IL CONSIGLIO NAZIONALE DEI CHIMICI
   Ha  pronunciato la seguente ordinanza di rimessione degli atti alla
 Corte  costituzionale   per   la   valutazione   della   legittimita'
 costituzionale  dell'art.  3,  primo comma, lettere e), f), g), h) ed
 i), dell'art. 3, secondo comma, della legge 24 maggio 1967,  n.  396,
 in  relazione agli artt. 3 e 33, quinto comma, della Costituzione, in
 quanto ritenuta rilevante e non  di  manifesta  infondatezza  per  la
 decisione  in  ordine  al  ricorso  presentato  dalla  dott.ssa Maria
 Rosaria Pelletti, iscritta nell'albo dei chimici di Roma, avverso  il
 procedimento    disciplinare    della    sospensione   dall'esercizio
 professionale per mesi uno adottato nei suoi confronti dal  consiglio
 dell'ordine dei chimici di Roma con delibera 17 marzo 1989.
                            FATTO E DIRITTO
    Va in ogni caso premesso che il ricorso oggetto del presente esame
 viene  proposto  per  la  seconda  volta a questo Consiglio nazionale
 dalla dott.ssa Pelletti in quanto gia' in precedenza analogo  ricorso
 era  stato  presentato  avverso altro provvedimento disciplinare, poi
 revocato  per  motivi  formali  dallo stesso consiglio dell'ordine di
 Roma.
    Invero nel  gennaio  1989  veniva  aperto  un  primo  procedimento
 disciplinare a carico della dott.ssa Maria Rosaria Pelletti per fatti
 inerenti  al  suo  esercizio  professionale in associazione priva dei
 requisiti previsti dalla legge e dalle norme  deontologiche,  nonche'
 per  essere l'associazione stessa esercitata anche attraverso l'opera
 professionale di altro professionista, avente  pero'  competenza  del
 tutto   difforme   e   senza  che  venissero  operate  le  necessarie
 distinzioni tra le due sfere professionali.
    Il 18 gennaio 1989 il consiglio dell'ordine  gia'  infliggeva  una
 prima sanzione alla dott.ssa Pelletti, la quale proponeva contro quel
 provvedimento formale ricorso in data 20 febbraio 1989, inviato anche
 al  consiglio  dell'ordine  di  Roma,  il  quale nella seduta di poco
 successiva,  il  giorno  24  febbraio  1989,  dopo  aver   nuovamente
 convocato  ed  ascoltato la dott.ssa Pelletti, accertava la effettiva
 sussistenza delle carenze procedurali poste  a  base  dei  motivi  di
 lagnanza dell'incolpata e ritirava, nella stessa data e con efficacia
 retroattiva,  il  provvedimento  disciplinare,  promuovendo, al tempo
 stesso, nuovo procedimento contenente le medesime censure poste  alla
 base del primo provvedimento.
    Successivamente,  il  16  giugno  1989, questo consiglio nazionale
 dichiarava  non  esservi  luogo  a  provvedere  sul   primo   ricorso
 introdotto   dalla   dott.ssa  Pelletti,  in  quanto  ormai  caducato
 l'interesse  per  essere  stata  ritirata   d'ufficio   la   sanzione
 disciplinare irrogata.
    Nel  frattempo,  a  seguito  della nuova istruttoria, il consiglio
 dell'ordine, riteneva confermati gli addebiti contestati  e  irrogava
 nuovamente   sanzioni  disciplinari  che  la  dott.ssa  Pelletti  ora
 contesta.
    Invero i fatti in base ai quali  e'  stata  disposta  la  sanzione
 della sospensione dall'esercizio professionale per un mese erano tre.
    Il primo fatto consisteva nella tardiva e irregolare comunicazione
 dell'associazione  professionale al competente ordine dei chimici; il
 secondo  consisteva  nell'uso  di  una  denominazione   di   fantasia
 dell'associazione   professionale,   anziche'   nell'utilizzo,   come
 tassativamente previsto dalla legge 23 novembre 1939, n. 1815,  della
 denominazione  di "studio professionale associato" seguito dai nomi e
 cognomi degli associati stessi.
    Col terzo motivo  si  contestava,  sanzionandola  successivamente,
 l'associazione   per   l'esercizio   professionale  tra  la  dott.ssa
 Pelletti, chimico, e altro professionista, iscritto pero' in un altro
 albo professionale, quello dei biologi.
    La dott.ssa Pelletti, ora col suo ricorso, in primo luogo contesta
 l'aspetto formale della sanzione disciplinare, sottolineando, secondo
 la sua interpretazione, la impossibilita' di  irrogare  una  sanzione
 disciplinare  per  gli  stessi  fatti  sui  quali lo stesso consiglio
 dell'ordine si era gia' pronunciato, e, in secondo luogo, lamenta  in
 diritto, con dovizia di argomentazioni, una errata applicazione della
 legge  da  parte  del  consiglio  dell'ordine di Roma che non avrebbe
 tenuto adeguatamente conto della  mancanza  di  un  espresso  divieto
 legale  di esercizio dell'associazione professionale tra appartenenti
 ad albi professionali diversi.
    Dal  punto  di  vista  formale  ritiene questo consiglio nazionale
 infondato  il  primo  motivo  di  ricorso,   perche'   il   consiglio
 dell'ordine  di  Roma  non  si e' pronunciato una seconda volta sugli
 stessi fatti contestati, in quanto  il  divieto  di  nuova  pronuncia
 parte  dalla  considerazione  della  giuridica  esistenza della prima
 pronuncia che tale non e' nel  caso  concreto.  Avendo  il  consiglio
 dell'ordine  di  Roma  ritirata  la  prima  sanzione disciplinare per
 essere  lo  stesso  Ordine  addivenuto  a  considerare   fondate   le
 argomentazioni procedurali gia' proposte dalla dott.ssa Pelletti, ben
 rimane  libero  il  consiglio  dell'ordine di valutare nuovamente gli
 stessi fatti, con nuova e regolare procedura, tanto  piu',  come  nel
 caso  di  specie,  quando  gli  stessi  fatti  permangono nel tempo e
 vengono continuativamente  compiuti  da  parte  dell'incolpata  anche
 successivamente   alla   vicenda   relativa   al  primo  procedimento
 disciplinare.
    Piu' complessa e' invece  la  questione  di  diritto  relativa  al
 secondo  motivo  di  ricorso, alle argomentazioni cioe' fondate sulla
 mancanza di un esplicito divieto legale tra  professionisti  di  albi
 professionali    diversi.   L'ammissibilita'   di   un   associazione
 "interdisciplinare"  fra  professionisti   e'   questione   oltremodo
 discussa   in  dottrina  e  priva  peraltro  di  riscontri  certi  in
 giurisprudenza. Detta questione non puo' trovare una valida soluzione
 alla luce della legge n. 1815/1939, che, se non  vieta  espressamente
 tale  tipo  di  associazione, non offre neppure elementi testuali per
 sancirne la legittimita'. Invero non e' la violazione ad  un  divieto
 legale  imposto  da  norma primaria dello Stato che veniva attribuita
 alla  dott.ssa   Pelletti,   bensi'   la   violazione   delle   norme
 deontologiche  che i consigli degli ordini, nell'esercizio della loro
 funzione  di  tutela   dell'interesse   pubblico   e   della   libera
 professione, hanno piu' volte disposto in ordine al comportamento dei
 propri iscritti in merito alle "associazioni professionali".
    Devono  richiamarsi le indicazioni gia' chiaramente espresse nelle
 direttive  sulla  "associazione  tra  professionisti"  (Giornale   di
 categoria  "Noi  Chimici",  nn.  5,  6,  7, 8 del maggio-agosto 1986,
 raccolta di norme sulla professione del chimico, consegnato  a  tutti
 gli  iscritti)  dove  vengono  trattati  i  punti  fondamentali della
 deontologia  professionale  relativamente   alla   associazione   tra
 professionisti.  In  buona  sostanza, secondo le norme deontologiche,
 l'esercizio    associato    della     professione     a     carattere
 "interdisciplinare" non deve essere fonte o occasione di confusione e
 incertezze  in  ordine  al  ruolo, alle funzioni e alle competenze di
 ciascun professionista associato.
    Il consiglio dell'ordine di Roma, sostiene che un'associazione fra
 professionisti appartenenti ad aree  professionali,  di  specifica  e
 differente capacita' professionale (anche se ritenute equipollenti da
 errate   interpretazioni   della   pubblica   amministrazione,   atti
 amministrativi   ecc.),   pubblicamente   accertata   e   certificata
 attraverso   un   curriculum  universitario  ed  un  esame  di  Stato
 specifici, regolate da leggi e tariffe  completamente  distinte,  non
 puo'  non essere causa di continue confusioni agli occhi degli utenti
 generando  danni  ai  medesimi  i  quali  ricevono   prestazioni   da
 professionisti che non hanno la specifica professionalita', spezzando
 cosi'  quel  nesso indissolubile che deve invece esistere, secondo il
 nostro ordinamento, fra la  singola  prestazione  e  la  persona  del
 professionista,  intesa  questa  come specifica garanzia di capacita'
 professionale   pubblicamente   acclarata   e   di   assunzione    di
 responsabilita'.
    La  dott.ssa  Pelletti,  come  risulta  dagli  atti, ha pienamente
 ammesso di aver preso visione delle norme e dei principi deontologici
 che regolano la professione, in particolare attraverso i documenti di
 cui si e' fatto cenno, e non poteva quindi ignorare  che  i  consigli
 degli  ordini  annettono  particolare  importanza  alla tutela e alla
 salvaguardia  dei  confini   professionali,   ponendo   come   limite
 deontologico  netto il divieto della costituzione di una associazione
 con  professionisti  diversi  quando,   per   la   natura   dell'albo
 professionale  in  cui  l'altro  professionista  e'  iscritto,  vi e'
 possibilita' di favorire un esercizio abusivo della  professione,  o,
 piu' semplicemente, di rappresentare nei confronti dei consociati una
 non  chiara immagine delle rispettive competenze, tenendo a sviare la
 nitidezza  dell'immagine  del  professionista   nei   confronti   del
 pubblico.
    Questo    consiglio    nazionale   deve   pertanto   valutare   la
 verificabilita' o meno della ipotesi sopra prospettata in  ordine  al
 caso  specifico,  in ordine, cioe', ad una associazione professionale
 tra un  chimico  e  un  altro  professionista  appartenente  all'albo
 professionale  dei  biologi,  dovendosi  cosi'  esaminare la legge 24
 maggio 1967, n. 396 "Ordinamento della professione di biologo".
    Gia' fin qui appare la rilevanza della questione interpretativa in
 ordine alla citata legge n.  396/1967.  Effettivamente  l'ordinamento
 professionale  dei  Biologi  puo'  dare  adito a profondi sospetti di
 incostituzionalita' per violazione degli artt. 3 e 33, quinto  comma,
 della  Costituzione,  quindi  a  tale  aspetto  e'  dedicata  in  via
 prioritaria l'attenzione di questo consiglio.
    Qualora infatti non vi fossero problemi interpretativi  in  ordine
 ai  confini  delle  due professioni ecco allora che la verifica sulla
 violazione  delle  norme  deontologiche  attribuita   alla   dott.ssa
 Pelletti  conseguirebbe de plano in senso favorevole all'accoglimento
 del ricorso.
    Che  questa  chiarezza  manchi  la  si  deduce  dalle  diverse   e
 contrastanti  interpretazioni che vengono date all'art. 3 della legge
 24 maggio 1967, n. 396, in ordine all'oggetto  della  professione  di
 biologo. Basti pensare, a titolo di esempio:
       a)   all'individuazione   dell'oggetto  della  professione  del
 biologo operata all'art. 3, primo comma, alle lett. e), f), g), h) ed
 i) cosi' come esplicitata nel decreto  ministeriale  27  marzo  1976,
 recante  approvazione  della tariffa per le prestazioni professionali
 dei biologi (in Gazzetta Ufficiale s.o. n. 88  del  3  aprile  1976),
 seguita  dalla  giurisprudenza amministrativa in questo senso la dec.
 n. 717/76 della prima sezione del tribunale amministrativo  regionale
 del  Lazio,  confermata dalla dec. n. 593/78 della quarta sezione del
 Consiglio di Stato;
       b) alla sentenza del  tribunale  amministrativo  regionale  del
 Lazio  n.  842  del  16  aprile  1987 non confermata dal Consiglio di
 Stato, quarta sezione, sentenza n. 965/91 17 aprile 1990/25  novembre
 1991;
       c)  alla  sentenza tribunale amministrativo regionale del Lazio
 n. 311/89, sezione di Latina, e dal Consiglio di Stato, decisione  n.
 156/92;
       d)  sentenza  istruttoria del pretore di Taranto n. 1285 del 21
 dicembre 1984 nella quale il pretore ha ritenuto la  non  sussistenza
 del  reato di esercizio abusivo della professione di chimico da parte
 dei biologi;
       e) alla legge regionale del Lazio n. 70 del 6 settembre 1979 il
 cui art. 7, modificato dalla legge  regionale  Lazio  n.  82  del  24
 giugno  1980,  che  disciplina gli organici dei laboratori di analisi
 per la diagnostica medica ritenendo equipollenti le  professioni  del
 biologo e del chimico (e addirittura quest'ultima alla professione di
 medico-chirurgo)  nei  settori della analisi chimiche-tossicologiche,
 chimico-cliniche ed analisi chimiche per gli ambienti di lavoro,
       i)  ai  numerosi  successivi  provvedimenti  sia   della   p.a.
 (concorsi,  atti  amministrativi, ecc.) che del legislatore statale e
 regionale nei specifici settori della chimica.
    Questa  mancanza  di  chiarezza  ha  portato  ad   una   oggettiva
 situazione  di  confusione  e  ad  una  sostanziale  coincidenza  fra
 l'attivita' professionale del chimico e quella del  biologo  per  una
 parte   significativa  dei  rispettivi  ambiti  professionali  ed  in
 particolare, rispettivamente, per  prestazioni  di  analisi  chimiche
 (quale  risultano  dall'art.  16  del  regio decreto 1 marzo 1928, n.
 842, e dagli artt. 1, 9, 16 e 18 e allegato del tariffario  nazionale
 approvato  con  la  legge  19  luglio  1957,  n.  679,  e  successive
 modificazioni a  norma  della  legge  20  marzo  1975  n.  56)  e  le
 prestazioni  del  biologo di cui all'art. 3, primo comma, lettere e),
 f), g), h), ed i), della legge n. 396/1967 e indicate nel  tariffario
 decreto ministeriale del 27 marzo 1976.
    La  stessa  legge n. 396/1967, nei successivi art. 6 (che consente
 l'iscrizione  nell'albo  dei  biologi   ai   titolari   di   cattedre
 universitarie in "discipline con applicazioni professionali di indole
 biologica", ancorche' privi di abilitazione professionale) e art. 48,
 cosi' come modificato dall'articolo unico della legge 10 maggio 1970,
 n.  274 (relativo all'iscrizione, in via transitoria di quei laureati
 in scienze naturali, medicina, chimica, farmacia, chimica e farmacia,
 agraria  e  medicina  veterinaria,  i  quali  abbiano  effettivamente
 esercitato   per  un  quinquennio  in  modo  esclusivo  o  prevalente
 "l'attivita che forma oggetto della professione del biologo" e' stata
 ed e'  causa  di  conclusione  e  motivo  di  errate  interpretazioni
 estensive  che  ritengono la professione del biologo equivalente alla
 professione del chimico.
    Cio', a giudizio di questo consiglio,  contrasta  con  l'art.  33,
 quinto comma della Costituzione, perche' attribuisce una equipollenza
 senza  l'esistenza di quel nesso indissolubile che dovrebbe esistere,
 tra formazione di studi ed esame di Stato.
   Simili interpretazioni appaiono per piu' versi in contrasto con gli
 artt. 3 e 33, quinto comma, della Costituzione. Nel regime  cui  sono
 sottoposte  in  Italia le professioni "protette", non dovrebbe essere
 ammissibile una coincidenza di ambiti di  attivita'  tra  professioni
 diverse,  e  cio'  non tanto in ossequio ad un malinteso principio di
 riserva concessa dal legislatore  a  beneficio  di  questa  o  quella
 "corporazione"  di  professionisti,  quanto  invece  come  necessaria
 conseguenza della "logica, stessa del  sistema,  che,  nell'interesse
 della  collettivita'  prima  ancora  che  dei committenti, esige che,
 l'esercizio di  una  determinata  professione  sia  affidato  solo  a
 soggetti,  i  quali  abbiano  percorso un determinato iter formativo,
 stabilito  dall'autorita' pubblica (in genere un corso universitario,
 seguito a volte da un tirocinio pratico), e dimostrino, attraverso un
 esame  pubblico  rivestito  di  particolari  forme  e   garanzie   (e
 prescritto   a   livello   costituzionale),  di  avere  acquisito  le
 conoscense professionali specifiche.
    Ed ancora tali interpretazioni sono senza dubbio  corroborate  dal
 tenore  del secondo comma dello stesso art. 3 della legge n. 396/1967
 (ai termini del quale l'elencazione delle  competenze  contenuta  nel
 primo   comma   "non  limita  l'esercizio  di  ogni  altra  attivita'
 professionale  consentita  ai   biologi   iscritti   nell'albo,   ne'
 pregiudica  quanto  puo'  formare  oggetto  dell'attivita'  di  altre
 categorie di professionisti), che sembra porsi  in  contrasto  con  i
 principi affermati dall'art. 33, quinto comma, della Costituzione, in
 quanto     esso     risulta    ispirato    al    principio    opposto
 dell'intercambiabilita' delle professioni e della  irrilevanza  della
 formazione  professionale  del  singolo professionista e del relativo
 accertamento rispetto all'attivita' poi effettivamente svolta.
    L'art. 348 del c.p. punisce chi esercita  una  professione  "senza
 una  speciale  abilitazione  dello  Stato",  chi  non e' iscritto nel
 rispettivo albo, l'art. 2231 del c.c., sancisce la nullita'  assoluta
 dei  contratti  di prestazione d'opera intellettuale conclusi con chi
 non sia iscritto all'albo.
    Le normative citate dovrebbero  pertanto  riconoscere  al  sistema
 delle professioni intellettuali una esclusivita' che le "protegge" da
 eventuali ingerenze o abusi.
    I  principi  enunciati, in forza dell'art. 33, quinto comma, della
 Costituzione  e  dell'interpretazione  che  ne  ha  dato   la   Corte
 costituzionale,  s'impongono  nei confronti dello stesso legislatore,
 cui  e'  riconosciuta  la  competenza  a  determinare  il   contenuto
 dell'esame  di  Stato  e  le  relative  condizioni  di  ammissione, a
 condizione pero' che le prove siano tali da assicurare un  "serio  ed
 oggettivo"   accertamento   del  "concreto  possesso"  da  parte  dei
 candidati,  della  preparazione,  attitudine  e   capacita'   tecnica
 necessaria    perche'    "dall'esercizio    pubblico   dell'attivita'
 professionale i cittadini" possano giovarsi con fiducia  (cfr.  Corte
 costituzionale  n.  43/1972 e 174/1980); cosi' che sarebbe certamente
 incostituzionale una normativa la quale contemplasse esami  di  Stato
 non  idonei  allo  scopo ed ammettesse a sostenerli siano soggetti il
 cui curriculum degli studi  formativi  non  offrisse  serie  garanzie
 circa il possesso del bagaglio di conoscenze ed esperienze necessarie
 allo  svolgimento dell'attivita' professionale cui gli esami di Stato
 abilitino.
    Di conseguenza l'art. 3, primo comma, lettere e), f),  g),  h)  ed
 i),  della  legge  n.  396/1967, cosi' come comunemente interpretato,
 sembra porsi in contrasto, oltre che con  l'art.  33,  quinto  comma,
 della Costituzione, anche con l'art. 3 della Carta costituzionale, in
 quanto  a livello interpretativo, in sostanza i biologi sono indicati
 come abilitati  anche  all'esercizio  di  una  notevole  parte  della
 professione   del   chimico,   effettuando   cosi'   una   arbitraria
 equipollenza fra laurea in chimica e laurea in biologia, tra  l'esame
 di Stato di chimico e l'esame di Stato di biologo, tra la professione
 di  chimico  e  la  professione  di  biologo, trattando cosi' in modo
 eguale situazioni giuridicamente diseguali. La disposizione in parola
 viola quindi l'art. 3 della Costituzione e la  violazione  diverrebbe
 addirittura  microscopica ove alla legge n. 396/1967 venisse data una
 interpretazione estensiva,  come  d'altronde  viene  data  da  alcune
 sentenze richiamate, giacche' questa implicherebbe che la sola laurea
 in  biologia  equivalga  alla  laurea  in chimica e alla abilitazione
 all'esercizio della professione di chimico (art.  6  della  legge  n.
 396/1967)  o  che  siano equipollenti, oltre i due titoli di laurea e
 anche i due titoli di abilitazione alla professione di chimico  e  di
 biologo.
    Ma  non  e'  compito  di  questo  consiglio  valutare  i  riflessi
 costituzionali  della  questione,  non  potendosi  qui   disattendere
 l'esistenza  di  letture  interpretative  dell'art.  3 della legge n.
 396/1967 che, traendo le mosse da  una  supposta  non  chiarezza  dei
 confini  tra  la  professione  del  chimico  e  della professione del
 biologo, ovvero tra la chimica e la biologia, tendono ad espandere la
 lettura applicativa delle  citate  norme,  dando  alle  norme  stesse
 quelle  caratteristiche  che  non possono non ridondare sugli aspetti
 deontologici di cui s'e' detto.
    In realta', secondo una piana lettura dell'art. 3 della  legge  24
 maggio  1967,  n.  396,  il  succedersi  delle competenze del biologo
 sarebbe  conforme  alle  necessarie  distinzioni  professionali,   in
 rapporto   alle   competenze  e  agli  studi  pregressi,  nonche'  di
 conseguenza, all'art. 33, quinto comma,  della  Costituzione  e  alle
 stesse norme deontologiche.
    La  lettura  dei  distinti punti dell'oggetto della professione di
 biologo,   riportati   al   citato   art.    3,    insiste    infatti
 continuativamente   sull'aspetto  "biologico"  delle  competenze  dei
 biologi. E le analisi, i controlli, le  perizie,  le  identificazioni
 proprie della professione di biologo sono sempre e costantemente con-
 siderate   solo   come  "biologiche",  ovvero  "dal  punto  di  vista
 biologico", il che  e'  assolutamente  difforme  dal  significato  di
 "chimico".
    Ed  infatti  e'  noto  che  l'analisi  e'  "un  metodo  di  studio
 consistente  nello  scomporre  un  tutto  nelle  sue  componenti  per
 esaminarle una per una, traendone le debite conclusioni" (Varie Enc.)
 e  che  l'aggettivo  specifica in quali sue componenti il tutto viene
 scomposto, e quali siano le debite conclusioni.
    Per cui non puo' revocarsi in dubbio  che  per  analisi  biologica
 debba  intendersi:  "Metodo  di studio consistente nello scomporre un
 tutto (materiale) nelle sue componenti biologiche per esaminarle  una
 per una, traendone le debite conclusioni biologiche".
    In  altre  parole  non e' ne' logico, ne' scientifico, ne' di buon
 senso pensare che, un laureato in biologia e abilitato  all'esercizio
 della  professione e con una preparazione chimica di base inesistente
 o molto scarsa  rispetto  a  quella  del  chimico,  possa  effettuare
 professionalmente   le   stesse   prestazioni   di  analisi  chimiche
 (quest'ultime effettuate per stabilire la natura e la percentuale dei
 componenti chimici della materia in genere cioe'  le  sostanze  o  le
 miscele  di  sostanze)  del  laureato e abilitato all'esercizio della
 professione del chimico, cio' significherebbe che il corso di  laurea
 in chimica e' inutile per apprendere le conoscenze per lo svolgimento
 ed   esecuzione   delle   prestazioni  di  analisi  chimiche  per  la
 identificazione o determinazione di sostanze o  miscele  di  esse  in
 quanto   possono   essere   eseguite  sia  da  persona  culturalmente
 preparata, sia da persona impreparata ovvero da persona  in  possesso
 dell'esame di abilitazione all'esercizio della professione di chimico
 o non in possesso di esso.
    Da  qui  la  particolare  preoccupazione  che  viene  espressa nei
 confronti dell'associazione professionale con professionisti iscritti
 in albo  diversi,  associazione  che  viene  ritenuta  d'ostacolo  al
 corretto  svolgimento  della  attivita' professionale stessa sotto il
 profilo della personalita' della prestazione e  dell'intero  rapporto
 committente/professionista  e  in  quello, immediatamente conseguente
 della responsabilita', nonche' in quello, della misura  del  compenso
 stabilito  dalle  rispettive  tariffe professionali. Secondo l'ordine
 procedente l'esercizio associato  "interdisciplinare"  non  puo'  non
 essere  fonte e occasione di confusione nei confronti degli utenti in
 ordine al ruolo, alle  lunzioni  ed  alle  conoscenze  specifiche  di
 ciascun professionista associato, quando si tratta - come nel caso di
 specie  -  di professionisti (chimici e biologi) appartenenti ad aree
 professionali che hanno diversa impostazione di studi universitari  e
 preparazione  per affrontare l'esercizio professionale, ma che per il
 committente e addirittura per la p.a. sembrerebbero contigue  per  le
 confusioni  che  sono  state  generate  e  continuano a generare atti
 amministrativi, concorsi ed alcuni interventi della magistratura.
    Queste sono le motivazioni professionali,  al  di  la'  di  alcuni
 fatti  che  indubbiamente  ha  attirato  l'attenzione  e suscitato le
 maggiori preoccupazioni in seno al consiglio dell'ordine, e  che  con
 ogni  probabilita'  hanno  anche  indotto l'Autorita' disciplinare ad
 intervenire con relativa severita'. Le interpretazioni della  p.a.  e
 giurisdizionali  sembrano  aprire  agli iscritti all'albo dei biologi
 settori di attivita' professionale dei chimici, senza che il  curric-
 ulum  universitario e le prove previste per il superamento dell'esame
 di  Stato  offrano  sufficienti  garanzie  in  ordine  al   "concreto
 possesso"  da  parte  dei candidati della "preparazione, attitudine e
 capacita' tecniche necessarie" per un corretto e affidabile esercizio
 di tale attivita'.
    D'altronde il vigente tariffario dei biologi d.m.  27  marzo  1976
 che  riporta  un  gran  numero  di prestazioni di analisi chimiche ha
 creato  una  netta  incertezza  e  una  conseguente   interpretazione
 estensiva  della  legge  n.  396/1967  da  parte  di  alcune sentenze
 giurisdizionali  (gia'  richiamate)  hanno  provocato  una   notevole
 confusione.
    E  di cio' si fa carico anche l'emananda tariffa professionale dei
 biologi. Nel testo in via di approvazione da parte del  Ministero  di
 grazia  e  giustizia  dove sono ricompresi anche settori di attivita'
 dei professionisti chimici e riprendono quasi interamente la legge l9
 luglio 1957, n. 679, e  successive  modificazioni.  Certamente,  alla
 luce  della corretta interpretazione dell'art. 3 dell'ordinamento dei
 biologi  il  provvedimento  tariffario,   essendo   inferiore   nella
 gerarchia  delle  fonti,  non  potrebbe  in  nessun  modo  comportare
 equivoci di ruoli. Ma, alla luce delle  contrastanti  interpretazioni
 dianzi  citate,  la  eventuale  emanazione  della tariffa dei biologi
 comporterebbe una  situazione  di  indubbia  incertezza  e  ulteriore
 confusione  del  diritto  che  non  puo'  non  reclamare l'autorevole
 intervento di codesto giudice delle leggi.
    Da tutto cio', dunque, la rilevanza ai fini del presente  giudizio
 e  la  non  manifesta  infondatezza della legittimita' costituzionale
 della norma. Se le interpretazioni estensive delle  autorita',  anche
 giurisdizionali,  citate, trovassero infatti il loro fondamento nella
 Costituzione  ecco che le norme deontologiche applicate alla dott.ssa
 Pelletti avrebbero il loro significato e  la  loro  ragion  d'essere,
 mentre, se l'interpretazione dell'art. 3 dell'ordinamento dei biologi
 distinguesse   chiaramente  tra  la  professione  del  chimico  e  la
 professione del biologo  ecco  che  questo  Consiglio  nazionale  non
 potrebbe  che  concludere  per  l'insussistenza  delle  accuse  mosse
 all'iscritta. E di questa dichiarazione  di  parziale  illegittimita'
 interpretativa  non  puo'  che farsi carico la Corte costituzionale a
 cui, con la presente ordinanza questo consiglio nazionale rimette gli
 atti.