ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 22  della  legge
 21  luglio  1965, n. 903 (Avviamento alla riforma e miglioramento dei
 trattamenti di pensione della previdenza sociale), promossi con n.  3
 ordinanze  emesse  il  22  gennaio  1993  dal  Pretore  di Modena nei
 procedimenti civili vertenti tra Casolari Giovanni, Marzocchini  Gina
 e  Alessi Alba e l'I.N.P.S., rispettivamente iscritte ai nn. 118, 119
 e 120  del  registro  ordinanze  1993  e  pubblicate  nella  Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica, prima serie speciale, dell'anno 1993;
    Visti  gli atti di costituzione di Marzocchini Gina, Alessi Alba e
 dell'I.N.P.S.;
    Udito nell'udienza  pubblica  del  16  novembre  1993  il  Giudice
 relatore Fernando Santosuosso;
    Udito l'avv. Salvatore Cabibbo per Marzocchini Gina e Alessi Alba.
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Nel  corso  di  tre  procedimenti  civili  promossi  contro
 l'I.N.P.S. da Casolari Giovanni,  Marzocchini  Gina  e  Alessi  Alba,
 volti  ad  ottenere,  con  decorrenza  rispettivamente dal 1 novembre
 1988, 1 agosto 1983 e 1 aprile 1990, la riliquidazione della pensione
 di riversibilita' gia' concessa loro dal cennato Istituto  a  seguito
 della  morte  dei  rispettivi  coniugi, il Pretore di Modena, con tre
 distinte ordinanze di identico contenuto emesse in  data  22  gennaio
 1993,  sollevava  d'ufficio questione di legittimita' costituzionale,
 in riferimento all'art. 3  della  Costituzione,  dell'art.  22  della
 legge 21 luglio 1965, n. 903 (Avviamento alla riforma e miglioramento
 dei trattamenti di pensione della previdenza sociale), nella parte in
 cui non prevede, in conformita' ed in corrispondenza di quanto invece
 disposto  dall'art.  2,  secondo  comma,  lettera  a), della legge 12
 agosto 1962, n. 1338 (quale risultante a seguito della sentenza n. 34
 del  1981  della  Corte   costituzionale),   che   la   pensione   di
 riversibilita'  sia  calcolata  in  proporzione alla pensione diretta
 integrata al minimo gia' liquidata al pensionato o  che  l'assicurato
 avrebbe avuto comunque diritto di percepire.
    Nei  giudizi  a  quo  gli  attori  sostenevano  che  l'aliquota di
 riversibilita' (60%) avrebbe dovuto applicarsi  sull'ammontare  della
 pensione  diretta  integrata  al  minimo che il loro dante causa gia'
 godeva e non sull'ammontare  della  pensione  "teorica"  che  sarebbe
 spettata a quest'ultimo in relazione alla sua posizione contributiva.
 Fondavano  la  loro  pretesa  sulla parte del dispositivo di cui alla
 sentenza n. 34  del  1981  di  questa  Corte,  con  la  quale  si  e'
 dichiarata   l'illegittimita',   per  violazione  dell'art.  3  della
 Costituzione, dell'art. 2, secondo comma, lettera a), della legge  12
 agosto  1962,  n. 1338, "nella parte in cui preclude il calcolo della
 pensione di riversibilita' I.N.P.S.  calcolata  in  proporzione  alla
 pensione diretta I.N.P.S. integrata al minimo che il titolare defunto
 avrebbe diritto di percepire ..".
    L'I.N.P.S., costituitosi in quei giudizi, aveva chiesto il rigetto
 delle   domande   attrici,  in  quanto  la  statuizione  della  Corte
 costituzionale era inapplicabile ai casi di specie, non avendo  avuto
 ad  oggetto  le  norme  disciplinanti  il  criterio  di calcolo della
 pensione di riversibilita', previsto dagli artt. 22  della  legge  21
 luglio  1965,  n.  903,  e  12  del  R.D.L.  14  aprile  1939, n. 636
 (convertito nella legge 6 luglio  1939,  n.  1272),  come  sostituito
 dall'art. 2 della legge 4 aprile 1952, n. 218.
    Il  giudice  remittente,  condividendo  la  tesi  dell'I.N.P.S., e
 ritenuto che l'art. 22 della legge n. 903 del 1965, nel prevedere che
 le pensione di riversibilita' fosse calcolata in proporzione a quella
 spettante al de cuius sulla base della sua posizione  contributiva  e
 prescindendo  dall'integrazione  al  minimo,  fissasse un criterio di
 liquidazione  gia'  riconosciuto  contrastante  con  l'art.  3  della
 Costituzione  da  questa Corte, seppure in relazione all'art. 2 della
 legge  n.  1338  del  1962,  concernente  la  problematica   relativa
 all'integrazione  al minimo della pensione I.N.P.S. in caso di cumulo
 con  altri  trattamenti  pensionistici,  riteneva  rilevante  e   non
 manifestamente  infondata la questione di legittimita' costituzionale
 nei termini sopra indicati. Evidenziava che sulla questione  relativa
 al   parametro-base  cui  rapportare  l'aliquota  della  pensione  di
 riversibilita' non si era  formato  diritto  vivente,  sebbene  fosse
 prevalente    l'orientamento   giurisprudenziale   secondo   cui   il
 trattamento di riversibilita' dovesse essere calcolato sulla pensione
 diretta del dante causa comprensiva del trattamento minimo.
    2. - Nei  giudizi  davanti  a  questa  Corte  si  sono  costituiti
 Marzocchini Gina (ord. 119/93) e Alessi Alba (ord. 120/93), chiedendo
 che  la  questione  sia  dichiarata  inammissibile  ovvero fondata. A
 sostegno di tali conclusioni, le parti ritengono che la pronuncia  n.
 34  del  1981  di  questa  Corte  ha  introdotto  nell'ordinamento un
 principio applicabile anche a fattispecie analoghe a quella  relativa
 alla  norma  impugnata  e  che  la  Corte di Cassazione con indirizzo
 costante  (sentenze  n.  2915 del 1987, 3507 del 1988, 150 del 1989 e
 7100  del  1991),  ha  fornito  ampia  argomentazione  interpretativa
 dell'art.  22 della legge n. 903 del 1965, disponendo che la pensione
 di reversibilita' debba essere calcolata in  rapporto  alla  pensione
 gia'  liquidata  o  che  sarebbe spettata all'assicurato. Concludono,
 quindi, per l'inammissibilita' della questione  proposta  e  solo  in
 linea   gradata,   qualora   non  fosse  condivisa  l'interpretazione
 corrente, come formulata dalla  Cassazione,  perche'  sia  dichiarata
 l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 22 della legge n. 903 del
 1965, nella parte in  cui  esclude  dal  calcolo  della  pensione  di
 reversibilita'  la  porzione  di integrazione al minimo goduta dal de
 cuius o che sarebbe allo stesso spettata.
    3. - Nel giudizio di cui all'ordinanza n. 118 ha  presentato  atto
 di  costituzione  l'I.N.P.S.  in data 4 giugno 1993, chiedendo che la
 questione sia dichiarata inammissibile.
                        Considerato in diritto
    1. - Con tre ordinanze di identico contenuto, il Pretore di Modena
 dichiara rilevante e non manifestamente infondata  -  in  riferimento
 all'art.  3,  primo  comma,  della  Costituzione  -  la  questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 22 della legge 21 luglio  1965,
 n.  903  (Avviamento  alla riforma e miglioramento del trattamento di
 pensione della previdenza sociale) nella parte in cui non prevede che
 la pensione di  riversibilita'  sia  calcolata  in  proporzione  alla
 pensione  diretta  integrata  al trattamento minimo gia' liquidata al
 pensionato o che l'assicurato avrebbe comunque diritto di percepire.
    2. - I tre  giudizi  prospettano  questioni  identiche  e  possono
 pertanto essere riuniti e decisi con unica sentenza.
    3.   Va   preliminarmente   dichiarato   inammissibile  l'atto  di
 costituzione dell'I.N.P.S. in  quanto  depositato  oltre  il  termine
 previsto  dall'art. 25 della legge 11 marzo 1953, n. 87 e dall'art. 3
 delle  norme  integrative  per   i   giudizi   davanti   alla   Corte
 costituzionale.
    4. - Come fa notare l'ordinanza di rimessione, in riferimento alla
 disposizione oggetto del presente giudizio si e' venuto determinando,
 nella  giurisprudenza  di  merito  ed  in quella della Cassazione, un
 contrastante   orientamento.   Secondo   la    tesi    interpretativa
 minoritaria,   che   fa  soprattutto  leva  sulla  dizione  letterale
 dell'art. 22 sopra richiamato, una volta soppressa la  compatibilita'
 di  piu'  integrazioni  al  minimo  in  capo  ad  un  titolare di una
 pluralita' di pensioni, non puo' il  superstite  godere,  neppure  in
 percentuale,  di una integrazione strettamente legata alle condizioni
 economiche del defunto, quando  poi  la  legge  stessa  riconosce  ai
 superstiti  l'integrazione  al  minimo  in  base alle loro condizioni
 economiche personali. L'altra tesi esegetica, che trae conseguenze da
 alcuni passi contenuti nella sentenza n. 34 del 1981 di questa Corte,
 perviene alla conclusione che il trattamento di  riversibilita'  deve
 essere  calcolato sulla pensione diretta del dante causa, comprensiva
 del trattamento minimo, sia stato questo da lui domandato oppure no.
    Il giudice a quo - atteso che quest'ultimo orientamento  non  puo'
 essere  considerato  "diritto  vivente", e che comunque la richiamata
 pronuncia di questa Corte non ha inciso sull'art.  22  sopra  citato,
 secondo  cui  la  pensione di riversibilita' deve essere calcolata su
 quella  spettante  al  de  cuius  sulla  base  della  sua   posizione
 contributiva,  prescindendo dalla sua integrazione al minimo - dubita
 della  costituzionalita'  di  questa  norma, che e' ancora vigente ed
 applicabile nel giudizio in corso.
    5. - La questione  va  esaminata  anzitutto  in  ordine  alla  sua
 ammissibilita'.
    Il  giudice  remittente non si limita a prospettare a questa Corte
 il contrasto nella interpretazione  della  giurisprudenza  ordinaria,
 ma,    propendendo    per   una   delle   due   tesi,   sospetta   di
 incostituzionalita'  la  norma  che,  cosi'  interpretata,   dovrebbe
 applicare.
    Non  puo',  quindi,  ravvisarsi l'inammissibilita' della questione
 per non aver scelto il giudice rimettente,  tra  due  interpretazioni
 possibili, quella conforme a Costituzione.
    6. - Nel merito la questione e' fondata, ravvisandosi un contrasto
 dell'art.  22  della legge 21 luglio 1965, n. 903, con l'art. 3 della
 Costituzione, sia sotto il profilo della irragionevolezza  che  della
 disparita' di trattamento.
    Il trattamento minimo delle pensioni dei lavoratori, istituito con
 la  legge  4  aprile 1952, n. 218, ha dato luogo, com'e' noto, ad una
 serie di  problemi  esaminati  in  sede  interpretativa  e  presi  in
 considerazione  da  successivi  interventi  del  legislatore;  e tale
 quadro normativo e' stato anche rettificato da  diverse  pronunce  di
 questa Corte.
    Nei  limiti  che  possono  in qualche modo rilevare nella presente
 questione, va ricordata la piu' volte richiamata sentenza n.  34  del
 1981 in cui si e' dichiarata l'incostituzionalita' dell'art. 2, lett.
 a),  della  legge  12  agosto 1962, n. 1338, anche nella parte in cui
 impediva "che il calcolo della pensione di  riversibilita'  I.N.P.S.,
 in  caso  di  cumulo con altro trattamento di riversibilita', (fosse)
 rapportato all'importo integrato al  minimo  della  pensione  diretta
 I.N.P.S.  che  il  defunto avrebbe dovuto percepire se avesse chiesto
 l'integrazione".
    La questione allora decisa non  e'  identica  a  quella  presente,
 poiche'  riguardava  una  ipotesi  di  cumulo  di  due  pensioni,  in
 relazione alla legittimita' della diversa  norma  dell'art.  2  della
 legge  12 agosto 1962, n. 1338, e nel quadro della disciplina vigente
 nel 1981.
    Nel  presente  caso,  invece,  le  ipotesi  del  cumulo  risultano
 disciplinate  dal  sopravvenuto  decreto-legge  12 settembre 1983, n.
 463, e  -  per  quanto  riguarda  l'ipotesi  del  calcolo  dell'unica
 pensione  di  riversibilita'  -  occorre  far riferimento all'art. 22
 della legge 21 luglio 1965, n. 903;  il  quale,  nel  secondo  comma,
 prevede che "tale pensione e' stabilita nelle seguenti aliquote della
 pensione gia' liquidata o che sarebbe spettata all'assicurato a norma
 dell'art. 12 del r.d.l. 14 aprile 1939, n. 639, convertito in legge 6
 luglio 1939, n. 1272".
    Ora,  da una parte, si sostiene che quest'ultima norma (cosi' come
 modificata dall'art. 2 della legge 4 aprile 1952, n.  218)  determini
 la  pensione in ragione della posizione contributiva non integrata al
 minimo, per  cui  il  superstite  non  potrebbe  godere,  neppure  in
 percentuale,   di   quella  integrazione,  strettamente  legata  alle
 condizioni economiche del defunto.
    Senonche', va anzitutto rilevata  l'irragionevolezza  di  un  tale
 ordine  di  idee, dal momento che il rinvio che l'art. 22 della legge
 n. 903 del 1965  fa  all'art.  12  sopra  richiamato  puo'  ritenersi
 corretto  solo  nel  senso che la pensione di riversibilita' a favore
 del superstite sia calcolata in una percentuale della intera pensione
 diretta  spettante  al  de  cuius, una volta che il dante causa aveva
 diritto ad una determinata pensione unitariamente  considerata  nelle
 sue componenti (base contributiva piu' l'integrazione al minimo a lui
 dovuta).
    Invero,  come  gia'  affermato  da  questa  Corte, (v., da ultimo,
 sentenza n. 926 del 1988), la pensione di riversibilita'  attua,  per
 il  coniuge superstite, una specie di proiezione oltre la morte della
 funzione di sostentamento assolta in vita dal reddito del  de  cuius,
 perseguendo  lo scopo di porre il superstite al riparo dallo stato di
 bisogno che potrebbe derivargli dalla morte del coniuge.  Ora,  dette
 finalita',  non  verrebbero integralmente realizzate se si ammettesse
 che il calcolo della percentuale spettante al coniuge  superstite  si
 operasse  sulla  pensione  c.d.  contributiva e non gia' sull'importo
 effettivamente   percepito   dal   coniuge    defunto,    comprensivo
 dell'integrazione al minimo.
    Inoltre  la tesi limitativa, riferita alla sola base contributiva,
 determinerebbe l'ingiustificata disparita' di trattamento rispetto  a
 quanto  gia'  riconosciuto da precedenti sentenze di questa Corte (n.
 34 del 1981; n. 314 del 1985; n. 184 del  1988  ed  altre)  intese  a
 garantire un rapporto equilibrato fra le diverse pensioni.
    Tale   prospettiva,   costituzionalmente   legittima,  non  appare
 ostacolata dall'asserita incompatibilita'  del  cumulo  tra  la  c.d.
 "percentualizzazione"  dell'integrazione  al  minimo  della  pensione
 diretta   spettante   al   de   cuius    e    l'"autonomo    diritto"
 dell'integrazione al minimo della pensione di riversibilita', poiche'
 trattasi  in  realta'  di  distinti momenti e di diverse pensioni cui
 hanno diritto i rispettivi titolari: quella dell'assicurato  defunto,
 comprensiva  del minimo che ne costituisce parte integrante, e quella
 del superstite, calcolata sia nella percentuale di  quella  spettante
 al suo dante causa, sia nella sua autonoma integrazione al minimo.