IL PRETORE
    Letti gli atti del procedimento iscritto al n. 83111 del ruolo dei
 processi  di  esecuzione  per  l'anno  1992  premesso che il presente
 processo e' stato promosso nei  confronti  del  comune  di  Guidonia-
 Monticelio;
      che  nel corso della procedura il comune esecutato ha deliberato
 in data 30 aprile 1993 il dissesto di cui all'art. 25  del  d.l.  n.
 66/1989  modificato  dal  d.l. n. 415/1989 convertito dalla legge n.
 38/1z990;
      che nel corso dell'udienza del 31 maggio 1993 il  difensore  del
 comune di Guidonia-Montecelio ha chiesto la sospensione del processo,
 per consentire l'espletamento della procedura commissariale di cui al
 d.l.  n.  8/1993  convertito  con  legge n. 68/1993, e la successiva
 declaratoria di estinzione;
      che  il  difensore  del  creditore  si  e'   opposto   chiedendo
 procedersi oltre;
                             O S S E R V A
    L'art.  20-  bis, terzo comma, della legge n. 68/1993 (nella parte
 che qui interessa) invocato dall'ente esecutato dispone:  "In  deroga
 ad ogni altra disposizione dalla data di deliberazione del dissesto i
 debiti insoluti non producono piu' interessi, rivalutazioni monetarie
 od  altro,  sono  dichiarate estinte dal giudice, previa liquidazione
 dell'importo dovuto per capitale, accessori  e  spese,  le  procedure
 esecutive  pendenti  e  non  possono  essere  proposte  nuove  azioni
 esecutive".
    Tale norma e'  assolutamente  rilevante  per  la  decisione  della
 presente  controversia  poiche' essa dispone della sorte dei processi
 di esecuzione iniziati contro i comuni che hanno deliberato lo  stato
 di dissesto economico.
    La disposizione in esame da un lato sancisce l'inammissibilita' di
 nuove  procedure  esecutive  contro  i  comuni  dissestati dall'altro
 prevede la declaratoria di estinzione delle procedure esecutive  gia'
 iniziate alla data della deliberazione del dissesto.
    La  previsione  dell'inammissibilita'  delle  nuove  procedure  e'
 fondata sul  mero  presupposto  della  preesistenza  dello  stato  di
 dissesto  e  pertanto  la  sua  pratica applicazione non dovrebbe dar
 luogo a controversie interpretative.
    La  declaratoria  di  estinzione  e'  invece   condizionata   alla
 preventiva liquidazione "dell'importo dovuto per capitali accessori e
 spese".
    Non  v'e'  dubbio  che la liquidazione in parola debba, secondo il
 dettato normativo, essere disposta dal giudice dell'esecuzione.
    Invero il processo esecutivo per il  forzoso  soddisfacimento  dei
 crediti  monetari  inadempiuti  presuppone  che il credito stesso sia
 liquido, o liquidabile con meri calcoli aritmetici.
    E del resto la liquidazione del credito, in sede  giurisdizionale,
 e'   atto   tipicamente   ricognitivo.  Pertanto  l'uso  del  termine
 "liquidazione" (riferito al capitale e non soltanto agli  accessori),
 nel processo di esecuzione appare quanto meno singolare.
    Infatti  il  credito  per  il quale si procede esecutivamente o e'
 stato "liquidato" precedentemente con sentenza o era  originariamente
 liquido   come  nel  caso  dei  titoli  cambiari.  E  di  conseguenza
 qualsivoglia statuizione sul credito (diversa dalla sottrazione degli
 importi gia' pagati) non puo' che avere natura di atto di cognizione.
    Del resto le stesse finalita' che sono perseguite con la normativa
 che  disciplina  lo  stato  di  dissesto  dei  comuni consistono, fra
 l'altro, nell'operare una completa definizione di tutte le  posizioni
 debitorie dell'Ente locale.
    E  cio'  con evidenti analogie con quanto previsto nelle procedure
 concorsuali.
    Pertanto la declaratoria di estinzione del processo  esecutivo  e'
 condizionata   alla  "previa  liquidazione  dell'importo  dovuto  per
 capitale ..".
    In  tale  contesto,  pero',  la  liquidazione  in   parola   viene
 necessariamente  ad  assumere  la  natura e la funzione di definitivo
 accertamento della stessa esistenza del credito.  In  caso  contrario
 non  avrebbe  avuto alcun significato condizionare la declaratoria di
 estinzione  alla  completa  e  totale  quantificazione  del   credito
 azionato.
    Inoltre ad ulteriore conferma dell'interpretazione, qui sostenuta,
 va  notato  che  la  liquidazione,  prevista  nella  norma  in esame,
 presupponendo la estinzione della procedura  esecutiva  costituirebbe
 nuovo  ed  autonomo  titolo  in  base al quale gli organi preposti al
 procedimento di dissesto dovrebbero pagare i creditori.
    Tale evenienza gia' viene a stravolgere le  naturali  attribuzioni
 del  giudice dell'esecuzione ma in tutte le ipotesi, come nel caso di
 specie, nelle quali si procede per un titolo esecutivo non definitivo
 si  determinerebbero  effetti  non   compatibili   con   il   vigente
 ordinamento costituzionale.
    Invero  se  la  liquidazione  operata  dal giudice dell'esecuzione
 viene a costituire autonomo titolo per il pagamento  del  debito  del
 comune  essa  non  puo'  non  avere natura di definitivo accertamento
 sulla situazione obbligatoria e se cosi' non fosse non avrebbe  avuto
 senso  prevedere  la  liquidazione del capitale oltre che delle spese
 accessorie.
    Del resto la norma in esame esordisce non "in deroga ad ogni altra
 disposizione" e da  cio'  si  desume  chiaramente  l'attribuzione  al
 giudice   della  esecuzione  del  potere-dovere  di  conoscere  della
 validita' sostanziale del titolo.
    Tale interpretazone che appare l'unica in grado di attribuire alla
 norma in parola un senso compiuto si mostra, pero', in contrasto  con
 due precetti costituzionali.
    Invero  se  in  ipotesi  il giudice dell'esecuzione fosse chiamato
 alla cognizione egli non potrebbe che decidere sullo stato degli atti
 non potendo certamente svolgere attivita' istruttorie.
    Con cio' si integrerebbe una  violazione  del  diritto  di  difesa
 delle  parti  che  vedrebbero  preclusa la continuazione di eventuali
 processi di opposizione o di eventuali processi  di  legittimita'  su
 pronunzie in grado di appello.
    Ed  e'  singolare  che  l'art.  20- bis, terzo comma, del d.l. n.
 8/1993 convertito con la legge n. 68/1993, disponga della  sorte  del
 processo  di esecuzione ignorando completamente gli eventuali giudizi
 di opposizione e gli eventuali giudizi aventi ad oggetto la validita'
 del titolo.
    Inoltre in tali ipotesi pare ravvisabile anche una violazione  del
 principio   del   giudice   naturale   dal  momento  che  il  giudice
 dell'esecuzione  verrebbe  chiamato  a  conoscere  dei   giudizi   di
 opposizione  e  dei  giudizi  di merito o di legittimita' relativi al
 titolo esecutivo.
    Pertanto  non  appare  manifestamente  infondata  la  questione di
 costituzionalita' dell'art. 20- bis, terzo  comma,  nella  parte  qui
 esaminata, in relazione agli artt. 24 e 25 della Costituzione.