ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale del combinato disposto
 degli artt. 5 della legge 2 ottobre 1967, n. 895 (Disposizioni per il
 controllo delle armi), 22 della legge 18 aprile 1975, n.  110  (Norme
 integrative  della  disciplina  vigente  per il controllo delle armi,
 delle munizioni e degli esplosivi) e 1, comma 1, lett. d, del  d.P.R.
 12  aprile  1990,  n.  75  (Concessione  di  amnistia),  promosso con
 ordinanza emessa il 9 marzo 1992 dalla Corte d'Appello  di  Roma  nel
 procedimento  penale  a  carico  di  Riggi Fernando Antonio ed altro,
 iscritta al n. 48 del registro  ordinanze  1993  e  pubblicata  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  8,  prima serie speciale,
 dell'anno 1993;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del  26  maggio  1993  il  Giudice
 relatore Francesco Guizzi;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Nel corso del procedimento penale a carico di Martini Ezio,
 che aveva prestato  a  un  amico,  Riggi  Fernando,  richiestone  per
 ragioni di difesa personale, un'arma comune da sparo, il Tribunale di
 Cassino  aveva condannato entrambi alla pena complessiva di un anno e
 5 mesi di reclusione e a lire 160.000 di multa per i reati di dazione
 e ricezione in comodato di armi, ai sensi dell'art. 22 della legge 18
 aprile 1975, n.  110.  Comodante  e  comodatario  avevano  interposto
 gravame,  chiedendo  tra  l'altro  che,  concessa  loro  l'attenuante
 prevista dall'art. 5 della legge 2 ottobre 1967, n. 895, che consente
 al giudice di diminuire la pena fino a due  terzi  in  considerazione
 della   quantita'   o   della  qualita'  dell'arma,  fosse  applicata
 l'amnistia di cui al d.P.R. 12 aprile 1990, n. 75.
   Nell'ipotesi che la Corte di appello avesse ritenuto di uniformarsi
 al "contrario e dominante indirizzo giurisprudenziale formatosi -  in
 subiecta materia - presso la Corte di cassazione", il difensore aveva
 eccepito nel corso del dibattimento, per contrasto con l'art. 3 della
 Costituzione,  l'illegittimita' costituzionale degli articoli 5 della
 legge n. 895 del 1967, 22 della legge n. 110 del 1975 e 1,  comma  1,
 lett. d), del d.P.R. n. 75 del 1990.
    2.  -  La  Corte  d'appello  di  Roma  ha  condiviso  il contenuto
 dell'eccezione   e   ha   sollevato   questione    di    legittimita'
 costituzionale   nei  termini  esposti  dalla  parte  privata,  sulla
 premessa che la corrente interpretazione dell'art. 5 della  legge  n.
 895   del   1967   e  dell'art.  22  della  legge  n.  110  del  1975
 (consolidatasi a partire dalla sentenza n. 2061 del 22  ottobre  1982
 della   prima   sezione   penale   della  Corte  di  cassazione)  non
 consentirebbe di  accordare  agli  appellanti  l'attenuante  prevista
 dalla  prima disposizione, che riguarderebbe i soli reati contemplati
 dalla legge n. 895 e non quelli di cui alla legge n. 110. Si  sarebbe
 cosi' creata un'evidente e macroscopica disparita' di trattamento tra
 i  venditori (abusivi) di armi e coloro che le concedono in comodato,
 posto che soltanto ai primi, e non anche  ai  secondi,  e'  possibile
 riconoscere  l'attenuante di cui all'articolo 5 della citata legge n.
 895 e, quindi, il diritto a usufruire del provvedimento di  clemenza.
 Tale  disparita'  sarebbe  irrazionale,  giacche'  "nella  vendita di
 un'arma possono  intravedersi  gli  estremi  di  un  fatto  non  meno
 preoccupante   del  momentaneo  prestito  di  un  identico  ordigno".
 L'eguale gravita' dei due tipi di fatti delittuosi e il pari  allarme
 sociale  suscitato  dai  medesimi  avrebbe  dovuto percio' comportare
 l'equiparazione delle discipline.
    Sembrerebbe  pertanto  fondato  il  dubbio  di  costituzionalita',
 sollevato   con   riferimento  all'art.  3  della  Costituzione,  del
 combinato disposto dei predetti  articoli  nella  parte  in  cui  non
 accorda  la  diminuzione  di  pena  di  cui all'art. 5 della legge ai
 responsabili del reato previsto dall'art. 22, e nella  parte  in  cui
 non concede a questa ipotesi di reato, l'amnistia di cui al d.P.R. n.
 75 del 1990.
    La  questione  sarebbe  rilevante  nel  giudizio,  poiche'  il suo
 accoglimento  comporterebbe  l'applicazione  del   provvedimento   di
 clemenza a entrambi gli imputati.
    3.  -  E'  intervenuto  il  Presidente del Consiglio dei ministri,
 rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,  che  ha
 chiesto  la  declaratoria  d'inammissibilita'  o d'infondatezza della
 questione. Ha osservato l'Avvocatura che l'ordinanza  del  giudice  a
 quo  muove da una interpretazione corrente secondo cui la circostanza
 attenuante del fatto di lieve  entita'  prevista  dall'art.  5  della
 citata  legge  n.  895  sarebbe  applicabile  solo  alle  fattispecie
 regolate dalla stessa legge e non  anche  alle  violazioni  contenute
 nell'altra legge sulle armi, la n. 110 del 1975.
    Pur   non  ignorando  che  l'orientamento  assunto  come  "diritto
 vivente"  e'  senza  dubbio  maggioritario  nella  giurisprudenza  di
 legittimita',  l'Avvocatura  asserisce  che,  per  non  essere questo
 unanime (in senso contrario avrebbe deciso  Cassazione,  Sez.  I,  30
 luglio  1981,  n.  7660 e 14 dicembre 1988, n. 12456; ma, gia' prima,
 Cassazione, Sez. II, 2 novembre 1978, n.  13393)  il  giudice  a  quo
 potrebbe   reinterpretare  le  disposizioni  coinvolte  per  renderle
 conformi alla norma costituzionale che ritiene violata. L'impugnativa
 dell'art. 5 della legge n. 895 del 1967 risulterebbe inoltre priva di
 rilevanza ai fini della questione proposta.
    Anche ammessa tale estensiva  applicazione  non  ne  conseguirebbe
 affatto  l'applicazione dell'amnistia di cui al d.P.R. n. 75 del 1990
 ai reati contemplati dalla normativa sulle armi contenuta nella legge
 n. 110 del 1975. L'art. 1, comma 1, lett.  d),  del  d.P.R.  invocato
 riguarderebbe  infatti  solo  "i reati di cui all'art. 7 in relazione
 agli articoli 1, 2 e 4 della legge n. 895  del  1967  quando  ricorre
 l'attenuante di cui all'articolo 5 della predetta legge .." e, cioe',
 esclusivamente  le  fattispecie  riguardanti  le armi comuni da sparo
 comprese nella legge  n.  895,  per  le  quali  intervenga  anche  il
 giudizio di "lievita' del fatto". Si tratterebbe dunque di una scelta
 discrezionale  del  legislatore,  al quale soltanto compete stabilire
 quali   reati   debbano   rientrare   nell'ambito   di   applicazione
 dell'amnistia  (si  citano le sentenze nn. 59 del 1980 e 214 del 1975
 nonche' l'ordinanza 480 del 1991 di questa Corte).
    Nella specie non ricorrerebbe, poi,  una  manifesta  e  intrinseca
 irragionevolezza  del criterio seguito dal legislatore, che le citate
 decisioni individuano come unico limite alla  insindacabilita'  delle
 opzioni  legislative. Cio' perche' tra la fattispecie di cui all'art.
 22 della legge n.  110  e  le  altre  comprese  nella  legge  n.  895
 sussisterebbero  obiettive  differenze  di  contenuto e di tutela (si
 cita la sentenza della Corte di cassazione, I  Sez.  penale,  del  19
 dicembre  1989,  n. 17558, che ha ritenuto, in relazione al parametro
 costituzionale di eguaglianza, manifestamente  infondata  un'identica
 questione,  sia pure con riferimento al precedente decreto concessivo
 di amnistia).
    La questione, prima ancora di essere decisa nel  merito,  andrebbe
 dichiarata inammissibile per un doppio ordine di ragioni. Da un lato,
 perche'  il  remittente farebbe richiesta di una sentenza a contenuto
 additivo in  ambito  non  costituzionalmente  obbligato  e,  percio',
 riservato alla discrezionalita' del legislatore (ordinanze nn. 80 del
 1991, 125 del 1988 e 438 del 1987); e da un altro, perche' il giudice
 remittente  lamenterebbe  non  tanto un dato puramente interpretativo
 (riguardante l'applicazione della diminuente a  fattispecie  estranee
 alla  legge  n. 895), quanto la mancanza di una vera e propria "norma
 di interpretazione autentica" in materia di legislazione  sulle  armi
 che,  in  tal  modo,  verrebbe  a  costituire una sorta di censura di
 incostituzionalita' all'omissione del  legislatore  che  non  avrebbe
 inserito  nell'elenco  dei  reati  amnistiabili  pure  la fattispecie
 disegnata dall'art. 22 della  legge  n.  110  del  1975  (si  citano,
 ancora, ord. n. 317 del 1991, la sent. n. 26 del 1990 e l'ord. n. 848
 del 1988).
                        Considerato in diritto
    1.  -  L'ordinanza  di  remissione  chiede  a  questa Corte se sia
 costituzionalmente  legittimo,  in   relazione   all'art.   3   della
 Costituzione,  il  combinato  disposto  degli  artt.  5 della legge 2
 ottobre 1967, n. 895, 22 della legge 18 aprile 1975,  n.  110,  e  1,
 comma  1,  lett.  d),  del d.P.R. 12 aprile 1990, n. 75, la' dove non
 consente di accordare la diminuzione di pena prevista dal citato art.
 5 ai responsabili del reato di cui all'art. 22, nonche' la' dove  non
 prevede  di  concedere  a  questi  ultimi l'amnistia di cui al d.P.R.
 citato.
    Si tratta, in realta', di  questione  che  deve  essere  scomposta
 nelle due seguenti:
       A)   se,  in  relazione  all'art.  3  della  Costituzione,  sia
 legittimo l'art. 5 della legge n. 895, nella parte in cui, alla  luce
 del  diritto vivente, non sia applicabile anche alla figura del reato
 di comodato delle armi prevista dall'art. 22 della legge n. 110;
       B)  se,  in  relazione  all'art.  3  della  Costituzione,   sia
 legittimo  l'art.  1,  comma  1, lett. d), del d.P.R. n. 75 del 1990,
 nella parte in cui non  consente  l'applicazione  dell'amnistia  alla
 figura  di  reato  di  cui  all'art. 22 della menzionata legge n. 110
 (comodato di armi), al contrario di quanto previsto per le figure  di
 reato  di  cui agli artt. 1, 2 e 4 della gia' richiamata legge n. 895
 (che regolano altre ipotesi delittuose in materia  di  armi,  fra  le
 quali  anche  la  "cessione  a qualsiasi titolo" delle stesse) quando
 ricorra l'attenuante di cui al predetto art. 5 della legge n. 895.
    Essendo questioni successive, occorre esaminarle nel loro  stretto
 ordine logico.
    2.  - Deve, anzitutto, riguardarsi la prima questione, quella che,
 fondandosi sul  diritto  vivente,  lamenta  l'inapplicabilita'  della
 diminuente  del fatto di lieve entita', di cui all'art. 5 della legge
 2 ottobre 1967, n. 895, anche alla figura di reato del comodato delle
 armi, prevista dall'art. 22 della legge 18 aprile 1975, n. 110.
    La giurisprudenza  prevalente  della  Corte  di  cassazione,  dopo
 qualche  iniziale  incertezza, si e' stabilizzata nel senso di negare
 l'applicabilita'  dell'attenuante  al  di  fuori  delle   fattispecie
 criminose  richiamate dall'art. 5 della legge n. 895 (artt. 1, 2, 3 e
 4 della medesima legge). In tal  modo  si  e'  venuto  superando,  di
 fatto, l'opposto orientamento che, sulla base di sporadici precedenti
 della  stessa Cassazione, questa Corte aveva ritenuto di avallare con
 la decisione n. 199 del 1982 (seguita dalla sentenza n. 382 del  1987
 e dall'ordinanza n. 542 del 1988).
    L'orientamento   della  Corte  di  Cassazione,  secondo  il  quale
 l'inapplicabilita' dell'attenuante del fatto di lieve entita' (di cui
 all'art. 5 della legge n. 895) alle figure criminose disegnate  dalla
 legge  n.  110  troverebbe  il suo fondamento e la sua spiegazione in
 differenti ragioni di politica criminale, non fa certo contrastare la
 norma con l'invocato principio di ragionevolezza. Tanto piu'  che  la
 figura  di reato del comodato delle armi (art. 22 della legge n. 110)
 appare  assai  diversa  da  quella,  da cui pure storicamente deriva,
 della messa in vendita delle armi (art. 1 della legge n. 895).  Anzi,
 esso   sanziona   come   fatto  d'indubbia  gravita'  una  potenziale
 circolazione delle armi, in quanto ben piu'  rapida  ed  efficace  di
 quella  con  trasferimento  a  titolo definitivo qual e' la cessione,
 specie onerosa.
    Non  e'  dunque  priva  d'una  sua  ratio  e,  percio',   non   e'
 irragionevole  la  previsione dell'art. 5 della legge n. 895 del 1967
 (secondo l'interpretazione della Corte di cassazione) nella parte  in
 cui  delimita  la  sua  applicabilita'  alle  sole  figure  criminose
 disegnate da quella stessa legge.
    La dichiarazione di non fondatezza della  prima  questione,  rende
 inammissibile  la  seconda.  Quest'ultima  ha  ad  oggetto la pretesa
 irrazionale esclusione, dal  provvedimento  concessivo  dell'amnistia
 (n.  75  del  1990), del delitto di comodato delle armi per l'ipotesi
 che  fosse  ritenuto  ad  esso  applicabile   l'attenuante   prevista
 dall'art.  5  della  legge  n.  895  del 1967. Ipotesi che ha formato
 oggetto della prima questione di costituzionalita' e con la quale  si
 intendeva  creare, attraverso una pronuncia additiva di questa Corte,
 una norma non esistente  nell'ordinamento  giuridico.  Essendo  stata
 rigettata  la  prima  questione  e,  pertanto,  difettando  del tutto
 nell'ordinamento la fattispecie di reato come indicata nell'ordinanza
 di remissione, ne consegue l'inammissibilita' della seconda questione
 per carenza dell'oggetto.