ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale degli artt. 79, terzo
 comma, 555,  terzo  comma,  e  558,  secondo  comma,  del  codice  di
 procedura  penale, promosso con ordinanza emessa il 19 marzo 1993 dal
 Pretore di Brescia - Sezione distaccata di Gardone  Val  Trompia  nel
 procedimento penale a carico di Torri Alberto, iscritta al n. 277 del
 registro  ordinanze  1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell'anno 1993;
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 15 dicembre 1993 il Giudice
 relatore Giuliano Vassalli;
    Ritenuto che, con ordinanza del 23 gennaio  1992,  il  Pretore  di
 Brescia  -  Sezione  distaccata di Gardone Val Trompia, sollevava, in
 riferimento agli artt.  3  e  24  della  Costituzione,  questione  di
 legittimita'  degli artt. 555, terzo comma, e 558, secondo comma, del
 codice  di  procedura  penale,  questione   che   veniva   dichiarata
 inammissibile  da  questa Corte con ordinanza n. 491 del 1992 perche'
 le norme denunciate avevano gia'  realizzato  la  loro  funzione  nel
 processo  a quo e perche', inoltre, una delle questioni non risultava
 incentrata sulla norma effettivamente da evocare, e  cioe'  sull'art.
 79, terzo comma, del codice di procedura penale;
      che,  con  ordinanza del 19 marzo 1993, lo stesso Pretore - dopo
 aver espresso riserve circa la pronuncia  di  inammissibilita'  -  ha
 sollevato,  in  riferimento  agli  artt.  3  e 24 della Costituzione,
 questione di legittimita' degli artt. 555, terzo comma, 558,  secondo
 comma,  del  codice  di procedura penale, nella parte in cui le prime
 due norme non prevedono rispettivamente che alla persona  offesa  dal
 reato  non  venga notificato il decreto di citazione a giudizio e che
 anche per la persona offesa decorrano, come per l'imputato, i termini
 minimi di comparizione di giorni quarantacinque, e l'art.  79,  terzo
 comma,  dello  stesso  codice  non  rinvia  anche  ai  termini di cui
 all'art. 567, secondo comma, ma soltanto a quelli di cui all'art. 468
 del codice di procedura penale;
      che nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio  dei
 ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  Generale  dello
 Stato, chiedendo che le questioni siano  dichiarate  inammissibili  e
 comunque non fondate;
    Considerato  che  l'esame  della  seconda questione e' logicamente
 prioritario rispetto alle altre due, in quanto  la  necessita'  della
 notifica alla persona offesa dal reato del decreto di citazione ed il
 regime connesso alla presentazione delle liste nel giudizio pretorile
 risultano  chiaramente condizionate dalla brevita' dei termini tra la
 notifica della citazione e la data fissata per il  dibattimento,  con
 la conseguenza che anche l'esercizio del diritto alla prova su cui si
 incentrano  le  altre due questioni resterebbe comunque salvaguardato
 in presenza di un diverso termine per la citazione in giudizio  della
 persona  offesa, tanto da far desumere che le censure concernenti gli
 artt. 79, terzo comma, e 555, terzo comma, del  codice  di  procedura
 penale  siano state proposte subordinatamente al mancato accoglimento
 di quella avente ad oggetto l'art. 558, secondo comma,  dello  stesso
 codice;
      che  questa  Corte,  con  sentenza  n.  453  del  1992,  ha gia'
 dichiarato inammissibile la questione di legittimita'  costituzionale
 dell'art. 558, secondo comma, del codice di procedura penale, proprio
 nella  parte  in  cui, nel procedimento davanti al pretore, "limita a
 soli cinque giorni precedenti l'udienza dibattimentale  la  citazione
 della persona offesa";
      che  in  tale situazione, pur dandosi atto "che, nell'ambito del
 processo pretorile, il termine minimo di  cinque  giorni  dalla  data
 fissata  per  il  dibattimento  per la citazione della persona offesa
 puo' in taluni casi vanificare, di fatto, il diritto  di  costituirsi
 parte  civile  soprattutto  quando  sia  in  gioco  la  citazione del
 responsabile civile", si ritenne preclusa dall'"assenza di un tertium
 comparationis   ricavabile   dal   sistema"    qualsiasi    decisione
 manipolativa    in    grado    di   pervenire   ad   "una   soluzione
 costituzionalmente obbligata", cosi' da  fronteggiare  le  ipotizzate
 incongruenze  derivanti  dall'applicazione  della  norma sottoposta a
 censura;
      che, piu' in particolare, si ravviso' l'assoluta  impossibilita'
 di  un  intervento  della  Corte tale da incidere sul vigente assetto
 normativo in modo da equiparare la posizione della persona  offesa  a
 quella  dell'imputato,  non  soltanto per la diretta interferenza del
 temine minimo di quarantacinque giorni di  cui  all'art.  555,  terzo
 comma, del codice di procedura penale con la scelta, riservata solo a
 quest'ultimo, di utilizzare i riti di deflazione del dibattimento, ma
 anche per la diversita' delle situazioni poste a raffronto, in quanto
 "non  rivestendo ancora la persona offesa" nel procedimento pretorile
 - ove e' assente  l'udienza  preliminare  -  la  qualita'  di  parte,
 "l'applicazione  ad  essa dello stesso termine assegnato all'imputato
 comporterebbe l'operativita', questa volta davvero irragionevole, "di
 un identico regime rispetto a situazioni non omogenee";
      che nella medesima pronuncia fu pure preso in considerazione "il
 ricorso al termine previsto per  la  persona  offesa  dal  reato  nel
 procedimento davanti al tribunale ed alla corte di assise (esteso, in
 via  interpretativa, al responsabile civile dalla sentenza n. 430 del
 1992)", ma  la  soluzione  fu  anch'essa  ritenuta  non  perseguibile
 "perche' tale termine finirebbe con l'interferire, travolgendola, con
 la  duplicita'  dei  termini  previsti dall'art. 555, con conseguenti
 riverberi sull'intero  assetto  normativo  collegato  alla  citazione
 delle parti nel processo pretorile";
      che,  quindi,  "poiche'  le soluzioni possibili al fine di porre
 rimedio al regime  predisposto  dall'art.  558,  secondo  comma,  del
 codice  di  procedura  penale,  si  profilano  come discrezionali, va
 ribadito che "la scelta del termine congruo per  la  citazione  della
 persona  offesa nel giudizio pretorile non appartiene alla competenza
 di questa Corte, dovendo essere affidata al legislatore" (v., ancora,
 sentenza n. 453 del 1992);
      che, oltre tutto - anche  allo  scopo  di  assicurare  un  esito
 normativo  a  talune  decisioni  di  inammissibilita'  pronunciate da
 questa Corte nelle quali veniva segnalato come  solo  il  legislatore
 potesse  intervenire  rispetto  a  situazioni  di dubbia legittimita'
 costituzionale - un'iniziativa legislativa risulta essere stata  gia'
 avanzata,  avendo  il  Ministro  di  Grazia e Giustizia presentato il
 disegno di legge recante "Modifiche al codice di procedura penale  in
 materia  di  procedimento  pretorile"  (Senato  della  Repubblica, XI
 legislatura, disegno di legge n. 1087, comunicato alla presidenza  il
 18  marzo  1993),  con il quale e' stato in gran parte ridisegnato il
 procedimento davanti al pretore contemplato  dal  vigente  codice  di
 rito,  sulla  base di "una profonda riflessione sul complesso di tale
 procedimento" riguardo  al  quale  e'  risultata  "insufficiente  una
 revisione  che si limiti ad aggiustamenti e correttivi" (v. Relazione
 al detto disegno di legge n. 1087);
      che,  piu'   in   particolare,   nell'ambito   di   una   simile
 rivisitazione   del  procedimento  in  esame  ha  trovato  posto  una
 complessiva riformulazione del regime dei  termini  per  comparire  -
 attraverso  la  parificazione dei termini stessi, adesso diversamente
 articolati in relazione alle varie parti private - prevedendosi (art.
 3, sostitutivo degli artt. 555 e 558 ed abrogativo degli  artt.  556,
 557  e  559  del  codice  di  procedura  penale)  che  "Il decreto e'
 notificato all'imputato, al  suo  difensore  e  alla  persona  offesa
 almeno trenta giorni prima della data fissata per il giudizio";
      che  l'intrinseca  connessione della questione avente ad oggetto
 l'art. 558, terzo comma, con le altre, aventi ad  oggetto  gli  artt.
 555,  terzo  comma, e 79, terzo comma, del codice di procedura penale
 esime questa Corte  da  ogni  pronuncia  in  merito  alla  denunciata
 mancata  previsione  della  notifica  del  decreto  di citazione alla
 persona offesa, il tutto a prescindere da ogni problema relativo alla
 rilevanza  polemicamente  affermata  dal  rimettente  nonostante   le
 statuizioni contenute nell'ordinanza n. 491 del 1992;
      che,  dunque,  tutte  le  questioni  ora  proposte devono essere
 dichiarate manifestamente inammissibili;
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale;