ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 132 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), promosso con ordinanza emessa il 26 febbraio/30 aprile 1993 dal Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, sezione di Brescia, sul ricorso proposto da Zamboni Stella contro il Ministero della pubblica istruzione ed altro, iscritta al n. 353 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell'anno 1993; Visto l'atto di costituzione di Zamboni Stella, nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nell'udienza pubblica del 30 novembre 1993 il Giudice relatore Mauro Ferri; Uditi l'avv. Federico Sorrentino per Zamboni Stella e l'Avvocato dello Stato Carlo Carbone per il Presidente del Consiglio dei ministri; Ritenuto in fatto 1. - Con ordinanza emessa il 30 aprile 1993, il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia - sezione di Brescia - ha sollevato questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 35, primo comma, e 97, primo comma, della Costituzione, dell'art. 132 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, "nella parte in cui non prevede che il pubblico dipendente gia' cessato dal servizio per infermita', ovvero per superamento del periodo massimo di aspettativa per infermita', possa presentare istanza di riassunzione". Il giudice a quo premette, in punto di fatto, che la ricorrente, gia' insegnante di ruolo presso una scuola media statale e dispensata dal servizio nel 1987, ai sensi dell'art. 129 del citato d.P.R. n. 3 del 1957, per aver superato il periodo massimo di aspettativa concesso per motivi di salute, ha impugnato il provvedimento con cui il Provveditore agli studi di Brescia ha respinto l'istanza di riammissione in servizio da lei presentata sulla base delle sue ristabilite condizioni di salute. Cio' posto, il remittente osserva che, ai sensi della norma censurata (cui rinvia l'art. 115 del d.P.R. 31 maggio 1974, n. 417, relativo al personale della scuola), la riammissione in servizio puo' essere accordata in favore di colui che sia cessato dall'impiego per dimissioni o per collocamento a riposo, ovvero per decadenza, ma limitatamente ai casi previsti dalle lettere b e c dell'art. 127 del d.P.R. n. 3 del 1957. Da cio' si evince che la riammissione in servizio e' preclusa nelle sole ipotesi di decadenza dall'impiego connessa ad effetti irreversibilmente impeditivi per la valida costituzione di un rapporto di lavoro subordinato con la pubblica amministrazione (cfr. lettere a e d del citato art. 127). Risulta, invece, irrazionale, prosegue il remittente, la mancata previsione della possibilita' di riammettere in servizio coloro che siano stati dispensati per motivi di salute e che evidenzino, a seguito di convincenti riscontri medici acclarabili anche dalla stessa pubblica amministrazione, l'integrale riacquisto della precedente capacita' lavorativa. Ne' e' possibile una lettura estensiva dell'art. 132 in esame, la cui elencazione deve considerarsi tassativa, anche sulla scorta della costante giurisprudenza, che ha escluso la possibilita' di interpretare il termine "collocamento a riposo" in senso diverso dai casi di cessazione dal servizio conseguenti alla maturazione di de- terminate anzianita' quiescibili. Sembra, pertanto, al remittente che la norma censurata violi, in primo luogo, l'art. 35, primo comma, della Costituzione, in quanto la tutela del lavoro per essere effettiva deve anche farsi carico, ove possibile, di reinserire nell'attivita' lavorativa il soggetto che e' cessato dalla malattia; in secondo luogo, l'art. 3 della Costituzione, poiche' discrimina immotivatamente il lavoratore che ha riacquistato la precedente capacita' lavorativa rispetto agli altri soggetti ai quali invece e' consentito presentare istanza di riassunzione; infine, l'art. 97, primo comma, della Costituzione, sia sotto il profilo dell'imparzialita' che sotto quello del buon andamento dell'amministrazione. 2. - Si e' costituita nel presente giudizio Zamboni Stella, ricorrente nel giudizio a quo, concludendo per l'accoglimento della questione. Osserva la difesa della parte privata che l'istituto della dispensa dal servizio da un lato presenta punti in comune con i casi di cessazione dal rapporto indicati dall'impugnato art. 132 per i quali e' ammessa la riassunzione, mentre, dall'altro, sembra nettamente distinguersi dalle altre fattispecie che con essa seguono la sorte della esclusione della possibilita' di riammissione. Sotto il primo profilo, infatti, la dispensa per infermita' presenta motivi non meno validi e ragionevoli per consentire la riammissione rispetto alle altre ipotesi di cessazione del rapporto contemplate nella norma impugnata, ed anzi sembra paradossale tale preclusione rispetto, ad esempio, ai casi di cui all'art. 127, lett. b e c, che contemplano la decadenza dal servizio, rispettivamente, per aver accettato una missione o altro incarico da un'autorita' straniera senza autorizzazione e per non aver assunto o riassunto servizio entro un termine prefissato o per essere rimasti assenti dall'ufficio per un certo periodo. Sotto il secondo profilo, prosegue la difesa della parte privata, in ordine agli altri casi di cessazione dal servizio parimenti esclusi dalla riammissione sussistono certamente valide giustificazioni, quali la presenza di incompatibilita' o la mancanza di requisiti soggettivi (artt. 127, lett. a, e 63), la invalidita' insanabile dei documenti (art. 127, lett. d), la esistenza di limiti fisiologici o psicologici che non consentono al soggetto di esplicare l'attivita', ovvero profili di carattere sanzionatorio (art. 129). In definitiva, conclude la difesa, poiche' la ratio sottesa alla dispensa per motivi di salute tende ad accostare tale istituto alle ipotesi di cessazione dall'impiego per cause indipendenti dalla volonta' dell'interessato e naturalisticamente reversibili, l'esclusione della possibilita' di riammissione costituisce un trattamento deteriore non assistito da alcuna valida ragione giustificativa. 3. - E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, il quale ha concluso per l'inammissibilita' o l'infondatezza della questione, rilevando che la norma in esame presenta carattere di specialita' e come tale e' rimessa, quanto al suo contenuto, alla libera scelta del legislatore. Considerato in diritto 1. - Il TAR della Lombardia - sezione di Brescia - ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 132 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 "nella parte in cui non prevede che il pubblico dipendente gia' cessato dal servizio per infermita', ovvero per superamento del periodo massimo di aspettativa per infermita', possa presentare istanza di riassunzione". Premesso che l'elencazione, contenuta nella norma impugnata, delle cause di cessazione del rapporto d'impiego non ostative alla riammissione deve considerarsi - secondo la concorde giurisprudenza - tassativa, il Collegio remittente osserva che la pur ampia discrezionalita' legislativa che connota l'istituto in esame deve tuttavia fondarsi su criteri di ragionevolezza, con i quali contrasta la mancata previsione della possibilita' di riammettere in servizio coloro che siano stati dispensati per motivi di salute e che poi evidenzino l'integrale riacquisto della precedente capacita' lavorativa. La norma censurata violerebbe, pertanto, l'art. 3 della Costituzione, per irrazionale discriminazione dei detti soggetti rispetto agli altri per i quali, pur essendo la cessazione dal servizio parimenti connessa ad eventi non irreversibili, la riammissione e' invece possibile; l'art. 35, primo comma, della Costituzione, per violazione della tutela del lavoro, la quale, per essere effettiva, deve farsi carico di reinserire nell'attivita' lavorativa il soggetto che e' cessato dalla malattia; infine, l'art. 97, primo comma, della Costituzione, sotto entrambi i profili della imparzialita' e del buon andamento della pubblica amministrazione. 2. - La questione e' fondata. L'art. 132 del d.P.R. n. 3 del 1957 prevede che puo' essere riammesso in servizio, sentito il parere del Consiglio di amministrazione, l'impiegato cessato dal servizio per dimissioni, per collocamento a riposo, o per decadenza nei casi di cui alle lettere b e c dell'art. 127, che prevedono rispettivamente l'accettazione di una missione o di altro incarico da un'autorita' straniera senza autorizzazione del Ministro, e la ingiustificata mancata assunzione o riassunzione del servizio entro il termine prefissato, od assenza dall'ufficio per un determinato periodo minimo. Restano escluse dall'ambito applicativo della norma, e pertanto precludono la riammissione, tutte le altre ipotesi di cessazione del rapporto d'impiego, vale a dire, oltre alla dispensa per motivi di salute qui in discussione, la dispensa per incapacita' o per persistente insufficiente rendimento (art. 129 del T.U.); la decadenza per incompatibilita', o per perdita della cittadinanza, o a seguito dell'accertamento che l'impiego fu conseguito mediante produzione di documenti falsi o viziati da invalidita' insanabile (artt. 63 e 127, lett. a e d, del T.U.); la destituzione, nonche' altri casi marginali. Dall'esame di tale quadro normativo della materia emerge che la mancata inclusione della dispensa per motivi di salute tra le cause di cessazione dal servizio non ostative alla riammissione (e, correlativamente, la sua assimilazione alle fattispecie preclusive della ricostituzione del rapporto) appare sfornita di razionale giustificazione. Invero, pur non essendo del tutto agevole individuare una precisa ed univoca ratio discriminatrice tra le due anzidette categorie di cause di cessazione dal servizio, basta osservare, ai fini che qui interessano, che la dispensa per motivi di salute si fonda su una situazione (lo stato di infermita') la quale, da un lato, e' ovviamente indipendente dalla volonta' dell'interessato - per cui certamente esula dal provvedimento una valutazione negativa del comportamento dell'impiegato (e comunque qualsiasi profilo sanzionatorio) -; dall'altro non puo' considerarsi in assoluto irreversibile, tanto piu' alla luce delle odierne cognizioni della scienza medica. In presenza di dette caratteristiche, e tenuto conto del rilievo che l'istituto della riammissione in servizio, seppure non possa definirsi di carattere generale, ha tuttavia una portata cosi' ampia che esclude una qualificazione stricto sensu derogatoria, deve ritenersi che l'aver precluso in radice, sulla base evidentemente di una presunzione assoluta di irreversibilita' dello stato di infermita', la possibilita' della riammissione di chi sia stato dispensato dal servizio per motivi di salute integri la violazione del principio di eguaglianza: detti soggetti, infatti, vengono sottoposti ad un trattamento irrazionalmente deteriore rispetto a quelli per i quali invece, ai sensi della norma impugnata, tale possibilita' e' ammessa, pur versando i primi in situazione certamente degna di non minore tutela. Ad abundantiam va rilevato che la disciplina concernente il personale delle unita' sanitarie locali, pur riproducendo in sostanza il d.P.R. n. 3 del 1957 in tema di cessazione del rapporto d'impiego, comprende tra le cause di cessazione che consentono la riammissione in servizio la dispensa per motivi di salute (cfr. art. 59 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761). Restano assorbiti i profili di censura relativi agli artt. 35 e 97 della Costituzione. 3. - Va pertanto dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'impugnato art. 132, primo comma, del d.P.R. n. 3 del 1957, nella parte in cui non include, nel novero delle cause di cessazione dal servizio in presenza delle quali e' possibile la riammissione, la dispensa per motivi di salute, comprendendo ovviamente in tale dizione entrambe le ipotesi in cui il provvedimento puo' essere adottato, a seconda cioe' che esso consegua o meno alla scadenza del periodo massimo di aspettativa (artt. 71 e 129 del d.P.R. medesimo). E' appena il caso di rilevare, infine, che, secondo consolidati principi, l'amministrazione, nel decidere sull'istanza di riammissione, deve procedere al rigoroso accertamento dei requisiti oggettivi e soggettivi previsti dalla legge, e possiede comunque un ampio potere discrezionale nella valutazione dell'esistenza dell'interesse pubblico all'adozione del provvedimento.