LA CORTE DI APPELLO Esaminati gli atti, ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile in grado di appello, iscritta al n. 439/91 r.g. promossa dall'amministrazione provinciale di Trieste, appellante, rappresentata e difesa dagli avvocati E. Volli e I. Cacciavillani, contro: 1) Amministrazione del tesoro, appellata, rappresentata e difisa dall'avvocatura dello Stato; 2) Amministrazione dei lavori pubblici, appellata, rappresentata e difesa dall'avvocatura dello Stato; 3) ente autonomo del porto di Trieste, appellato, rappresentato e difeso dall'avv. G.B. Verbari; 4) aziende speciale per il porto di Monfalcone, appellata, rappresentata e difesa dall'avv. D. Mazzarini; RITENUTO IN FATTO Con citazione 11 luglio 1991, l'amministrazione provinciale di Trieste proponeva appello avverso la sentenza 20 febbraio 1991, n. 337/91, del tribunale di Trieste reiettiva della sua domanda di condanna dell'Amministrazione del tesoro a corrispondere quanto abusivamente trattenuto sulla dotazione di istituto di essa provincia a titolo di contributo di complessive L. 1.469.650.823 per le opere eseguite nei porti di Trieste e Monfalcone, ai sensi degli artt. 4, 7 ed 8 del r.d. 2 aprile 1885, n. 3095, e successive disposizioni, deducendo in via principale l'intervenuta abrogazione implicita dell'indicata normativa per effetto del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, che avrebbe ridisciplinato ex novo e radicalmente l'intera materia della portualita' ed in subordine sollevando l'eccezione di incostituzionalita' delle suddette norme sotto il duplice profilo della violazione degli artt. 5 e 128 della Costituzione, rispettivamente della violazione degli artt. 23 e 53 della stessa Costituzione. Le appellate Amministrazioni del tesoro e dei lavori pubblici, dopo aver precisato che alcuna trattenuta sulla dotazione d'istituto della provincia era stata eseguita, essendosi l'Amministrazione del tesoro limitata alla notifica dei prospetti di spesa, a norma dell'art. 356 delle Istituzioni generali sui servizi del Tesoro, resistevano al gravame, sostenendo fra l'altro, la manifesta infondatezza delle eccezioni d'illegittimita' costituzionale. L'appellato ente autonomo del porto di Trieste, resistendo al gravame, eccepiva il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, sul riflesso che la domanda dell'appellante non riguardava un diritto soggettivo in ordine all'insussistenza del debito per contributo di spese, quanto, invece, un interesse legittimo tra due soggetti, entrambi pubbliche amministrazioni. L'appellata azienda speciale per il porto di Monfalcone eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva. D I R I T T O In piena conformita' con la decisione 6 luglio 1988, n. 701/88, del t.a.r. del Friuli-Venezia Giulia, che, investito, prima dell'inizio della presente causa, della stessa domanda da parte dell'amministrazione provinciale di Trieste, ebbe a declinare la propria giurisdizione, ritiene questa Corte di dover respingere la rinnovata eccezione in tema giurisdizionale, a cura dell'ente autonomo del porto di Trieste. Pur dovendosi prendere atto, invero, della non ancora eseguita trattenuta da parte dell'Amministrazione del tesoro sulla dotazione d'istituto della provincia di Trieste, della somma di L. 1.469.650.823 a titolo di contributo per le menzionate opere portuali, con la conseguenza che la domanda di condanna formulata dall'appellante non potrebbe essere, allo stato attuale, accolta, non va trascurato, tuttavia, che la stessa domanda comprende, altresi', una vera e propria azione di accertamento negativo dell'obbligo all'indicato contributo, che troverebbe la sua fonte nella legge ed e' determinabile nel suo ammontare al di fuori di ogni apprezzamento discrezionale dell'amministrazione interessata. Per cui, conformemente anche a quanto ritenuto dal Tribunale nella qui impugnata sentenza, 20 febbraio 1991, n. 337/91, il petitum sostanziale, gravitante sulla prospettata insussistenza del debito, attiene perfettamente ad un diritto soggettivo, di certa competenza dell'autorita' giudiziaria ordinaria. Non puo' neppure essere accolta la tesi principale della appellante di estinzione dell'indicato debito a seguito di presunta abrogazione della normativa di cui al r.d. 2 aprile 1885, n. 3095, ed opera del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616. Il semplice susseguirsi, invero, di disposizioni legislative ispirate a nuovi criteri informatori non comporta, ai sensi dell'art. 15 delle disposizioni sulla legge in generale, il venir meno della validita' della vecchia legge non espressamente abrogata, ovvero le cui disposizioni, in tutto o in parte non contrastino con la sopravvenuta regolamentazione normativa. Ora, nel caso concreto, e' ben vero che l'art. 88 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, assegna allo Stato le funzioni amministrative concernenti le opere marittime relative ai porti di prima categoria e seconda categoria, prima classe (fra i quali ultimi sono compresi il porto di Trieste e quello di Monfalcone) ed alle regioni (a statuto ordinario) le funzioni amministrative relative alle opere marittime delle altre classi. Ma, tale suddivisione delle funzioni amministrative dello Stato, rispettivamente delle regioni non contrasta in modo alcuno con il principio fissato degli artt. 4, 7 ed 8 del citato r.d. 2 aprile 1885, n. 3095, secondo cui per le opere portuali a carico dello Stato, e' previsto il contributo anche delle province e dei comuni. La questione del resto e' stata autorevolmente gia' risolta dalla Corte costituzionale con la sentenza 29 settembre 1983, n. 276, che ha riconosciuto come ancora vigente, pur dopo la emanazione del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, la precedente richiamata normativa, "pur vetusta" ed "appartenente ad una stagione normativa superata". Ma, respinta la tesi principale dell'opponente, risulta fondata, invece, quella subordinata, attinente alle due eccezioni di illegittimita' costituzionale, che si muovono su piani del tutto diversi rispetto alla prima. Va premesso al riguardo che, per l'art. 5 della Costituzione, la Repubblica "riconosce e promuove le autonomie locali" ed "adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze della autonomia e del decentramento"; e che per l'art. 128 della Costituzione "Le province ed i comuni sono enti autonomi nell'ambito dei principi fissati, da leggi generali della Repubblica, che ne determinano le funzioni". Riconosciuta, quindi, l'autonomia dei suddetti enti locali, con riferimento al rispetto ambito territoriale, non v'e' dubbio che l'imposizione agli stessi dell'onere di contributo per sopperire alle spese relative ad opere portuali in aree del demanio dello Stato incide in misura oltremodo rilevante su detta autonomia, a cui e' estranea la funzione amministrativa, riservata dall'art. 88, n. 1, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, allo Stato. E tale compromissione dell'autonomia incide sopratutto nel settore finanziario contabile degli indicati enti locali territoriali, prima impostato sul sistema della cosidetta "finanza partecipativa" dei tributi, ora, invece, sul sistema "a finanza derivata", collegata a parametri fissi e prestabiliti, secondo cui il contributo statale non e' piu' rapportato al principio dello "spesa storica", ma al criterio relativo a requisiti obiettivi (valore numerico della popolazione residente, consistenza della rete stradale, dimensioni territoriali, reddito medio pro-capite), con il cenno ulteriore che la legge 8 giugno 1990, n. 142, all'art. 54 riconosce ai comuni ed alle province, nell'ambito della finanza pubblica, "autonomia finanziaria fondata su certezze di risorse proprie e trasferite", che sicuramente verrebbe compressa in funzione della propria politica di investimento nella gestione delle entrate e delle uscite ed in particolare di quest'ultime, se riferite a spese per le opere portuali su aree demaniali dello Stato, a beneficio non certo solo dei comuni e province ad essi territorialmente collegati, ma all'intera collettivita' nazionale, in considerazione sia dell'ormai facilita' di accesso a tutti i porti, sia della raggiunta specializzazione dei tipi d'imbarchi, che rendono ormai superato ed inattuale il criterio della vetusta precedente legislazione, improntato a giustificare l'onere di contribuzione alle spese degli enti locali per le opere portuali in considerazione dell'utilita' e dei vantaggi economici che ne potevano allora derivare e che attualmente, invece, sono estensibili a tutta le comunita' nazionale. Ora, e' ben vero che analoga eccezione con riferimento al contributo del comune, sollevata con l'ordinanza 11 giugno 1984 dal tribunale di Genova e' stata dalla Corte costituzionale, con l'ordinanza 7-26 luglio 1988, n. 892, dichiarata manifestamente infondata, ma, alla stregua anche della legge 8 giugno 1990, n. 142, sull'ordinamento delle autonomie locali, non allora in vigore, e' opportuno che la questione sia nuovamente sottoposta al giudizio della Corte costituzionale per un piu' approfondito esame, in relazione anche alla mutata situazione nel ramo dei trasporti marittimi. Non manifestamente infondata si appalesa l'ulteriore eccezione di illegittimita' costituzionale sollevata dall'appellante con riferimento agli artt. 23 e 53 della Costituzione, secondo i quali "ogni prestazione patrimoniale non puo' essere imposta se non in base alla legge", rispettivamente "tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacita' contributiva". Ebbene, in ordine all'art. 23 della Costituzione, se l'art. 4 del r.d. 2 aprile 1885, n. 3095, fissa il contributo delle province e comuni per le opere portuali in ragione del 20%, deve convenirsi che, essendo, tuttavia, indeterminato il cespite imponibile sul quale detta aliquota va conteggiata, la mancanza di una previsione legislativa che comunque fissi opportuni limiti all'ente impositore che di fatto e' delegato a fissare il quantum del contributo, l'indicata norma e' affetta da palese incostituzionalita'. Per quanto attiene poi all'art. 53 della Costituzione sulla capacita' contributiva, considerato che, a seguito dell'introduzione per gli enti locali del nuovo sistema della "finanza derivata", essi ricevono la dotazione d'istituto direttamente dallo Stato in base a determinati requisiti oggettivi, e' evidente che, in presenza dell'onere del contributo per le spese portuali non incluse nei suddetti requisiti oggettivi di calcolo della dotazione di istituto, e comunque di entita' ed ammontare preventivamente non deducibili, detta capacita' contributiva risulta fortemente contenuta, con corrispondente impossibilita' di programmazione ed organizzazione d'esercizio dell'attivita' amministrativa in generale. Per le indicate ragioni, appaiono non manifestamente infondate le sollevate questioni di legittimita' costituzionale e poiche' la definizione della causa e' strettamente subordinata alla loro risoluzione, il presente procedimento va necessariamente sospeso.