Ricorre per la regione autonoma Valle d'Aosta, in persona dell'on.le presidente della giunta regionale, Dino Vierin, debitamente autorizzato in forza di delibera della giunta regionale n. 10165 del 3 dicembre 1993, rappresentato e difeso dall'avv. prof. Gustavo Romanelli, e presso di lui elettivamente domiciliato in Roma, alla via Cosseria, n. 5, in forza di procura autenticata dal notaio Bastrenta di Aosta in data 9 dicembre 1993, rep. 15191, contro la presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona dell'on.le presidente del Consiglio pro-tempore, domiciliato per la carica in Roma, palazzo Chigi, nonche' presso l'avvocatura dello Stato, via dei Portoghesi n. 12, per la declaratoria di illegittimita' costituzionale del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453 (Disposizioni in materia di giurisdizione e di controllo della Corte dei conti), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, serie generale, parte I, n. 268, del 15 novembre 1993. La regione autonoma Valle d'Aosta, come in epigrafe rappresentata e difesa, espone quanto segue. F A T T O Il decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, meglio specificato in epigrafe, costituisce il quinto tentativo del Governo centrale di intervenire radicalmente in una materia tanto delicata quanto quella degli stumenti di garanzia della legittimita' amministrativa, che segue ai precedenti decreti-legge nn. 54, 143, 232 e 359 del 1993, tutti oggetto di giudizi di legittimita' proposti in via principale dalla ricorrente e da altre regioni, attualmente pendenti avanti codesta ecc.ma Corte. Rispetto in particolare ai decreti nn. 359 e 232 che l'hanno preceduto, quello oggi impugnato si caratterizza per una minima compressione della latitudine di contenuti, e per il cambiamento dell'intestazione (che nella precedenti versioni recava "Disposizioni in materia di legittimita' dell'azione amministrativa": tali accorgimenti non possono tuttavia far venire meno la massima parte dei profili di illegittimita' che erano stati denunziati nei precedenti decreti. Con il decreto in questione viene infatti ancora tentata una riforma radicale di una fondamentale giurisdizione del nostro ordinamento, quale e' quella della Corte dei conti, prevedendo fra l'altro che in tutte le regioni vengano istituite sezioni giurisdizionali della Corte dei conti (art. 1), presso le quali, ai sensi del successivo art. 2, secondo comma, e' chiamato a svolgere le fuzioni di pubblico ministero un vice procuratore generale della Corte dei conti (procuratore regionale), od un altro magistrato assegnato all'ufficio. I giudizi relativi ai residenti all'estero sono devolti, ai sensi dell'art. 1, sesto comma, alla competenza della sezione regionale per il Lazio. L'attivita' dei procuratori regionali e' coordinata, in base al terzo comma dello stesso art. 2, dal procuratore generale della Corte dei conti. L'ultimo comma dell'art. 2 prevede che la Corte dei conti possa delegare, per l'esercizio della sue funzioni, adempimenti istruttori a funzionari di pubbliche amministrazioni ed avvalersi di consulenti tecnici. L'art. 7, al primo comma, delimita il campo del controllo preventivo di legittimita' della Corte dei conti, estendendolo in particolare a: c) "atti normativi a rilevanza esterna, atti generali di indirizzo, atti di programmazione comportanti spese"; d) "provvedimenti di disposizione del demanio e patrimonio immobiliare eccedenti l'ordinaria amministrazione"; f) "autorizzazioni alla sottoscrizione di contratti collettivi, secondo quanto previsto dall'art. 51 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29"; g) "provvedimenti che disciplinano l'esercizio di funzioni pubbliche autoritative relative ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni". A tali previsioni espresse, se ne aggiunge un'altra, di chiusura, che prevede analogo controllo per le materie per le quali esso sia ritenuto opportuno dal presidente del consiglio dei Ministri (lett. 1). D'altronde, con singolare commistione di potere di controllo e di potere normativo, un analogo potere estensivo dell'ambito degli atti soggetti a controllo e' attribuito (sia pure, sembrerebbe, soltanto rispetto alle amministrazioni statali) anche alle sezioni riunite della Corte dei conti (art. 7, quarto comma). Gli atti sottoposti al controllo vanno peraltro pubblicati per estratto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, stante la previsione di cui all'art. 7, terzo comma. Ancora l'art. 7, al secondo comma, disciplina gli effetti del controllo preventivo della Corte dei conti. In base a tale disposizioni, i provvedimenti sottoposti al controllo preventivo divengono esecutivi ove la Corte non ne dichiari la non conformita' a legge nel termine di trenta giorni dal ricevimento. Peraltro, in base all'ultima parte del secondo comma, dell'art. 7, l'esecutivita' e' sospesa se nel termine dei trenta giorni la Corte richieda chiarimenti od elementi integrativi del giudizio. Il sesto comma dell'art. 7 estende espressamente il controllo successivo della Corte dei conti sulla gestione nei confronti delle regioni (ivi comprese, sembrerebbe, anche le regioni a statuto speciale) e degli enti locali, anche se lo vincola al "perseguimento degli obiettivi stabiliti dalle leggi statali e di programma". L'ultima parte del settimo comma dell'art. 7 fa carico alle amministrazioni per le quali la Corte dei conti abbia formulato osservazioni, di comunicare alla Corte medesima le misure adottate. Peraltro, il comma 8 dell'art. 7 demanda alle relazioni della Corte dei conti anche la valutazione sul funzionamento degli organi interni. Infine, il nono comma attribuisce alla Corte il potere di richiedere il riesame dei provvedimenti adottati dalle amministrazioni pubbliche non territoriali. Deve peraltro evidenziarsi come il decreto-legge impugnato contenga norme di tutela delle minoranze linguistiche limitamente alle sole sezioni giurisdizionali della Corte dei conti con sede nel territorio della regione Trentino-Alto Adige (art. 1, secondo comma). L'art. 9 autoqualifica le norme desumibili dal decreto come "norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica". La disciplina teste' richiamata e' gravemente lesiva delle attribuzioni della regione autonoma Valle d'Aosta ed e' illegittima per violazione degli artt. 77, 100, 103, 108, 116 e 125 della Costituzione, nonche' per violazione dei principi dello statuto della regione autonoma della Valle d'Aosta (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4), ed in particolare dei suoi art. 2, 3, 4, 29, 38, 43 e 46, primo comma. IN DIRITTO 1. - Occorre preliminarmente contestare come il Governo abbia inteso adottare con le forme del decreto-legge delle misure che vengono a fortemente incidere sugli assetti istituzionali, e che per di piu' violano illegittimamente la sfera di autonomia speciale della ricorrente regione, con disposizione in larga parte (in particolare per quanto si riflette sull'organizzazione e la struttura della Corte dei conti), di palese non immediata applicabilita': appare quindi evidente come siano stati travalicati i confini alla decretazione d'urgenza richiamati dall'art. 15, terzo comma, della legge 23 agosto 1988, 400, che reca la disciplina dell'attivita' di Governo e l'ordinamento della presidenza del Consiglio dei Ministri. Il decreto in questione, assumendo, ma non dimostrando affatto, la ricorrenza dei presupposti della "necessita'" e dell'"urgenza"; introduce misure che, per di piu' sono di assai dubbia idoneita' rispetto al perseguimento dello scopo dichiarato ("di rafforzare gli strumenti di garanzia della legittimita' dell'azione amministrativa", secondo una formula che gia' compariva nelle premesse dei precedenti decreti), e lasciano anzi il dubbio di essere finalizzate a reagire ai noti e gravi episodi di malgoverno con un ulteriore appesantimento dei controlli gravanti sull'azione amministrativa. Puo' incidentalmente aggiungersi che la reiterazione, come nel caso di specie, di decreti-legge di contenuto normativo pressoche' coincidente l'uno con l'altro, senza che sia mai intervenuta la necessaria conversione in legge, appare di per se' eversiva del sistema costituzionale: in effetti sembra trattarsi di prassi non dissimile quanto a ragioni ispiratrici e ad effetti da quella espressamente vietata dall'art. 15, secondo comma, lettera c) della legge 23 agosto 1988, 400 (quest'ultima disposizione, come e' noto, interdice al Governo di rinnovare decreti-legge dei quali sia stata negata la conversione da una delle due Camere). La ricorrenza degli estremi della necessita' e dell'urgenza e' anche piu' dubbia, se si considera che il decreto oggi impugnato fa parte di quella stessa serie di decreti-legge, di contenuto analogo, che ormai da diversi mesi si stanno susseguendo l'uno all'altro, tutti sull'onda di una dichiarata, ma indimostrata, urgenza. A tale serie appartengono infatti, come si e' ricordato in premessa, i decreti-legge, non convertiti, dell'8 marzo 1993, n. 54, del 15 maggio 1993, n. 143, del 17 luglio 1983, n. 232 e, infine, del 14 settembre 1993, n. 359. Sia pure con sfumature in parte diverse i primi due, evocando anch'essi la stessa supposta "straordinaria necessita' ed urgenza", esprimevano in buona parte la medesima accentuata, ed illegittima, tendenza a comprimere le autonomie regionali. D'altronde, che il complesso delle norme recate dall'impugnato decreto possa in tutto o in parte rispondere ai requisiti di necessita' e di urgenza da esso evocati sembra anche contraddetto dalla autoqualificazione (peraltro irrilevante) come "norme fondamentali di riforma economico-sociale". Va incidentalmente aggiunto che certamente non rientra nella nozione di "urgenza" idonea a giustificare l'adozione di un decreto-legge l'esigenza di dare copertura alle situazioni create per l'improvvisa immediata attuazione dei precedenti decreti non convertiti, che ha portato fra l'altro all'inizio dell'attivita' in alcune sezioni regionali della Corte dei conti. Essendo appunto indimostrata la ricorrenza di una situazione di necessita' ed urgenza, a torto evocata nella premessa, il decreto impugnato viola il precetto dell'art. 77 della Costituzione, che fa divieto al Governo di emanare decreti che abbiano valore di legge. D'altronde, il medesimo ordine di censure sull'inesistenza rispetto all'intero provvedimento, o quanto meno rispetto a sue specifiche previsioni, dei suddetti requisiti di necessita' ed urgenza e' gia' stato ampiamente sollevato in sede di discussione presso la commissione affari costituzionali del Senato della conversione in legge del decreto n. 232/1993: in particolare, si e' rilevato che le norme recate dal decreto, in quanto "intrinsecamente non urgenti", non presentano i requisiti previsti dall'art. 78, terzo comma, del regolamento del senato, conseguentemente, a maggioranza, la commissione ha deciso di non accogliere la proprosta di riconoscere i presupposti di cui all'art. 78, terzo comma, del regolamento in ordine alle previsioni da 7 a 10 del decreto impugnato (v. Seduta della I commissione del Senato del 22 luglio 1993). Puo' ancora aggiungersi che ben difficilmente sarebbe dimostrabile il presupposto dell'urgenza rispetto ad un intervento che ha assunto il carattere di profonda riforma giurisdizionale della Corte dei conti, che peraltro trascende i limiti delle attribuzioni riservate alla stessa Corte dei conti dall'art. 100 della Costituzione, al secondo comma. Infatti, quest'ultima norma della Costituzione si limita a prevedere la possibilita' che, con legge, si introduca una partecipazione della Corte dei conti al controllo sulla gestione finanziaria (e non, come nel decreto impugnato, su singoli atti) degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria, mentre non e' affatto previsto un controllo su enti diversi e in specie sulle regioni e sugli enti locali. Peraltro, per quanto concerne le regioni, la Corte non potrebbe essere investita neanche della semplice partecipazione al controllo preventivo: per le Regioni a statuto ordinario vale comunque la tassativita' dei controlli previsti dall'art. 125 della Costituzione (in base a tale principio venne da codesta ecc.ma Corte dichiarato illegittimo l'art. 2, terzo comma, lett. p) della legge n. 400/1988: cfr Corte costituzionale, 21 aprile 1989, n. 229); a maggior ragione un tale vaglio della Corte dei conti non e' ammissibile per la regione ricorrente, per la quale, come si rilevera' nel prosieguo del ricorso, esiste un sistema tassativo di controlli previsto dallo statuto di autonomia speciale. Puo' aggiungersi che il decreto-legge impugnato si pone in contrasto anche con il secondo comma dell'art. 125 della Costituzione, che (come e' evincibile tenuto conto della classificazione degli organi giurisdizionali di cui all'art. 103 della Costituzione) prevede su base regionale soltanto l'istituzione di organi di giustizia amministrativa che si inseriscono nella giurisdizione del Consiglio di Stato, quali sono gli odierni T.A.R., e non anche per quanto concerne la giurisdizione della Corte dei conti. Del resto, sia pure rispetto ad altra questione, si era gia' correttamente eslcuso che la struttura su base regionale della giustizia amministrativa di cui all'art. 125 fosse applicabile anche alla Corte dei conti: v. Corte costituzionale, 7 marzo 1984, n. 52; Corte dei conti, sez. riun., 19 aprile 1988, n. 576/A. 2. - Deve comunque rilevarsi che il decreto-legge impugnato ha un ambito di applicazione che coincide largamente con quelle materia per cui operano le riserve di legge di cui agli artt. 100, secondo e terzo comma, nonche' 103, secondo comma, e 108 della Costituzione: in base a tali norme costituzionali, sono riservate alla legge (in senso formale), rispettivamente, la determinazione dei casi e delle forme in cui la Corte dei conti puo' partecipare al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria e l'indipendenza della Corte medesima di fronte al Governo, l'ambito della giurisdizione della Corte dei conti al di fuori della contabilita' pubblica e, infine, l'ordinamento giudiziario e di ogni magistratura in genere. Ebbene, a prescindere dalla considerazione che, come si tentera' di dimostrare nel prosieguo del presente ricorso, il decreto-legge impugnato si e' posto comunque per il proprio contenuto normativo intrinseco in contrasto con una pluralita' di precetti costituzionali, e' comunque da contestare che lo strumento del decreto-legge possa tener luogo ad una legge formale, dato che le riserve di legge in questione non possono che essere assolute, tenuto conto, fra l'altro, che sono finalizzate anche a garantire l'indipendenza della Corte dei conti rispetto al Governo (nel senso dell'insufficienza, rispetto ad analoghi contenuti, del decreto-legge n. 54/1993, con riferimento specifico alla medesima questione, v. Correale "Trasparenza e buon andamento: sezioni unite e nuove competenze della Corte dei conti" relazione al convegno di studio di Roma, 10 giugno 1993, su "Trasparenza, legalita' e buon andamento: il ruolo della Corte dei conti e delle altre magistrature"). Come e' stato ricordato in un recente convegno giuridico, l'impegno del decreto-legge per modificare i contenuti di una giurisidizione come quella della Corte dei conti appare criticabile anche perche' tale procedura ha comportato che nemmeno e' stato acquisito il parere dell'organo giurisdizionale interessato, quando persino in una fase della nostra storia politica caratterizzata da un regime non democratico, con il r.d. 9 febbraio 1939, n. 273 si previde la necessita' di acquisire il parere di Consiglio di Stato e Corte dei conti relativamente a tutti i provvedimenti legislativi destinati ad incidere sulle loro attribuzioni (Correale, "Prospettive per una organica gestione e conseguente tutela dei patrimoni pubblici nell'interesse oggettivo della collettivita'", relazione al convegno di Perugia del settembre 1993, p. 16). D'altro canto, nel medesimo decreto-legge impugnato si hanno anche disposizioni che incidono su alcune delle materie oggetto di riserva di legge, cosi' generiche da rimettere di fatto al puro arbitrio del Governo la definizione del loro effettivo ambito di efficacia: cosi', l'ambito di esplicazione del potere di controllo preventivo della Corte dei conti, di cui all'art. 7, e' completato con una formula che consente la sottoposizione ai controlli in questione degli atti che il presidente del Consiglio dei Ministri ritenga opportuno; il medesimo rilievo (cui si aggiunge la denunzia della commistione di potere di controllo e di potere normativo insita nella ricordata previsione di cui all'art. 7, quarto comma, del decreto impugnato): e' qui anche piu' palese la denunziata violazione della riserva di legge in materia di controllo della Corte dei conti, di cui all'art. 100 della costituzione, violazione che comunque sussiste anche se, per interventi che incidano nell'ambito in esame, dovesse in ipotesi ritenersi sufficiente il ricorso allo strumento del decreto-legge. Inoltre, anche a voler prescindere dai nuovi contenuti previsti dell'azione della Corte, e' lo stesso disegno delle modalita' di esercizio che mette fortemente in pericolo la sfera di autonomia regionale. Infatti, mancano persino sufficienti garanzie in ordine all'indipendenza dell'Esecutivo nazionale di chi in concreto e' chiamato ad operare funzioni essenziali anche nell'ambito delle competenze giurisdizionali della Corte dei conti. Si e' infatti inopinatamente disposto, con l'art. 2, quarto comma, che la Corte dei conti possa avvalersi, per adempimenti istruttori, di personale delle pubbliche amministrazioni: tale previsione, in quanto applicabile all'attivita' che la Corte dei conti sarebbe chiamata a svolgere rispetto alle regioni ed agli enti locali, appare in contrasto con la garanzia di indipendenza anche delle giurisdizioni speciali, di cui all'art. 108, secondo comma, della Costituzione, espressamente estesa tanto ai pubblici ministeri che "agli estranei che partecipano all'amministrazione della giustizia". 3. - Invero, la disciplina in esame viene ad incidere illegittimamente sulla stessa sfera di autonomia regionale. Essa infatti comporta l'assoggettamento dell'amministrazione regionale e degli enti locali ad un controllo preventivo della Corte dei conti, diverso ed ulteriore rispetto ai controlli previsti dallo statuto di autonomia speciale della Valle d'Aosta (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4), nel titolo IX (art. 44 e segg.), che costituiscono un ambito chiuso, tassativamente determinato, attribuito ad organi specificamente individuati. Per di piu', tali controlli vengono ad essere predisposti per atti che sono l'espressione stessa dell'autonomia regionale, come nelle ipotesi previste dalla lett. c), dell'art. 7 (che, lo ricordiamo, contempla tutti gli atti normativi a rilevanza esterna, gli atti di indirizzo e gli atti di programmazione comportanti spese) ovvero su materie che appartengono alla competenza esclusiva della regione autonoma Valle d'Aosta. Infatti, come si e' visto, le lettere d), f) e g) dell'art. 7 prevedono l'estensione del controllo preventivo rispettivamente ai provvedimenti di disposizione del demanio e patrimonio immobiliare eccedenti la normale amministrazione, all'autorizzazione alla sottoscrizione dei contratti collettivi ed ai provvedimenti che disciplinano l'esercizio di funzioni pubbliche autoritative relative ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni. E' evidente il contrasto con le norme dello statuto che attribuiscono le materie oggetto di tali previsioni alla competenza normativa ed amministrativa regionale. Infatti, l'art. 2, dello statuto di autonomia speciale della regione ricorrente attribuisce alla competenza primaria normativa regionale, fra l'altro, alla lett. a) l'ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla regione e lo stato giuridico ed economico del personale, ed alla lett. f) le strade e lavori pubblici di interesse regionale. L'art. 3, lett. f) attribuisce alla competenza normativa concorrente della regione le finanze regionali e comunali; in base all'art. 4 del medesimo statuto, alla competenza normativa regionale sia primaria che concorrente, di cui agli artt. 2 e 3, corrisponde la potesta' amministrativa della regione. Inoltre, come gia' esposto, e' prevista la possibilita' che il Presidente del Consiglio dei Ministri estenda discrezionalmente e senza limiti l'ambito dei controlli in questione. 4. - In ogni caso, il decreto-legge impugnato chiama ad esercitare il controllo preventivo in questione un organo non contemplato dallo statuto di autonomia speciale. Lo statuto, infatti, all'art. 46, rimette tale ordine di attivita' in via esclusiva alla commissione di coordinamento, di cui al precedente art. 45. Puo' ricordarsi che con gli artt. 60 e segg. della legge 16 maggio 1978, n. 196, si e' provveduto a dettare la disciplina di attuazione in tema di controlli. Ne consegue, fra l'altro, che il decreto-legge de quo comporta un'illegittima duplicazione del controllo preventivo che certamente non giova al fine di meglio garantire la necessaria celerita' dell'azione amministrativa. Ne' e' stabilito e regolato il rapporto fra i due ordini di controllo cui l'attivita' regionale resterebbe soggetta. Si osserva che non ha neppure rilevanza che le norme siano dichiarate (e possano, in ipotesi, essere considerate) come "norme fondamentali di riforma economico-sociale). Soltanto infatti la competenza normativa della regione ricorrente puo' essere eventualmente compressa, ai sensi dell'art. 2 dello statuto di autonomia della regione ricorrente, dalle norme fondamentali delle riforme economico-sociali. Nel caso di specie, ci troviamo invece nel campo dei controlli previsto dall'art. 46 dello statuto, che non conosce alcuna eccezione. E' da notare in particolare che la maggior parte dei provvedimenti per i quali dovrebbero operare le forme di controllo anzidette e' gia' sottoposta alla particolare procedura di controllo anche di merito, comprensivo del potere di richiesta di riesame, dell'art. 61 della legge n. 196/1978. Dunque, con una legge ordinaria, si e' creato un nuovo ed ulteriore ordine di controlli che lo statuto non contemplava, determinando cosi' un'interferenza nell'autonomia regionale; d'altro canto, tale potere di controllo e' stato devolto ad un organo diverso da quello a cui comunque lo statuto riserva tale ordine di attivita', senza neppure stabilire i rapporti fra i due controlli. 5. - Il decreto-legge oggi impugnato ha mantenuto, all'art. 7, secondo comma, il profilo di illegittimita' gia' denunziato per il d.l. n. 359/1993, che, in piu' rispetto ai primi due decreti della serie ricordata, aveva condizionato l'esecutivita' dei provvedimenti sottoposti al controllo preventivo alla mancata declaratoria di non conformita' da parte della Corte dei conti nel termine di trenta giorni dal ricevimento e comunque aveva conferito alla Corte dei conti il potere di sospendere l'esecutivita' dei provvedimenti collegata alla potesta' di chiedere all'ente che ha emesso il provvedimento ulteriori adempimenti. Applicandosi tale previsione anche ai provvedimenti delle regioni, ed in particolare anche a quelli della regione autonoma ricorrente in materie di sua competenza, viene ad essere ulteriormente compressa la sfera di autonomia regionale, attraverso un rilevante condizionamento dell'esecutivita' dei provvedimenti regionali, per di piu' operato mediante controlli non previsti dallo statuto, da organi comunque non investiti di una tale potesta' da alcuna norma di livello costituzionale (e a fronte di un principio di tassativita' dei controlli evincibile dallo statuto regionale). Un'ulteriore compressione qualitativa delle competenze regionali e' altresi' riscontrabile nella previsione di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica degli atti sottoposti a controllo, nei termini di cui all'art. 7, terzo comma, del decreto impugnato. 6. - Il medesimo ordine di considerazioni puo' essere svolto mutatis mutandis anche (nei limiti in cui la relativa disciplina possa essere ritenuta applicabile alla regione ricorrente) per quanto concerne il controllo successivo, di cui all'art. 7, quinto comma, tale controllo successivo, oltre a palesarsi come un'evidente ingerenza nell'autonomia regionale, in quanto attinente alla valutazione dell'efficacia dell'azione amministrativa, si trasforma in una duplicazione del controllo che il consiglio regionale e' chiamato ad effettuare sull'attivita' della giunta regionale, in particolare per quanto concerne bilancio e rendiconto consuntivo, ai sensi dell'art. 29 dello statuto (ne' l'illegittimita' viene meno per essere la Corte tenuta a riferire su tale suo operato anche ai consigli regionali). Peraltro esso e' caratterizzato da un'altra grave anomalia, che contribuisce ad incidere in maniera negativa sulla sfera di autonomia regionale, dato che la determinazione dei criteri di controllo e' riservata, dal quinto comma dello stesso art. 7, allo stesso organo del che controllo e' investito, il quale e' chiamato a definirli annualmente. 7. - Per quanto concerne poi il controllo sugli atti degli enti locali, ove la disciplina impugnata sia applicabile anche agli enti locali della Valle, occorre ricordare che lo statuto valdostano, con l'art. 43, attribuisce la materia alla competenza legislativa della regione, salvo il rispetto dell'armonia con i principi delle leggi dello Stato, e che la regione ha esercitato le proprie competenze con la legge regionale 15 maggio 1978, n. 11, e poi da ultimo con la legge regionale del 30 giugno 1992, riapprovata il 16 febbraio 1993, volta a sostituire la citata legge regionale n. 11 del 1978). Inoltre, lo stesso art. 43 dello statuto di autonomia speciale attribuisce anche l'attivita' di controllo in quanto tale sugli enti locali alla regione. E' appena il caso di osservare che il procuratore regionale della Corte dei conti e' un organo dello Stato, e non certamente della regione. Dunque, il decreto-legge impugnato e' illegittimo, in quanto va a comprimere una competenza normativa della regione, che la regione medesima ha peraltro provveduto ad esercitare, in una materia che appartiene alla competenza normativa esclusiva della regione, ed attribuisce ad un organo dello Stato un'attivita' di controllo, che spetta invece alla regione, ai sensi del citato art. 43 dello statuto regionale. La medesima censura e' peraltro riferibile anche, in parte qua, alla previsione di un potere di richiesta di riesame da parte della Corte dei conti sugli atti ritenuti non conformi delle amministrazioni pubbliche non territoriali (art. 7, nono comma, secondo periodo), in quanto fra esse siano ricomprese quelle assoggettate, anch'esse ai sensi dell'art. 43, primo comma, dello statuto di autonomia speciale al (solo) controllo della regione ricorrente. 8. - L'art. 38 dello statuto di autonomia speciale della Valle d'Aosta (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4), al primo comma, espressamente sancisce, in armonia del resto con il piu' generale principio della tutela delle minoranze linguistiche, di cui all'art. 6 della Costituzione della Repubblica, l'equiparazione nella Valle d'Aosta della lingua francese a quella italiana: il che significa che, nel territorio della Valle, non e' attribuita una posizione di preminenza ne' alla lingua italiana, ne' alla lingua francese (v. in tali termini Corte costituzionale, 22 dicembre 1969, n. 156, in Cons. Stato, 1969, II, 109), essendo entrambe lingue ufficiali (cosi': Barbagallo, La regione Valle d'Aosta, Milano, Giuffre', 1991, 119). Come ha ben evidenziato la Corte costituzionale, in Valle d'Aosta, contrariamente a quanto accade in altre regioni o provincie autonome (ed in particolare in Friuli-Venezia Giulia e nella provincia di Bolzano), si ha un bilinguismo perfetto (cfr. Corte costituzionale, 22 dicembre 1969, n. 156, cit.). Il principio costituzionale in questione e' stato tuttavia violato dal decreto impugnato, che si e' limitato a prevedere (all'art. 1, secondo comma) il rispetto della normativa in materia di tutela delle minoranze linguistiche, esclusivamente per quanto concerne i procedimenti avanti le sezioni giurisdizionali (e non anche per i procedimenti di controllo), e comunque soltanto limitatamente al territorio della regione Trentino-Alto Adige, non prevedendo per la regione Valle d'Aosta nemmeno norme di tutela di segno analogo. 9. - Infine, occorre puntualizzare che non ha alcun valore l'autoqualificazione (di cui all'art. 9) del provvedimento impugnato come portatore di norme fondamentali di riforme economico-sociali. E' infatti dato del tutto pacifico che una tale autoqualificazione sia di per se' priva di rilevanza, dovendosi invece attribuire una tale natura soltanto in base alla natura obiettiva del provvedimento normativo, natura che va determinata in base al suo oggetto, alla sua motivazione politico-sociale, al suo scopo, alla modificazione che possa indurre nei rapporti sociali (conf.: Corte costituzionale, 25 luglio 1984, n. 219, in Giur. cost., 1984, I, 1490). In concreto, non sembra che una normativa, tanto di dettaglio come quella oggi impugnata, possa presentare i connotati delle norme fondamentali di riforma economico-sociale. D'altronde, codesta ecc.ma Corte ha avuto modo di evidenziare come perche' una norma statale possa legittimamente incidere sulle competenze normative delle regioni a statuto speciale, in quanto sia considerata "norma fondamentale di riforma economico sociale", e' necessario che essa resti norma di principio, cioe' norma che lasci alle regioni, nelle materie di loro competenza, uno spazio normativo sufficiente all'adattamento alla specifica realta' locale (Corte costituzionale, 15 novembre 1988, n. 1033, in Giur. cost., 1988, I, 5048): proprio per il denunziato carattere di dettaglio della disciplina recata dal decreto impugnato, nel caso di specie non resta affatto alla regione ricorrente un tale margine di autonomia normativa.