IL PRETORE Letti gli atti e sciogliendo la riserva che precede, osserva quanto appresso. Il ricorrente Murolo Pasquale invoca dichiararsi, con le forme di cui all'art. 2, comma 3, della legge n. 61/1989, la morosita' del conduttore rispetto alle obbligazioni a lui facenti capo in forza dell'art. 1- bis della legge cit. (prevista dal secondo comma, lettera C) del mesesimo art. 2), ai fini di conseguire gli effetti di cui all'art. 3, cpv., legge cit. Il presente provvedimento e' di carattere giurisdizionale, in quanto e' investito il pretore quale giudice dell'esecuzione, onde dirimere una possibile controversia tra le parti in ordine alla sussistenza di un inadempimento del conduttore, tale da provocare (oltre gli effetti propri e tipici di una pronunzia di accertamento di quell'inadempimento, ai fini, ad esempio, di una condanna in separata sede al pagamento di una pari somma) un prosieguo dell'esecuzione in forme e tempi piu' favorevoli al creditore esecutante. Anzi, in concreto, un minimo nucleo controverso (ovvero, se non altro, controvertibile) sussiste proprio in ordine alla spettanza della maggiorazione del 20% dell'indennita' di occupazione (richesta dall' ex-locatore procedente) pur in carenza di esplicita richiesta dell'odierno ricorrente: come si evince dalla sommaria (ma sufficiente) dichiarazione della debitrice di persona (e senza bisogno di ministero di difensore per la natura formalmente esecutiva del presente procedimento). Orbene, questo Giudice dovrebbe applicare, al caso di specie, la normativa di cui all'art. 2 della legge n. 61/1989, al fine di statuire se la procedura esecutiva di rilascio - in cui si inserirebbe il ricorso e il conseguente provvedimento - possa essere soggetta alle particolari forme di priorita' di cui all'art. 3, secondo comma, della legge citata, ovvero se debba seguire le forme ordinarie di cui all'art. 3, primo comma, con riferimento al complessivo regime di cui agli artt. 3, 4 e 5 della legge citata. In entrambi i casi, peraltro, questo giudice dell'esecuzione dovrebbe riscontrare che la procedura esecutiva di rilascio che il ricorrente intende iniziare andrebbe soggetta alla prima o alla seconda delle forme suddette; in altri termini, dovrebbe implicitamente limitarsi a statuire in quali delle categorie di cui all'art. 3, della legge cit. la procedura si inquadri. In buona sostanza, in entrambi tali casi la procedura sarebbe assoggettata (con o senza priorita') al complessivo regime di cui agli artt. 2, 3, 4 e 5 della legge citata; e questo comporta che le norme suddette siano certamente rilevanti nella presente procedura, mentre, invece, questo pretore, giudice dell'esecuzione, deve reputare che la procedura esecutiva oggi prospettata dovrebbe prescindere totalmente dall'intero detto regime e che all'ufficiale giudiziario andrebbe ordinato, una volta adempiuti gli oneri di cui agli artt. 605 ss. cpc., di procedere nelle forme ordinarie di cui al codice di rito, disattendendo proprio e appunto la normativa suddetta. In ordine a questa, infatti, officiosamente va rilevata una questione, non manifestamente infondata per quanto si dira' di qui a tra breve, di legittimita' costituzionale, con riguardo agli artt. 24, primo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione. La normativa in esame prevede invero, per una grande parte del territorio nazionale (e comunque, per quel che qui concerne, per quello di questa sezione distaccata), una nuova procedura di vanificazione dell'efficacia esecutiva del titolo di rilascio di immobili abitativi, ben maggiore di quella della semplice sospensione "secca" di cui all'art. 1 (e, per gli immobili destinati ad uso non abitativo, all'art. 7, primo comma, cui pure temporalmente si collega e si salda, ultima di un'analoga serie di provvedimenti, pressoche' continua (per ricordare solo gli ultimi: quelli di cui alle leggi, tutte di conversione, con modifiche, di precedenti decreti legge, 28 febbraio 1986, n. 46, 9 agosto 1986, n. 472, 23 dicembre 1986, n. 899, 27 marzo 1987, n. 120, 8 aprile 1988, n. 108). Si tratta, in buona sostanza, di un vero e proprio subprocedimento avente ad oggetto la concreta concessione, da parte dell'autorita' di Governo, dell'assistenza della forza pubblica all'ufficiale giudiziario che proceda alla stessa esecuzione per rilascio di immo- bile. Egli, pertanto, in sostanziale notevole deroga alla normativa generale del codice di rito (art. 608 del c.p.c., nella parte in cui richiama l'art. 513 del c.p.c.), non potra' conseguirla discrezionalmente e a sua semplice richiesta, dietro la sua personale valutazione della sua inettitudine a vincere altrimenti la resistenza del debitore esecutato. Ben al contrario, egli - e di conseguenza (e soprattutto) il creditore - e' ora costretto, nel caso che per condurre a compimento le operazioni non ce la faccia da solo a vincere la resistenza del debitore, per poter portare a termine la stessa esecuzione e pur in presenza di un titolo del tutto valido ed efficace, a sottostare alle relative determinazioni di un soggetto estraneo al meccanismo processuale della esecuzione dei titoli giudiziali e dell'effettiva tutela giurisdizionale del diritto riconosciuto al creditore in una pronunzia di un giudice, ottenuta secondo diritto. Giustificazione di questa sostanziale, cospicua e assoluta governativizzazione della gestione dell'emergenza sfratti e' stata ritenuta la necessita' di una valutazione dell'interesse pubblicistico al mantenimento dell'ordine ovvero anche alla congrua gestione della forza pubblica: in relazione - con tutta evidenza - ai problemi connessi al dislocamento di troppo nutriti contingenti di forza pubblica per la materiale assistenza in vista della probabile sovrapposizione temporale dei numerosissimi provvedimenti di rilascio, con conseguente distoglimento di quelli da tutti gli altri compiti di ufficio e/o istituzionali. E vi e' chi ritiene che la presenza di rappresentanti di organizzazioni di categoria parasindacali di inquilini e proprietari possa introdurre altresi' un ulteriore interesse, del pari squisitamente pubblicistico, a privilegiare di fatto, con un materiale differimento delle operazioni, le condizioni disagiate di categorie degli uni e degli altri il cui trattamento secondo stretto diritto potrebbe invece forse portare ad acuire tensioni o squilibri sociali in modo da renderle difficilmente gestibili. Tale normativa va, comunque, valutata soprattutto alal luce della generalizzata prassi interpretativa (di uffici notifiche e prefetture) di ritenerla applicabile anche ai titoli esecutivi dopo il 31 dicembre 1989; e va evidenziata la tendenza legislativa, recentissima (art. 46 del d.l. 30 agosto 1993, n. 330), a procrastinarla ulteriormente in modo secco e del tutto indifferenziato, protraendo l'attuale complessiva situazione di confusione e tensione determinata dall'incertezza, nella quasi totalita' dei casi, del giorno in cui sara' data finalmente concreta esecuzione ad un titolo giudiziale perfetto. In altri termini, la normativa di cui agli artt. 2, 3, 4 e 5 pare esaurirsi in uno stratagemma del legislatore per evitare la scure della pronunzia di incostituzionalita'; quella, in modo nella sostanza non difforme da un qualsiasi provvedimento di sospensione c.d. "secca", ha comportato, comporta e comportera' (anche a non voler considerare l'art. 46 del d.l. n. 330/1993) cit., si noti che comunque di tutti i titoli e' stata posta in esecuzione concreta una percentuale modesta, tanto che per numerosi titoli di gia' antica esecutivita' non si scorge la data di concessione della forza pubblica) proprio un'ulteriore prolungamento della compressione del diritto del creditore-locatore a rientrare in possesso del bene locato, in tal modo perpetuando, con la protrazione di una fattuale ineseguibilita' del titolo, la sostanziale privazione di tutela giurisdizionale anche di quel diritto - eppure solennemente garantita dall'art. 24, primo comma, della Carta - in ispreto alla forza del giudicato. Un altro grave profilo va, pero', necessariamente esaminato in uno al primo; lo spostamento dell'accento della stessa sussistenza dell'esecutivita' del titolo (compressa o soppressa con la sospensione c.d. secca) alla materiale impossibilita' di esecuzione per mancata concessione della forza pubblica resa necessaria per le operazioni materiali di rilascio - aventi natura giurisdizionale - ha introdotto una - e peraltro pericolosissima - ingerenza di una autorita' di Governo, quale il prefetto (che lo rappresenta a livello provinciale), nella gestione di quelle operazioni, in vista dei medesimi interessi pubblicistici sopra accennati. Ora, la volonta' legislativa - gia' censurabile di per se' - di subordinare principi cardinali dell'ordinamento (quale l'efficacia del giudicato e l'effettivita' della tutela giurisdizionale del diritto) alle esigenze contingenti dell'ordine pubblico introduce un elemento fortemente distorsivo della funzionalizzazione della concessione della forza pubblica ai superiori fini di tutela giurisdizionale: ma, per cio' stesso, innegabilmente introduce la necessita' di curare interessi pubblicistici assolutamente estranei al processo e alla funzione giurisdizionale. Ora, e' vero che ben marcata e' l'impronta sociale che la stessa lettera della norma costituzionale imprime alla proprieta' privata, per la quale la funzionalizzazione a fini sociali (per quanto posta in termini in apparenza tassativi dal secondo comma dell'art. 42 della Costituzione), ovvero la nota configurazione di una proprieta'- funzione, integrerebbero il presupposto e la condizione per lo stesso riconoscimento costituzionale dell'istituto. A tale soluzione, di una qualche positiva funzionalizzazione della proprieta' privata, si giunge nonostante l'articolo in esame, nella sua definitiva formulazione, rispecchi tutte le ambiguita', non solo lessicali, di una soluzione pragmativa adottata dai Costituenti: ne deriva che, a differenza che per l'iniziativa economica privata, non puo' sostenersi la mera eventualita' - l' an - di una funzionalizzazione da parte della legge ordinaria, alla quale la Carta fondamentale commette il compito di determinare le specifiche modalita' di attuazione. Peraltro, alla legge e solo alla legge spetterebbe di stabilire con precisione quali doveri extraindividuali incombano sulla proprieta' privata, attraverso specificazioni che dovrebbero inevitabilmente variare a seconda del tipo di proprieta' e delle categorie di beni di cui si tratta: e sul punto, oltre la pacifica dottrina costituzionalistica, puo' forse bastare richiamare, proprio in ordine alla configurabilita' di una riseva di legge, anche se qualificata come relativa, in piu' occasioni, la Corte costituzionale con le sentenze 2 marzo 1962, n. 13 (in Giur. cost. 1962, 126) 14 maggio 1996, n. 38 (ibid., 1966, 686) 11 maggio 1971, n. 94 (ibid., 1971, 1062). Ora risolvendosi la protrazione del regime di ineseguibilita' concreta del titolo giudiziale di rilascio in una - gia' di per se' di dubbia legittimita' - compressione del diritto del locatore proprietario di disporre del bene, ne consegue che ogni intervento sul punto non possa essere demandato, a tutto concedere, proprio ad un organo di governo, per quanto coadiuvato da una commissione, senza l'individuazione di criteri ben determinati e di tempi massimi fissati in modo ragionevole: appare vuoto di ogni significato il richiamo, generalissimo e neutro, alla situazione abitativa generale della provincia comparata al numero totale di richieste di esecuzione (art. 5 della legge citata: che e' il contesto in cui deve esprimersi il parere, ma non certo un criterio obiettivo e predeterminato con cui esso va espresso), nonche' la fissazione di un termine massimo generale e privo di graduazioni intermedie (art. 3, ultimo comma, della legge citata), tale da lasciare indifferenziato l'eguale trattamento di titoli aventi tutti e ciascuno una propria peculiarita', anzianita' e, spesso, poziorita' persino nel medesimo - contestabile - sistema della normativa in esame. In altri termini, la lettera amplissima di quest'ultima consente una gestione sostanzialmente sovrana, da parte del prefetto e/o (a seconda dello spazio che in concreto questi riconosce alle seconde) dlle commissioni provinciali, della disposizione di altrui proprieta', al di la' dei limiti propri di una riserva di legge, per quanto relativa. Non rimane altra via, allora, che qualificare rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' della normativa in esame, invocando il giudizio della Consulta, con le ulteriori statuizioni di cui in dispositivo.