ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  2,  primo  e
 terzo  comma,  del  d.P.R.  13  febbraio  1993,  n. 40 (Revisione dei
 controlli dello Stato sugli atti  amministrativi  delle  Regioni,  ai
 sensi  dell'art.  2,  primo  comma,  lett. h), della legge 23 ottobre
 1992,  n.  421),  promosso  con  ricorso  della   Regione   Lombardia
 notificato  il  20  marzo  1993,  depositato  in  cancelleria  il  25
 successivo ed iscritto al n. 22 del registro ricorsi 1993;
    Visto l'atto di costituzione  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  14  dicembre  1993  il Giudice
 relatore Fernando Santosuosso;
    Uditi l'avv. Maurizio  Steccanella  per  la  Regione  Lombardia  e
 l'avv.  dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei
 ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Con  ricorso regolarmente notificato e depositato la Regione
 Lombardia ha sollevato questione di legittimita'  costituzionale  nei
 confronti  dell'art.  2,  primo  comma,  del d.P.R. (rectius: decreto
 legislativo) 13 febbraio 1993, n. 40 (Revisione dei  controlli  dello
 Stato  sugli atti amministrativi delle regioni, ai sensi dell'art. 2,
 primo comma, lettera h), della legge 23 ottobre 1992, n. 421),  nella
 parte  in cui stabilisce che il Presidente del Consiglio dei ministri
 "emana direttive" alle commissioni statali di  controllo  sugli  atti
 amministrativi  delle  regioni;  nonche'  dello  stesso art. 2, terzo
 comma, di detto  decreto,  nella  parte  in  cui  stabilisce  che  il
 comitato  tecnico,  istituito  a  mente del precedente secondo comma,
 "propone al Presidente del Consiglio dei  ministri  l'adozione  delle
 direttive  di  cui al primo comma"; e tutto cio' per violazione degli
 artt. 76, 118 e 125 della Costituzione.
    Relativamente   al   primo   parametro   costituzionale,   osserva
 innanzitutto  la  Regione  ricorrente che la disposizione attributiva
 della  delega  al  Governo  relativamente  alla  norma  impugnata  e'
 contenuta  nella  disciplina  concernente  specificamente il pubblico
 impiego:  dal  che  dovrebbe   dedursi   l'esclusione,   secondo   il
 ricorrente,  della  possibilita'  per  il Governo di riformare in via
 generale l'istituto del controllo  sugli  atti  amministrativi  delle
 Regioni.  In  secondo  luogo,  si  sostiene  che  il decreto delegato
 avrebbe violato un limite della delega  secondo  cui,  per  garantire
 l'uniformita'  dei  criteri  di  esercizio  del controllo, il Governo
 avrebbe   potuto   procedere   (soltanto)    all'adeguamento    della
 composizione  degli organi di controllo, e non invece ad indirizzarne
 l'attivita' attraverso un  coordinamento  delle  singole  commissioni
 operato  mediante  la  creazione  di  un apposito organo centrale non
 previsto nella legge delega. Infine, esorbitante rispetto alla delega
 risulterebbe sia la previsione della potesta' di impartire  direttive
 alle  commissioni  statali  di controllo attribuita al Presidente del
 Consiglio dei ministri, che l'attribuzione della funzione di proposta
 circa il  contenuto  di  tali  direttive,  riconosciuta  al  comitato
 tecnico.
    Quanto  alla  presunta violazione dell'art. 125 della Costituzione
 e, "di riflesso, dell'art. 118, nonche', sotto altro profilo,  ancora
 dell'art.  76  della  Costituzione", sottolinea la Regione ricorrente
 come  il  controllo  sugli  atti  amministrativi  delle  Regioni  sia
 unicamente  un controllo di mera legittimita', da cui dovrebbe essere
 escluso, in forza della previsione contenuta nell'art. 1 dello stesso
 decreto legislativo impugnato, il vaglio del c.d. eccesso di  potere.
 Sulla  base di tale premessa, si osserva come sia difficile rinvenire
 la possibilita' di individuare  "criteri"  che  eccedano  i  generali
 canoni  ermeneutici  e  le  regole della interpretazione delle norme,
 ovvero determinare l'esatta portata dei "comuni  indirizzi"  previsti
 dal primo comma della disposizione impugnata.
    Si  rileva  inoltre  come  la  disposizione  oggetto  del presente
 giudizio, nell'attribuire al Presidente del Consiglio dei ministri la
 potesta'  di  impartire  direttive  alle   commissioni   statali   di
 controllo, e nello stabilire la spettanza al comitato tecnico (che e'
 organo  centrale  dell'amministrazione  dello  Stato)  del  potere di
 formulare al  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  le  proposte
 concernenti il contenuto delle anzidette direttive, introdurrebbe una
 "gerarchizzazione"   dell'esercizio  del  controllo,  "in  quanto  le
 direttive costituiscono un istituto tipico del rapporto gerarchico, o
 almeno di un rapporto di sovraordinazione funzionale". Tale modalita'
 di esercizio del controllo, diventando "estrinsecazione gerarchizzata
 di  amministrazione  attiva", si porrebbe in contrasto con l'art. 125
 e, conseguentemente, con l'art. 118  della  Costituzione,  in  quanto
 violerebbe  l'autonomia  delle Regioni i cui atti possono, viceversa,
 soggiacere unicamente ad un controllo di legittimita' che deve essere
 esercitato attraverso un "giudizio dell'organo a cio' deputato".
    Quale  ulteriore  motivo  di  contrasto  con   l'art.   76   della
 Costituzione,  rileva  la  Regione  ricorrente che la legge di delega
 prevede  una  sorta  di  istituzionalizzazione  del   contraddittorio
 procedimentale,  attraverso  la  "assicurazione  della  audizione dei
 rappresentanti  dell'ente  controllato":  previsione   non   attuata,
 invece, del decreto legislativo impugnato.
    Come    ultimo    profilo,    viene   denunciata   l'irragionevole
 contraddittorieta' di cui sarebbe espressione il decreto  oggetto  di
 ricorso:  mentre  infatti la legge delega si e' proposta di "ridurre"
 l'ambito degli atti soggetti a  controllo  concentrando  quest'ultimo
 profilo sugli "atti fondamentali della gestione", il decreto delegato
 avrebbe  viceversa  operato  una  burocratica  gerarchizzazione della
 funzione.
    2. - Si e' costituito davanti a questa  Corte  il  Presidente  del
 Consiglio   dei  ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
 generale  dello  Stato,  concludendo  per  l'inammissibilita'  o,  in
 subordine, per l'infondatezza della questione.
    In  primo  luogo,  osserva  la difesa erariale che le disposizioni
 oggetto di ricorso non sono "invasive" di attribuzioni regionali,  in
 quanto  riguardano  soltanto  l'organizzazione  "interna"  di  organi
 statali, per l'esercizio di una funzione esclusivamente statale.
    Circa il  motivo  prospettato  dalla  ricorrente  in  merito  alla
 presunta  violazione  della  legge  delega,  essendo  la disposizione
 delegante contenuta  nella  parte  relativa  al  "pubblico  impiego",
 l'Avvocatura   dello  Stato  ne  evidenzia  la  palese  infondatezza,
 dovendosi escludere che la norma delegante avesse  voluto  ipotizzare
 due  discipline  di  controllo  sugli  atti amministrativi regionali,
 l'una per il "pubblico impiego" e l'altra per le residue materie.
    In ordine al secondo profilo, si osserva  che  "l'uniformita'  dei
 criteri  di  esercizio  del controllo" non puo' che essere perseguita
 attraverso  l'individuazione   di   una   funzione   (inevitabilmente
 "centrale")  e  quindi  attraverso  la previsione di una struttura ad
 essa servente.
    Circa il potere del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  di
 impartire   direttive   alle   commissioni   di   controllo,  osserva
 l'Avvocatura dello Stato che  questa  Corte  ha  gia'  affermato  che
 siffatte  direttive  sono  possibili  (ed anzi doverose specie quando
 rispondenti a valori  costituzionalmente  riconosciuti),  e  che  del
 resto  le commissioni di controllo sono organi periferici dello Stato
 e fanno capo alla Presidenza del consiglio.
    Quanto al profilo relativo alla mancata previsione di una forma di
 consultazione delle amministrazioni  controllate,  rileva  la  difesa
 erariale   che  tale  profilo  dovrebbe  condurre  ad  una  pronuncia
 additiva,  che  pero'  non  pare  consentita  molteplici  essendo  le
 ipotizzabili modalita' della auspicata "audizione".
    3.  -  In  prossimita'  dell'udienza  hanno presentato memorie sia
 l'Avvocatura generale dello Stato che la  Regione  ricorrente,  nelle
 quali  le  parti  ribadiscono quanto gia' ampiamente illustrato nelle
 memorie di costituzione.
    4.  -  Nel  corso  dell'udienza  pubblica,  le  parti  hanno fatto
 rilevare la sopravvenuta emanazione ed entrata in vigore del  decreto
 legislativo 10 novembre 1993, n. 479, contenente norme correttive del
 decreto  legislativo  impugnato,  concludendo, la Regione ricorrente,
 per il permanere dell'interesse ad una pronuncia di  accoglimento,  e
 l'Avvocatura  dello  Stato per la sopravvenuta inammissibilita' della
 questione.
                        Considerato in diritto
   1. - La Regione Lombardia - per quanto abbia addotto una  serie  di
 censure  al  decreto  n.  40 del 1993 nella motivazione del ricorso -
 conclude quest'ultimo limitando rigorosamente la sua  richiesta  alla
 declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale dell'art. 2, primo e
 terzo comma, del d.P.R. (rectius: decreto  legislativo)  13  febbraio
 1993,   n.  40  (Revisione  dei  controlli  dello  Stato  sugli  atti
 amministrativi delle regioni, ai  sensi  dell'art.  2,  primo  comma,
 lettera  h), della legge 23 ottobre 1992, n. 421); e precisamente del
 primo comma nella parte in  cui  stabilisce  che  il  Presidente  del
 Consiglio  dei ministri "emana direttive" alle commissioni statali di
 controllo sugli atti amministrativi delle regioni; e del terzo  comma
 nella  parte  in  cui  stabilisce  che  un apposito comitato tecnico,
 istituito ad opera del medesimo decreto, "propone al  Presidente  del
 Consiglio  dei  ministri  l'adozione  delle direttive di cui al primo
 comma", in riferimento agli artt. 76, 118 e 125 della Costituzione.
    2. - Prima di passare ad esaminare il merito di detta questione di
 costituzionalita', occorre  valutare  la  portata  delle  innovazioni
 legislative  introdotte  mediante  il decreto legislativo 10 novembre
 1993, n. 479, contenente "Norme correttive del decreto legislativo 13
 febbraio 1993, n. 40, recante revisione  dei  controlli  dello  Stato
 sugli  atti  amministrativi  delle  regioni",  emanato in forza della
 delega contenuta nell'art. 2, primo comma, lettera h), e quinto comma
 della legge 23 ottobre 1992, n. 421.
    L'art. 2, primo comma, di tale decreto stabilisce che all'art.  2,
 primo  comma, del decreto impugnato, le parole "emana direttive" sono
 sostituite dalle seguenti: "determina criteri procedurali"; mentre la
 disposizione  contenuta  nel  terzo  comma  sostituisce  alle  parole
 "l'adozione  delle  direttive" (di cui al terzo comma dell'art. 2 del
 decreto  n.  40  del  1993)  le  seguenti:  "l'adozione  dei  criteri
 procedurali".  Atteso  dunque  che le disposizioni relativamente alle
 quali la Regione Lombardia ha  sollevato  questione  di  legittimita'
 costituzionale  sono  state abrogate, senza che esse abbiano prodotto
 effetti  nel  periodo  di  vigenza,  la   suddetta   questione   deve
 dichiararsi  inammissibile,  essendo  venuta meno la disposizione cui
 essa si riferiva (cfr. sentenza n. 372 del 1989).