ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 554, secondo
 comma, del codice di procedura penale, promossi con  n.  4  ordinanze
 emesse  il  15  aprile  1991  dal Giudice per le indagini preliminari
 presso la Pretura di Parma  nei  procedimenti  penali  relativi  alle
 lesioni  personali subite da Calzetti Nicola, Barbieri Bruno, Miodini
 Simonetta e Fassa Doriano, rispettivamente iscritte ai nn. 545,  546,
 547  e  548  del  registro ordinanze 1992 e pubblicate nella Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 41,  prima  serie  speciale,  dell'anno
 1992;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del 3  novembre  1993  il  Giudice
 relatore Giuliano Vassalli;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con quattro ordinanze di identico contenuto, il Giudice per
 le indagini preliminari presso la Pretura circondariale di  Parma  ha
 sollevato,  in riferimento all'art. 112 della Costituzione, questione
 di legittimita' costituzionale  dell'art.  554,  secondo  comma,  del
 codice  di procedura penale, nella parte in cui tale norma, ad avviso
 del rimettente, non consente al giudice al quale sia stato  richiesto
 di  pronunciare  decreto di archiviazione per mancanza di querela, di
 indicare  al  pubblico  ministero  le  ulteriori  indagini   ritenute
 necessarie  in  ordine  a ipotesi di reato perseguibili d'ufficio che
 possano desumersi dagli atti e che concorrano con l'altra fattispecie
 presa in considerazione dal pubblico  ministero  nella  richiesta  di
 archiviazione,  ove  gli  stessi  risultino  "rilevanti ai fini della
 corretta definizione del procedimento".
    Osserva in proposito il giudice rimettente che l'art. 554, secondo
 comma,  del  codice  di  rito,  quale   risultante   dalla   sentenza
 costituzionale  n.  445  del  1990,  parrebbe  dar  credito alla tesi
 sostenuta dal pubblico ministero nei procedimenti a  quibus,  secondo
 la  quale  al giudice investito da una richiesta di archiviazione per
 una determinata ipotesi di reato sarebbe precluso qualsiasi potere di
 dare impulso alla iniziativa per l'esercizio  dell'azione  penale  in
 ordine  a  reati  diversi, ancorche' perseguibili d'ufficio. Cio', si
 afferma, perche', da un lato, l'intervento della Corte si e' esaurito
 nel consentire il controllo, con le modalita' indicate nella sentenza
 stessa, esclusivamente sull'archiviazione richiesta per  infondatezza
 della    notizia    di    reato,    mentre,   dall'altro,   il   caso
 dell'archiviazione per difetto di una condizione di procedibilita' si
 riferisce  evidentemente  "solo  al  reato  ipotizzato  dal  pubblico
 ministero  e non ad altri ipotizzabili e concorrenti dei quali non si
 sia tenuto conto e rispetto ai quali nessuna indagine preliminare sia
 stata svolta".
    Di conseguenza, se la sentenza n. 445 del  1990  non  puo'  essere
 estesa  a ricomprendere anche l'ipotesi di richiesta di archiviazione
 per difetto di querela, risulterebbe eluso il controllo da parte  del
 giudice  sull'esercizio  dell'azione  penale  e vulnerato, dunque, il
 principio sancito dall'art. 112 della Costituzione.
    2. - Nel primo dei quattro giudizi e'  intervenuto  il  Presidente
 del  Consiglio  dei  ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
 Generale dello Stato, concludendo "per l'inammissibilita' o  comunque
 per  l'infondatezza  della  questione",  con  riserva  di  specifiche
 deduzioni peraltro non formulate.
                        Considerato in diritto
    1. - Le ordinanze di rimessione sottopongono all'esame della Corte
 la  medesima  questione;  i relativi giudizi, pertanto, vanno riuniti
 per essere decisi con unica sentenza.
    2. - Il giudice a quo solleva, in riferimento all'art.  112  della
 Costituzione, questione di legittimita' dell'art. 554, secondo comma,
 del  codice  di  procedura  penale, nella parte in cui tale norma non
 prevede che il giudice per le indagini preliminari presso la  pretura
 circondariale,  investito  da  una  richiesta  di  archiviazione  per
 mancanza  di  querela,  possa  indicare  al  pubblico  ministero   le
 ulteriori  indagini  che  ritenga  necessarie "rispetto a fatti reato
 perseguibili di  ufficio,  desumibili  dagli  atti,  concorrenti  con
 l'altro  preso in considerazione dalla pubblica accusa e rilevanti ai
 fini della corretta definizione del procedimento", fissando  all'uopo
 il  termine  indispensabile per il relativo espletamento. La premessa
 interpretativa  dalla  quale  muove  il  giudice  rimettente   riposa
 essenzialmente  sulla  ritenuta  fondatezza  della  tesi  esposta dal
 pubblico ministero nei procedimenti a quibus,  secondo  la  quale  al
 giudice   spetterebbe   esclusivamente,  in  sede  di  archiviazione,
 valutare la  sussistenza  o  meno  del  reato  ipotizzato  "con  mera
 possibilita'  di  cangiare  la  formula"  enunciata  nella richiesta,
 mentre  resterebbe  escluso  qualsiasi   potere   di   dare   impulso
 all'attivita'   di  indagine  finalizzata  all'esercizio  dell'azione
 penale rispetto a reati diversi, anche se questi  siano  perseguibili
 d'ufficio  e  risultino  dagli  atti,  giacche'  in tale evenienza al
 giudice sarebbe riservato  un  compito  di  "mera  segnalazione"  nel
 quadro  di  un  normale  rapporto collaborativo tra gli uffici. Tesi,
 quella esposta, che il giudice a quo fa propria in considerazione del
 fatto che, da un lato, risulterebbe impossibile "estendere"  al  caso
 in  esame  la  sentenza  di  questa  Corte  n.  445  del  1990 e che,
 dall'altro, ciascuna delle ipotesi  di  archiviazione  enunciate  dal
 codice  "fa  evidentemente  riferimento  solo al reato ipotizzato dal
 pubblico ministero" e non agli altri che eventualmente concorrano  ed
 in  ordine  ai  quali  lo  stesso  pubblico ministero abbia omesso di
 svolgere qualsiasi attivita' di indagine.
    3. - L'assunto del giudice a quo si fonda su di una  premessa  che
 non  puo'  condividersi:  quella  di  ritenere  che  la tipologia del
 "controllo" che il giudice e'  chiamato  ad  esercitare  in  sede  di
 archiviazione   e,   quindi,   la   qualita'  e  la  quantita'  delle
 attribuzioni che  l'ordinamento  riserva  al  suo  intervento,  siano
 modellati  in  stretta aderenza alla specificita' della richiesta che
 il pubblico ministero gli rivolge, quasi che la  stessa  integri  una
 domanda  a  devoluzione  rigorosamente  circoscritta,  che  impedisce
 qualsiasi sconfinamento da quel particolare "tema" sul quale l'organo
 della giurisdizione viene ad  essere  investito  e  che  il  pubblico
 ministero  sarebbe  dunque  libero di contrassegnare. Ma una corretta
 ricostruzione del sistema, quale si e' venuto gradualmente a plasmare
 nella giurisprudenza di questa Corte, svela, pero', l'infondatezza di
 un simile assunto. Al di la', infatti, di qualsiasi opzione dogmatica
 sulla natura del provvedimento  di  archiviazione  e  del  tentativo,
 tutto  teorico, che puo' essere compiuto per ricondurre ad uno schema
 unitario la varieta' dei rapporti tra pubblico ministero  e  giudice,
 resta  il  fatto  che,  in  tanto  puo'  correttamente analizzarsi la
 specificita'   dei   poteri   che   contraddistinguono   l'intervento
 dell'organo giurisdizionale, in quanto risulti chiara la funzione che
 quell'intervento  e'  chiamato  a  soddisfare  nell'ordinamento. Cio'
 posto, divengono allora  ineludibili  i  dicta  che  promanano  dalla
 giurisprudenza  di questa Corte in tema di archiviazione: si e' cosi'
 affermato che il principio  di  legalita',  "che  rende  doverosa  la
 repressione  delle condotte violatrici della legge penale, abbisogna,
 per la sua concretizzazione, della legalita' nel procedere; e questa,
 in un sistema come il nostro, fondato sul principio di eguaglianza di
 tutti i cittadini di fronte alla legge (in  particolare,  alla  legge
 penale),    non    puo'    essere    salvaguardata   che   attraverso
 l'obbligatorieta'    dell'azione    penale".    Il    principio    di
 obbligatorieta'  dell'azione  penale  esige, quindi, "che nulla venga
 sottratto al controllo di legalita' effettuato  dal  giudice:  ed  in
 esso  e' insito, percio', quello che in dottrina viene definito favor
 actionis.  Cio'  comporta  non  solo  il  rigetto  del   contrapposto
 principio  di opportunita' che opera, in varia misura, nei sistemi ad
 azione penale facoltativa, consentendo all'organo dell'accusa di  non
 agire anche in base a valutazioni estranee all'oggettiva infondatezza
 della  notitia  criminis,  ma  comporta,  altresi', che in casi dubbi
 l'azione   vada   esercitata   e    non    omessa".    Il    problema
 dell'archiviazione,  dunque,  "sta nell'evitare il processo superfluo
 senza eludere il principio di obbligatorieta'  ed  anzi  controllando
 caso  per  caso  la  legalita'  dell'inazione" (v. sentenza n. 88 del
 1991).
    Se tale e' l'ampiezza del controllo che il giudice e' chiamato  ad
 esercitare   in   sede   di   archiviazione,   cosi'   da  soddisfare
 integralmente la funzione di  legalita'  che  l'istituto  svolge  nel
 quadro dei richiamati principi di rango costituzionale, se ne possono
 allora  agevolmente  ricavare  due  corollari,  fra  loro intimamente
 connessi. Anzitutto, un siffatto  potere  di  controllo  non  ammette
 differenze  "qualitative"  a seconda dei casi di archiviazione che il
 codice enumera, giacche', contrariamente a quanto mostra di  ritenere
 il  rimettente,  "e' proprio la finalita' che accomuna tutte le varie
 ipotesi  di  archiviazione"   a   giustificare   l'estensione   della
 disciplina   prevista   per   l'ipotesi   base   (archiviazione   per
 infondatezza della notizia di reato)  anche  alle  restanti  ipotesi,
 cosi'  da  "far  emergere  una  figura  di  giudice  per  le indagini
 preliminari  in  grado  di  indicare  al   pubblico   ministero   gli
 approfondimenti  non  ancora compiuti" (v. sentenza n. 409 del 1990),
 senza restare quindi vincolato ad un diverso epilogo a seconda  della
 particolare "formula" che lo stesso pubblico ministero ha ritenuto di
 enunciare  nella  richiesta.  Sotto  altro profilo, poi, dovendosi il
 controllo del giudice volgere  a  verificare  se,  alla  stregua  del
 materiale raccolto nel corso delle indagini, sia conforme a legalita'
 "l'inazione"  del  pubblico  ministero,  il  sindacato non potra' che
 riguardare la  integralita'  dei  risultati  dell'indagine,  restando
 dunque  esclusa  qualsiasi  possibilita'  di  ritenere  che un simile
 apprezzamento  debba  invece  circoscriversi  all'interno  dei   soli
 confini  tracciati  dalla  notitia  criminis  delibata  dal  pubblico
 ministero. Una volta formulata la richiesta di archiviazione, quindi,
 il thema decidendum che investe il giudice non si modella in funzione
 dell'ordinario dovere di pronunciarsi su di una specifica domanda, ma
 del  ben  piu'  ampio  potere  di  apprezzare  se,  in  concreto,  le
 risultanze  dell'attivita'  compiuta   nel   corso   delle   indagini
 preliminari  siano o meno esaurienti ai fini della legittimita' della
 "inazione" del pubblico ministero.
    Ove si volesse pertanto invocare - come vorrebbe il giudice a  quo
 -  un  qualche  effetto  devolutivo  a  seguito della richiesta, cio'
 sarebbe  consentito  solo  nell'ipotesi  in  cui   per   oggetto   di
 devoluzione  si  intendesse  non  la  richiesta in quanto tale, ma la
 intera fase d'indagine che il pubblico ministero presuppone esaurita.
    4. - Risulta a questo  punto  evidente  la  non  fondatezza  delle
 censure  che  il  giudice  a quo solleva a margine della disposizione
 oggetto di impugnativa. Qualora,  infatti,  accanto  ad  una  notitia
 criminis  per  la  quale difetta una condizione di procedibilita', il
 giudice ritenga di ravvisare in sede  di  archiviazione  una  diversa
 fattispecie  procedibile  ex officio in ordine alla quale il pubblico
 ministero abbia omesso di compiere le necessarie indagini,  nulla  si
 oppone,  alla luce dei riferiti rilievi, a che il giudice stesso - se
 dagli  atti  non  risulti   che   il   pubblico   ministero   procede
 separatamente  -  inviti il pubblico ministero medesimo a svolgere le
 ulteriori   indagini   che   ritenga   necessarie    sulla    diversa
 "regiudicanda",  fissando il termine indispensabile per il compimento
 di esse. Ove cosi' non fosse, d'altra parte, non sarebbe "l'inazione"
 del pubblico ministero a formare oggetto del controllo  di  legalita'
 da parte del giudice, ma unicamente quella particolare ipotesi di non
 esercizio dell'azione penale che la stessa parte pubblica affida alla
 verifica   del  giudice,  delegandosi  per  questa  via  all'arbitrio
 dell'organo assoggettato al controllo  il  potere  di  ritagliare  la
 quantita'   e   la  qualita'  dell'intervento  dell'organo  che  quel
 controllo e' istituzionalmente chiamato ad esercitare.
    Ma che una simile prospettiva  non  possa  essere  in  alcun  modo
 coltivata,  lo si evince, con certezza, oltre che dalla ricostruzione
 del sistema dianzi delineata, anche  da  un  ulteriore  e  conclusivo
 rilievo.   Posto,   infatti,  che  ove  il  giudice  avesse  ritenuto
 sufficienti gli elementi raccolti in ordine alla diversa  ipotesi  di
 reato,  il  relativo  epilogo  sarebbe  stato  quello  di disporre la
 formulazione della imputazione; e' di tutta evidenza, allora, che  al
 medesimo  giudice  competa  anche  il  potere di invitare il pubblico
 ministero a svolgere ulteriori indagini nell'ipotesi  in  cui  queste
 siano  risultate  carenti  ai fini delle scelte sull'esercizio o meno
 della azione penale,  proprio  perche'  i  due  poteri  ("ordine"  di
 formulare  l'imputazione  o  invito a svolgere ulteriori indagini) si
 saldano  specularmente  all'interno  della   medesima   funzione   di
 controllo  che  il giudice svolge in sede di archiviazione: impedire,
 appunto, l'elusione del precetto che impone al pubblico ministero  di
 esercitare  l'azione  penale,  nei casi in cui il processo non appaia
 superfluo.