ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 3 della legge
 della Regione Sicilia 28 dicembre 1989, n.  19,  dell'art.  23  della
 legge  della Regione Sicilia 5 settembre 1990, n. 35 ed - ove occorra
 - dell'art. 61 del d.P.R. 28 gennaio 1988, n.  43  e  della  legge  4
 ottobre  1986,  n.  657  (delega  al  governo  per  la  istituzione e
 disciplina del servizio di riscossione  dei  tributi),  promosso  con
 ordinanza emessa il 18 gennaio 1992 dalla Commissione tributaria di 1
 grado  di  Catania  sul  ricorso  proposto da Potenza Renato Carlo ed
 altra contro l'Ufficio II.DD. di Catania,  iscritta  al  n.  165  del
 registro  ordinanze  1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell'anno 1993;
    Visti gli atti di intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri e della Regione Sicilia;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 17 novembre 1993 il Giudice
 relatore Renato Granata;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Con ordinanza in data 18 gennaio 1992 - emessa in un giudizio
 instaurato dai coniugi Potenza nei confronti dell'ufficio  II.DD.  di
 Catania,  per  opporsi all'applicazione del compenso esattoriale come
 richiesto, nella cartella loro notificata nel 1991, in misura  di  L.
 15.000  "per  ogni  voce" ivi elencata anche se di importo largamente
 inferiore - l'adita Commissione tributaria di 1 grado di  Catania  ha
 sollevato,  nei sensi e per le ragioni che piu' avanti si esporranno,
 questione incidentale di legittimita' "della normativa regionale e di
 quella nazionale (art. 3 legge regionale siciliana 1989 n.  19;  art.
 23  l. Sicilia 1990, n. 35 ed - ove occorra - l. 1986 n. 657; art. 61
 del d.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43 e relativi Decreti Ministeriali  ed
 assessoriali   di   attuazione)   che   disciplina   il   sistema  di
 determinazione dei compensi spettanti  al  concessionario  in  misura
 percentuale  delle  somme  riscosse,  stabilita con un importo minimo
 (appunto  L.  15.000)  e  massimo,  distintamente,  per  i  pagamenti
 spontanei  eseguiti  dopo  la  notifica della cartella di pagamento":
 "per contrasto con gli artt. 3, 59, 76 e 97 della Costituzione".
    2. - Nel giudizio innanzi  a  questa  Corte  sono  intervenuti  il
 Presidente della Regione ed il Presidente del Consiglio dei ministri.
 E  per  entrambi  l'Avvocatura  Generale  dello  Stato,  con distinte
 comparse  di  identico   contenuto,   ha   eccepito   preliminarmente
 l'inammissibilita',  sotto  plurimi  profili,  della impugnativa (per
 contraddittorieta' delle censure contestualmente rivolte  alla  legge
 delega   ed   al   decreto  delegato;  insindacabilita'  dei  decreti
 ministeriali; apoditticita' dell'ipotesi di violazione  dell'art.  97
 Cost.;  non  pertinenza  del  richiamo  all'art.  53  Cost.); e ne ha
 contestato, comunque, in subordine la fondatezza nel merito.
                        Considerato in diritto
    1.1. - La Commissione tributaria di Catania denunzia la disciplina
 dei compensi ai concessionari del servizio di riscossione dei tributi
 nella parte in cui -  con  riguardo,  in  particolare,  al  "compenso
 dovuto  per  la  riscossione  degli  importi  iscritti  a ruolo per i
 pagamenti effettuati dopo la notifica della cartella di pagamento  (e
 prima della notifica dell'avviso di mora") - ne determina l'ammontare
 in  percentuale  (1%)  delle  somme  riscosse con un minimo di 15.000
 lire, "per ogni articolo iscritto a ruolo", ancorche' di  un  importo
 (pur di gran lunga) inferiore a quella cifra.
    E   tale  disposizione  localizza  -  a  livello  di  legislazione
 regionale siciliana, applicabile ratione loci nel giudizio  a  quo  -
 nell'art.  3  della  legge  n.  19/1989 e nell'art. 23 della legge n.
 35/1990.
    1.2.  -  Sul  duplice  presupposto  che  analoga  disposizione   -
 determinativa  dei  compensi  in questione con previsione di "importi
 minimi  sproporzionati  ai  carichi  di  imposta  e   per   di   piu'
 ragguagliati  ad  ogni  articolo  di ruolo" - si contenga anche nella
 legislazione nazionale e costituisca  "principio  fondamentale  della
 materia",  cui  il  legislatore  siciliano  sia  tenuto  ad attenersi
 (avendo nella materia stessa competenza ripartita) ex art. 117  Cost.
 e   132   d.P.R.  n.  43/1988,  la  stessa  Commissione  estende  poi
 l'impugnativa pure  a  detta  normativa  nazionale:  individuata  nel
 cumulativo  disposto  dall'art.  1 comma 7 della legge delega 1986 n.
 657, dell'art. 61 d.P.R. 1988 n. 43 e  dei  decreti  ministeriali  di
 attuazione.
    1.3.  -  Con  riguardo  alla  normativa  regionale  le  censure si
 risolvono in un dubbio di violazione degli artt. 3 (sotto il  duplice
 profilo  della  irragionevolezza  e  disparita'  di  trattamento  tra
 contribuenti in relazione all'importo del  tributo  dovuto),  53,  97
 della Costituzione.
    Con  riferimento  alla  normativa nazionale, si assumono violati -
 oltre l'art. 3 (sotto  l'ulteriore  profilo  di  una  disparita'  tra
 contribuenti  in relazione all'elemento della rispettiva residenza in
 una od altra regione) e l'art. 97 -  anche  l'art.  76  Cost.  (nella
 duplice  prospettiva  di  un  vizio di indeterminatezza, addebitabile
 alla legge di delega e di "eccesso" dalla medesima, ascrivibile  alla
 "normativa di attuazione").
    2. - A fronte di questioni cosi' (approssimativamente) prospettate
 -  ed  anche  in  ragione  delle  eccezioni  preliminari  al riguardo
 formulate dall'Avvocatura -  il  thema  decidendum  esige  di  essere
 puntualizzato  e  delimitato,  in relazione agli eventuali profili di
 inammissibilita' dall'oggetto o dei parametri della impugnativa.
    2. - A) In ordine all'oggetto.
    A/1. Per quanto attiene alla normativa regionale.
    A  prescindere  dalla considerazione che, per cio' che concerne la
 legge del 1990 la disposizione denunciata si contiene nell'art. 35  e
 non  nell'art. 23, indicato dalla Commissione rimettente, va rilevato
 che le due leggi impugnate, del 1989 e del 1990, non costituiscono un
 combinato  contesto  ma  la   reiterazione   (con   minime   varianti
 terminologiche)  dell'identico  precetto,  in  sequenza temporale (la
 seconda legge (n. 35/90) subentrando alla prima (n. 19/89) a  partire
 dal  9  settembre  1990):  di  talche'  una  soltanto  delle  due  e'
 evidentemente applicabile, ratione temporis, alla fattispecie.
    Ora, poiche' dall'ordinanza di rimessione risulta che  l'eccezione
 di  illegittimita'  era  stata  formulata dai ricorrenti con riguardo
 alla l. 19/89 e la Commissione, nel far proprio la sottesa questione,
 non  ha  contestato  la  correttezza  di   tale   riferimento,   puo'
 inferirsene che proprio la citata legge dell'89, nella prospettiva di
 quel Collegio, formi il precipuo oggetto della questione rilevante ai
 fini  del  decidere.  Come  del  resto  e'  confermato dalla testuale
 trascrizione, nel provvedimento di rinvio, dell'espressione "per ogni
 articolo iscritto a ruolo" che, nella sua letteralita',  si  rinviene
 (oltre che nell'art. 35 - peraltro ignorato dal giudice a quo - della
 legge  n.  35/90)  solo  nell'art.  3 comma 3 della predetta legge n.
 19/89 e non anche nel denunciato art. 23 della legge 35/90  che  usa,
 al riguardo, la diversa dizione "per operazione".
    Dal che appunto discende che unicamente le questioni relative alla
 prima  delle  due  leggi indicate siano ammissibili, sotto il profilo
 della rilevanza nel giudizio a quo, mentre la denuncia  dell'art.  23
 della legge del 1990 (non applicabile alla fattispecie) e' di per se'
 inammissibile,  potendo  al  piu'  valere  (stante  la  gia' rilevata
 identita' di contenuto tra l'art. 3 legge n. 19/89 e l'art.  35  -  e
 non 23 - della legge n. 35/90) come mera sollecitazione del potere di
 annullamento  conseguenziale di questa Corte, in caso di accoglimento
 delle questioni che precedono.
    A/2. Quanto alla normativa statuale.
    Va premesso che ne' l'art. 1, n. 7  della  legge  657/86  (che  si
 limita  a  fissare  canoni  di  trasparenza  e congruita' ai costi di
 gestione  dei  compensi  in   questione   al   fine   di   assicurare
 "l'equilibrio  economico  della  gestione),  ne' l'art. 61 del d.P.R.
 43/88  (che,  anche  nel  testo   modificato   dall'art.   13   della
 sopravvenuta l. 1987 n. 75, in sede determinativa del compenso stesso
 non   va   oltre   la  correlativa  commisurazione  percentuale,  con
 previsione di un  minimo  ed  un  massimo  non  riferiti  ai  singoli
 articoli di ruolo, ne' in concreto quantificati) contengono quindi la
 disposizione  censurata:  la quale compare, a livello nazionale, solo
 nel contesto dei singoli  decreti  ministeriali  di  attuazione,  che
 fissano, per taluni comparti territoriali, minimi corrispondenti, per
 importo  e criteri di riferimento, a quelli stabiliti per la Sicilia.
 E da cio' puo' direttamente inferirsi l'inammissibilita', sotto  ogni
 profilo,   della   impugnativa  in  ordine  alla  suddetta  normativa
 nazionale:
       a) quanto  alla  legge  n.  657/86  ed  al  d.P.R.  43/88,  per
 aberratio ictus;
       b) quanto ai decreti ministeriali, per l'intrinseca inidoneita'
 di   tali   provvedimenti   a   formare   oggetto  del  sindacato  di
 legittimita'.
    E neppure potrebbe ipotizzarsi una sorta di ricaduta del contenuto
 di tali decreti sull'articolato legislativo,  perche',  la  questione
 sarebbe,  anche  in  tale prospettiva, comunque inammissibile per non
 essere consentita a fronte  di  un  complessivo  contesto  normativo,
 risultante   (in   tesi)  dalla  combinazione  di  norme  primarie  e
 subprimarie, aggredire il segmento  precettivo  contenuto  unicamente
 nelle seconde.
    3.  -  B)  In  ordine  ai  parametri evocati, pure fondata risulta
 infine la eccezione di inammissibilita' relativa all'art.  97  Cost.,
 la  cui  violazione  effettivamente  e'  stata  solo  apoditticamente
 enunciata e non autonomamente argomentata dal giudice a quo.  Mentre,
 con  riguardo  all'art.  53  Cost.,  l'eventuale  non  pertinenza del
 correlativo richiamo va piuttosto verificata in sede  di  delibazione
 nel merito della questione (cfr. sent. 7/93).
    4.   -  Sfrondato  dei  sin  qui  rilevati  profili  (oggettivi  e
 relazionali) di inammissibilita' il  quesito,  cui  questa  Corte  e'
 chiamato  a  dare risposta, si riduce quindi a quello di legittimita'
 della disposizione sub art. 3, comma 3, l. Sicilia  1989  n.  19,  in
 riferimento agli artt. 3 e 53 Cost.
    5.  -  In  questi  termini,  la  questione  e'  comunque, per ogni
 aspetto, infondata.
    In  primo  luogo  va  esclusa  in  radice  l'adombrata  violazione
 dell'art.  53  Cost.,  atteso che con detto precetto - che attiene al
 momento sostanziale dell'imposizione, quanto alla individuazione  del
 presupposto  economico del tributo, (che deve appunto rispecchiare la
 capacita' contributiva dell'obbligato) - non  puo'  collidere  norma,
 quale  e'  quella  in  oggetto,  che  ha  riguardo  solo al diverso e
 successivo aspetto della riscossione del tributo stesso  (cfr.  sent.
 63/1982).
    6.  -  Ne', in relazione all'art. 3 Cost. la medesima disposizione
 puo' reputarsi irragionevole o discriminatoria.
    In una fattispecie in cui il compenso per  il  concessionario  del
 servizio di riscossione dei tributi e' (senza contestazioni sul piano
 della  legittimita')  posto  a  carico  del  contribuente, che a quel
 servizio ha dato causa con il suo inadempimento  all'obbligo  di  una
 veritiera  e  precisa  denuncia,  la  prevista determinazione di tale
 compenso in misura percentuale del tributo (1%)  con  il  contestuale
 correttivo  di  un  prestabilito importo minimo (L. 15.000) e massimo
 (L. 300.000) e' volta infatti a realizzare (con l'utilizzazione di un
 meccanismo necessariamente articolato in termini medi  e  forfettari)
 un opportuno ed effettivo ancoraggio della remunerazione al costo del
 servizio; contemporaneamente impedendo, per un verso, che, in caso di
 iscrizione di tributi di importo eccessivamente limitato (inferiore a
 L.  1.500.000)  la misura percentuale del compenso scenda al di sotto
 del livello minimo di remunerativita' del servizio e,  per  converso,
 che, in caso di iscrizione di tributi di ammontare elevato (superiore
 a  L.  30.000.000)  il compenso stesso salga notevolmente al di sopra
 della predetta soglia di copertura del costo della procedura.
    Dal che l'evidente non irragionevolezza dell'obiettivo  perseguito
 dalla  norma  impugnata:  in  linea,  del  resto,  con  i principi al
 riguardo enunciati  dalla  richiamata  legge  di  delega,  nel  senso
 appunto  della  determinazione  del  compenso  in  discussione  anche
 secondo criteri "di congruita' ai costi medi del servizio, al fine di
 assicurarne l'equilibrio economico".
    E resta, per l'effetto, anche esclusa l'ipotizzata discriminazione
 in danno del contribuente chiamato a  corrispondere  un  compenso  di
 importo  in  tesi  superiore  a quello del tributo iscritto in ruolo,
 proprio  in  ragione   del   riferito   complessivo   meccanismo   di
 compensazione  e  bilanciamento  di  un  tale  inconveniente  con  il
 vantaggio  (economicamente  piu'  rilevante  e  probabilmente   anche
 statisticamente  piu' frequente) del contenimento del compenso stesso
 entro  il  limite  massimo,  per  singola  voce,  corrispondentemente
 stabilito.