IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 178 del 1992, proposto da Chiaro Pietro, Santaniello Bernardetta, Basile Rosario e Claudio Luigi, tutti rappresentati e difesi dall'avv. Ottorino Bressanini, ed elettivamente domiciliati presso lo stesso, in Trento, via Grazioli n. 67, contro il Ministero di grazia e giustizia, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso dall'avvocatura dello Stato di Trento; per l'accertamento del diritto dei ricorrenti magistrati all'allineamento stipendiale con il dott. Antonio Francesco Esposito, gia' uditore giudiziario presso il tribunale di Roma per il tirocinio ordinario, ora uditore giudiziario con funzioni di sostituto procuratore della Repubblica presso la pretura circondariale di Lecce; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'amministrazione intimata; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Udito alla pubblica udienza dell'11 febbraio 1993 il relatore consigliere Pier Luigi Lodi e uditi, altresi', l'avv. Ottorino Bressanini per i ricorrenti e l'avv. dello Stato Pieralberto Trovatelli per l'amministrazione resistente; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue; F A T T O I ricorrenti, magistrati con qualifica di magistrato di Corte d'appello, chiedono in questa sede l'accertamento del loro diritto all'allineamento stipendiale con il dott. Antonio Francesco Esposito, gia' uditore giudiziario presso il tribunale di Roma per il tirocinio ordinario, ora uditore giudiziario con funzioni di sostituto procuratore della Repubblica presso la pretura circondariale di Lecce. I predetti ricorrenti, infatti, pur avendo qualifica superiore e maggiore anzianita' di servizio, hanno un trattamento stipendiale inferiore a quello del dott. Esposito, al quale - avendo prestato servizio come referendario parlamentare del Senato della Repubblica - e' stato attribuito lo stipendio annuo lordo di L. 54.951.403, corrispondente all'ottava classe, 56 scatto biennale dello stipendio di uditore giudiziario, nonche', decorsi sei mesi, lo stipendio annuo lordo di L. 55.425.000, corrispondente all'ottava classe, 43 scatto biennale di uditore giudiziario, e infine, con i successivi incrementi, a decorrere dal gennaio 1991, lo stipendio annuo lordo di L. 77.820.832. A sostegno della loro pretesa i ricorrenti invocano i principi costituzionali dell'assoluta parita' di trattamento economico dei magistrati ordinari a parita' di funzioni (artt. 3, 36 e 107 della Costituzione), nonche' le seguenti disposizioni: 1) la norma di cui all'art. 4, terzo comma, della legge n. 869/1982 la quale - prevedendo l'attribuzione, ai colleghi con pari o maggiore anzianita' di qualifica, dello stipendio eventualmente superiore del collega meno anziano - si qualifica come espressione di un principio generale in materia di pubblico impiego preordinato ad evitare l'insorgere di una disparita' di trattamento tra i dipendenti di una stessa amministrazione; 2) la norma di cui all'art. 1, primo comma, della legge n. 265/1991, la quale, da un lato, riconosce espressamente l'applicabilita' della citata legge n. 869/1982 al personale della magistratura ordinaria, dall'altro lato specifica che oggetto di tale istituto perequativo puo' essere anche il "mantenimento di piu' favorevoli trattamenti economici comunque conseguiti" nelle "carriere dirigenziali dell'amministrazione dello Stato o equiparate", escludendosi solo per il futuro che ai fini dell'allineamento in questione si possano prendere in considerazione trattamenti retributivi "particolari" ossia non aventi carattere di generalita', con riguardo agli appartenenti al medesimo ordine; del resto, il terzo comma dello stesso art. 1 stabilisce che all'atto dell'accesso in magistratura mediante concorso di primo grado "non si applicano" i trattamenti di maggior favore eventualmente in godimento al vincitore del concorso, escludendosi il beneficio solo per il futuro e non con riguardo alle posizioni pregresse, quali quelle descritte nel presente ricorso. In conclusione, sussistendo sia il presupposto oggettivo dello scavalcamento stipendiale di cui ha beneficiato un collega in posizione di ruolo inferiore, sia il presupposto soggettivo della riconducibilita' della posizione gia' ricoperta da detto collega ad una delle carriere indicate nell'ultima parte dell'art. 1, primo comma, legge n. 265/1991 (dirigenziali dell'amministrazione dello Stato o equiparate) i ricorrenti insistono per il riconoscimento del loro diritto, acquisito prima dell'entrata in vigore della legge n. 265/1991 e cioe' a far data dal 25 febbraio 1989, all'allineamento stipendiale con il menzionato dott. Antonio Francesco Esposito. Con ampia memoria la difesa dei ricorrenti ha prospettato ulteriori argomentazioni a sostegno dell'istanza in esame, illustrando in particolare: a) l'evoluzione della giurisprudenza in tema di allineamento stipendiale; b) i criteri interpretativi dell'art. 1, legge n. 265/1991 che consentirebbero la favorevole definizione dell'istanza, ovvero, in subordine, la illegittimita' costituzionale del predetto articolo, primo e terzo comma, per contrasto con gli artt. 3, 36, 97, 102 e 107 della Costituzione; c) i criteri interpretativi dell'art. 2, quarto comma, del decreto-legge n. 333/1992 e dell'art. 7, settimo comma, del decreto-legge n. 384/1992 che consentirebbero un favorevole esito del ricorso, ovvero, in subordine, la loro illegittimita' costituzionale per contrasto con gli artt. 3, 36, 97, 102 e 107 della Costituzione. Per l'amministrazione di grazia e giustizia resiste in giudizio l'avvocatura dello Stato di Trento la quale, con memoria, afferma anzitutto che le questioni sollevate dai ricorrenti sarebbero state di recente risolte in via definitiva dalle nuove disposizioni legis- lative sopra richiamate, che hanno comportato l'abrogazione dell'istituto del cosidetto "galleggiamento" stipendiale per i pubblici dipendenti; nega, inoltre, che sussistano elementi di illegittimita' incostituzionale delle norme anzidette; contesta, comunque, nel merito, ogni fondamento della pretesa in discussione. All'udienza dell'11 febbraio 1993 il ricorso e' passato in decisione. D I R I T T O 1. - Il ricorso in esame e' stato proposto da alcuni magistrati ordinari, in servizio nel distretto giudiziario di Trento, per l'accertamento di diritti patrimoniali ad essi spettanti, al fine di ottenere un livello stipendiale allineato a quello del collega Antonio Francesco Esposito, di minore anzianita' dei richiedenti, che gode fin dal 1990 di un trattamento economico piu' favorevole, ai sensi dell'art. 202 del testo unico impiegati civili dello Stato, di cui al d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, nonche' dell'art. 12 del successivo d.P.R. 28 dicembre 1970 n. 1079, avendo egli in precedenza prestato servizio alle dipendenze del Senato della Repubblica, in qualita' di referendario parlamentare. 2. - Con separata sentenza, non definitiva, emessa in pari data, il collegio ha ritenuto fondata la domanda avanzata dai ricorrenti, confermando i principi gia' enunciati nelle proprie precedenti pronuncie in materia, e segnatamente nelle sentenze 12 giugno 1989, n. 174 e 3 settembre 1992, n. 321, concernente, quest'ultima, una vicenda identica a quella ora in esame. 3. - Il collegio non ha tuttavia potuto pronunciarsi in via definitiva sulla questione in relazione alla sopravvenienza nel corso del giudizio di disposizioni di legge che appaiono preclusive per l'accoglimento delle istanze in discussione, secondo del resto espressa deduzione della difesa dell'amministrazione. In base all'art. 2, quarto comma, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito nella legge 8 agosto 1992, n. 359 (recante "Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica") e' stata prevista l'abrogazione immediata di talune norme, ed in particolare del ricordato "secondo periodo del terzo comma dell'art. 4 del decreto-legge 27 settembre 1982, n. 681" che fissava per la prima volta - con specifico riferimento agli ufficiali - il principio dell'allineamento stipendiale in questione. Con l'art. 7 del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito nella legge 14 novembre 1992, n. 438 (recanti "Misure urgenti in materia di previdenza di sanita' e di pubblico impiego, nonche' disposizioni fiscali") e' stata dettata una disposizione secondo cui la norma di cui sopra va interpretata "nel senso che dalla data di entrata in vigore del predetto decreto-legge non possono essere piu' adottati provvedimenti di allineamento stipendiale, ancorche' aventi effetti anteriori all'11 luglio 1992". Ne' puo' intendersi, come sostengono i ricorrenti, che detta norma, riguardando espressamente solo il personale militare, sarebbe inapplicabile ai magistrati, il cui trattamento resterebbe regolato da una disciplina con carattere di specialita', scaturente dal combinato disposto dell'art. 4, nono comma, della legge 6 agosto 1984, n. 425 e dall'art. 4, terzo comma, del ripetuto decreto-legge 27 settembre 1982, n. 681. Anzitutto, come ben messo in evidenza dall'avvocatura dello Stato, la citata norma della legge n. 425/1984 riguardava un caso del tutto particolare di fattispecie circoscritta alle sole ipotesi di promozioni di magistrati a mezzo di concorso, procedura ormai del tutto abbandonata e superata. Quanto, poi, alla circostanza che del decreto-legge n. 333/1992 in questione non siano state espressamente abrogate le disposizioni del piu' volte menzionato art. 1 della legge 8 agosto 1991, n. 265 (riguardante propriamente i magistrati), che fa rinvio al predetto art. 4, terzo comma, del decreto-legge n. 681/1982 (riguardante i militari), e' da condividersi, anche in questo caso l'opinione dell'avvocatura dello Stato secondo cui trattasi nella specie di un rinvio formale della legge piu' recente alle disposizioni antecedenti le quali - va ribadito - avevano disciplinato per la prima volta l'allineamento stipendiale, costituendo la base giuridica sia di successivi richiami legislativi, sia di autonomi riferimenti della giurisprudenza. Ne consegue che la eliminazione radicale e generalizzata di tale base giuridica - disposta con il decreto-legge n. 333/1992, cosi' come interpretato dalla legge n. 384/1992 (che ha convertito il decreto-legge n. 394/1992) - ha in definitiva comportato la vanificazione dei vari richiami e rinvii operati dalle normative suc- cessive. 4. - Se cio' e' esatto, tuttavia, il collegio non puo' non porsi il problema della legittimita' costituzionale delle norme che, dalla maggiore o minore tempestivita' di decisione sulle istanze avanzate dagli interessati, fanno discendere un diverso giudizio in ordine alla spettanza di un trattamento economico dei magistrati calcolato secondo i criteri dell'allineamento stipendiale, come prospettato dagli attuali ricorrenti. La questione, infatti, oltre ad essere in modo palese rilevante, precludendosi in base alle norme in parola l'accoglimento delle pretese degli attuali ricorrenti, appare altresi' non manifestamente infondata in relazione ad una possibile violazione dei precetti costituzionali di eguaglianza, ragionevolezza e buon andamento delle attivita' connesse alle funzioni pubbliche. In particolare, quanto alla non manifesta infondatezza ritiene il collegio di condividere quanto ga' in precedenza osservato dal giudice amministrativo (vedi tar Liguria, sentenza-ordinanza n. 33 del 5 febbraio 1993) secondo cui l'impossibilita' di adottare ulteriori provvedimenti di allineamento stipendiale, ancorche' riferiti a diritti maturati in periodi pregressi, si configura, mediante l'utilizzo improprio dello strumento interpretativo, quale norma in effetti retroattiva, che viene ad incidere negativamente su posizioni giuridiche gia' perfezionatesi ed aventi la consistenza di diritti soggettivi perfetti. Che si tratti di norma effettivamente non interpretativa e' reso evidente dal fatto che a nessun dubbio interpretativo dava in realta' adito l'art. 2 del decreto-legge n. 333/1992, norma che si limitava a sopprimere, dalla sua entrata in vigore, l'istituto dell'allineamento stipendiale, mentre, come correttamente evidenziato dalla Corte costituzionale, soltanto una effettiva oscurita' e ambiguita' della legge tale da creare contrasti dottrinali e giurisprudenziali, potrebbe giustificare una legge interpretativa (Corte costituzionale n. 187/1981) e comunqe, anche in tali casi l'interpretazione autentica dovrebbe valere per il futuro, onde non incidere, vanificandole, su eventuali pronunce giurisdizionali, di contrario avviso, nel frattempo divenute definitive. L'aver comunque previsto nella norma in esame, in assenza di detti presupposti, la non adottabilita' di ulteriori provvedimenti di allineamento, ancorche' riferiti a periodi anteriori l'11 luglio 1992, non puo' dunque non configurarsi quale introduzione di una nuova norma, di carattere retrattivo, soppressiva delle relative situazioni soggettive gia' maturate. Orbene, il principio della irretroattivita' della legge (non penale), pur non essendo espressamente sancito da una norma costituzionale, e' senza dubbio principio cardine del nostro ordinamento giuridico, definito dalla stessa Corte costituzionale antica conquista della nostra civilta' giuridica (Corte costituzionale nn. 118/1957, 133/1975 e 91/1982). Tale principio soddisfa infatti numerosi principi di rango costituzionale, quali la ragionevolezza, la logicita', la giustizia manifesta, l'equo contemperamento ecc. Cio' trova puntuale riscontro nel caso di specie, ove infatti appare evidente che l'art. 7 settimo comma, legge n. 384/1992 comporta una ingiustificata disparita' di trattamento tra dipendenti pubblici in analoghe situazioni, in violazione dell'art. 3 della Costituzione, solo che si pensi al differente trattamento riservato a chi abbia gia' ottenuto un provvedimento di allineamento stipendiale prima dell'entrata in vigore della norma in esame rispetto a chi, invece, magari solo a causa di ritardi burocratici, ancorche' in relazione allo stesso periodo di maturazione del diritto, si sia visto negare il beneficio in questione. Una tale situazione di sperequazione potrebbe altresi' riverberarsi negativamente sulla stessa efficienza dell'amministrazione poiche' il pubblico dipendente non allineato vedrebbe conservato un maggiore trattamento economico a favore di colleghi casualmente gia' raggiunti da provvedimenti di allineamento e cio' non potrebbe che influire negativamente sul rendimento dei primi, con conseguente violazione del principio di buon andamento, oltre che di imparzialita', sancito dall'art. 97 della Costituzione. In altre parole, il legittimo affidamento riposto dal cittadino nell'applicazione di una determinata disposizione normativa in relazione a diritti soggettivi gia' maturati non puo' venire frustrato - in assenza di particolari situazioni di eccezionalita' che giustifichino una normativa straordinaria - dall'intervento retroattivo del legislatore, che venga ad incidere (irrazionalmente) su situazioni omogenee. Poiche' nel caso che ci occupa non si ravvisa, e comunque non risulta normativamente evidenziata, alcuna situazione di straordinarieta' che possa giustificare tale comportamento del legislatore, ne consegue che, ad avviso del collegio, si configura come non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, quarto comma, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito nella legge 8 agosto 1992, n. 359, cosi' come interpretato dall'art. 7, comma settimo, legge 14 novembre 1992 n. 438, di conversione del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, per violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione. Le questioni sopra illustrate debbono pertanto essere rimesse all'esame della Corte costituzionale previa sospensione del giudizio (nella parte non ancora definita con separata sentenza) ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.