ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 12  del  d.P.R.
 24  aprile  1982,  n. 340 (Ordinamento del personale e organizzazione
 degli uffici dell'amministrazione civile del Ministero dell'interno),
 promosso con ordinanza  emessa  il  4  novembre  1992  dal  Tribunale
 amministrativo  regionale  per  la  Sardegna  sul ricorso proposto da
 Manca di  Mores  Maria  Celeste  contro  il  ministero  dell'interno,
 iscritta  al  n.  188  del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  18,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1993;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del 20  ottobre  1993  il  giudice
 relatore Gabriele Pescatore;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Il  tribunale amministrativo regionale per la Sardegna, con
 ordinanza 4 novembre 1992, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3,
 4, 27,  35  e  97,  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  12  del  d.P.R.  24 aprile 1982, n. 340, a
 norma del quale "sono esclusi dalla partecipazione ai concorsi -  per
 l'assunzione  del personale dell'amministrazione civile del ministero
 dell'interno  -  coloro  che  siano  stati  destituiti  o  dispensati
 dall'impiego  presso  una  pubblica  amministrazione  ovvero  abbiano
 riportato condanna a pena detentiva per reati  non  colposi  o  siano
 stati sottoposti a misure di prevenzione".
    L'ordinanza  e'  stata  emessa  nel  corso di un giudizio promosso
 avverso un decreto del ministro dell'interno concernente l'esclusione
 della ricorrente da un concorso per 252 posti di commesso della terza
 qualifica funzionale (del quale era risultata vincitrice),  ai  sensi
 dell'art.  12,  comma secondo, del d.P.R. 24 aprile 1982, n. 340, per
 aver commesso alcuni reati non colposi,  nonostante  avesse  ottenuto
 anche la riabilitazione.
    Nell'ordinanza  di  rimessione si osserva che, ai sensi del d.P.R.
 10 gennaio 1957, n. 3, e' stabilita espressamente la  eslcusione  dai
 pubblici  concorsi  di coloro che siano stati destituiti o dispensati
 dall'impiego  presso  una  pubblica  amministrazione.  Per   costante
 interpretazione   giurisprudenziale  venivano  esclusi  dai  pubblici
 concorsi anche coloro che avessero commesso uno dei reati per i quali
 l'art. 85 del medesimo t.u.  prevedeva  la  destituzione  di  diritto
 dall'impiego,  nella considerazione che sarebbe illogico ammettere ad
 un concorso un soggetto,  assumerlo  in  servizio  ove  vincitore,  e
 doverlo  contestualmente  destituire perche' incorso in una di quelle
 situazioni che comportano necessariamente la destituzione d'ufficio.
    Una  volta dichiarata l'illegittimita' costituzionale (sentenza n.
 971 del 1988) del suddetto art. 85, nella parte in cui non prevedeva,
 in luogo del provvedimento di destituzione di diritto,  l'apertura  e
 lo  svolgimento  del  procedimento  disciplinare,  la  giurisprudenza
 amministrativa si e' orientata nel senso che l'amministrazione, prima
 di procedere all'esclusione della partcipazione al concorso di  colui
 che sia stato condannato per uno dei reati previsti da tale articolo,
 deve  valutare,  con provvedimento motivato, se escludere o ammettere
 il candidato al concorso.
    Secondo il giudice a quo , la ratio  dell'impugnato  art.  12  del
 d.P.R.  n. 340 del 1982 e' la stessa dell'art. 85 del d.P.R. n. 3 del
 1957, con il suo conseguente contrasto, in base ai principi affermati
 nella citata pronuncia d'incostituzionalita', con: a) l'art. 3  della
 Costituzione,   in   quanto  da  un  lato  sottopone  ad  un  diverso
 trattamento il cittadino, a seconda che concorra per l'impiego presso
 un'amministrazione piuttosto che presso un'altra; dall'altro, sarebbe
 irragionevole che l'amministrazione  debba  procedere  all'esclusione
 dal  concorso senza alcun margine di discrezionalita' che le consenta
 di applicare il principio generale di graduazione della sanzione alla
 gravita' del reato  e  di  valutare  l'eventuale  compatibilita'  tra
 condanna ed ammissione all'impiego tenendo anche conto dell'eventuale
 sentenza  di  riabilitazione; b) con l'art. 97 della Costituzione, in
 quanto  l'imparzialita'  e  il  buon  andamento  della  p.a.,   vanno
 assicurati   "mediante  un'azione  amministrativa  adeguata  al  caso
 concreto,  consentendo  all'amministrazione  medesima  di  apprezzare
 situazioni  soggettivamente  ed  oggettivamente  diverse"; c) con gli
 artt. 4 e 35 della Costituzione, in  quanto  impedisce  l'accesso  al
 lavoro    in    conseguenza   di   un'ampia   categoria   di   reati,
 indipendentemente dalla loro gravita' e delle funzioni  da  svolgere;
 d)   con   l'art.  27  della  Costituzione,  in  quanto  ostacola  il
 reinserimento del condannato nel mondo del lavoro,  compito  che  non
 puo'  essere  rimesso  esclusivamente ai datori di lavoro privati, ma
 del quale deve farsi carico anche  lo  Stato,  consentendo  l'accesso
 nelle  pubbliche  amministrazioni  di  coloro  che  siano  incorsi in
 sanzioni penali, mediante una  valutazione  discrezionale  che  tenga
 conto  del  tipo  di  reato,  della  inclinazione  a  delinquere  del
 colpevole, del suo ravvedimento e delle mansioni della  qualifica  da
 ricoprire.
    Secondo  il  giudice  a  quo, inoltre, l'art. 12 anzidetto sarebbe
 costituzionalmente illegittimo, in riferimento agli  artt.  27  e  97
 della  Costituzione,  in  quanto  non  prende  in  considerazione  la
 riabilitazione come condizione di inoperativita' della preclusione da
 esso disposta. Irragionevolmente, infatti, esso non attribuisce  tale
 efficacia  alla  riabilitazione,  mentre  l'attribuzione all'amnistia
 propria, che ha l'attitudine di escludere il reato anche in  presenza
 di   prova   pienamente   raggiunta  e  non  costituisce  preclusione
 all'assunzione.
    2. - Dinanzi a questa Corte si e'  costituito  il  Presidente  del
 Consiglio  dei  ministri,  con il patrocinio dell'Avvocatura generale
 dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
    Secondo quanto si  espone  nell'atto  di  costituzione,  la  norma
 impugnata   trova  giustificazione  nella  peculiarita'  dei  compiti
 affidati al ministero dell'interno.
    Infatti,  nell'espletamento  delle  funzioni  o  nello svolgimento
 delle mansioni affidatigli, il personale dell'amministrazione  civile
 dell'interno   puo'  accedere  a  notizie  e  informazioni  riservate
 concernenti l'attivita' delle forze di polizia e  comunque  afferenti
 alla  tutela  dell'ordine  e  della  sicurezza  pubblica. Pertanto, i
 rigorosi requisiti soggettivi richiesti dall'art. 12  del  d.P.R.  n.
 340  del  1982  per  la  partecipazione  ai concorsi di assunzione di
 personale  del  ministero  dell'interno,  sono   giustificati   dalla
 necessita'  di predisporre una "garanzia preventiva di affidabilita'"
 e di selezionare a tal  fine  candidati  che  siano  in  possesso  di
 determinati  requisiti,  obiettivamente  desumibili, in via indireta,
 dalla assenza di condanne per particolari  delitti  o  di  misure  di
 prevenzione.
    Quanto   alle  allegate  violazioni  degli  artt.  4  e  35  della
 Costituzione, nell'atto di costituzione si osserva che tali norme non
 garantiscono il libero accesso a qualsiasi attivita'  lavorativa,  in
 specie  pubblica, che puo' essere inibito in relazione alla tutela di
 altri interessi costituzionalmente rilevanti. Ne' puo' ritenersi  che
 la  norma impugnata violi l'art. 97 della Costituzione mirando anzi a
 garantire il buon andamento della pubblica  amministrazione.  Quanto,
 infine,  alla  sua dedotta illegittimita' per contrasto con l'art. 27
 della  Costituzione,  neppure  essa   sussisterebbe,   poiche'   "gli
 obiettivi   perseguiti  dalla  norma  sono  di  rango  costituzionale
 assolutamente prioritario e l'esclusione dal  concorso  in  questione
 non   incide  sostanzialmente  sulle  possibilita'  di  recupero  del
 condannato".
                        Considerato in diritto
   1. - La questione  di  legittimita'  costituzionale  sollevata  dal
 Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna concerne l'art. 12
 del  d.P.R.  24 aprile 1982, n. 340, che esclude dalla partecipazione
 ai  concorsi  per  l'assunzione  del  personale  dell'amministrazione
 civile  dell'interno  coloro  che siano stati destituiti o dispensati
 dall'impiego presso  una  pubblica  amministrazione,  ovvero  abbiano
 riportato  condanne  a  pena  detentiva per reati non colposi o siano
 stati sottoposti a  misure  di  prevenzione.  L'ordinanza  deduce  la
 violazione:  a)  dell'art.  3  della Costituzione, in quanto la norma
 sottopone ad  un  trattamento  diverso  il  cittadino,  in  relazione
 all'amministrazione alla quale intende accedere; per quanto concerne,
 in  particolare,  l'Amministrazione  dell'interno,  della quale nella
 specie si tratta, sarebbe  irragionevole  che  essa  debba  procedere
 all'esclusione  al  concorso senza alcun margine di discrezionalita',
 che le consenta di applicare il  principio  generale  di  graduazione
 della  sanzione  alla  gravita'  del  reato e di valutare l'eventuale
 compatibilita' tra condanna ed ammissione all'impiego, tenendo  anche
 conto di una sopravvenuta sentenza di riabilitazione; b) dell'art. 97
 della  Costituzione,  in  quanto  l'imparzialita' e il buon andamento
 della  p.a.,  vanno  assicurati  "mediante  un'azione  amministrativa
 adeguata  al  caso concreto, consentendo all'amministrazione medesima
 di apprezzare situazioni soggettivamente ed oggettivamente  diverse";
 c)  degli  artt.  4  e  35  della  Costituzione,  in  quanto la norma
 impugnata impedisce l'accesso al lavoro  in  relazione  ad  un  ampia
 categoria  di  reati,  indipendentemente  dalla loro gravita' e dalla
 considerazione delle funzioni da  svolgere;  d)  dell'art.  27  della
 Costituzione,  in  quanto  la  norma  ostacola  il  reinserimento del
 condannato  nel mondo del lavoro, compito che non puo' essere rimesso
 esclusivamente ai datori di lavoro privati, ma del quale  deve  farsi
 carico   anche   lo   Stato,  consentendo  l'accesso  alle  pubbliche
 amministrazioni di coloro  che  siano  incorsi  in  sanzioni  penali,
 mediante  una  valutazione  discrezionale che tenga conto del tipo di
 reato,  della  inclinazione  a  delinquere  del  colpevole,  del  suo
 ravvedimento  e delle mansioni della qualifica da ricoprire; e) degli
 artt. 27 e 97 della Costituzione, in quanto la  norma  impugnata  non
 considera   la  riabilitazione  come  elemento  per  l'inoperativita'
 dell'esclusione dal concorso da essa disposta.
    2. - Deve osservarsi preliminarmente che  la  questione  e'  stata
 sollevata nel corso di un giudizio avente ad oggetto il provvedimento
 di  esclusione  da  un  concorso  a  posti  di  commesso  della terza
 qualifica funzionale dell'amministrazione civile dell'interno, di  un
 concorrente,  risultato  vincitore,  che  aveva  subito  una condanna
 penale ed ottenuta la riabilitazione.
    Occorre poi precisare che l'art. 2 del d.P.R. 10 gennaio 1957,  n.
 3,  stabilisce  in via generale per l'ammissione agli impieghi civili
 nello Stato, che "non possono accedere agli impieghi coloro che siano
 esclusi dall'elettorato attivo politico  e  coloro  che  siano  stati
 destituiti    o   dispensati   dall'impiego   presso   una   pubblica
 amministrazione".
    Quanto a queste due ultime cause di esclusione,  l'indirizzo  piu'
 recente   della   giurisprudenza  amministrativa  si  e'  consolidato
 nell'affermazione che - ove manchi un'espressa disposizione di  legge
 che   lo  preveda  -  la  sentenza  penale  di  condanna  per  reati,
 comportanti, a norma dell'art. 85 del d.P.R. n. 3 del  1957  cit.  la
 destituzione  di  diritto dal pubblico impiego, non puo' considerarsi
 di  per  se'  ostativa  all'instaurazione   del   rapporto,   essendo
 necessaria   un'autonoma   valutazione   dell'amministrazione   sulla
 rilevanza dei reati commessi, sulla personalita' e  sulla  successiva
 condotta dell'interessato.
    Tale  giurisprudenza  e'  sorretta dalla ratio che e' a fondamento
 delle sentenze di questa Corte nn. 97 del 1988 e 197 del  1993  sulla
 illegittimita'   costituzionale   della   normativa   comportante  la
 destituzione automatica dei pubblici dipendenti in conseguenza di de-
 terminate condanne penali.
    Da   tali   decisioni   emerge   l'affermazione   del   principio,
 costituzionalmente  garantito,  secondo  il quale la costituzione del
 rapporto di pubblico impiego e la  permanenza  di  esso  non  possono
 essere  escluse,  di  per  se', dalla condanna penale per determinati
 reati, dovendo essere, anch'esse,  in  ogni  caso  precedute  da  una
 valutazione   autonoma   e   specifica   dell'amministrazione   circa
 l'influenza  della  condanna  sull'attitudine   dell'interessato   ad
 espletare l'attivita' alla quale lo legittima il rapporto di pubblico
 impiego.
    Per  quanto  riguarda  il  caso  concreto, si afferma che la norma
 impugnata (art. 12 d.P.R.  n.  340  del  1982)  viene  a  porsi  come
 eccezione  a  questo  principio,  giustificata dalla peculiarita' dei
 compiti e dei requisiti specifici  richiesti  per  le  attivita'  che
 fanno capo all'amministrazione dell'interno.
    Sembra  alla  Corte  che  siffate  peculiarita' non valgono a dare
 ragionevole giustificazione alla conseguenza, che da  esse  si  trae,
 secondo  la quale dalla condanna a pena detentiva per qualsiasi reato
 non colposo debba derivare l'esclusione automatica dal  concorso;  si
 impedisce  cosi'  di  valutare  in  concreto se la peculiarita' della
 situazione consenta la  compatibilita'  tra  condanna  (per  di  piu'
 seguita  da riabilitazione) ed esercizio dell'attivita' impiegatizia.
 Al riguardo deduce fondatamente il giudice a  quo  la  lesione  degli
 artt.  3  e  27  della  Costituzione, poiche' l'impugnato art. 12 del
 d.P.R. n. 340 del 1982 non prevede la possibilita' di questa autonoma
 valutazione  da  parte  della  competente  autorita'  amministrativa,
 soprattutto con riferimento alla riabilitazione.
    Osserva  la  Corte  che,  ai  sensi  dell'art.  178  cod. pen., la
 riabilitazione estingue le pene  accessorie  ed  ogni  altro  effetto
 penale  della  condanna,  salvo che la legge disponga altrimenti. Non
 essendo la esclusione dalla partecipazione al  pubblico  concorso  un
 effetto  penale della condanna, la riabilitazione non comporta di per
 se', automaticamente, il venir meno  dell'esclusione  stessa,  quando
 sia prevista dalla legge.
    E'   peraltro   irragionevole   (art.   3  della  Costituzione)  e
 contrastante con le finalita' di reinserimento del  condannato  nella
 vita  sociale,  cui  s'ispira  anche  l'art.  27, terzo comma, ultima
 parte,  della  Costituzione,  considerare  irrilevante  l'intervenuta
 riabilitazione,  precludendo  all'amministrazione  la  valutazione di
 tale evenienza, in tutti i suoi elementi, con riferimento particolare
 alla qualifica ed alle mansioni da espletare in base al concorso.
    Si' che proprio con riguardo all'esclusione dal concorso stesso la
 lamentata carenza di ogni potere di apprezzamento  alla  p.a.  e,  in
 particolare  dell'intervenuta riabilitazione, si pongono in contrasto
 col perseguimento della finalita' della  rieducazione,  del  ricupero
 morale  e  sociale  del  condannato e del suo rinserimento nella vita
 civile.
    Ne deriva che l'art. 12 del d.P.R.  24  aprile  1982,  n.  340  va
 dichiarato  costituzionalmente illegittimo, in riferimento agli artt.
 3 e 27 della Costituzione, nella parte in cui non prevede  il  potere
 di  valutazione,  da  parte dell'amministrazione interessata, ai fini
 dell'ammissione  al  concorso,  della  riabilitazione  ottenuta   dal
 candidato.
    Restano assorbiti i restanti profili d'incostituzionalita'.