IL PRETORE Ha emesso la seguente ordinanza nel procedimento n. 293/93-B a carico di Pontellini Franco. Con decreto notificato all'imputato in data 31 marzo 1993, il procuratore della Repubblica citava all'udienza del 27 maggio 1993, avanti a questo giudice, Pontellini Franco per il reato di cui all'art. 726 del c.p., commesso in Fermignano il 26 novembre 1991. All'udienza del 27 maggio 1993 si costituiva parte civile D'Orazio Luigi. Il processo veniva rinviato, per impedimento del difensore, prima della dichiarazione d'apertura del dibattimento. Alla successiva udienza di rinvio del 31 maggio 1993, l'imputato faceva tempestiva richiesta d'applicazione pena nella misura indicata a verbale. Il pubblico ministero non esprimeva il proprio consenso, motivando che, all'esito del dibattimento, si sarebbe potuto qualificare il reato "quale quello previsto dall'art. 527 del c.p.". Dichiarato aperto il dibattimento venivano ammesse le prove richieste dalle parti, e si procedeva all'escussione dei testi D'Orazio Valeria e D'Orazio Luigi. All'esito di quest'ultimo esame il pubblico ministero modificava l'imputazione, a norma dell'art. 516 del c.p.p., contestando all'imputato il delitto di cui all'art. 527 del c.p. La difesa chiedeva termine ai sensi dell'art. 519 del c.p.p., ed il pretore sospendeva il processo rinviandolo all'udienza del 23 settembre 1993. All'odierna prosecuzione veniva proposta nuovamente istanza d'applicazione pena, questa volta per il reato di cui all'art. 527 del c.p., nella misura indicata a verbale. Il pubblico ministero formulava il proprio consenso e la difesa di parte civile presentava le proprie conclusioni in ordine alle spese sostenute. Ritiene il pretore che il combinato disposto degli artt. 446, 516 e 519 del c.p.p., richiamati per il rito pretorile dal primo comma dell'art. 567 del c.p.p., non consentano l'accoglimento della richiesta d'applicazione pena per il reato da ultimo contestato all'imputato. L'art. 446 del c.p.p. infatti pone alla richiesta d'applicazione pena il limite temporale della dichiarazione d'apertura del dibattimento di primo grado, e l'art. 519 del c.p.p., nel disciplinare i diritti delle parti nei casi previsti dagli artt. 516, 517 e 518, secondo comma, del c.p.p., non consente di formulare richiesta d'applicazione pena per il reato risultante dalle nuove contestazioni del p.m. Ne' quest'ultima norma fa salvo il caso che l'imputato avesse gia' presentato richiesta d'applicazione pena per il reato originariamente contestatogli, richiesta alla quale il pubblico ministero non avesse aderito. Il divieto di pronunciare sentenza d'applicazione pena e di recepire l'accordo raggiunto tra le parti per il reato contestato a seguito della modifica dell'imputazione, quale risulta dal combinato disposto degli artt. 446, primo comma, 516 e 519 del c.p.p., pare al remittente in contrasto con gli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione. Non potendo il giudizio essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale, il processo deve esser sospeso in attesa della decisione della Corte costituzionale alla quale si rivolge, con la presente ordinanza, apposita istanza di dichiarazione d'illegittimita' costituzionale delle norme indicate per le ragioni che si espongono. Con l'ordinanza n. 213 dell'11 maggio 1992, la Corte costituzionale ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimita' degli artt. 446, 516 e 519 del c.p.p., come richiamati per il procedimento pretorile dagli artt. 563 e 567 del c.p.p., nella parte in cui non prevedono per l'imputato, in caso di modifica dell'imputazione nel corso dell'istruttoria dibattimentale, la possibilita' di richiedere l'applicazione della pena ai sensi degli artt. 444 e seguenti del codice di procedura penale, sollevata, con riferimento agli artt. 3, 24 e 27 della Costituzione, dal pretore di Treviso. Tale decisione pare al remittente non riferirsi al caso che s'intende ora rivolgere all'attenzione della Corte, e che considera l'ipotesi in cui l'imputato abbia gia' presentato tempestivamente richiesta d'applicazione pena per il reato originariamente contestatogli, richiesta alla quale il p.m. non abbia aderito. In questo caso, il divieto di accogliere la nuova richiesta d'applicazione pena formulata a seguito della modifica dell'imputazione, sembra contrastare con il principio di uguaglianza e con il diritto di difesa sancito dall'art. 24 della Costituzione. Le argomentazioni gia' espresse dalla Corte nella citata ordinanza n. 213/1992 paiono confermare i dubbi di costituzionalita' delle norme citate. Infatti, nel caso che si sottopone alla Corte, non puo' giustificarsi il divieto di presentare nuova richiesta d'applicazione pena con l'asserzione che tale rito ha "come peculiarita', in stretto collegamento, la rinuncia da parte dell'imputato al dibattimento .. e la riduzione della pena quale incentivo per la scelta di detto rito", posto che rinuncia al dibattimento, da parte dell'imputato, vi e' gia' stata con la prima richiesta d'applicazione pena, formulata tempestivamente, sulla quale il p.m. non ha prestato consenso con una decisione, in quello stato del processo, insindacabile. Nel caso in esame sarebbe incongruo negare all'imutato i benefici connessi all'istituto del patteggiamento per il reato contestatogli a seguito della modifica dell'imputazione, giacche' la celebrazione del dibattimento non e' dipesa dalle sue scelte processuali, ma da quelle del pubblico ministero il quale, non aderendo alla richiesta d'applicazione pena formulata tempestivamente per il reato ritenuto nel decreto di citazione a giudizio, e modificando l'imputazione a norma dell'art. 516 del c.p.p. a seguito dell'istruttoria dibattimentale, ha privato l'imputato della giuridica possibilita' di conseguire, per il nuovo reato contestato, i vantaggi conseguenti al patteggiamento. In altre parole, non ravvisandosi alcuna inerzia nella condotta processuale dell'imputato, il quale aveva gia' optato per una definizione anticipata del processo, alla quale il pubblico ministero non ha aderito, sarebbe del tutto irrazionale vietargli di formulare nuova richiesta d'applicazione pena per il reato contestatogli a norma dell'art. 516 del c.p.p., non potendosi certo addebitare a sue scelte processuali la scadenza del termine di cui all'art. 446 del c.p.p. Il sistema processuale in materia d'applicazione pena su richiesta delle parti pare, pertanto, considera in modo arbitrariamente diverso situazioni del tutto omogenee, imponendo di diversificare il trattamento di imputati per i quali non sia stato aperto il dibattimento, e di imputati che chiedano il "patteggiamento" per il reato risultante dalla modifica dell'imputazione fatta a norma dell'art. 516 del c.p.c., qualora in precedenza, prima dell'apertura del dibattimento, il pubblico ministero non abbia consentito all'applicazione pena per il reato originariamente contestato nel decreto di citazione a giudizio. Cio' si pone, a parere del remittente, in contrasto con l'art. 3, primo comma, della Costituzione. Inoltre, ponendo ingiustificati limiti al diritto di difesa, di cui costituisce esplicazione diretta quella di potersi avvalere dei benefici connessi al rito disciplinato dagli artt. 444 e segg. del c.p.p., pare in contrasto anche con l'art. 24 della Costituzione.