ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale della delibera legislativa della Regione Toscana n. 53 del 1993, riapprovata il 18 maggio 1993 dal Consiglio regionale, avente per oggetto: "Indennita' di funzione dei dirigenti - L.R. n. 41 del 1990, art. 38", promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri notificato il 5 giugno 1993, depositato in cancelleria il 15 successivo ed iscritto al n. 29 del registro ricorsi 1993; Visto l'atto di costituzione della Regione Toscana; Udito nell'udienza pubblica del 2 novembre 1993 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello; Uditi l'Avvocato dello Stato Giorgio Zagari per il ricorrente, e l'avv. Stefano Grassi per la Regione; Ritenuto in fatto 1. - Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato la delibera legislativa della Regione Toscana dal titolo "Indennita' di funzione dei dirigenti - L.R. n. 41/90 art. 38", riapprovata, con la maggioranza qualificata di cui al quarto comma dell'art. 127 della Costituzione, il 18 maggio 1993 nello stesso testo approvato il 3 dicembre 1991, a seguito del rinvio governativo. Nel ricorso si riferisce che la delibera in esame, allo scopo di fugare dubbi sulla effettiva natura della indennita' di funzione, ne definisce le caratteristiche (emolumento fisso, continuativo e ordinario per l'attivita' dirigenziale) che rilevano ai fini della quiescibilita' e del trattamento di fine rapporto; cosi' facendo, pero', la legge regionale: a) disciplinerebbe una materia non compresa nell'art. 117 della Costituzione; b) farebbe rientrare nella retribuzione annua contributiva la indennita' in parola - che assorbe o sostituisce o e' corrisposta in compensazione di taluni istituti incentivanti, quali la indennita' di presenza e lo straordinario, sicuramente esclusi dalla "retribuzione annua contributiva" - in contrasto con l'art. 16, terzo comma, della legge 5 dicembre 1959, n. 1077, determinando altresi' irrazionali trattamenti, fonti di possibili rivendicazioni emulative da parte del personale non dirigenziale; c) non avendo adottato la stessa scelta organizzativa fatta dalla Regione Lombardia (e cioe' quella di ridurre drasticamente i dirigenti, in relazione alle effettive strutture direzionali, prevedendone la cessazione del rapporto di impiego al venir meno della funzione), ma avendo previsto la possibilita' di corrispondere l'indennita' in parola anche ai dirigenti c.d. "senza responsabilita'" e non avendo disposto che il risultato negativo della gestione dirigenziale comporti la cessazione del rapporto di impiego, ma soltanto (implicitamente) l'assegnazione a funzioni di minore responsabilita', avrebbe dettato una disciplinata irrazionale e incompatibile con i connotati della fissita' e della continuita', in contrasto con l'art. 3 della Costituzione e con il principio di buona amministrazione di cui all'art. 97 della Costituzione. 2. - Si e' costituita in giudizio la Regione Toscana sostenendo l'infondatezza del ricorso alla luce della sentenza n. 80 del 1993 di questa Corte, e precisando che la delibera legislativa impugnata ha distinto l'indennita' di funzione in relazione alle singole qualifiche dirigenziali ed ha determinato il coefficiente di calcolo dell'indennita' medesima sulla base del contenuto operativo della qualifica considerata, cosi' modellandone il concreto ammontare sulla base dell'effettiva configurazione organizzatoria degli uffici regionali. Nel far cio' la delibera ha operato una triplice distinzione, relativamente: a) alle indennita' di funzione che costituiscono "emolumenti fissi e continuativi dovuti in via ordinaria come remunerazione dell'attivita' dirigenziale", spettanti sia alle qualifiche (prima e seconda) con responsabilita' di unita' operativa complessa o di servizio o di ufficio (coeff. 0,6) sia a quelle "senza responsabilita'" (coeff. 0,1, secondo le previsioni dell'accordo collettivo nazionale); b) alla indennita' costituente "emolumento a termine" per le funzioni di coordinamento di dipartimento o di ufficio (coeff. 0,2); c) alla indennita' che costituisce "emolumento a carattere non continuativo", riferita alle qualifiche dirigenziali di cui all'art. 38, comma 8, della legge regionale n. 41 del 1990 (per progetti e programmi intersettoriali e interdipartimentali, particolari attivita' di studio, ecc. - coeff. fino al massimo dello 0,2). Si sarebbe cosi' evitato di riconoscere in modo arbitrario un emolumento indennitario fisso per attivita' di carattere non continuativo, confermandosi invece il collegamento tra qualifica dirigenziale e funzione dirigente che, secondo la ricordata sentenza n. 80 del 1993, rappresenta la logica di fondo dell'accordo nazionale. Inoltre, per la parte in cui l'indennita' e' riconosciuta anche a qualifiche dirigenziali "senza responsabilita' di servizio, o con posizione di ricerca, di ufficio", il criterio accolto dalla regione sarebbe coerente con la disciplina nazionale che riconosce la misura pari al coefficiente dello 0,1 per cento a favore di tutti i dirigenti non preposti ad uffici. Quanto poi agli effetti ulteriori di detta indennita', la Regione richiama ancora la sentenza n. 80 del 1993, secondo cui, una volta affermato il carattere fisso e continuativo dell'indennita' di funzione, "le conseguenze che possano derivarne agli effetti del trattamento di quiescenza non limitano il potere della regione di recepire l'accordo in modo da adeguare le previsioni di questo alle proprie scelte organizzative". In altri termini, la quiescibilita' dell'indennita' di funzione non deriverebbe dalle norme regionali, ma dalle stesse norme statali di cui la delibera legislativa impugnata rappresenterebbe una "coerente e rispettosa attuazione". Quanto, infine, alla censura proposta in relazione alla violazione del principio di eguaglianza e di quello del buon andamento, la Regione sostiene che e' logico e razionale che ciascuna regione determini la misura dell'indennita' di funzione spettante ai propri dirigenti in relazione alle specifiche esigenze organizzative, ma sempre nel rispetto dei criteri stabiliti dalla legge nazionale, criteri che non possono essere sostituiti da una determinazione autoritativa e generalizzata dell'emolumento indennitario, perche' in tal modo si verrebbe a realizzare una assimilazione retributiva forzosa di situazioni funzionali non omogenee. 3. - In prossimita' dell'udienza, la Presidenza del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria nella quale ribadisce le proprie censure. Considerato in diritto 1. - Con ricorso in via principale e' stata impugnata dal Presidente del Consiglio dei ministri la delibera legislativa della Regione Toscana, avente ad oggetto la disciplina della indennita' di funzione dei dirigenti, per asserita violazione degli artt. 117, 3 e 97 della Costituzione. Si sostiene nel ricorso che la delibera, attribuendo alla indennita' suddetta il carattere di emolumento fisso, continuativo ed ordinario per la funzione dirigenziale: a) avrebbe inciso in modo indiretto sul trattamento di quiescenza e su quello di fine rapporto, disciplinando cosi' una materia di spettanza dello Stato; b) avrebbe reso possibile l'inclusione, nella retribuzione annua contributiva, di una indennita' "di carica" in contrasto, persino per la parte relativa al coefficiente minimo 0,1, con l'art. 16, terzo comma, della legge 5 dicembre 1959 n. 1077. 2. - Per chiarire i termini della questione e' opportuno precisare che la delibera legislativa impugnata definisce le caratteristiche delle indennita' di funzione dei dirigenti regionali contemplate dall'art. 38 della legge regionale 9 aprile 1990 n. 41, che ha recepito l'accordo nazionale di lavoro, approvato con d.P.R. 3 agosto 1990 n. 333. Quest'ultimo testo normativo prevede (art. 38, comma 3) la corresponsione della indennita' di funzione anche al personale della prima qualifica dirigenziale che non sia preposto a direzione di struttura o di staff. La delibera impugnata - che si innesta nella disciplina dettata dalla legge regionale n. 41 del 1990, la quale non prevede la cessazione del rapporto di impiego come conseguenza negativa della gestione, ma soltanto "la rimozione dalla funzione esercitata con conseguente perdita della relativa indennita'" (art. 39, comma 3) - ha distinto l'indennita' in parola, in relazione alle diverse funzioni dirigenziali, tra indennita' di funzione che costituiscono "emolumenti fissi e continuativi dovuti in via ordinaria come remunerazione dell'attivita' dirigenziale" (spettanti alle qualifiche dirigenziali di cui alle lettere A, B, C e D dell'art. 38, comma 6, della legge regionale n. 41 del 1990), indennita' che costituisce "emolumento a termine" (quella di cui all'art. 38, comma 6, lettera E) e, infine, indennita' costituente "emolumento a carattere non continuativo" (art. 38, comma 8). La linea seguita dalla Regione Toscana e' diversa da quella della legge della Regione Lombardia (che ha superato lo scrutinio di costituzionalita' con la sentenza di questa Corte n. 80 del 1993), che aveva attribuito a tutti i dirigenti l'indennita' di funzione nella misura base dello 0,8 per cento dello stipendio, riducendo pero' il numero di essi ai soli effettivi responsabili di strutture direzionali, prevedendo la cessazione dal rapporto di impiego in caso di risultato negativo della gestione e lasciando altresi' per la indennita' predetta un margine di oscillazione dallo 0,8 all'1 per cento dello stipendio per compensare l'eventuale espletamento di compiti ritenuti piu' importanti, secondo i criteri forniti dall'accordo nazionale (art. 38 del d.P.R. n. 333 del 1990). 3. - Tanto premesso, non puo' seguirsi la tesi sostenuta nel ricorso secondo cui non sarebbero applicabili alla delibera legislativa della Regione Toscana i principi enunciati nella richiamata sentenza n. 80 del 1993 relativamente alla legge della Regione Lombardia. Cio', si sostiene nel ricorso, a causa della diversita' fra le due discipline ed in particolare della mancanza nella legge della Toscana del ridimensionamento funzionale dei dirigenti con il numero degli uffici e, quindi, della previsione della cessazione del rapporto di impiego in caso di risultato negativo della gestione. Tale diversita', ad avviso della Corte, non determina un contrasto con i parametri costituzionali invocati, perche' alla base del recepimento deve ravvisarsi anche per la Regione Toscana una scelta in armonia con l'accordo nazionale, il quale non impone necessariamente il ridimensionamento funzionale dei dirigenti con il numero degli uffici. La qualificazione compiuta dalla delibera legislativa impugnata - che, collegandosi alla precedente legge regionale n. 41 del 1990, ha distinto tra indennita' fissa e continuativa, indennita' a termine e indennita' non continuativa - e' dunque coerente con i principi stabiliti dall'accordo che, ai fini della corresponsione della indennita', suppone sotto questo profilo soltanto l'effettivo svolgimento della funzione. I caratteri della "fissita'" e "continuita'", previsti dalla delibera impugnata per certi tipi di indennita', restano percio' pur sempre legati alla corrispondenza tra indennita' e funzioni esercitate, nel senso cioe' che l'indennita' e' fissa e continuativa per tutto il tempo in cui siano svolte le funzioni corrispondenti a quelle per le quali l'indennita' stessa e' prevista in quella determinata misura. Cio' in quanto la delibera impugnata, prevedendo che "la revoca della indennita' .., conseguente alla rimozione dalle corrispondenti funzioni, e' consentita nei soli casi previsti dalla legge", conferma o quanto meno non innova a quel che e' stabilito nell'art. 39, comma 3, della legge regionale n. 41 del 1990, il quale stabilisce che "il risultato negativo della gestione dei dirigenti, valutato con i criteri indicati dalla vigente normativa, comporta la rimozione dalla funzione esercitata con conseguente perdita della relativa indennita'". Il che significa che l'indennita' percepita in una certa misura subisce una variazione in diminuzione se il dirigente rimosso da un determinato ufficio viene assegnato ad altra funzione per la quale e' prevista una indennita' minore; per converso e' implicito che l'assegnazione ad un ufficio per il quale e' prevista una indennita' maggiore comporta ovviamente l'attribuzione di questa con la contestuale perdita di quella minore, senza che cio' configuri, come invece si sostiene nel ricorso, una incompatibilita' "con i connotati della fissita' e continuita'", che vanno ovviamente intesi in senso relativo in rapporto e per la durata dell'espletamento della specifica funzione dirigenziale. La coerenza della legislazione della Regione Toscana con i principi dell'accordo nazionale e' ravvisabile anche sotto l'ulteriore profilo della prevista attribuzione di una indennita' pari al coefficiente 0,1 per taluni dirigenti non preposti "a direzione di struttura o di staff", il che corrisponde - come gia' osservato - a quanto stabilito dall'art. 38, comma 3, dell'accordo nazionale per i dirigenti della prima qualifica. 4. - Quanto alle conseguenze derivanti, per la legislazione della Regione Toscana, dal risultato negativo della gestione del dirigente e che si sostanziano, come gia' detto, nella assegnazione di quello a funzioni di minore responsabilita' - nonostante la diversita' rispetto alla scelta legislativa operata dalla Regione Lombardia, che nel caso predetto dispone invece la cessazione del rapporto di impiego - esse non impediscono la estensione, al caso in esame, delle considerazioni svolte da questa Corte con la sentenza n. 80 del 1993. Non e' difatti condivisibile l'assunto del ricorrente, il quale sostiene che tali considerazioni - secondo cui il carattere della fissita' e della continuativita' della indennita' dirigenziale non e' in contrasto con l'art. 117 della Costituzione, perche' tale qualificazione non incide di per se' sul regime del trattamento di quiescenza di spettanza dello Stato - sarebbero valide soltanto nelle ipotesi in cui "il risultato negativo della gestione" comporti, come per la legge della Lombardia, la cessazione del rapporto di impiego e non anche quando al risultato negativo consegua l'assegnazione a funzioni di minore responsabilita', come per la Toscana. Osserva la Corte che, invece, anche relativamente alla impugnata delibera della Regione Toscana - che, come si e' gia' rilevato, si innesta in un sistema legislativo che non prevede la cessazione del rapporto di impiego nel caso di risultato negativo della gestione - debba valere il principio secondo cui, rispetto alle conseguenze ulteriori legate alla natura degli emolumenti, "rimane comunque integro il potere dello Stato di incidere per modificare, nel rispetto dei principi costituzionali, il regime del trattamento di quiescenza onde determinarne, come e' sua spettanza, l'ambito, i presupposti e l'estensione". Diversamente da quanto sembra sostenersi dal ricorrente, la sentenza n. 80 del 1993 non ha inteso certamente affermare che l'integrita' del potere dello Stato di disciplinare il trattamento di quiescenza sia inscindibilmente legata all'automatismo della cessazione del rapporto di impiego in caso di risultato negativo della gestione dei dirigenti, ma solo precisare che tale potere discende dal riparto attuale delle competenze fra Stato e regioni, che non prevede alcuna possibilita' per queste di incidere su detti trattamenti. Il problema di costituzionalita' - che, come quello risolto con la sentenza n. 80 del 1993, riguarda l'impossibilita' per la legge regionale di incidere sul trattamento di quiescenza - si sarebbe posto se la legge regionale avesse disposto espressamente sulla "quiescibilita'" degli emolumenti in parola, innovando cosi' in ordine a questo aspetto alla legge dello Stato. Nella specie cio' non e' avvenuto, essendosi anche la delibera legislativa della Toscana limitata a qualificare il carattere delle indennita' dirigenziali in relazione al tipo di funzioni cui sono collegate. D'altronde, tenuto conto degli orientamenti non univoci della giurisprudenza nella materia pensionistica, e' da escludere nel nostro ordinamento una automatica incidenza sul trattamento pensionistico della attribuzione del carattere fisso e continuativo ad alcuni emolumenti retributivi. Ne' mancherebbe d'altronde al legislatore nazionale la possibilita' di intervenire per chiarire questi aspetti, qualora la giurisprudenza in materia pensionistica dovesse consolidarsi nel senso dell'automatismo, facendo derivare certi effetti sul trattamento di quiescenza dal modo con cui le leggi regionali qualifichino gli emolumenti che esse hanno il potere di disciplinare, un potere questo che non puo' non essere riconosciuto alle regioni. 5. - La Presidenza del Consiglio sostiene, altresi', che, poiche' l'indennita' dirigenziale assorbe quella di presenza ed e' correlata alla esclusione del personale dirigente dagli istituti incentivanti, compreso il compenso per lavoro straordinario, (art. 38, comma 5, del citato d.P.R. n. 333 del 1990), "sicuramente esclusi dalla retribuzione annua contributiva", la qualificazione data dalla legge regionale a detta indennita' comporterebbe per questa piu' favorevoli caratteristiche, innescando rivendicazioni emulative, rispetto ai trattamenti che essa assorbe, da parte del personale non dirigenziale. In proposito osserva la Corte che l'inclusione o meno nella "retribuzione annua contributiva" della indennita' in questione discende dal gia' menzionato riparto delle competenze fra Stato e regioni, e non dalla qualificazione che di essa da' la legge regionale, e cio' e' sufficiente a togliere ogni fondamento alla censura. 6. - Inammissibile e' infine il profilo secondo cui, essendo l'indennita' dirigenziale da includersi fra le indennita' "di carica", si sarebbe determinata la inclusione "nella base contributiva" della indennita' de qua, persino per la parte relativa al coefficiente minimo dello 0,1, in modo "poco coerente" con l'art. 16, comma terzo, della legge 5 dicembre 1959 n. 1077. In proposito va rilevato che nello stesso ricorso si riconosce che il "telegramma di rinvio", uniformandosi alla circolare del Ministro del tesoro (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 212 del 10 settembre 1991), avrebbe "tollerato" tale inclusione. E difatti nel telegramma del 30 dicembre 1991, con il quale la Presidenza del Consiglio dei ministri ha rinviato la delibera legislativa per il riesame da parte del Consiglio regionale, si afferma la sua illegittimita', sotto i profili poi riprodotti nel ricorso in questa sede, solo relativamente alla indennita' di misura superiore "al livello minimo dello 0,1 attribuibile indipendentemente dalla posizione funzionale specifica". Cio' e' sufficiente a determinare l'inammissibilita' della censura, non potendosi con il ricorso proporre censure diverse (sentt. nn. 107 del 1983, 212 del 1976, 132 e 123 del 1975) e tanto meno in contrasto con il contenuto del rinvio per riesame.