IL PRETORE Nella causa promossa da Rosa Persico contro l'INPS; Letti gli atti e sciogliendo la riserva; R I L E V A 1. - La ricorrente, sulla premessa di fruire di trattamento pensionistico, con decorrenza 1 febbraio 1992, a seguito del prepensionamento previsto dall'art. 27, primo comma, della legge n. 223, del 23 luglio 1991, lamenta l'impossibilita' di poter far valere la massima anzianita' contributiva, a causa del limite posto da detta norma. Deduce, in particolare, che il beneficio della maggiorazione contributiva ivi stabilito si atteggia diversamente sol che si riferisca a lavoratori ovvero a lavoratrici. Sostiene, di conseguenza, che tale trattamento discriminatorio, basato esclusicamente sul sesso, inficia la ripetuta norma, fino al vizio d'incostituzionalita'. Solleva, altresi', la relativa questione. 2. - L'art. citato beneficia i lavoratori di alcune categorie di imprese industriali, i quali possano vantare almeno trent'anni di anzianita' contributiva e assicurativa, di una maggiorazione di quest'ultima, pari al periodo necessario per la maturazione del requisito dei trentacinque anni "ed in ogni caso non superiore al periodo compreso tra la data di risoluzione del rapporto e quella del compimento di sessanta anni, se uomini, o di cinquantacinque, se donne". 3. - La questione rileva ai fini del decidere, nel senso che, vigente l'art. in commento, la domanda non meriterebbe accoglimento, laddove, al contrario, la declaratoria d'incostituzionalita', nei termini prospettati dalla ricorrente, eleminerebbe l'ostacolo al riconoscimento della di lei massima anzianita' contributiva, costituito dal differenziato trattamento introdotto da detta normativa (la Persico e' nata il 12 aprile 1940 ed e' in pensione con decorrenza 1 febbrio 1992; non puo', dunque, avvalersi dell'intero quinquennio di maggiorazione). Al riconoscimento, poi, corrisponderebbe un immediato riscontro pecuniario sui ratei pensionistici, sul cui ammontare le parti danno indicazioni concordi. 4. - Non puo' nemmeno ravvisarsi la manifesta infondatezza della ripetuta questione, in relazione agli artt. 3 e 37 della Costituzione. Infatti, posto che, in ossequio degli stessi, l'eta' lavorativa e' uguale sia per l'uomo che per la donna (si vedano, al proposito, le pronunce della Corte costituzionale di cui al successivo punto 5), non trova agevole giustificazione un regime che gratifichi di una differente anzianita' contributiva la lavoratrice rispetto al lavoratore, quando entrambi si siano avvalsi della possibilita' del pensionamento anticipato, alla maturazione di un trentennio lavortivo. In effetti, la norma di che trattasi consente, ad esempio, che la donna prepensionata cinquantaquattrenne possa ottenere un "abbuono" solo di un anno, mentre l'uomo di pari eta' lo possa far valere nella massima misura. Ne' pare condivisibile l'assunto che vorrebbe giustificate tali differenziate limitazioni, sul rilievo - in primo luogo - che il pensionamento anticipato e' una facolta' - e non un obbligo - e, in fondo, consente di conseguire un beneficio che deve considerarsi aggiuntivo rispetto al "normale" trattamento pensionistico e, in quanto tale, puo' essere erogato dal legislatore con ampi margini di discrezionalita', essenso il soggetto meno gratificato comunque avvantaggiato dal pur minore beneficio e - in secondo luogo - che la posizione di sfavore discendente dall'art. 27, primo comma, della legge n. 223/1991 e' ampiamente compensata, per la donna lavoratrice, dalla generale possibilita', a lei concessa dall'ordinamento, di andare in pensione prima dell'uomo. Quanto a quest'ultimo punto, va osservato che non puo' ritenersi sussistere alcuna sinallagmaticita' tra i due termini di comparazione, se non altro poiche' detta possibilita' e' connessa alla soddisfazione ed al contemperamento di altre esigenze, esclusivamente proprie della donna e totalmente estranee alla materia qui trattata. Per cio' che concerne, invece, l'altro rilievo, e' agevole replicare che ogni beneficio di legge, una volta che si trasfonda in una corrispondente posizione giuridica soggettiva tutelata, non puo' certo essere attribuito a diversi soggetti in violazione del principio di parita' di trattamento. E allora, dal momento che non e' dato riscontrare alcuna diversita' di presupposti alla quale riferire il differente regime previsto dall'articolo citato, non rimane che ritenere effettivamente il medesimo basato solo sul sesso. Donde il dubbio d'incostituzionalita'. 5. - La vicenda, ad avviso dello scrivente, si pone in termini analoghi rispetto a quella in precedenza giunta al vaglio della Corte costituzionale ed avente ad oggetto i pensionamenti anticipati del settore siderugico, ammessi da una normativa poi dichiarata parzialmente incostituzionale (art. 16 legge n. 155/1981, art. 1 legge n. 193/1984 e art. 2, secondo comma d.l. n. 120/1989, convertito in legge n. 181 del 1989, in relazione agli artt. 3 e 37 della Costituzione). La Corte pervenne alla relativa declaratoria osservando (sentenze nn. 371 del 6 luglio 1989 e 503 del 30 dicembre 1991) che "l'eta' lavorativa e' uguale sia per l'uomo che per la donna .. e, del resto, non vi e' dubbio che il prepensionamento sia una forma di cessazione anticipata del rapporto di lavoro per cause eccezionali e che, quindi, esso incida sull'eta' lavorativa (sentenza n. 1108/1988). In tale situazione l'anzianita' contributiva non puo' non riconoscersi in misura uguale per l'uomo e per la donna, avendo essi pari diritto a lavorare fino alla stessa eta'". 6. - Conseguentemente a quanto finora esposto, il giudizio non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale: deve, pertanto, disporsene la sospensione, con immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, a cura della cancelleria.