Ricorso del presidente della giunta regionale del Friuli-Venezia Giulia, rappresentato e difeso - come da procura in calce - dall'avv. Renato Fusco, avvocato della regione, e dall'avv. Gaspare Pacia del Foro di Trieste, con domicilio eletto presso l'ufficio della regione in Roma, piazza Colonna n. 355, ricorrente, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri, per la dichiarazione dell'illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 5, comma 23, comma 38, comma 39, comma 41 e comma 66 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, concernente "Interventi correttivi di finanza pubblica", pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 28 dicembre 1993, n. 121. Con l'art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, il Governo della Repubblica, fu delegato ad emanare uno o piu' decreti legislativi "diretti al contenimento, alla razionalizzazione e al controllo della spesa per il settore del pubblico impiego, al miglioramento dell'efficienza e della produttivita', nonche' alla sua riorganizzazione", nel rispetto dei principi e criteri direttivi, elencati nello stesso articolo. Di questo art. 2, e' a ricordare - per quel che piu' avanti si dira' - il secondo comma dove e' scritto che "le disposizioni del presente articolo e dei decreti legislativi, in esso previsti, costituiscono principi fondamentali ai sensi dell'art. 117 della Costituzione" e che "i principi desumibili dalle disposizioni del presente articolo costituiscono, altresi', per le regioni a statuto speciale e per le province autonome di Trento e Bolzano, norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica". In attuazione della delega, il Governo emano' il d.l. 3 febbraio 1993, n. 29, avente come titolo "Razionalizzazione della organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego a norma dell'art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421". Di questo d.l. n. 29/1993, vanno evidenziati: il primo comma dell'art. 1, dove e' stabilito che le disposizioni del d.l. "disciplinano l'organizzazione degli uffici e i rapporti di lavoro e di impiego alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche"; il secondo comma dello stesso art. 2, dove si da' la definizione delle amministrazioni pubbliche, includendovi espressamente le regioni; il terzo comma del medesimo articolo, dove si ripete quanto gia' dichiarato rispetto ai contenuti della legge delega n. 421/1992, che, cioe', "le disposizioni del presente decreto costituiscono principi fondamentali ai sensi dell'art. 117 della Costituzione" e che "i principi desumibili dall'art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, costituiscono, altresi' per le regioni a statuto speciale e per le province autonome di Trento e Bolzano, norma fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica". Ad integrazione correttiva del d.l. n. 29/1993, giusta la previsione dell'art. 2, quinto comma, della legge n. 421/1992, fu poi emanato il d.l. 10 novembre 1993, n. 470, avente come titolo, per l'appunto, "Disposizioni correttive del d.l. 3 febbraio 1993, n. 29, recante razionalizzazione dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego". Di questo d.l. n. 470/1993 va richiamato il terzo comma dell'art. 3 (rectius: sub art. 3, il sostituito art. 13 del d.l. n. 29/1993), dove e' stabilito che "le regioni a statuto speciale e le province di Trento e Bolzano provvedono ad adeguare i propri ordinamenti ai principi del presente capo". Notisi, incidentalmente, che il comma appena trascritto e' stato impugnato dalla ricorrente regione davanti alla ecc.ma Corte con ricorso iscritto al n. 79/1993. Nel quadro normativo cosi' fugacemente tracciato, si inserisce, ora, la legge ordinaria 24 dicembre 1993, n. 537 (coeva alla legge finanziaria 1994), dal titolo "Interventi correttivi di finanza pubblica", dove sono contenute alcune disposizioni, che, se ed in quanto applicabili anche alla regione Friuli-Venezia Giulia, appaiono lesive della sfera di competenza primaria ad essa costituzionalmente assegnata dall'art. 4, n. 1, dello statuto speciale di autonomia (l.c. 31 gennaio 1963, n. 1). Queste disposizioni lesive sono racchiuse nell'art. 3 di detta legge, rispettivamente, ai commi qui appresso elencati: a) comma 5, laddove si prescrive che le pubbliche amministrazioni (comprese le regioni) "provvedono entro il 31 dicembre 1994, e successivamente, con cadenza biennale, alla verifica dei carichi di lavoro"; b) comma 23, laddove e' stabilito che "e' fatto divieto alle pubbliche amministrazioni, di cui al comma 5, di assumere personale a tempo determinato e di stabilire rapporti di lavoro autonomo per prestazioni superiori a tre mesi"; c) comma 38, laddove si dispone che "i tre giorni di permesso mensile, di cui all'art. 33, coma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, non sono computati al fine del raggiungimento del limite fissato dal terzo comma dell'art 37 del d.P.R. n. 3 del 1957, come sostituito dal comma 37 del presente articolo"; d) comma 39, laddove e' sancito che "per il primo giorno di ogni periodo ininterrotto di congedo straordinario spettano al pubblico dipendente tutti gli assegni, ridotti di un terzo, escluse le indennita' per servizi e funzioni di carattere speciale e per prestazioni di lavoro straordinario"; e) comma 41, laddove si chiarisce che "le disposizioni, di cui ai commi 37, 38 e 39 si applicano a tutte le pubbliche amministrazioni, ancorche' i rispettivi ordinamenti non facciano rinvio al citato t.u. approvato con d.P.R. n. 3 del 1957"; f) comma 66, laddove si conclama che "le disposizioni in materia di rapporti di lavoro dipendente ed autonomo, contenute nella presente legge, costituiscono norme di indirizzo per le regioni, che provvedono in materia nell'ambito della loro autonomia e nei limiti della propria capacita' di spesa". La disposizone sub a), facendo obbligo alla regione di provvedere alla verifica dei carichi di lavoro - verifica evidentemente preordinata ad inammissibili controlli di merito - determina una intromissione nella organizzazione degli uffici regionali ed impone comportamenti incompatibili con l'autonomia della regione, senza alcuna copertura costituzionale. La disposizione sub b) impedisce alla regione di provvedere responsabilmente al fabbisogno di personale e determina una ingiustificata menomazione della potesta' amministrativa regionale in un settore particolarmente delicato, qual'e' quello del pubblico impiego. Le disposizioni sub c) e sub d) introducono limitazioni autoritative nei contenuti del rapporto di impiego regionale, invadendo un campo che non puo' non esere riservato alla regione cui in via esclusiva compete la diretta responsabilita' del buon andamento dell'azione amministrativa regionale. La disposizione sub e) - se ed in quanto sia intesa a rendere applicabili anche alle regioni ed, in particolare, alla regione Friuli-Venezia Giulia i commi ivi richiamati - e', ovviamente, pur essa costituzionalmente illegittima per violazione dell'art. 4, n. 1, dello statuto di autonomia. Altrettanto e' a dirsi della disposizione sub f), se ed in quanto sia rivolta ad imporre, con violazione della predetta norma statutaria, comportamenti e adempimenti lesivi della autonomia regionale. Indipendentemente dai contenuti specifici delle disposizioni censurate, e' poi da considerare che il loro oggetto sicuramente sconfina in una materia che e' devoluta alla competenza esclusiva della regione: la materia dell'"ordinamento" degli uffici regionali e dello "stato giuridico ed economico del personale ad essi addetto" (citato art. 4, n. 1, dello statuto). Ed allora e' da chiedersi se codeste disposizioni abbiano, o non, un valida copertura costituzionale per poter incidere su di un terreno costituzionalmente riservato alla regione: verte su cio' la questione di legittimita' costituzionale che con il presente ricorso si solleva. In realta', questa copertura non esiste. Ne' puo' invocarsi, in senso contrario, l'affermazione contenuta (come piu' sopra si e' ricordato) nel secondo comma dell'art. 2 della legge n. 421/1922 e nel terzo comma dell'art. 2 del d.l. n. 29/1993: l'affermazione, cioe', che i principi desumibili dalle fonti ivi richiamate "costituiscono norme fondamentali di riforma economico- sociale della Repubblica". Come piu' volte ribadito da codesta ecc.ma Corte, statuizioni del genere non producono alcun effetto se ad esse non corrisponde la sostanza delle cose. E la sostanza delle cose - se non si vuole incorrere in una colossale iperbole - e' che nessuna delle disposizioni censurate puo' essere seriamente elevata al rango di norma fondamentale di riforma economico-sociale della Repubblica. Piuttosto e' da avanzare, in chiusura, il ragionevole dubbio - gia' piu' sopra accennato - che codeste disposizioni non siano riferibili alla regione Friuli-Venezia Giulia, ne' alle altre regioni a statuto speciale. L'art. 35 della legge n. 537/1993, nella quale le disposizoni stesse sono contenute, cosi', infatti, espressamente ma poco chiaramente dispone: "Restano salve le competenze delle regioni a statuto speciale in materia, che provvedono alle finalita' della presente legge secondo i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione". Nella doverosa considerazione di tale situazione d'incertezza, il presente ricorso deve intendersi proposto in via cautelativa, per la eventualta', cioe', che la Corte ecc.ma non ritenga di riconoscere la inapplicabilita', nel Friuli-Venezia Giulia, delle disposizioni censurate della legge n. 537/1993 e non ritenga, coneguentemente di dichiarare, per tale motivo, la inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale delle disposizioni stesse, in quanto riferite alla regione ricorrente.