ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  degli artt. 8, terzo
 comma, e 11, primo comma, della legge 15 dicembre 1990, n. 386 (Nuova
 disciplina  sanzionatoria  degli  assegni  bancari),   promosso   con
 ordinanza  emessa  il  16  ottobre  1992  dal  Pretore  di Varese nel
 procedimento penale a carico di Schiaffi Claudio, iscritta al  n.  63
 del  registro  ordinanze  1993  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell'anno 1993;
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 6 ottobre 1993 il Giudice
 relatore Renato Granata;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Nel corso di un giudizio penale innanzi al Pretore di  Varese
 nei  confronti  di  Schiaffi  Claudio, imputato del reato di cui agli
 artt. 81 c. p. e 116, comma 1, n. 2, r.d. 21 dicembre 1933  n.  1736,
 per  avere emesso quattro assegni bancari dell'importo complessivo di
 33.788.000, senza che presso la relativa banca trattaria  esistessero
 i  relativi  fondi,  il  difensore, dopo l'apertura del dibattimento,
 chiedeva l'ammissione  della  testimonianza  delle  persone  indicate
 nella  lista per provare l'avvenuto pagamento, tempestivo e completo,
 di quanto richiesto dalla  legge  n.  386  del  1990  al  fine  della
 improcedibilita'  del  reato.  Prima  di  provvedere in ordine a tale
 richiesta il Pretore, a seguito di eccezione del Pubblico  Ministero,
 ha   sollevato,   con   ordinanza  del  16  ottobre  1992,  questione
 incidentale di  legittimita'  costituzionale  degli  artt.  8,  terzo
 comma,  e 11, primo comma, della citata legge 15 dicembre 1990 n. 386
 (Nuova disciplina sanzionatoria degli assegni bancari) nella parte in
 cui prevedono che  la  prova  dell'avvenuto  pagamento  debba  essere
 fornita  in  sede  penale  mediante quietanza del portatore con firma
 autenticata o attestazione del pubblico ufficiale che ha ricevuto  il
 pagamento  ovvero  attestazione  dell'azienda  di credito comprovante
 l'effettuazione del deposito vincolato.
    Ritiene il  giudice  rimettente  che  le  norme  censurate  -  nel
 prescrivere  in via esclusiva una determinata prova documentale della
 causa di improcedibilita' del reato, cosi'  introducendo  un  vero  e
 proprio   limite   probatorio  (prevalente,  per  il  criterio  della
 specialita',  sulla  ordinaria disciplina, peraltro precedente, delle
 prove nel processo penale) - confliggano con gli artt. 3 e 24,  comma
 2, della Costituzione.
    Infatti   l'esistenza   di   un   limite   non   superabile   alla
 dimostrabilita' di un fatto storico, quale l'avvenuto pagamento degli
 assegni, che  impedisce  in  concreto  l'inizio  o  il  proseguimento
 dell'azione  penale,  compromette il diritto di difesa dell'imputato.
 Ne' pare  giustificato  al  giudice  rimettente  che  venga  impedito
 all'imputato  di valersi di uno strumento probatorio, quale e' quello
 della testimonianza, solo perche' e'  addebitato  un  reato  previsto
 dalla  disciplina  sanzionatoria  degli  assegni  bancari,  mentre in
 generale, per tutti gli altri reati, l'imputato puo' usufruire  degli
 ordinari mezzi di prova.
    2.  -  E'  intervenuto  il  Presidente del Consiglio dei Ministri,
 rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
 sostenendo l'infondatezza della questione di costituzionalita' atteso
 che il limite probatorio, previsto dalle norme censurate, persegue la
 finalita'  di garantire il rigoroso accertamento della condizione cui
 e' subordinata la procedibilita' del  reato;  inoltre  non  viola  il
 diritto di difesa, ne' appare irragionevole in quanto non e' previsto
 in   relazione  all'accertamento  del  fatto  costitutivo  del  reato
 (rispetto  al  quale  il  pagamento  in  questione   e'   del   tutto
 irrilevante),   bensi'   in  funzione  della  applicabilita'  di  una
 specifica condizione  di  procedibilita'.  L'esclusione  della  prova
 testimoniale  risponde poi all'esigenza di semplificazione, celerita'
 e certezza dell'accertamento,  da  un  lato  evitando  il  ricorso  a
 persone  compiacenti e dall'altro assicurando la certezza della data,
 elemento essenziale ai fini  della  ricorrenza  della  condizione  in
 questione.
                        Considerato in diritto
    1. - E' stata sollevata questione di legittimita' costituzionale -
 in riferimento agli artt. 3 e 24, comma 2, della Costituzione - degli
 artt.  8,  terzo  comma, e 11, primo comma, legge 15 dicembre 1990 n.
 386 (Nuova disciplina  sanzionatoria  degli  assegni  bancari)  nella
 parte   in   cui  prevedono  che  la  prova  dell'avvenuto  pagamento
 dell'importo dell'assegno bancario (e degli accessori)  debba  essere
 fornita  in  sede  penale  mediante quietanza del portatore con firma
 autenticata o attestazione del pubblico ufficiale che ha ricevuto  il
 pagamento  ovvero  attestazione  dell'azienda  di credito comprovante
 l'effettuazione del deposito vincolato per sospetta violazione:
      del diritto di difesa giacche' l'imputato  non  puo'  dimostrare
 altrimenti   (se   non   mediante   la  suddetta  prova  documentale)
 l'esistenza di un fatto storico (l'avvenuto pagamento) che  impedisce
 in concreto l'inizio o il proseguimento dell'azione penale;
      del   principio  di  eguaglianza  in  ragione  della  disciplina
 ingiustificatamente deteriore (sotto il profilo della limitazione del
 diritto alla prova) prevista solo per l'ipotesi di reato di emissione
 di assegno bancario senza provvista rispetto alla  generalita'  degli
 altri reati.
    2.  -  Va  premesso  che - come gia' questa Corte ha avuto modo di
 sottolineare  (sent.  n.  32  del  1992)   -   la   nuova   normativa
 sanzionatoria  degli  assegni  bancari,  introdotta  con  la legge n.
 386/90, prevede una speciale causa  di  improcedibilita'  dell'azione
 penale  (o  di improseguibilita' della stessa, ove gia' iniziata) sia
 nella disciplina  transitoria,  che  in  quella  a  regime.  Infatti,
 rispettivamente, l'art. 11, comma 1, prevede che per i reati commessi
 prima  della  data  di  entrata  in  vigore della legge stessa non si
 proceda ove sia provato che l'imputato, nel termine di novanta giorni
 dalla data suddetta, abbia pagato l'importo dell'assegno bancario  (e
 degli  accessori). Analogamente, a regime, l'art. 8, comma 1, prevede
 che il medesimo pagamento effettuato entro sessanta giorni dalla data
 di scadenza di presentazione del titolo e' causa di  improcedibilita'
 (o improseguibilita') dell'azione penale.
    3. - Le censure del giudice rimettente investono sia la disciplina
 a  regime  (art.  8, comma 3, cit.), sia quella transitoria (art. 11,
 comma  1,  cit.).  Ma  soltanto  di  quest'ultima  egli   deve   fare
 applicazione  trattandosi  di  reati  commessi  prima dell'entrata in
 vigore della legge n. 386/90, sicche' e' inammissibile per difetto di
 rilevanza la questione  di  costituzionalita'  riferita  all'art.  8,
 comma  3,  pur se il suo contenuto precettivo indirettamente rileva -
 per quanto si dira' oltre - sulla valutazione delle medesime  censure
 riferite all'art. 11, comma 1.
    4. - La questione di costituzionalita' riferita all'art. 11, comma
 1, e' fondata.
    La  norma  censurata  prevede che la prova dell'avvenuto pagamento
 (dell'assegno bancario e degli accessori)  debba  essere  fornita  in
 sede  penale mediante quietanza del portatore con firma autenticata o
 attestazione del pubblico ufficiale  che  ha  ricevuto  il  pagamento
 ovvero    attestazione    dell'azienda    di    credito   comprovante
 l'effettuazione  del  deposito  vincolato.  L'inequivocabile   tenore
 letterale  della  disposizione  evidenzia - come del resto ritiene il
 giudice  rimettente  nella  sua   premessa   interpretativa   -   una
 eccezionale  ipotesi  di prova legale, nel senso che il fatto storico
 che determina l'improcedibilita' dell'azione penale non  puo'  essere
 provato  altrimenti che con le tre tipiche modalita' sopra descritte.
 In tal senso e' anche la giurisprudenza  della  Corte  di  cassazione
 (Cass.  2  settembre  1992  n.  9316)  che  parla  di  "atto  a forma
 vincolata" il  cui  contenuto  non  puo'  essere  provato  con  altri
 strumenti  equipollenti, ne' e' suscettibile di valutazione con altri
 mezzi di prova da parte del giudice. Si tratta quindi di un'eccezione
 al  principio  generale  del  diritto  alla  prova,  quale   recepito
 dall'art.  190  c.p.p.,  eccezione  che,  come tale, non e' del tutto
 estranea  allo  stesso  codice  di  rito  che   riconosce   efficacia
 preclusiva  anche  nel  processo  penale ai limiti di prova stabiliti
 dalle leggi civili per lo stato di famiglia e di  cittadinanza  (art.
 193 c.p.p.).
    Se  pero'  in  generale  non  puo'  ritenersi che la previsione di
 limiti alla prova (intesa in senso ampio e quindi  comprensiva  anche
 della  prova  dei  presupposti  di  fatto  che rilevano ai fini della
 procedibilita'  dell'azione  penale)   sia   incompatibile   con   la
 necessaria tutela del diritto di difesa (art. 24 della Costituzione),
 ove  questa  debba  contemperarsi  con  l'esigenza di tutela di altri
 diritti costituzionalmente garantiti, occorre pur  sempre  verificare
 la  ragionevolezza di eventuali adattamenti o restrizioni conseguenti
 al bilanciamento operato dal legislatore; verifica questa  che  nella
 fattispecie  dell'art.  11  in  esame  -  sia  valutata  in  se', sia
 considerata  in  rapporto  alla  parallela  disciplina a regime posta
 dall'art. 8 - non conduce al riscontro  di  sufficienti  ed  adeguate
 giustificazioni della limitazione del diritto alla prova.
    Ed infatti la disciplina a regime (art. 8), nel prevedere analoghe
 modalita' di prova (documentale) dell'avvenuto pagamento dell'assegno
 bancario  (ed  accessori),  precisa  che  questa e' la prova che deve
 essere fornita dall'emittente al pubblico ufficiale tenuto  a  levare
 il  protesto  (o  effettuare la constatazione equivalente) al fine di
 esonerarlo - all'esito della rilevazione meramente formale di  deter-
 minate  risultanze  documentali  -  dalla  presentazione  di denuncia
 (altrimenti obbligatoria appena decorso il termine di sessanta giorni
 per effettuare il pagamento suddetto), sicche' e' giustificato che il
 legislatore (teso a conseguire un  radicale  effetto  deflattivo  dei
 processi penali per tal genere di reati, evitando l'inizio stesso del
 procedimento  penale e la formazione del fascicolo processuale) abbia
 circondato   tale   eccezionale   esonero   di   opportune   cautele,
 rappresentate  dalla  tassativa  elencazione delle modalita' di prova
 dell'intervenuto pagamento, oltre che dalla previsione di un  termine
 per l'inoltro della denuncia.
    Invece   nell'art.   11,  comma  1,  non  si  rinviene  un'analoga
 giustificazione perche' la disposizione,  nel  suo  tenore  letterale
 diversamente   formulato,  si  riferisce  (anche  e  soprattutto)  al
 giudizio essendo previsto che la prova vincolata in  questione  debba
 essere  fornita  in  sede penale; ne' la sede presa in considerazione
 poteva essere diversa essendo il procedimento penale,  salvo  ipotesi
 marginali,  gia'  in corso perche' la disciplina transitoria riguarda
 reati commessi prima dell'entrata in vigore  della  nuova  normativa.
 Nell'operare   questo   (necessariamente)   diverso   riferimento  il
 legislatore, nella seconda parte del primo  comma  dell'art.  11,  ha
 pero'  riprodotto  (per  una  sorta  di  trascinamento  indotto dalla
 simmetria delle fattispecie) quella prescrizione di prova legale  che
 aveva  dettato nel terzo comma dell'art. 8 (e che in questo aveva una
 sua specifica ratio), con l'effetto peraltro di trasferire alla  fase
 del  giudizio  (gia'  pendente trattandosi appunto di fatti anteriori
 alla entrata in vigore della nuova legge) e quindi ad una  situazione
 di  per  se'  incompatibile  con  il radicale effetto deflattivo, che
 giustifica la disposizione dell'art. 8  citato,  la  speciale  regola
 probatoria prevista nella disciplina a regime limitatamente alla fase
 della vicenda che si svolge davanti al pubblico ufficiale.
    Questo     ingiustificato    parallelismo    svela    l'intrinseca
 irragionevolezza della disciplina transitoria,  nella  parte  in  cui
 riferisce  al  giudizio  il  limite  della prova documentale previsto
 dall'art. 8 cit. soltanto per la  fase  preprocessuale,  perche'  non
 ricorre  la specifica ragione che assiste la disciplina a regime, ne'
 e' rinvenibile altra giustificazione, neppure potendo ipotizzarsi una
 maggiore affidabilita' della prova documentale  rispetto  alla  prova
 testimoniale.  Deve  anzi  rilevarsi  - a quest'ultimo riguardo - che
 mentre il portatore dell'assegno che riferisca, come teste, essere il
 pagamento dell'assegno avvenuto entro il termine  di  novanta  giorni
 dalla  data  di  entrata in vigore della legge n. 386/90 commette, in
 caso di dichiarazione non veridica, il reato di falsa  testimonianza,
 invece   la   mera   quietanza   di   pagamento  (la  cui  prescritta
 autenticazione riguarda soltanto la sottoscrizione sicche' si  tratta
 comunque  di  scrittura  privata)  non  e'  assistita  da alcuna fede
 privilegiata  e  - potendo essere rilasciata (nel regime transitorio)
 anche dopo il termine suddetto (secondo la giurisprudenza della Corte
 di cassazione)  -  non  offre  particolare  affidabilita'  in  ordine
 soprattutto alla tempestivita' del pagamento.
    L'irragionevolezza   del   limite   alla  prova  nella  disciplina
 transitoria in esame ridonda in vulnerazione del  diritto  di  difesa
 (art. 24 della Costituzione) sicche' - rimanendo assorbita la censura
 di   violazione   del   principio   di   eguaglianza  (art.  3  della
 Costituzione)  -  deve  dichiararsi  l'illegittimita'  costituzionale
 dell'art.  11,  comma 1, cit. nella parte in cui prevede che la prova
 dell'avvenuto pagamento dell'importo dell'assegno bancario  (e  degli
 accessori) debba essere fornita in sede penale mediante quietanza del
 portatore con firma autenticata o attestazione del pubblico ufficiale
 che  ha  ricevuto  il  pagamento  ovvero attestazione dell'azienda di
 credito comprovante l'effettuazione del deposito  vincolato;  con  la
 conseguenza che trova applicazione il normale regime probatorio quale
 previsto dal vigente codice di rito.