esauriti).
    Comunque, se l'abrogazione delle norme concernenti  l'allineamento
 stipendiale  e'  avvenuta  a decorrere dall'11 luglio 1992, il blocco
 dell'allineamento  riferito  a  situazioni  pregresse  non   ha   una
 giustificazione  giuridica.  Ed invero, esclusa la materia penale, la
 Costituzione  non   vieta   leggi   retroattive,   ma   esse   devono
 corrispondere  al  generale  criterio  di ragionevolezza e non devono
 violare gli altri principi costituzionali:  condizioni,  queste  che,
 per le anzidette ragioni, non sembrano rispettate.
    6.  -  Sotto gli anzidetti profili appare in effetti assai dubbia,
 ad avviso del collegio, la conformita' della norma di cui  al  citato
 art.  7,  settimo  comma,  del  d.l.  19  settembre  1992,  n.  384,
 convertito in  legge  14  novembre  1992,  n.  438,  ai  principi  di
 uguaglianza,  di ragionevolezza, di imparzialita' e di buon andamento
 dell'amministrazione,    nonche'    di    pienezza    della    tutela
 giurisdizionale,  risultanti  dagli  artt.  3,  24,  97  e  113 della
 Costituzione. Va ritenuta, pertanto,  non  manifestamente  infondata,
 sotto i predetti profili, la relativa questione di costituzionalita'.
    La  questione e' altresi' rilevante ai fini del presente giudizio,
 atteso che la norma  in  parola  e'  preclusiva,  allo  stato,  della
 pretesa azionata in questa sede dai ricorrenti.
    Cio'  posto,  si ritiene di dover sollevare, ai sensi dell'art. 23
 della  legge  11  marzo  1953,  n.  87,  siccome  rilevante   e   non
 manifestamente  infondata,  la  questione  di  costituzionalita'  del
 citato art. 7, settimo comma, del d.l. 19 settembre  1992,  n.  384,
 convertito  in legge 14 novembre 1992, n. 438, in rapporto agli artt.
 3, 24, 97 e 113 della Costituzione.
    Va pertanto disposta la sospensione del giudizio e  la  rimessione
 degli atti alla Corte costituzionale.