IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 371/93 proposto
 dalla  Associazione della proprieta' edilizia di Perugia e dal signor
 Mantellini Gino, rappresentati e difesi dall'avvocato  Mario  Rampini
 ed  elettivamente  domiciliati  in  Perugia,  viale Indipendenza, 49,
 contro il comune di Perugia,  in  persona  del  sindaco  pro-tempore,
 rappresentato  e  difeso  dall'avv. Mario Cartasegna ed elettivamente
 domiciliato in Perugia, via delle Streghe, 29, e  nei  confronti  del
 Ministero   delle   finanze  in  persona  del  Ministro  pro-tempore,
 rappresentato e difeso dall'avvocatura distrettuale dello  Stato,  ed
 elettivamente  domiciliato  in  Perugia,  via  degli  Offici, 14, per
 l'annullamento della  deliberazione  n.  703  adottata  dalla  giunta
 comunale  di  Perugia  in  data 25 febbraio 1993 avente ad oggetto la
 determinazione in misura unica  dell'aliquota  dell'imposta  comunale
 sugli  immobili  (I.C.I.)  per  l'anno 1993 e successivi, conseguenti
 provvedimenti;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visti gli atti di costituzione in giudizio del comune di Perugia e
 del Ministero delle finanze;
    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle  rispettive
 difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Udita,  alla  pubblica  udienza del 10 novembre 1993, la relazione
 del consigliere Annibale Ferrari e uditi, altresi' l'avv. M. Rampini,
 per   la    parte    ricorrente,    l'avv.    M.    Cartasegna    per
 l'amministrazionecomunale  resistente  e  l'avv.  M.G. Scalas, per il
 Ministero delle finanze;
    Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto;
                   FATTO E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
    Con ricorso notificato in data 26 aprile 1993 l'Associazione della
 proprieta'  edilizia  di  Perugia  ed il signor Mantellini Gino hanno
 impugnato  per  l'annullamento  la  delibera  di  cui   all'epigrafe,
 ritenuta illegittima:
      1)  per  eccesso di potere sotto il profilo del difetto assoluto
 di motivazione nonche' per violazione dell'art. 6, secondo comma  del
 d.lgs.  n.  504  del  30  dicembre 1992, in materia di determinazione
 dell'aliquota della nuova imposta comunale sugli immobili;
      2) per illegittimita' costituzionale dell'art. 2,  primo  comma,
 seconda  parte  del  d.l.  24  novembre  1992,  n. 455 (poi riferito
 all'art. 2, primo comma, della legge n.  75  del  24  marzo  1993  di
 conversione  del d.l. n. 16 del 1993) ed, in via derivata, dell'art.
 5,  primo,  secondo  e  quarto  comma,  del   d.lgs.   n.   504/1992,
 asseritamente  in  contrasto  con  gli  artt.  24,  101  e  113 della
 Costituzione;
      3) per illegittimita' costituzionale del medesimo art. 2,  primo
 comma, seconda parte del d.l. 24 novembre 1992, n. 455 (poi riferito
 all'art.  2,  primo  comma,  della  legge  75  del  24  marzo 1993 di
 conversione del d.l. n. 16 del 1993) e, in via  derivata,  dell'art.
 5,   primo,   secondo   e  quarto  comma,  del  d.lgs.  n.  504/1992,
 asseritamente in contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione;
      4) per illegittimita' costituzionale dell'art. 4 della legge  n.
 421/1992 e del Capo I del d.lgs. n. 504/1992, istitutiva dell'imposta
 comunale  sugli immobili, asseritamente in contrasto con gli artt. 3,
 42, terzo comma e 53 della Costituzione.
    Le amministrazioni intimate si sono costituite e resistono.
    All'udienza del 10 novembre 1993 la causa e' stata  trattenuta  in
 decisione.
                             D I R I T T O
    1.  -  L'aurea  regola  dell'economia del giudizio impone a questo
 collegio una  doverosa  graduazione  logico-giuridica  delle  dedotte
 censure, al fine di pervenire ad una pronuncia che valga a soddisfare
 appieno l'intero petitum dedotto nel ricorso.
    Cio'   premesso,   occorre   subito   rilevare  che  nel  contesto
 dell'articolato gravame emergono nette due ordini di censure: talune,
 indirizzate alla demolizione dell'atto  deliberativo  impugnato,  con
 specifico  riguardo al suo oggetto immediato e diretto, che e' quello
 della  determinazione  dell'aliquota  dell'imposta   comunale   sugli
 immobili   (I.C.I.);  le  altre,  indirizzate  alla  demolizione  del
 medesimo atto deliberativo, con specifico riguardo al  suo  implicito
 ma  necessario  presupposto  che e' quello della determinazione della
 base imponibile sulla quale dovrebbe calcolarsi la predetta  aliquota
 per  l'anno  1993,  in  applicazione  della disciplina fiscale che ha
 "legificato" il d.m. 20 gennaio 1990 fino alla nuova revisione  degli
 estimi catastali.
    All'apparenza,  detto duplice ordine di censure potrebbe suggerire
 la soluzione di una scissione delle medesime proprio in omaggio  alla
 cennata  aurea  regola di economia processuale. Sempre all'apparenza,
 si potrebbe allora pensare di decidere il ricorso  sulla  base  delle
 sole censure riferite al difetto di motivazione ed alla violazione di
 legge, entrambe indirizzate alla determinazione dell'aliquota fissata
 dal comune resistente.
    A  ben  vedere,  peraltro,  la  soluzione di cui sopra non sarebbe
 sostanzialmente   corretta   sotto   il   profilo   giuridico,    ne'
 risponderebbe   all'esigenza  di  graduare  economicamente  tutte  le
 censure per soddisfare appieno e celermente tutte  le  pretese  fatte
 valere  nel  ricorso.  A  tale  proposito,  questo  Collegio non puo'
 trascurare l'essenziale correlazione che esiste  tra  la  pretesa  di
 annullamento  della  delibera,  per quanto concerne la determinazione
 dell'aliquota e la pretesa di annullamento della  delibera  medesima,
 per  quanto concerne l'asserita illegittimita' costituzionale del suo
 presupposto impositivo derivante da una disciplina di legge.
   Tra queste due pretese esiste un rapporto  di  inscindibilita'  che
 non  puo'  essere  mortificato  in  questa  sede con un'operazione di
 chirurgia giuridica che comporti la scissione  delle  due  questioni,
 cosi'   come  prospettate  nel  ricorso.  Nella  sostanza  giuridica,
 infatti, le contestazioni in ordine alla pretesa  fiscale  impositiva
 di  cui  si discute si configurano come un unicum che contiene in se'
 non solo le denuncie di illegittimita'  contro  l'aliquota  ma  anche
 quelle contro la base imponibile del tributo.
    Si puo' ben dire, in proposito, che aliquota e base imponibile del
 tributo  in questione rappresentano le due facce di una sola medaglia
 impositiva contestata nel suo complesso sotto diversi profili,  primi
 fra tutti, quelli di illegittimita' costituzionale.
    Se  cio'  e' vero, come questo tribunale a giusta ragione ritiene,
 la graduatoria doverosa delle cennate questioni conduce ad  assegnare
 la priorita' assoluta alle censure di rilevanza costituzionale, ferma
 restando  ogni  ulteriore  verifica  di  merito  in  ordine  a quelle
 concernenti l'eccesso di potere  per  difetto  di  motivazione  e  di
 istruttoria,  nella  determinazione  delle  aliquote.  Tale  verifica
 potra' svolgersi dopo il giudizio della Corte costituzionale,  -  qui
 ritenuto  senz'altro  ammissibile  (sulla  base di quanto si dira' in
 appresso) - sempre che l'esito del medesimo,  eventualmente  in  toto
 favorevole  ai  ricorrenti,  non  renda del tutto carente l'interesse
 alla decisione, per cessazione della materia del contendere.
    2. - La disamina finora condotta sulla graduatoria  delle  censure
 di cui al ricorso e la cennata conclusione favorevole alla necessita'
 di   una   devoluzione   prioritaria   delle   dedotte  questioni  di
 costituzionalita' al giudice delle leggi, tenuto conto  del  rapporto
 di   inscindibile  pregiudizialita'  che  deve  intravedersi  tra  le
 questioni   medesime   e   quelle   attinenti   alla   determinazione
 dell'aliquota  comunale  dell'I.C.I.  non  esime  nel contempo questo
 tribunale  da  un'attenta  verifica  delle  eccezioni  sollevate   al
 riguardo  dall'avvocatura  dello  Stato,  ne'  dall'ulteriore attenta
 verifica (subordinata alla reiezione delle cennate  eccezioni)  circa
 l'ammissibilita'  del  giudizio che nella fattispecie dovrebbe essere
 affidato alla Corte costituzionale.
    L'avvocatura dello Stato, al riguardo, oltre  che  l'infondatezza,
 ha  sottolineato  l'irrilevanza,  ai  fini  del decidere, di tutte le
 questioni di illegittimita' costituzionale sollevate nel ricorso. Con
 una prima argomentazione viene sottolineato infatti che, nel caso  di
 mancata  adozione  ovvero  di  annullamento  della  delibera comunale
 determinativa dell'aliquota, l'imposta resterebbe comunque dovuta  in
 base all'aliquota minima.
    Con  una  seconda  argomentazione,  piu'  radicale, viene altresi'
 evidenziato che ogni questione concernente l'imponibilita', la misura
 dell'imposta ed in  genere  il  rapporto  tributario  in  discussione
 esulerebbe comunque dalla giurisdizione di questo tribunale; sicche',
 ai  fini  del  decidere, nessun rilievo giuridico potrebbe assegnarsi
 alle predette questioni di costituzionalita'.
    3.   -   Il   collegio  ritiene  infondate  entrambre  le  cennate
 argomentazioni.
    Quanto alla prima, va ribadito che i ricorrenti -  contestando  in
 radice   la   legittimita'   costituzionale  degli  estimi  catastali
 determinati in base alla procedura attivata dal d.m. 20 gennaio  1990
 fino  alla  nuova  revisione  degli  estimi  nonche'  la legittimita'
 costituzionale della stessa imposta comunale sugli immobili - vengono
 in definitiva a prospettare in via pregiudiziale un  petitum  che  di
 per  se'  e' travolgente rispetto ad ogni altra richiesta concernente
 l'aliquota, sia pure riferibile a quella minima del 4  per  mille  in
 ipotesi   applicabile   ex   lege,  in  mancanza,  ovvero  a  seguito
 dell'annullamento della delibera impugnata.
    Quanto alla seconda argomentazione, va  premesso  che  -  in  base
 all'art.  8  della  legge  n.  1034/1971 ed alla corrispondente norma
 dell'art. 28 del t.u. n. 1054 del 1924 -  spetta  sempre  al  giudice
 amministrativo   (al  di  fuori  della  giurisdizione  esclusiva)  la
 cognizione di ogni questione pregiudiziale o incidentale  relativa  a
 diritti,  la  cui  risoluzione  sia  necessaria per pronunciare sulla
 questione principale.
    Di conseguenza, se anche si volesse ritenere (come  ipotesi  mini-
 male)  che la questione principale da decidere nel caso di specie sia
 soltanto   quella   relativa   alla   legittimita'   o   meno   della
 determinazione  dell'aliquota  comunale dell'I.C.I. (e non anche piu'
 correttamente, quella piu' ampia inscindibilmente legata alla prima e
 comprendente la contestata legittimita'  della  determinazione  della
 base  imponibile  desunta  dalla  vivificazione ex lege di un decreto
 ministeriale gia'  annullato  dal  t.a.r.  Lazio),  bisognerebbe  pur
 sempre ammettere che - almeno in via pregiudiziale ovvero incidentale
 -  questo tribunale sarebbe per cio' stesso competente a conoscere le
 dedotte  censure  di  incostituzionalita',  allo  scopo  precipuo  di
 esaminarne   la  rilevanza  e  la  non  manifesta  infondatezza  onde
 devolverle poi, nell'affermativa, all'attenzione  del  giudice  delle
 leggi.  In tal modo, infatti, si verrebbe a stimolare quest'ultimo ad
 emettere una pronuncia  di  carattere  pregiudiziale  che  certamente
 produrrebbe  effetti rilevanti sul giudizio in questione: o nel senso
 di limitarne la portata alla sola questione sull'aliquota  (nel  caso
 di  una  pronuncia  di  rigetto),  ovvero nel senso di determinare la
 declaratoria di cessazione della materia del contendere (nel caso  di
 una sentenza di accoglimento).
    In  entrambi  i  casi,  quindi,  la  rilevanza pregiudiziale delle
 dedotte questioni di costituzionalita' appare ampiamente dimostrata e
 non seriamente contestabile nell'ambito del presente giudizio.
    4. - Risolto  positivamente  il  problema  della  rilevanza  delle
 dedotte  censure  di  incostituzionalita', questo tribunale - facendo
 proprie tutte le argomentazioni di cui al ricorso -  in  ordine  alla
 non  manifesta  infondatezza delle medesime ritiene altresi' doveroso
 sollevare, anche d'ufficio, le seguenti questioni,  alla  luce  delle
 norme costituzionali di cui in appresso.
    4.1. - Non manifestamente infondata - con esplicito raffronto agli
 artt. 24, 55 e segg., 92 e segg., 97 e segg., 101, 102, 103, 104, 108
 e  segg.  e  113  della  Costituzione  -  appare anzitutto la dedotta
 questione concernente l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  2,
 primo comma, seconda parte della legge n. 75 del 24 marzo 1993 ed, in
 via  derivata, dell'art. 5, primo, secondo e quarto comma, del d.lgs.
 n 504/1992, per avere il legislatore prevaricato il diritto di difesa
 dei  cittadini  (contribuenti)  nonche'  le  prerogative  del  potere
 giurisdizionale  mediante  la  sanatoria con efficacia retroattiva di
 una procedura amministrativa illegittima, in presenza di controversie
 in corso di definizione giudiziale  destinate  a  risolversi  con  la
 declaratoria  di illegittimita' degli estimi catastali determinati in
 via transitoria in base alle previsioni di cui  al  d.m.  20  gennaio
 1990, gia' annullato dal giudice amministrativo.
    Il  legislatore, infatti, ha esplicitamente legittimato il cennato
 d.m. annullato, conservando in vigore fino alla data del 31  dicembre
 1993  e  con  decorrenza  dal 1 gennaio 1992 le tariffe d'estimo e le
 rendite gia' determinate in esecuzione del d.m.  medesimo.  Con  cio'
 stesso, sono state paralizzate le cennate controversie, prevedendosi,
 in  contropartita,  un farraginoso sistema di conguaglio che peraltro
 richiede una serie di verifiche da effettuarsi in futuro  sulla  base
 delle  nuove  tariffe risultanti dalla revisione generale del catasto
 edilizio urbano.
    4.2. - Neppure manifestamente infondata - con  esplicito  riguardo
 agli artt. 3, 55 e segg., 70 e segg. e 97 della Costituzione - appare
 la  dedotta  questione  di illegittimita' costituzionale dell'art. 2,
 primo comma, seconda parte, della legge n. 75 del 24 marzo 1993 e, in
 via derivata, dell'art. 5, primo, secondo e quarto comma, del  d.lgs.
 n. 504/1992, per avere il legislatore, con la sanatoria di cui sopra,
 sia pure in via transitoria, prevaricato le prerogative di autotutela
 della pubblica amministrazione (mediante la vivificazione legislativa
 di  atti  amministrativi illegittimi ed annullati), in presenza di un
 assetto costituzionale che assegna solo alla pubblica amministrazione
 medesima il potere-dovere di riesaminare i propri atti allo scopo  di
 emendarli e di renderli conformi alle leggi.
    4.3.  -  Ancora  piu'  pregnante  e significativa, sempre sotto il
 profilo della non manifesta  infondatezza,  appare  la  questione  di
 illegittimita' costituzionale dell'art. 4 della legge n. 421 del 1992
 e dell'intero Capo I (artt. 1-18) del d.lgs. n. 504/1992, a raffronto
 degli artt. 3, 42, terzo comma, e 53 della Costituzione, per avere il
 legislatore  concepito  un'imposta  comunale  sugli  immobili  avente
 marcati caratteri di "patrimonialita'" perche' basata  su  valori  di
 redditivita' dei medesimi assolutamente astratti e rivalutabili sulla
 base di parametri non pertinenti e comunque non attendibili.
    Questi  ultimi,  infatti,  vengono  determinati  con un sistema di
 calcolo misto che tiene  conto  anche  dell'effettivo  andamento  del
 mercato   immobiliare  anziche',  in  via  esclusiva,  dell'effettivo
 andamento del mercato locativo (art. 2 del d.l. n. 16 del 23 gennaio
 1993 convertito con modificazioni, nella legge n.  75  del  24  marzo
 1993).
    Cosi'  concepita, l'I.C.I. viene a costituire un tributo che grava
 sul  patrimonio  immobiliare  lordo  del  contribuente  anziche'  sul
 reddito  effettivamente ritraibile dal medesimo, in aperta violazione
 degli artt. 3, 42, terzo comma, e 53, della Costituzione.
    4.4. -  Avuto  riguardo  all'art.  3  della  Costituzione  occorre
 rilevare   che   tale   imposta,   illegittimamente,   discrimina   i
 contribuenti, a seconda che siano o  meno  proprietari  di  immobili,
 senza  con  cio'  tener  conto  di  altre  possibili  espressioni  di
 ricchezza  e,  quindi,  di  altre  possibili   fonti   di   capacita'
 contributiva.
    Se  poi  si  considera  l'art. 42, terzo comma della Costituzione,
 emerge chiaro  che  la  stessa  imposta  -  non  attribuendo  rilievo
 significativo  agli  oneri ed alle passivita' che gravano sul cennato
 patrimonio immobiliare - illegittimamente si attesta sullo stesso pi-
 ano degli istituti ablatori, con l'ulteriore aggravante, appunto, che
 la relativa disciplina non  concede  ristoro  alcuno  in  termini  di
 componenti negativi del reddito tassabile.
    La medesima imposta tradisce, infine, il principio della capacita'
 contributiva,  di cui all'art. 53 della Costituzione, squilibrando la
 stessa capacita' di contribuzione  a  tutto  danno  del  contribuente
 proprietario  di immobili, senza considerazione alcuna in ordine alla
 pressione tributaria specifica che gia' opprime tali cespiti rispetto
 ad altri esentati da tributi diretti.
    A tal proposito non puo' sottacersi che la disciplina  dell'I.C.I.
 prevede  la tassazione con aliquota a misura unica, applicabile sulla
 medesima  base  imponibile  gia'  gravata  dall'aliquota  progressiva
 dell'Irpef ovvero dall'aliquota proporzionale dell'Irpeg, senza alcun
 beneficio  di  detrazione  dell'Irpef  (ovvero  dell'Irpeg) medesima,
 cosi' come previsto per la corrispondente Ilor.
    4.5. - Quanto sopra detto non risulta affatto sminuito  nella  sua
 essenziale  rilevanza  e  non manifesta infondatezza dalle previsioni
 dell'ultima disciplina di cui al d.l. n.  16  del  23  gennaio  1993
 convertito,  con  modificazioni, nella legge n. 75 del 24 marzo 1993.
 Invero - come pure e' stato evidenziato nell'ordinanza n. 628  emessa
 in  data 4 agosto 1993 della commissione tributaria di primo grado di
 Piacenza e nell'ordinanza n. 656 emessa in data 13 maggio 1993  dalla
 commissione   tributaria   di  secondo  grado  di  Venezia,  entrambe
 trasmesse all'attenzione della  Corte  costituzionale  -  tale  nuova
 disciplina  (intervenuta  dopo  la  mancata  conversione  di numerosi
 decreti legge) ha inteso comunque  dar  corso  all'imposizione  sulle
 rendite  immobiliari (con forzature di scelta anche nei confronti del
 libero dibattito parlamentare), secondo criteri volti ad incidere sul
 patrimonio dei proprietari, sanando altresi' l'attivita' di  prelievo
 fiscale  nel  frattempo  operata anche per quanto attiene all'imposta
 straordinaria sugli immobili (I.S.I.).
    Nelle cennate ordinanze e' stato appunto  ribadito  che,  -  cosi'
 illegittimamente legiferando, anche in violazione degli artt. 70, 77,
 101,  102,  104  e seguenti della Costituzione - il Governo ha ancora
 una volta violato il principio della  divisione  dei  poteri,  da  un
 lato,  precludendo  le  libere  scelte  che  potevano scaturire da un
 ordinario dibattito parlamentare su un disegno o su  un  progetto  di
 legge  e, dall'altro, disattendendo la piu' volte ricordata pronuncia
 del t.a.r. Lazio, concernente  l'annullamento  del  d.m.  20  gennaio
 1990.
    5.  -  Tutte  le  argomentazioni di cui sopra, poste nel ricorso a
 suffragio della non manifesta infondatezza delle dedotte questioni di
 costituzionalita' ed integralmente recepite d'ufficio nella  presente
 ordinanza,   inducendo   questo   tribunale  ad  una  doverosa  pausa
 procedurale,  in  attesa  del  vaglio  di   costituzionalita'   sulle
 medesime.
    Per  l'effetto, si dovra' sospendere il presente giudizio ai sensi
 dell'art. 23 della legge n. 87/1953 e rimettere  gli  atti  all'esame
 della    Corte    costituzionale,   affinche'   si   pronunci   sulla
 compatibilita' costituzionale delle suindicate norme (art.  2,  primo
 comma,  della  legge  n.  75  del  24  marzo 1993 e, in via derivata,
 dell'art. 5, primo, secondo e quarto comma, del d.lgs. n. 504 del  30
 dicembre  1992;  art.  4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421 e cap. I
 del d.lgs. n. 504 del 30 dicembre 1992), con specifico riguardo  agli
 artt.  3,  24, 53, 55, 70, 77, 92, 97, 101, 102, 104, 108 e 113 della
 Costituzione, nei termini precisati in motivazione.