Ricorre  per  la  regione  autonoma  Valle  d'Aosta,   in   persona
 dell'on.le   presidente   della   giunta   regionale,   Dino  Vierin,
 debitamente autorizzato in forza di delibera della  giunta  regionale
 n.  10165 del 3 dicembre 1993, rappresentato e difeso dall'avv. prof.
 Gustavo Romanelli, e presso di lui elettivamente domiciliato in Roma,
 alla via Cosseria, n. 5, in forza di procura autenticata  dal  notaio
 Bastrenta  di  Aosta  in  data 9 dicembre 1993, rep. 15191, contro la
 presidenza  del  Consiglio  dei  Ministri,  in   persona   dell'on.le
 presidente  del  Consiglio  pro-tempore, domiciliato per la carica in
 Roma, palazzo Chigi, nonche' presso l'avvocatura dello Stato, via dei
 Portoghesi   n.   12,   per   la   declaratoria   di   illegittimita'
 costituzionale   del   decreto-legge   15   novembre   1993,  n.  453
 (Disposizioni in materia di giurisdizione e di controllo della  Corte
 dei  conti),  pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale, serie generale,
 parte I, n. 268, del 15 novembre 1993.
    La regione autonoma Valle d'Aosta, come in epigrafe  rappresentata
 e difesa, espone quanto segue.
                               F A T T O
    Il  decreto-legge  15 novembre 1993, n. 453, meglio specificato in
 epigrafe, costituisce il quinto tentativo  del  Governo  centrale  di
 intervenire  radicalmente in una materia tanto delicata quanto quella
 degli stumenti di garanzia  della  legittimita'  amministrativa,  che
 segue  ai  precedenti  decreti-legge nn. 54, 143, 232 e 359 del 1993,
 tutti oggetto di giudizi di legittimita' proposti in  via  principale
 dalla  ricorrente  e  da  altre  regioni, attualmente pendenti avanti
 codesta ecc.ma Corte.
    Rispetto in particolare ai decreti  nn.  359  e  232  che  l'hanno
 preceduto,  quello  oggi  impugnato  si  caratterizza  per una minima
 compressione della latitudine di  contenuti,  e  per  il  cambiamento
 dell'intestazione (che nella precedenti versioni recava "Disposizioni
 in   materia   di   legittimita'  dell'azione  amministrativa":  tali
 accorgimenti non possono tuttavia far venire meno  la  massima  parte
 dei   profili  di  illegittimita'  che  erano  stati  denunziati  nei
 precedenti decreti.
    Con  il  decreto  in  questione  viene  infatti ancora tentata una
 riforma  radicale  di  una  fondamentale  giurisdizione  del   nostro
 ordinamento,  quale  e'  quella della Corte dei conti, prevedendo fra
 l'altro  che  in  tutte  le   regioni   vengano   istituite   sezioni
 giurisdizionali  della  Corte dei conti (art. 1), presso le quali, ai
 sensi del successivo art. 2, secondo comma, e' chiamato a svolgere le
 fuzioni di pubblico ministero  un  vice  procuratore  generale  della
 Corte  dei  conti  (procuratore  regionale),  od  un altro magistrato
 assegnato all'ufficio. I giudizi  relativi  ai  residenti  all'estero
 sono  devolti,  ai  sensi  dell'art.  1, sesto comma, alla competenza
 della sezione regionale per il Lazio.
    L'attivita' dei procuratori regionali e' coordinata,  in  base  al
 terzo comma dello stesso art. 2, dal procuratore generale della Corte
 dei conti.
    L'ultimo  comma  dell'art.  2 prevede che la Corte dei conti possa
 delegare, per l'esercizio della sue funzioni, adempimenti  istruttori
 a  funzionari di pubbliche amministrazioni ed avvalersi di consulenti
 tecnici.
    L'art.  7,  al  primo  comma,  delimita  il  campo  del  controllo
 preventivo  di  legittimita'  della  Corte dei conti, estendendolo in
 particolare a:
       c) "atti  normativi  a  rilevanza  esterna,  atti  generali  di
 indirizzo, atti di programmazione comportanti spese";
       d)  "provvedimenti  di  disposizione  del  demanio e patrimonio
 immobiliare eccedenti l'ordinaria amministrazione";
       f) "autorizzazioni alla sottoscrizione di contratti collettivi,
 secondo quanto  previsto  dall'art.  51  del  decreto  legislativo  3
 febbraio 1993, n. 29";
       g)  "provvedimenti  che  disciplinano  l'esercizio  di funzioni
 pubbliche  autoritative  relative  ai  dipendenti   delle   pubbliche
 amministrazioni".
    A  tali previsioni espresse, se ne aggiunge un'altra, di chiusura,
 che prevede analogo controllo per le materie per le  quali  esso  sia
 ritenuto  opportuno  dal presidente del consiglio dei Ministri (lett.
 1). D'altronde, con singolare commistione di potere di controllo e di
 potere normativo, un analogo potere estensivo dell'ambito degli  atti
 soggetti  a  controllo e' attribuito (sia pure, sembrerebbe, soltanto
 rispetto alle amministrazioni statali)  anche  alle  sezioni  riunite
 della Corte dei conti (art. 7, quarto comma).
    Gli  atti  sottoposti  al  controllo vanno peraltro pubblicati per
 estratto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica  italiana,  stante
 la previsione di cui all'art. 7, terzo comma.
    Ancora  l'art.  7,  al  secondo  comma, disciplina gli effetti del
 controllo  preventivo  della  Corte  dei  conti.  In  base   a   tale
 disposizioni,  i  provvedimenti  sottoposti  al  controllo preventivo
 divengono esecutivi ove la Corte non ne dichiari la non conformita' a
 legge nel termine di trenta giorni dal ricevimento. Peraltro, in base
 all'ultima parte del secondo comma, dell'art.  7,  l'esecutivita'  e'
 sospesa   se   nel  termine  dei  trenta  giorni  la  Corte  richieda
 chiarimenti od elementi integrativi del giudizio.
    Il sesto comma dell'art.  7  estende  espressamente  il  controllo
 successivo  della  Corte dei conti sulla gestione nei confronti delle
 regioni (ivi  comprese,  sembrerebbe,  anche  le  regioni  a  statuto
 speciale)  e degli enti locali, anche se lo vincola al "perseguimento
 degli obiettivi stabiliti dalle leggi statali e di programma".
    L'ultima  parte  del  settimo  comma  dell'art.  7  fa carico alle
 amministrazioni per le quali  la  Corte  dei  conti  abbia  formulato
 osservazioni, di comunicare alla Corte medesima le misure adottate.
    Peraltro,  il  comma  8  dell'art.  7 demanda alle relazioni della
 Corte dei conti anche la valutazione sul funzionamento  degli  organi
 interni.
    Infine,  il  nono  comma  attribuisce  alla  Corte  il  potere  di
 richiedere   il   riesame   dei    provvedimenti    adottati    dalle
 amministrazioni pubbliche non territoriali.
    Deve   peraltro   evidenziarsi  come  il  decreto-legge  impugnato
 contenga norme di tutela  delle  minoranze  linguistiche  limitamente
 alle  sole sezioni giurisdizionali della Corte dei conti con sede nel
 territorio della regione Trentino-Alto Adige (art. 1, secondo comma).
    L'art. 9 autoqualifica le norme desumibili dal decreto come "norme
 fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica".
    La  disciplina  teste'  richiamata  e'  gravemente  lesiva   delle
 attribuzioni  della  regione autonoma Valle d'Aosta ed e' illegittima
 per violazione degli artt.  77,  100,  103,  108,  116  e  125  della
 Costituzione, nonche' per violazione dei principi dello statuto della
 regione   autonoma  della  Valle  d'Aosta  (legge  costituzionale  26
 febbraio 1948, n. 4), ed in particolare dei suoi art. 2,  3,  4,  29,
 38, 43 e 46, primo comma.
                              IN DIRITTO
    1.  -  Occorre  preliminarmente  contestare  come il Governo abbia
 inteso adottare con le  forme  del  decreto-legge  delle  misure  che
 vengono  a fortemente incidere sugli assetti istituzionali, e che per
 di piu' violano illegittimamente la sfera di autonomia speciale della
 ricorrente regione, con disposizione in larga parte  (in  particolare
 per quanto si riflette sull'organizzazione e la struttura della Corte
 dei  conti),  di  palese  non immediata applicabilita': appare quindi
 evidente come siano stati travalicati  i  confini  alla  decretazione
 d'urgenza richiamati dall'art. 15, terzo comma, della legge 23 agosto
 1988,  400,  che  reca  la  disciplina  dell'attivita'  di  Governo e
 l'ordinamento della presidenza del Consiglio dei Ministri.
    Il decreto in questione, assumendo, ma non dimostrando affatto, la
 ricorrenza  dei  presupposti  della  "necessita'"  e  dell'"urgenza";
 introduce  misure  che,  per  di  piu' sono di assai dubbia idoneita'
 rispetto al perseguimento dello scopo dichiarato ("di rafforzare  gli
 strumenti di garanzia della legittimita' dell'azione amministrativa",
 secondo  una formula che gia' compariva nelle premesse dei precedenti
 decreti), e lasciano anzi il dubbio di essere finalizzate  a  reagire
 ai noti e gravi episodi di malgoverno con un ulteriore appesantimento
 dei controlli gravanti sull'azione amministrativa.
    Puo'  incidentalmente  aggiungersi  che  la reiterazione, come nel
 caso di specie, di decreti-legge di  contenuto  normativo  pressoche'
 coincidente  l'uno  con  l'altro,  senza  che  sia mai intervenuta la
 necessaria conversione in legge,  appare  di  per  se'  eversiva  del
 sistema  costituzionale:  in  effetti  sembra trattarsi di prassi non
 dissimile quanto  a  ragioni  ispiratrici  e  ad  effetti  da  quella
 espressamente  vietata  dall'art. 15, secondo comma, lettera c) della
 legge 23 agosto 1988, 400 (quest'ultima disposizione, come  e'  noto,
 interdice  al  Governo di rinnovare decreti-legge dei quali sia stata
 negata la conversione da una delle due Camere).
    La  ricorrenza  degli  estremi  della necessita' e dell'urgenza e'
 anche piu' dubbia, se si considera che il decreto oggi  impugnato  fa
 parte  di quella stessa serie di decreti-legge, di contenuto analogo,
 che ormai da diversi mesi  si  stanno  susseguendo  l'uno  all'altro,
 tutti  sull'onda  di una dichiarata, ma indimostrata, urgenza. A tale
 serie appartengono infatti, come  si  e'  ricordato  in  premessa,  i
 decreti-legge,  non  convertiti,  dell'8  marzo  1993,  n. 54, del 15
 maggio 1993, n. 143, del 17 luglio 1983, n. 232  e,  infine,  del  14
 settembre  1993,  n.  359.  Sia pure con sfumature in parte diverse i
 primi due,  evocando  anch'essi  la  stessa  supposta  "straordinaria
 necessita'  ed  urgenza",  esprimevano  in  buona  parte  la medesima
 accentuata,  ed  illegittima,  tendenza  a  comprimere  le  autonomie
 regionali.
    D'altronde,  che  il  complesso  delle norme recate dall'impugnato
 decreto possa  in  tutto  o  in  parte  rispondere  ai  requisiti  di
 necessita'  e  di  urgenza  da esso evocati sembra anche contraddetto
 dalla   autoqualificazione   (peraltro   irrilevante)   come   "norme
 fondamentali di riforma economico-sociale".
    Va  incidentalmente  aggiunto  che  certamente  non  rientra nella
 nozione  di  "urgenza"  idonea  a  giustificare  l'adozione   di   un
 decreto-legge l'esigenza di dare copertura alle situazioni create per
 l'improvvisa   immediata   attuazione   dei  precedenti  decreti  non
 convertiti, che ha portato fra l'altro all'inizio  dell'attivita'  in
 alcune sezioni regionali della Corte dei conti.
    Essendo  appunto  indimostrata  la ricorrenza di una situazione di
 necessita' ed urgenza, a torto evocata  nella  premessa,  il  decreto
 impugnato  viola  il precetto dell'art. 77 della Costituzione, che fa
 divieto al Governo di emanare decreti che abbiano valore di legge.
    D'altronde,  il  medesimo  ordine  di   censure   sull'inesistenza
 rispetto  all'intero  provvedimento,  o  quanto  meno  rispetto a sue
 specifiche  previsioni,  dei  suddetti  requisiti  di  necessita'  ed
 urgenza  e'  gia'  stato  ampiamente sollevato in sede di discussione
 presso  la  commissione  affari  costituzionali  del   Senato   della
 conversione  in  legge del decreto n. 232/1993: in particolare, si e'
 rilevato che le norme recate dal decreto, in quanto  "intrinsecamente
 non urgenti", non presentano i requisiti previsti dall'art. 78, terzo
 comma,  del  regolamento del senato, conseguentemente, a maggioranza,
 la  commissione  ha  deciso  di  non  accogliere  la   proprosta   di
 riconoscere  i  presupposti  di  cui  all'art.  78,  terzo comma, del
 regolamento in ordine alle previsioni da 7 a 10 del decreto impugnato
 (v. Seduta della I commissione del Senato del 22 luglio 1993).
    Puo' ancora aggiungersi che ben difficilmente sarebbe dimostrabile
 il presupposto dell'urgenza rispetto ad un intervento che ha  assunto
 il  carattere  di  profonda  riforma  giurisdizionale della Corte dei
 conti, che peraltro trascende i limiti delle  attribuzioni  riservate
 alla  stessa  Corte  dei  conti  dall'art. 100 della Costituzione, al
 secondo comma. Infatti,  quest'ultima  norma  della  Costituzione  si
 limita  a  prevedere la possibilita' che, con legge, si introduca una
 partecipazione della Corte dei  conti  al  controllo  sulla  gestione
 finanziaria  (e  non,  come  nel  decreto impugnato, su singoli atti)
 degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria,  mentre  non
 e'  affatto  previsto  un controllo su enti diversi e in specie sulle
 regioni e sugli enti locali.
    Peraltro,  per  quanto  concerne le regioni, la Corte non potrebbe
 essere investita neanche della semplice partecipazione  al  controllo
 preventivo:  per  le  Regioni  a  statuto  ordinario vale comunque la
 tassativita' dei controlli previsti dall'art. 125 della  Costituzione
 (in  base  a  tale principio venne da codesta ecc.ma Corte dichiarato
 illegittimo l'art. 2, terzo comma, lett. p) della legge n.  400/1988:
 cfr  Corte costituzionale, 21 aprile 1989, n. 229); a maggior ragione
 un tale vaglio della Corte  dei  conti  non  e'  ammissibile  per  la
 regione ricorrente, per la quale, come si rilevera' nel prosieguo del
 ricorso,  esiste  un  sistema  tassativo  di controlli previsto dallo
 statuto di autonomia speciale.
    Puo'  aggiungersi  che  il  decreto-legge  impugnato  si  pone  in
 contrasto   anche   con   il   secondo   comma  dell'art.  125  della
 Costituzione,  che   (come   e'   evincibile   tenuto   conto   della
 classificazione  degli  organi  giurisdizionali  di  cui all'art. 103
 della Costituzione) prevede su base regionale soltanto  l'istituzione
 di  organi  di  giustizia  amministrativa  che  si  inseriscono nella
 giurisdizione del Consiglio di Stato, quali sono gli odierni  T.A.R.,
 e  non  anche  per  quanto  concerne la giurisdizione della Corte dei
 conti. Del resto, sia pure rispetto ad altra questione, si  era  gia'
 correttamente  eslcuso  che  la  struttura  su  base  regionale della
 giustizia amministrativa di cui all'art. 125 fosse applicabile  anche
 alla  Corte  dei conti: v. Corte costituzionale, 7 marzo 1984, n. 52;
 Corte dei conti, sez. riun., 19 aprile 1988, n. 576/A.
    2. - Deve comunque rilevarsi che il decreto-legge impugnato ha  un
 ambito di applicazione che coincide largamente con quelle materia per
 cui  operano  le  riserve  di  legge di cui agli artt. 100, secondo e
 terzo comma, nonche' 103, secondo comma, e 108 della Costituzione: in
 base a tali norme costituzionali, sono riservate alla legge (in senso
 formale), rispettivamente, la determinazione dei casi e  delle  forme
 in  cui  la  Corte  dei  conti  puo'  partecipare  al controllo sulla
 gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato  contribuisce  in  via
 ordinaria e l'indipendenza della Corte medesima di fronte al Governo,
 l'ambito  della giurisdizione della Corte dei conti al di fuori della
 contabilita' pubblica e, infine, l'ordinamento giudiziario e di  ogni
 magistratura in genere.
    Ebbene,  a  prescindere dalla considerazione che, come si tentera'
 di dimostrare nel prosieguo del presente  ricorso,  il  decreto-legge
 impugnato  si  e'  posto  comunque per il proprio contenuto normativo
 intrinseco   in   contrasto   con   una   pluralita'   di    precetti
 costituzionali,  e'  comunque  da  contestare  che  lo  strumento del
 decreto-legge possa tener luogo ad una legge  formale,  dato  che  le
 riserve di legge in questione non possono che essere assolute, tenuto
 conto,   fra   l'altro,   che  sono  finalizzate  anche  a  garantire
 l'indipendenza della Corte dei conti rispetto al Governo  (nel  senso
 dell'insufficienza, rispetto ad analoghi contenuti, del decreto-legge
 n.  54/1993,  con  riferimento  specifico alla medesima questione, v.
 Correale  "Trasparenza  e  buon  andamento:  sezioni  unite  e  nuove
 competenze  della Corte dei conti" relazione al convegno di studio di
 Roma, 10 giugno 1993, su "Trasparenza, legalita' e buon andamento: il
 ruolo della Corte dei conti e delle  altre  magistrature").  Come  e'
 stato  ricordato  in  un  recente  convegno  giuridico, l'impegno del
 decreto-legge per modificare i contenuti di una  giurisidizione  come
 quella  della  Corte  dei conti appare criticabile anche perche' tale
 procedura  ha  comportato  che  nemmeno  e' stato acquisito il parere
 dell'organo giurisdizionale interessato, quando persino in  una  fase
 della   nostra  storia  politica  caratterizzata  da  un  regime  non
 democratico, con il r.d. 9  febbraio  1939,  n.  273  si  previde  la
 necessita'  di  acquisire il parere di Consiglio di Stato e Corte dei
 conti relativamente a tutti i provvedimenti legislativi destinati  ad
 incidere  sulle  loro  attribuzioni  (Correale,  "Prospettive per una
 organica  gestione  e  conseguente  tutela  dei  patrimoni   pubblici
 nell'interesse  oggettivo della collettivita'", relazione al convegno
 di Perugia del settembre 1993, p. 16).
    D'altro canto, nel medesimo decreto-legge impugnato si hanno anche
 disposizioni che incidono su alcune delle materie oggetto di  riserva
 di  legge, cosi' generiche da rimettere di fatto al puro arbitrio del
 Governo la definizione del loro effettivo ambito di efficacia: cosi',
 l'ambito di esplicazione del potere  di  controllo  preventivo  della
 Corte dei conti, di cui all'art. 7, e' completato con una formula che
 consente  la  sottoposizione ai controlli in questione degli atti che
 il presidente  del  Consiglio  dei  Ministri  ritenga  opportuno;  il
 medesimo  rilievo  (cui  si aggiunge la denunzia della commistione di
 potere di controllo e di  potere  normativo  insita  nella  ricordata
 previsione  di  cui all'art. 7, quarto comma, del decreto impugnato):
 e' qui anche piu' palese la denunziata violazione  della  riserva  di
 legge  in materia di controllo della Corte dei conti, di cui all'art.
 100 della costituzione, violazione che comunque  sussiste  anche  se,
 per  interventi che incidano nell'ambito in esame, dovesse in ipotesi
 ritenersi sufficiente il ricorso allo strumento del decreto-legge.
    Inoltre, anche a voler prescindere dai  nuovi  contenuti  previsti
 dell'azione  della  Corte,  e'  lo  stesso disegno delle modalita' di
 esercizio che mette fortemente in  pericolo  la  sfera  di  autonomia
 regionale.  Infatti,  mancano  persino sufficienti garanzie in ordine
 all'indipendenza dell'Esecutivo  nazionale  di  chi  in  concreto  e'
 chiamato  ad  operare  funzioni  essenziali  anche  nell'ambito delle
 competenze giurisdizionali della  Corte  dei  conti.  Si  e'  infatti
 inopinatamente disposto, con l'art. 2, quarto comma, che la Corte dei
 conti possa avvalersi, per adempimenti istruttori, di personale delle
 pubbliche  amministrazioni:  tale  previsione,  in quanto applicabile
 all'attivita' che la Corte dei  conti  sarebbe  chiamata  a  svolgere
 rispetto alle regioni ed agli enti locali, appare in contrasto con la
 garanzia  di  indipendenza anche delle giurisdizioni speciali, di cui
 all'art. 108, secondo comma, della Costituzione, espressamente estesa
 tanto ai  pubblici  ministeri  che  "agli  estranei  che  partecipano
 all'amministrazione della giustizia".
    3.   -   Invero,   la   disciplina  in  esame  viene  ad  incidere
 illegittimamente sulla stessa sfera di autonomia regionale.
    Essa  infatti  comporta   l'assoggettamento   dell'amministrazione
 regionale  e degli enti locali ad un controllo preventivo della Corte
 dei conti, diverso ed ulteriore rispetto ai controlli previsti  dallo
 statuto   di   autonomia   speciale   della   Valle   d'Aosta  (legge
 costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4), nel  titolo  IX  (art.  44  e
 segg.),   che   costituiscono   un   ambito   chiuso,  tassativamente
 determinato, attribuito ad organi specificamente individuati.
    Per di piu', tali controlli vengono ad essere predisposti per atti
 che sono l'espressione stessa dell'autonomia  regionale,  come  nelle
 ipotesi  previste  dalla  lett.  c), dell'art. 7 (che, lo ricordiamo,
 contempla tutti gli atti normativi a rilevanza esterna, gli  atti  di
 indirizzo  e  gli atti di programmazione comportanti spese) ovvero su
 materie che appartengono  alla  competenza  esclusiva  della  regione
 autonoma  Valle d'Aosta. Infatti, come si e' visto, le lettere d), f)
 e g) dell'art. 7  prevedono  l'estensione  del  controllo  preventivo
 rispettivamente  ai  provvedimenti  di  disposizione  del  demanio  e
 patrimonio  immobiliare   eccedenti   la   normale   amministrazione,
 all'autorizzazione alla sottoscrizione dei contratti collettivi ed ai
 provvedimenti  che  disciplinano  l'esercizio  di  funzioni pubbliche
 autoritative relative ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni.
    E'  evidente  il  contrasto  con  le  norme  dello   statuto   che
 attribuiscono  le  materie oggetto di tali previsioni alla competenza
 normativa ed amministrativa regionale.
    Infatti, l'art. 2,  dello  statuto  di  autonomia  speciale  della
 regione  ricorrente  attribuisce  alla  competenza primaria normativa
 regionale, fra l'altro, alla lett. a) l'ordinamento  degli  uffici  e
 degli enti dipendenti dalla regione e lo stato giuridico ed economico
 del  personale,  ed  alla  lett.  f)  le  strade e lavori pubblici di
 interesse regionale. L'art. 3, lett. f) attribuisce  alla  competenza
 normativa  concorrente della regione le finanze regionali e comunali;
 in base all'art. 4 del medesimo statuto,  alla  competenza  normativa
 regionale  sia  primaria  che  concorrente,  di cui agli artt. 2 e 3,
 corrisponde la potesta' amministrativa della regione.
    Inoltre, come gia' esposto, e' prevista  la  possibilita'  che  il
 Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri estenda discrezionalmente e
 senza limiti l'ambito dei controlli in questione.
    4. - In ogni caso, il decreto-legge impugnato chiama ad esercitare
 il controllo preventivo in questione un organo non contemplato  dallo
 statuto  di  autonomia  speciale.  Lo  statuto, infatti, all'art. 46,
 rimette tale ordine di attivita' in via esclusiva alla commissione di
 coordinamento, di cui al precedente art. 45. Puo' ricordarsi che  con
 gli  artt.  60  e  segg.  della  legge  16 maggio 1978, n. 196, si e'
 provveduto  a  dettare  la  disciplina  di  attuazione  in  tema   di
 controlli.  Ne  consegue,  fra  l'altro,  che il decreto-legge de quo
 comporta un'illegittima duplicazione  del  controllo  preventivo  che
 certamente  non  giova  al  fine  di  meglio  garantire la necessaria
 celerita' dell'azione amministrativa. Ne' e' stabilito e regolato  il
 rapporto  fra  i  due  ordini  di controllo cui l'attivita' regionale
 resterebbe soggetta.
    Si osserva che  non  ha  neppure  rilevanza  che  le  norme  siano
 dichiarate  (e  possano,  in ipotesi, essere considerate) come "norme
 fondamentali  di  riforma  economico-sociale).  Soltanto  infatti  la
 competenza   normativa   della   regione   ricorrente   puo'   essere
 eventualmente compressa,  ai  sensi  dell'art.  2  dello  statuto  di
 autonomia  della  regione  ricorrente, dalle norme fondamentali delle
 riforme economico-sociali. Nel caso di specie, ci troviamo invece nel
 campo dei controlli previsto dall'art.  46  dello  statuto,  che  non
 conosce alcuna eccezione.
    E' da notare in particolare che la maggior parte dei provvedimenti
 per  i  quali  dovrebbero  operare le forme di controllo anzidette e'
 gia' sottoposta alla particolare  procedura  di  controllo  anche  di
 merito,  comprensivo del potere di richiesta di riesame, dell'art. 61
 della legge n. 196/1978.
    Dunque,  con  una  legge  ordinaria,  si  e'  creato  un  nuovo ed
 ulteriore  ordine  di  controlli  che  lo  statuto  non  contemplava,
 determinando  cosi' un'interferenza nell'autonomia regionale; d'altro
 canto, tale potere di controllo e' stato devolto ad un organo diverso
 da quello a cui comunque lo statuto riserva tale ordine di attivita',
 senza neppure stabilire i rapporti fra i due controlli.
    5. - Il decreto-legge oggi impugnato  ha  mantenuto,  all'art.  7,
 secondo  comma,  il  profilo di illegittimita' gia' denunziato per il
 d.l. n. 359/1993, che, in piu' rispetto ai primi due  decreti  della
 serie  ricordata, aveva condizionato l'esecutivita' dei provvedimenti
 sottoposti al controllo preventivo alla mancata declaratoria  di  non
 conformita'  da  parte  della  Corte  dei conti nel termine di trenta
 giorni dal ricevimento e comunque  aveva  conferito  alla  Corte  dei
 conti  il  potere  di  sospendere  l'esecutivita'  dei  provvedimenti
 collegata alla  potesta'  di  chiedere  all'ente  che  ha  emesso  il
 provvedimento ulteriori adempimenti.
    Applicandosi tale previsione anche ai provvedimenti delle regioni,
 ed in particolare anche a quelli della regione autonoma ricorrente in
 materie di sua competenza, viene ad essere ulteriormente compressa la
 sfera di autonomia regionale, attraverso un rilevante condizionamento
 dell'esecutivita'  dei  provvedimenti  regionali, per di piu' operato
 mediante controlli non previsti dallo statuto, da organi comunque non
 investiti  di  una  tale  potesta'  da  alcuna   norma   di   livello
 costituzionale  (e  a  fronte  di  un  principio  di tassativita' dei
 controlli evincibile dallo statuto regionale).
    Un'ulteriore compressione qualitativa delle  competenze  regionali
 e'  altresi'  riscontrabile  nella  previsione di pubblicazione nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  degli   atti   sottoposti   a
 controllo,  nei  termini  di cui all'art. 7, terzo comma, del decreto
 impugnato.
    6. - Il medesimo  ordine  di  considerazioni  puo'  essere  svolto
 mutatis  mutandis  anche  (nei  limiti  in cui la relativa disciplina
 possa essere ritenuta applicabile alla regione ricorrente) per quanto
 concerne il controllo successivo, di cui all'art.  7,  quinto  comma,
 tale   controllo  successivo,  oltre  a  palesarsi  come  un'evidente
 ingerenza  nell'autonomia  regionale,  in   quanto   attinente   alla
 valutazione  dell'efficacia  dell'azione amministrativa, si trasforma
 in una duplicazione del  controllo  che  il  consiglio  regionale  e'
 chiamato  ad  effettuare  sull'attivita'  della  giunta regionale, in
 particolare per quanto concerne bilancio e rendiconto consuntivo,  ai
 sensi dell'art. 29 dello statuto (ne' l'illegittimita' viene meno per
 essere  la  Corte  tenuta  a  riferire  su  tale suo operato anche ai
 consigli regionali).
    Peraltro esso e' caratterizzato da un'altra  grave  anomalia,  che
 contribuisce ad incidere in maniera negativa sulla sfera di autonomia
 regionale,  dato  che  la  determinazione dei criteri di controllo e'
 riservata, dal quinto comma dello stesso art. 7, allo  stesso  organo
 del  che  controllo  e'  investito,  il quale e' chiamato a definirli
 annualmente.
    7. - Per quanto concerne poi il controllo sugli  atti  degli  enti
 locali,  ove  la disciplina impugnata sia applicabile anche agli enti
 locali della Valle, occorre ricordare che lo statuto valdostano,  con
 l'art.  43,  attribuisce la materia alla competenza legislativa della
 regione, salvo il rispetto dell'armonia con i  principi  delle  leggi
 dello Stato, e che la regione ha esercitato le proprie competenze con
 la  legge  regionale  15  maggio  1978, n. 11, e poi da ultimo con la
 legge regionale del 30 giugno 1992, riapprovata il 16 febbraio  1993,
 volta a sostituire la citata legge regionale n. 11 del 1978).
    Inoltre,  lo  stesso  art.  43 dello statuto di autonomia speciale
 attribuisce anche l'attivita' di controllo in quanto tale sugli  enti
 locali   alla  regione.  E'  appena  il  caso  di  osservare  che  il
 procuratore regionale della Corte dei conti e' un organo dello Stato,
 e non certamente della regione.
    Dunque, il decreto-legge impugnato e' illegittimo, in quanto va  a
 comprimere  una  competenza  normativa  della regione, che la regione
 medesima ha peraltro provveduto ad esercitare,  in  una  materia  che
 appartiene  alla  competenza  normativa  esclusiva  della regione, ed
 attribuisce ad un organo dello Stato un'attivita' di  controllo,  che
 spetta invece alla regione, ai sensi del citato art. 43 dello statuto
 regionale.
    La  medesima  censura  e' peraltro riferibile anche, in parte qua,
 alla previsione di un potere di richiesta di riesame da  parte  della
 Corte   dei   conti   sugli   atti   ritenuti   non   conformi  delle
 amministrazioni pubbliche  non  territoriali  (art.  7,  nono  comma,
 secondo   periodo),  in  quanto  fra  esse  siano  ricomprese  quelle
 assoggettate, anch'esse ai sensi dell'art.  43,  primo  comma,  dello
 statuto  di  autonomia  speciale  al  (solo)  controllo della regione
 ricorrente.
    8. - L'art. 38 dello statuto di  autonomia  speciale  della  Valle
 d'Aosta  (legge  costituzionale  26  febbraio  1948,  n. 4), al primo
 comma, espressamente sancisce, in  armonia  del  resto  con  il  piu'
 generale  principio della tutela delle minoranze linguistiche, di cui
 all'art. 6 della Costituzione della Repubblica, l'equiparazione nella
 Valle d'Aosta  della  lingua  francese  a  quella  italiana:  il  che
 significa  che,  nel  territorio  della  Valle, non e' attribuita una
 posizione di preminenza ne' alla lingua  italiana,  ne'  alla  lingua
 francese  (v. in tali termini Corte costituzionale, 22 dicembre 1969,
 n. 156, in Cons. Stato,  1969,  II,  109),  essendo  entrambe  lingue
 ufficiali  (cosi':  Barbagallo,  La  regione  Valle  d'Aosta, Milano,
 Giuffre',  1991,   119).   Come   ha   ben   evidenziato   la   Corte
 costituzionale,  in  Valle d'Aosta, contrariamente a quanto accade in
 altre  regioni  o  provincie   autonome   (ed   in   particolare   in
 Friuli-Venezia  Giulia  e  nella  provincia  di  Bolzano),  si  ha un
 bilinguismo perfetto (cfr. Corte costituzionale, 22 dicembre 1969, n.
 156, cit.).
    Il principio costituzionale in questione e' stato tuttavia violato
 dal decreto impugnato, che si e' limitato a  prevedere  (all'art.  1,
 secondo comma) il rispetto della normativa in materia di tutela delle
 minoranze   linguistiche,   esclusivamente   per  quanto  concerne  i
 procedimenti avanti le sezioni giurisdizionali (e  non  anche  per  i
 procedimenti  di  controllo),  e  comunque  soltanto limitatamente al
 territorio della regione Trentino-Alto Adige, non prevedendo  per  la
 regione Valle d'Aosta nemmeno norme di tutela di segno analogo.
    9.  -  Infine,  occorre  puntualizzare  che  non  ha  alcun valore
 l'autoqualificazione (di cui all'art. 9) del provvedimento  impugnato
 come portatore di norme fondamentali di riforme economico-sociali. E'
 infatti  dato  del tutto pacifico che una tale autoqualificazione sia
 di per se' priva di rilevanza, dovendosi invece attribuire  una  tale
 natura  soltanto  in  base  alla  natura  obiettiva del provvedimento
 normativo, natura che va determinata in base al suo oggetto, alla sua
 motivazione  politico-sociale,  al  suo scopo, alla modificazione che
 possa indurre nei rapporti sociali (conf.: Corte  costituzionale,  25
 luglio 1984, n. 219, in Giur. cost., 1984, I, 1490).
    In concreto, non sembra che una normativa, tanto di dettaglio come
 quella  oggi  impugnata,  possa  presentare  i  connotati delle norme
 fondamentali di riforma economico-sociale. D'altronde, codesta ecc.ma
 Corte ha avuto modo di evidenziare come  perche'  una  norma  statale
 possa   legittimamente  incidere  sulle  competenze  normative  delle
 regioni  a  statuto  speciale,  in  quanto  sia  considerata   "norma
 fondamentale  di  riforma  economico sociale", e' necessario che essa
 resti norma di principio, cioe' norma che lasci alle  regioni,  nelle
 materie   di   loro  competenza,  uno  spazio  normativo  sufficiente
 all'adattamento alla specifica realta' locale (Corte  costituzionale,
 15  novembre  1988,  n. 1033, in Giur. cost., 1988, I, 5048): proprio
 per il denunziato carattere di dettaglio della disciplina recata  dal
 decreto  impugnato, nel caso di specie non resta affatto alla regione
 ricorrente un tale margine di autonomia normativa.