Ricorso per conflitto di attribuzioni della provincia autonoma di Trento, in persona del presidente della giunta provinciale Gianni Bazzanella, autorizzato con deliberazione della Giunta provinciale n. 17594 in data 2 dicembre 1993, rappresentato e difeso dagli avv.ti prof. Valerio Onida e Gualtiero Rueca, ed elettivamente domiciliato presso quest'ultimo in Roma, largo della Gancia 1, come da mandato speciale a rogito del notaio dott. Pierluigi Mott di Trento in data 9 ottobre 1993, n. 59365 di rep., contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore in relazione alla deliberazione 13 luglio 1993 del comitato interministeriale per la programmazione economica, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 249 del 22 ottobre 1993, e recante "ripartizione dei fondi recati per il 1993 per l'attuazione della legge 29 gennaio 1992, n. 113, relativa all'obbligo per i comuni di residenza di porre a dimora un albero per ogni neonato". Come e' noto, l'art. 8, n. 21, del d.P.R. n. 670/1972 (testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige) affida alle province autonome la potesta' legislativa esclusiva in materia di foreste e Corpo forestale, mentre, in virtu' dell'art. 16, comma 1, del d.P.R. citato nella stessa materia spettano alle province autonome le relative potesta' amministrative. Ora, con la legge 29 gennaio 1992, n. 113, e' stato previsto un intervento di notevole importanza (sia pur solo simbolica) che attiene proprio alla gestione e all'incremento del patrimonio forestale, sull'intero territorio nazionale. Si stabilisce infatti (art. 1, primo comma che in attuazione degli indirizzi definiti nel piano forestale nazionale i comuni devono provvedere, entro dodici mesi dalla registrazione anagrafica di ogni neonato residente, a porre a dimora un albero nel territorio comunale. L'art. 2, secondo comma, della medesima legge prevede che, insieme alle regioni a statuto ordinario e a quelle a statuto speciale, anche le province autonome di Trento e Bolzano provvedano, attraverso i propri uffici competenti, a disciplinare le tipologie delle essenze, a metterne a disposizioni il quantitativo necessario, ad assicurarne la fornitura ai comuni. La legge in parola autorizza (art. 4, primo comma), a decorrere dal 1992, la spesa annua di 5 miliardi di lire e stabilisce che per ogni anno le modalita' di ripartizione di tale somma "tra le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano" siano determinate dal comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe), sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le provincie autonome. Gli oneri necessari all'attuazione dell'attivita' prevista (pari a L. 5 miliardi per ciascuno degli anni 1992, 1993 e 1994) vengono individuati (art. 4, secondo comma) attraverso la corrispondente riduzione di un accantonamento intitolato ad "interventi programmatici in agricoltura e nel settore della forestazione". Ora, sulla Gazzetta Ufficiale n. 249 del 22 ottobre 1993 e' stata pubblicata la deliberazione del Comitato interministeriale per la programmazione economica, la quale, ai sensi del citato art. 4, primo comma, della legge n. 113 del 1992, stabilisce, per l'anno 1993, le modalita' di ripartizione della somma di L. 5 miliardi necessaria per gli interventi previsti dalla legge in questione. Tale delibera del Cipe, tuttavia, ripartisce la somma indicata tra tutte le regioni ad autonomia ordinaria e quattro soltanto delle cinque regione ad autonomia speciale, escludento completamente dal finanziamento previsto dalla legge soltanto la regione Trentino-Alto Adige, e per essa le province autonome di Trento e Bolzano (da notare che la tabella allegata alla delibera Cipe e' invece esplicitamente definita "tabella di riparto dei fondi tra le regioni e le province autonome per l'anno 1993, legge n. 113/1992"). La ragione di tale incongrua esclusione va presumibilmente ricercata nel riferimento, operato nella premessa della delibera Cipe, all'art. 4, terzo comma, del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 "norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali nonche' la potesta' statale di indirizzo e coordinamento". Quest'ultima disposizione prevede che nelle materie di competenza propria regionale o provinciale le amministrazioni statali (comprese quelle autonome, nonche' gli enti dipendenti dallo Stato) non possono disporre spese ne' concedere, direttamente o indirettamente, finanziamenti o contributi per attivita' nell'ambito del territorio regionale o provinciale. Riferendosi in premessa a tale disposizione, il Cipe evidentemente ha ritenuto inapplicabile, in Trentino-Alto Adige e a favore delle province autonome, l'art. 4, primo comma della legge n. 113/1992, la quale, come gia' ricordato, pur prevede esplicitamente che la somma stanziata per gli interventi in questione sia ripartita tra le regioni e le provincie autonome di Trento e Bolzano. E dunque, secondo questa interpretazione, le province autonome dovrebbero dar corso agli adempimenti di cui all'art. 2 della legge n. 113/1992, senza pero' poter usufruire dei finanziamenti da questa legge previsti anche a loro favore. Ma l'interpretazione della norma di attuazione ricordata e' sicuramente illogica ed errata. E' illogica, e condurebbe a risultati irragionevoli, giacche' finirebbe per escludere, fra tutte le regioni ad autonomia ordinaria o speciale, la sola regione Trentino-Alto Adige dai finanziamenti statali a destinazione vincolata previsti dalla legge, cio' che non sembra rispondere ad alcun fine ragionevolmente argomentabile. E' errata, poiche' trascura di considerare la ratio della norma di attuazione cui pretende di dare seguito. Come gia' ricordato, l'art. 4, terzo comma, in parola e' contenuto in un decreto legislativo che detta "norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonche' la potesta' statale di indirizzo e coordinamento". Le nuove norme di attuazione "in materia di finanza regionale e provinciale" sono invece contenute nel decreto legislativo approvato nella stessa data (16 marzo 1992), ma contrassegnato da un numero successivo (n. 268). L'art. 4 del decreto lgs. n. 266/1992 e' intitolato "funzioni amministrative", ed e' volto a stabilire alcuni limiti all'attivita', appunto amministrativa, dello Stato e degli enti statali nelle materie di competenza delle regioni o delle province: stabilendo, al primo comma, che in dette materie la legge non puo' attribuire funzioni amministrative, comprese quelle di vigilanza di polizia amministrativa e di accertamento di violazioni amministrative, diverse da quelle spettanti allo Stato secondo le norme statutarie e di attuazione; prescrivendo, al secondo comma, un obbligo di informazione reciproca tra uffici statali e regionali o provinciali, circa le violazioni accertate di norme o provvedimenti rispettivamente regionali o provinciali, ovvero statali; disponendo infine, al terzo comma, che "fermo restando quanto disposto dallo statuto speciale e dalle relative norme di attuazione, nelle materie di cui al primo comma, le amministrazioni statali, comprese quelle autonome e gli enti dipendenti dallo Stato non possono disporre spese ne' concedere, direttamente o indirettamente finanziamenti o contributi per attivita' nell'ambito del territorio regionale o provinciale". Come e' evidente - dal suo tenore, dalla sua collocazione e dalla sua ratio - questa disposizione e' volta a precludere allo Stato attivita' amministrativa di spesa diretta nella regione, cioe' interventi a carico del bilancio dello Stato o degli enti statali comportanti erogazioni di fondi per opere, trasferimenti a imprese o a famiglie, contributi a enti pubblici sub-provinciali: interventi che - attraverso il finanziamento - realizzerebbero ingerenze statali nell'ambito della competenza amministrativa spettante alle regioni e alla province autonome. Nulla ha a che vedere tale disposizione, invece, con il problema dei trasferimenti finanziari dello Stato a favore delle Province autonome (o della regione), cioe' con il problema del finanziamento delle attivita' amministrative delle province: problema, questo, che e' risolto viceversa dalle norme statutarie e di attuazione in materia di finanza regionale e provinciale, la cui disciplina e' espressamente richiamata dall'art. 4, terzo comma, d.lgs. n. 266/1992 laddove esso stabilisce che "resta fermo" quanto disposto dallo Statuto e dalle relative norme di attuazione. In particolare, come e' noto, lo statuto prevede, a questo fine, oltre ad una limitata autonomia tributaria (artt. 72 e 73), la devoluzione alla regione e alle province autonome del gettito o di quote del gettito di tributi o di altre entrate erariali (artt. 69, 70, 71, 75, 78), e sancisce espressamente l'applicazione anche alle province autonome di Trento e di Bolzano dell'art. 119, terzo comma, della Costituzione, relativo ai contributi speciali erogati dallo Stato per scopi determinati (art. 79). L'art. 5 della legge 30 novembre 1989, n. 386, - cui questa Corte attribuisce, com'e' noto, significato e porta di norme di attuazione immodificabili al di fuori del meccanismo dell'accordo fra Stato e regione o province autonome previsto dall'art. 104 dello statuto (cfr. sent. n. 116/1991; 123/1992 e 356 del 1992) - stabilisce non solo che "le province autonome partecipano alla ripartizione di fondi speciali istituiti per garantire livelli minimi di prestazioni in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, secondo i criteri e le modalita' per gli stessi previsti (primo comma), ma anche che "i finanziamenti recati da qualunque altra disposizione di legge statale, in cui sia previsto il riparto per l'utilizzo a favore delle regioni, sono assegnati alle province autonome ed affluiscono al bilancio delle stesse per essere utilizzati, secondo normative provinciali nell'ambito del corrispondente settore" (secondo comma). A sua volta l'art. 12 del d.lgs. 16 narzo 1992, n. 268 - contenente proprio le norme di attuazione in materia di finanza, ed entrato in vigore contemporaneamente al d.lgs. n. 266/1992, ma recante un numero posteriore - conferma esplicitamente l'applicabilita' dell'art. 5 legge n. 386/1989 alle provincie autonome, stabilendo che le disposizioni in ordine alle procedure e alla distribuzione dei fondi di cui a detto art. 5, secondo e terzo comma, "si applicano con riferimento alle leggi statali di intervento ivi previste, anche se le stesse non sono espressamente richiamate" (primo comma), e che "in caso di assegnazione di finanziamenti ai sensi dell'art. 5, secondo comma predetto, "i relativi stanziamenti di spesa sono comunque iscritti nel bilancio provinciale nella misura necessaria per far fronte rispettivamente agli impegni ed ai programmi previsti per l'esercizio in corso, salvo l'obbligo di compensare gli eventuali minori stanziamenti rispetto alle assegnazioni con maggiori stanziamenti negli esercizi successivi" (secondo comma). L'art. 4, terzo comma, del d.lgs. n. 266/1992 non puo' dunque in alcun modo essere interpretato come preclusivo dell'assegnazione alle province autonome dei finanziamenti statali a destinazione vincolata disposti da leggi statali a favore delle regioni. Esso tende a garantire le province da possibili invasioni del proprio ambito di competenza da parte dello Stato a mezzo di interventi diretti di spesa, non certo a precludere il finanziamento delle province mediante trasferimenti dal bilancio dello Stato a quello delle province stesse, che sono anzi espressamente previsti dallo statuto e dalle norme di attuazione. Tali interventi finanziari - a differenza di quelli esplicantisi in forma di spesa statale diretta - non ledono le attribuzioni provinciali in quanto mettono i relativi mezzi a disposizione delle province e sono assegnati nel rispetto dell'autonomia provinciale quanto all'attivita' di impiego dei finanziamenti medesimi (a tal fine valendo le garanzie di cui ai citati artt. 5 legge n. 386/1989 e 12 d.lgs. n. 268/1992). Sul piano testuale, questa, che e' l'unica interpretazione plausibile della norma in questione, e' confermata non solo dall'espresso richiamo alle norme statutarie e di attuazione il cui disposto "resta fermo", ma anche dal riferimento a spese o contributi "per attivita' nell'ambito del territorio regionale o provinciale". Tale precisazione da un lato ribadisce l'intento di incidere sul finanziamento delle attivita' e non sui meccanismi di trasferimento finanziario dallo Stato alle province (vietando cioe' solo spese statali dirette che "saltino" le province e restino estranee al bilancio di queste). Dall'altro lato, la precisazione in esame, secondo cui si vietano spese per attivita' "nell'ambito del territorio regionale o provinciale", rende palese che si riferisce non gia' ai casi di riparto di somme fra le regioni, bensi' alla destinazione finale delle somme dirette a finanziare determinate attivita': per questo si fa menzione dell'ambito del territorio regionale o provinciale, menzione che non avrebbe alcun senso se si volesse riferire la norma anche ai trasferimenti a favore del bilancio delle province. Palesemente, dunque, risulta lesiva dell'autonomia finanziaria e amministrativa della provincia di Trento la deliberazione del Cipe impugnata, la' dove esclude le province autonome dal riparto dei finanziamenti statali, previsti dalla legge n. 113/1992 a favore sia delle regioni che delle province autonome, per gli interventi relativi all'obbligo per i comuni di residenza di porre a dimora un albero per ogni neonato.