IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Letti gli atti dell'emarginato procedimento;
                             O S S E R V A
    Il procuratore della Repubblica presso la pretura circondariale di
 Matera  ha,  con  missiva  datata 4 gennaio 1993, pervenuta in questo
 ufficio  il  18  successivo,  chiesto  emettersi  decreto  penale  di
 condanna,  alla  pena ritenuta di giustizia, nei confronti di Pastore
 Carlo,  imputato della contravvenzione di cui agli artt. 54 e 195 del
 d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124.
    Senonche', trattandosi di fatto commesso il 20 gennaio 1991, e non
 essendo stati posti in essere atti interruttivi  o  sospensivi  dalla
 detta  data,  o, meglio, da quella del 22 gennaio 1991, giorno in cui
 la denunzia all'autorita' di p.s. e', nella specie,  avvenuta,  e  la
 permanenza  della  condotta  antigiuridica cessata (ove si ritenga, a
 stregua di Cass. 21 luglio 1970, n. 933 che  il  reato  abbia  natura
 permanente),  la  richiesta, oggi materialmente portata all'esame del
 decidente, dovrebbe esser disattesa  e  la  contravvenzione,  che  e'
 punita  con la sola ammenda, dichiarata estinta (art. 129 c.p.p.) per
 prescrizione, a seguito dell'avvenuto decorso, nel  breve  frattempo,
 del biennio previsto dall'art. 157.1, sub 6), del c.p.p.
    Tanto  perche' l'art. 160 cpv. del c.p., come modificato dall'art.
 239 d.lgs. 28  luglio  1989,  n.  271,  non  contempla  la  richiesta
 d'emissione   del  decreto  penale  tra  gli  atti  aventi  efficacia
 interruttiva della prescrizione, ulteriori rispetto alla sentenza  di
 condanna  ed  al  (recte  all'emissione cfr. Cass. 14 luglio 1976, n.
 7832 del) decreto di condanna (come sancisce l'immutato  primo  comma
 del medesimo articolo).
    In  sostanza,  dall'esame complessivo del cennato disposto, appare
 che, quanto allo specifico punto, il legislatore  abbia  ignorato  le
 innovazioni  rivenienti  dall'entrata  in  vigore del nuovo codice di
 rito penale, e che una simile esclusione, se  aveva  una  sua  logica
 collocazione  nel vecchio sistema, quando il pretore oltre che essere
 l'unico  organo  giudiziario  abilitato  al  procedimento  monitorio,
 sussumeva  in  se' anche la duplice funzione requirente e giudicante,
 non la ha piu' nell'attuale.
    La stessa norma dell'art. 160 cpv. del  c.p.  riconosce  pero'  il
 detto  effetto interruttivo alla richiesta di rinvio a giudizio (art.
 416 del c.p.p.).
    Orbene,  e'  di  palmare  evidenza  che  entrambe   le   richieste
 concretizzino una modalita' d'esercizio dell'azione penale (artt. 405
 e 554 del c.p.p.).
    Percio',  stante  l'evidenziata  omologia, non sembra che sussista
 una ragione plausibile per giustificare  l'illogica  differenziazione
 d'effetti sopra tratteggiata.
    Ne  deriva  il  sospetto,  non  manifestamente infondato, che tale
 diversita' di disciplina contrasti con l'art. 3  della  Costituzione,
 ove  consente che soggetti, i quali si trovano nella stessa posizione
 di indagati, riescano, senza apparente giustificazione, a sottrarsi o
 meno alla pretesa punitiva statuale, a seconda che operi  o  no,  nei
 loro  confronti,  l'istituto  della  prescrizione,  correlatamente al
 fatto che il p.m.  abbia,  con  richiesta  di  emissione  di  decreto
 penale,   anziche'   con  l'altra  di  rinvio  a  giudizio,  comunque
 chiaramente espresso la volonta' di non rinunciare all'esercizio  del
 potere punitivo nei loro confronti.
    Ne'   varrebbe,   in  contrario,  argomentare  che,  nel  giudizio
 pretorile, ossia quello riguardante il caso all'esame,  onde  evitare
 il  paventato  decorso  della  prescrizione  nel pur ristretto ambito
 esistente fra la  richiesta  di  decreto  penale  e  l'emissione  del
 provvedimento  del  g.i.p.,  al p.m. e' comunque lasciato il commodus
 discessus di provvedere direttamente  all'emissione  del  decreto  di
 citazione a giudizio (atto contemplato dall'art. 160 cpv. del c.p.).
    Invero, senza che occorra in questa sede approfondire il problema,
 anche  in  questo caso l'esigenza di prontezza, e la stessa autonomia
 riconosciuta al  p.m.  nell'emissione  del  decreto  di  citazione  a
 giudizio,   trovano   un   diverso   limite  nell'espletamento  delle
 formalita' di cui all'art. 160.1 d. att. del c.p.p.
    Ma non e' tutto.
    Un ulteriore, duplice sospetto d'illegittimita' costituzionale, in
 relazione al  diverso  profilo  della  violazione  del  principio  di
 obbligatorieta'  dell'azione  penale  (art.  112 della Costituzione),
 attinge la norma all'esame nel momento in  cui  disconosce  efficacia
 interruttiva della prescrizione alla richiesta di decreto penale.
    Da   una   parte,   invero,   la   stessa   -   attesa   l'esposta
 diversificazione delle funzioni che riguarda ormai anche il  giudizio
 pretorile - manifesta quanto sia improvvida, nei riguardi del cennato
 principio,  ove  trascura  di considerare la possibilita' che il d.m.
 richieda  decreto  penale  di  condanna  per  un  reato  prossimo   a
 prescriversi  ed  il  giudice la rigetti e restituisca gli atti (art.
 459.3 del c.p.p.) quando ormai si e' verificata la causa d'estinzione
 del reato.
    Dall'altra, non e' revocabile in dubbio che tale  norma  privi  il
 p.m.  di  parte  del  tempo  che  gli e' formalmente riconosciuto per
 espletare le indagini preliminari  e  decidere  se  esercitare  o  no
 l'azione penale nelle forme del procedimento speciale per decreto (v.
 art.  554.3  del  c.p.p.)  nell'ipotesi in cui detto ambito temporale
 coincida con quello in cui matura la prescrizione di un dato reato, o
 sia da questo, addirittura, reso piu' breve: basti pensare al caso in
 cui la notitia criminis pervenga al requirente soltanto dopo un certo
 periodo dalla commissione del reato.
    In tali casi  il  p.m.,  invero,  non  dovra'  badare  soltanto  a
 formulare la richiesta di provvedimento monitorio entro quell'ambito:
 dovra'  anche  provvedere  ad  esprimerla con un sufficiente anticipo
 onde consentirle di  giungere  al  decidente  -  tramite  la  propria
 segreteria  e  la  cancelleria  del g.i.p. - in tempo da permettere a
 questi d'avere un sufficiente spatium deliberandi  per  valutarla  ed
 emettere,  eventualmente,  decreto  di  condanna: il tutto, prima che
 operi la prescrizione.
    La  questione,  che  viene  sollevata  d'ufficio,  oltre  che  non
 manifestamente infondata, appare anche rilevante.
    Solo  ove  fosse  accolta  la  tesi  sopra  esposta,  dovrebbe nel
 giudizio all'esame escludersi l'operativita'  della  causa  estintiva
 del  reato,  atteso che, nella fattispecie, la richiesta di emissione
 di decreto penale non solo e' stata formulata, ma e' anche  pervenuta
 a  quest'ufficio  in tempo utile per interrompere il relativo termine
 biennale.