ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 122 del d.P.R.
 30  giugno  1965,  n.  1124  (Testo  unico  delle  disposizioni   per
 l'assicurazione  obbligatoria  contro  gli  infortuni sul lavoro e le
 malattie professionali), promosso con ordinanza emessa il 18  gennaio
 1993  dal  Pretore  di  Udine  nel  procedimento  civile vertente tra
 Passone Dinea  e  l'I.N.A.I.L.,  iscritta  al  n.  126  del  registro
 ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 14, prima serie speciale, dell'anno 1993;
    Visti gli atti di costituzione di Passone Dinea e dell'I.N.A.I.L.;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  14  dicembre  1993  il Giudice
 relatore Fernando Santosuosso;
    Uditi l'avvocato Franco Agostini per Passone  Dinea  e  l'avvocato
 Nicola D'Angelo per l'I.N.A.I.L.;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Nel corso di un giudizio ordinario, il Pretore di Udine, in
 qualita'  di  giudice  del  lavoro,   ha   sollevato   questione   di
 legittimita'  costituzionale dell'art. 122 del d.P.R. 30 giugno 1965,
 n.  1124  (Testo  unico  delle   disposizioni   per   l'assicurazione
 obbligatoria   contro   gli   infortuni  sul  lavoro  e  le  malattie
 professionali),   in   riferimento  agli  artt.  3,  24  e  38  della
 Costituzione.
    In tale giudizio, la ricorrente Passone  Dinea,  premesso  che  il
 marito  Gasparini  Dante  era  stato  in  vita  affetto  da silicosi,
 malattia per la quale l'I.N.A.I.L. gli aveva riconosciuto la rendita,
 e che tale affezione si era aggravata al punto da causare la morte in
 data   21   febbraio   1988;   e   precisato   di   aver   presentato
 infruttuosamente domanda all'I.N.A.I.L. di rendita superstiti in data
 24  settembre  1988,  chiedeva  che il Pretore, accertato il nesso di
 causalita' tra la  pregressa  patologia  respiratoria  del  marito  e
 l'avvenuto   decesso,  condannasse  l'I.N.A.I.L.  a  riconoscerle  la
 rendita spettante ai superstiti.
    L'I.N.A.I.L.,  costituitosi,  si   era   opposto   alla   domanda,
 eccependo, tra l'altro, che la ricorrente era incorsa nella decadenza
 prevista  dal citato art. 122 del d.P.R. n. 1124 del 1965, in base al
 quale gli eventuali aventi diritto alla rendita superstiti,  in  caso
 di   morte  sopraggiunta  in  conseguenza  dell'infortunio  (o  della
 malattia  professionale)  dopo  la  liquidazione  della  rendita   da
 inabilita'  permanente,  avrebbero dovuto presentare domanda entro 90
 giorni dalla data della morte.
    Nel   corso   del   procedimento,   la   ricorrente   ha   dedotto
 l'illegittimita'  costituzionale  della norma di cui sopra ed il Pre-
 tore, con ordinanza 5 febbraio 1993, ha  sollevato  la  questione  di
 legittimita' costituzionale nei termini sopra indicati.
    In  punto  di  rilevanza,  il  Pretore  osserva  che il termine di
 decadenza previsto dalla norma denunziata e' ritenuto, per prevalente
 giurisprudenza della Corte di cassazione, di natura sostanziale, tale
 cioe' che il suo mancato rispetto determina l'estinzione del  diritto
 senza  alcuna  possibilita'  di sanatoria, e che pertanto, vigendo il
 termine di decadenza previsto da detto articolo, la vedova ricorrente
 avrebbe visto irrimediabilmente respinto il proprio ricorso.
    Circa la non manifesta infondatezza, il giudice a quo richiama  la
 sentenza  n.  85  del  1968,  con la quale questa Corte ha dichiarato
 l'illegittimita' costituzionale dell'art. 28  del  regio  decreto  17
 agosto  1935, n. 1765, nella parte in cui, in contrasto con gli artt.
 24, primo comma, e 38 della Costituzione, stabiliva  che  la  domanda
 diretta  ad ottenere la rendita doveva essere proposta dai superstiti
 del lavoratore, deceduto a causa dell'infortunio dopo la liquidazione
 della rendita per inabilita' permanente, entro  un  mese  dalla  data
 della morte.
    A  parere del giudice a quo, le ragioni addotte a sostegno di tale
 decisione appaiono valide  anche  in  relazione  al  termine  di  cui
 all'art.  122 ora impugnato, in particolare per il richiamo contenuto
 in quella  pronuncia  al  "turbamento  di  carattere  psicologico  ed
 affettivo che la morte di un congiunto suscita, di norma, nell'ambito
 della  famiglia,  con  ripercussioni  innegabili sull'attivita' che i
 superstiti devono svolgere sollecitamente, per salvaguardare  i  loro
 interessi  patrimoniali,  ricollegati  all'evento luttuoso; attivita'
 che  puo'  trovare  maggiore  difficolta'  di   espletamento,   anche
 nell'eventuale  scarsa  conoscenza  delle  disposizioni legislative e
 regolamentari da parte dei superstiti".
    Come ulteriore motivo di  illegittimita'  della  disposizione,  il
 giudice  rimettente  sottolinea come detto termine decorra dalla data
 della morte del  lavoratore:  da  un  elemento  di  fatto  cioe'  che
 prescinde  dal  riscontro  che  del  decesso sia pervenuta tempestiva
 notizia agli interessati.
    In  senso contrario a quanto rilevato, non sembra al giudice a quo
 decisiva la previsione contenuta nel successivo art. 123 dello stesso
 d.P.R., che impone all'I.N.A.I.L., nel caso ad  esso  risulti  che  i
 superstiti  dell'infortunato  non  ne fossero informati, di dare loro
 notizia del decesso, appena venutone a conoscenza, stabilendo che  in
 tali  casi  il termine di 90 giorni, a pena di decadenza, decorre dal
 giorno nel quale i superstiti ricevono notizia del decesso.
    Motiva infine il giudice rimettente,  a  confutazione  della  tesi
 dell'I.N.A.I.L.,   che   il   termine   di   novanta  giorni  non  e'
 funzionalmente collegato all'accertamento tempestivo della  relazione
 causale  tra  l'infortunio o la malattia professionale ed il decesso:
 oltre infatti alla necessaria valutazione del progresso della scienza
 medica (che consentirebbe indagini efficienti  sul  rapporto  causale
 tra  evento  professionale  e  decesso anche dopo 90 giorni), occorre
 tener presente che una cosa e' la difficolta' di prova  dell'indicato
 nesso   causale  da  parte  del  ricorrente  superstite,  tanto  piu'
 difficile quanto maggiore sara' il tempo trascorso tra il  decesso  e
 l'azione svolta per accertare il nesso, altra cosa e' violare, con la
 previsione  di  un termine troppo breve, il diritto del ricorrente ad
 agire giudizialmente e quindi a fornire la prova stessa.
    Infine,  il  Pretore   aggiunge   che   farebbe   dubitare   della
 legittimita'  dell'art.  122  del  d.P.R.  n.  1024 del 1965 anche la
 considerazione che tale norma aggiunge, contro  ogni  ragionevolezza,
 all'ordinario   termine   di   prescrizione  dell'azione  diretta  al
 conseguimento della prestazione assicurativa, previsto dall'art.  112
 del  d.P.R.  n.  1124  del  1965  e  valevole  anche  per l'azione di
 riconoscimento della rendita ai superstiti, un ulteriore  termine  di
 decadenza  limitato  alla  sola rendita ai superstiti. Irrazionalita'
 che sarebbe rafforzata ove si consideri che il termine  di  decadenza
 di  90  giorni  opera  soltanto quando gia' fosse avvenuta in vita la
 liquidazione della rendita da  inabilita'  permanente,  e  non  anche
 invece  quando  la  morte  sia  istantanea e coincidente con l'evento
 (infortunio  o  malattia  professionale).  In  quest'ultima  ipotesi,
 infatti,   la   normativa  in  vigore  prevede  soltanto  il  termine
 prescrizionale, nonostante sia identica, in entrambe le  ipotesi,  la
 necessita'  di  un accertamento medico legale in ordine all'idoneita'
 dell'evento professionale a produrre la morte.
    2. - Si e' costituita Passone Dinea, chiedendo che la questione, a
 seconda dell'interpretazione del quadro normativo che  fara'  propria
 la Corte, venga ritenuta inammissibile ovvero, in subordine, accolta.
    Circa  la  richiesta  pronuncia  di  inammissibilita', sostiene la
 parte che la disposizione oggetto del presente giudizio  non  sarebbe
 applicabile  al  caso  di  specie, giacche' tale norma si riferirebbe
 soltanto agli  infortuni  sul  lavoro,  e  non  anche  alle  malattie
 professionali.   Secondo   tale   prospettazione,   per  giustificare
 l'applicazione del termine  di  decadenza  in  questione  anche  alle
 malattie  professionali, non sarebbe sufficiente il generico richiamo
 contenuto nell'art. 131 del medesimo d.P.R.  n.  1124  del  1965,  il
 quale  prevede  che  per  le  malattie  professionali si applicano in
 generale le disposizioni concernenti  gli  infortuni  sul  lavoro.  A
 sostegno   di   questa   tesi,   la  difesa  della  Passone  richiama
 l'attenzione sull'inciso "salvo le  disposizioni  speciali  contenute
 nel  presente  capo", che rivelerebbe l'intenzione del legislatore di
 dettare   disposizioni   speciali   relativamente    alle    malattie
 professionali in agricoltura: non avendo invece nulla disposto quanto
 alla  silicosi,  se ne dovrebbe inferire, stante la specialita' delle
 norme che disciplinano il  riconoscimento  e  la  attribuzione  della
 rendita  per  quest'ultima,  che non si possa applicare l'art. 122 ai
 casi di morte per silicosi.
    Qualora non si accogliesse detta eccezione, la questione  dovrebbe
 essere  accolta,  secondo la parte, per le motivazioni gia' contenute
 nell'ordinanza di rimessione: motivazioni  che  sarebbero  rafforzate
 dalle  sentenze di questa Corte n. 206 del 1988, n. 544 del 1990 e n.
 246 del 1992.
    A detti motivi la difesa della Passone aggiunge che, a suo avviso,
 si riscontrerebbe pure la violazione dell'art. 76 della  Costituzione
 per  eccesso di delega del d.P.R. n. 1124 del 1965: la fissazione del
 termine di cui all'art. 122 non potrebbe farsi rientrare nel concetto
 di "modifiche,  correzioni  ed  ampliamenti",  ne'  nel  concetto  di
 "maggiore  speditezza  e semplicita' delle procedure amministrative",
 contenuti nell'art. 30 della legge 19 gennaio 1963, n. 15; tanto piu'
 che, secondo la delega,  le  norme  delegate  non  potevano  disporre
 "comunque la diminuzione o il peggioramento delle prestazioni".
    3.  -  Si  e' costituito l'I.N.A.I.L., concludendo nel senso della
 inammissibilita' o non fondatezza della questione.
    A fondamento di tale richiesta, la difesa  dell'Istituto  sostiene
 che  la  norma  denunziata,  lungi  dal  contrastare  con i parametri
 costituzionali  presi  in  considerazione  dal  giudice   rimettente,
 tutelerebbe  adeguatamente due esigenze che immediatamente fanno capo
 rispettivamente all'I.N.A.I.L. ed ai superstiti:  quella  di  mettere
 l'Istituto   in   condizione   di   dare   tempestivamente  corso  al
 procedimento di accertamento del nesso tra il decesso e  la  malattia
 professionale  o  l'infortunio  per  i  quali  l'assicurato, in vita,
 godeva di rendita, e quella, propria dei superstiti, di conseguire il
 soddisfacimento di un proprio - e non iure ereditatis - diritto  alla
 particolare  prestazione  previdenziale;  e  cio' in virtu' di quanto
 disposto dal successivo art. 123, anche ove i superstiti  stessi  non
 fossero  (o non siano) a conoscenza del decesso del proprio congiunto
 infortunato o tecnopatico.
    A sostegno delle proprie argomentazioni, la difesa dell'I.N.A.I.L.
 richiama in primo luogo la  giurisprudenza  costituzionale  formatasi
 sull'art.   38   della  Costituzione,  relativo,  a  suo  dire,  piu'
 all'adeguamento dei mezzi di carattere  previdenziale  alle  esigenze
 della   vita   dell'infortunato   che  alle  modalita'  necessarie  a
 conseguirli (a meno che esse siano tali - e non sarebbe l'ipotesi  in
 questione - da comprometterne il conseguimento): ricorda inoltre come
 questa Corte ha ritenuto pienamente legittime le regole con cui viene
 condizionata   l'insorgenza   di   tali  diritti,  rilevando  che  la
 congruita' di un termine posto  per  l'esercizio  di  un  diritto  va
 valutata  non  solo  in  rapporto  all'interesse di chi ha l'onere di
 osservarlo, ma anche con riguardo alla funzione assegnata al  termine
 stesso dall'ordinamento giuridico. Tale funzione, nel caso di specie,
 si    identifica   sia   nel   raggiungimento   di   un   equilibrato
 contemperamento di  interessi  pubblici  ed  individuali,  che  nella
 realizzazione del principio dell'affidamento.
    Infine  la  difesa  dell'I.N.A.I.L.  ricorda  che  sono  molte  le
 situazioni soggettive che l'ordinamento sottopone  ad  un  regime  di
 decadenza  per  il  mancato  compimento  di  un breve termine o di un
 determinato atto, precisando che sarebbe assurdo intendere che l'art.
 113 della Costituzione assicuri sempre la tutela giurisdizionale, per
 affermarne  la  perpetuita';  il  che  vorrebbe  dire  proclamare  la
 perennita'   di   ogni   diritto  soggettivo  e  l'impossibilita'  di
 assoggettarlo a decadenza o prescrizione.
    In  conclusione,  la  difesa  dell'I.N.A.I.L.  ribadisce  che   la
 ragionevolezza,  idoneita' e congruita' del termine di novanta giorni
 di cui all'art. 122 del d.P.R. n. 1124 del 1965, acquista maggiore  o
 migliore  connotazione  ove  si  consideri che il successivo art. 123
 obbliga l'istituto, se risulta che i superstiti dell'infortunato  non
 erano  informati del decesso, di darne loro notizia; e cosi' per essi
 il termine di novanta giorni decorre dal momento in cui  questi  sono
 venuti a conoscenza dell'evento luttuoso.
                        Considerato in diritto
    1.  - Il Pretore di Udine dubita della legittimita' costituzionale
 dell'art. 122 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo  unico  delle
 disposizioni  per  l'assicurazione  obbligatoria contro gli infortuni
 sul lavoro e le malattie professionali), in riferimento agli artt. 3,
 24, e 38 della Costituzione, nella parte in  cui  prevede  che  debba
 essere proposta entro il termine decadenziale di novanta giorni dalla
 data   della   morte  dell'infortunato  sul  lavoro  la  domanda  dei
 superstiti per ottenere la rendita nella misura e nei modi  stabiliti
 dall'art. 85 dello stesso d.P.R.
    2. - L'ordinanza di rimessione richiama la sentenza n. 85 del 1968
 con  la  quale  questa  Corte  dichiaro' la illegittimita' di analogo
 termine decadenziale, previsto dal precedente testo unico, in tema di
 infortuni sul lavoro e di malattie professionali (precisamente l'art.
 28 del regio decreto 17 agosto 1935, n. 1765),  nella  parte  in  cui
 stabiliva  che  la  domanda  dei superstiti del lavoratore deceduto a
 causa dell'infortunio doveva essere proposta entro il termine  di  un
 mese  dalla data della morte. Il Pretore rimettente ritiene anzitutto
 che le ragioni addotte a sostegno di quella decisione restano  valide
 anche  per  il  termine  di  novanta  giorni,  ancora  troppo  breve,
 introdotto dal nuovo testo unico (di cui al d.P.R. n. 1124 del 1965).
 Ne' varrebbe osservare in contrario, soggiunge il Pretore,  che  tale
 termine    sarebbe    necessario    per   consentire   all'I.N.A.I.L.
 l'accertamento tempestivo del nesso causale tra infortunio o malattia
 e il decesso poiche', oltre a considerare che cio'  puo'  realizzarsi
 grazie  ai  progressi  della scienza medica anche a distanza di molto
 tempo, una cosa  e'  la  difficolta'  di  prova,  ed  altra  cosa  e'
 conculcare  il  diritto del ricorrente di agire giudizialmente; ed in
 ogni caso l'I.N.A.I.L. non potra' valersi della caducazione anche del
 termine di novanta giorni, in quanto ogni pregiudizio conseguente  al
 ritardo  di  azione  operera'  a livello probatorio solo a carico del
 ricorrente.
    A questo punto l'ordinanza di rimessione espone  alcuni  argomenti
 intesi   a  sostenere  l'illegittimita'  della  norma  non  solo  per
 l'incongruita' del  termine  di  novanta  giorni,  ma  anche  per  la
 previsione di un qualsiasi termine decadenziale:
  a)  per la irragionevolezza della concorrenza di un tale termine con
 quello di prescrizione, previsto dall'art. 112 del d.P.R. n. 1124 del
 1965; b) perche' la decadenza sarebbe limitata alla sola  rendita  ai
 superstiti; e limitata altresi', nell'ambito degli stessi superstiti,
 alla  sola  ipotesi che la morte dell'infortunato sopravvenga dopo la
 liquidazione della rendita permanente all'assicurato.
    3. - Nel costituirsi in questa sede, la parte del giudizio  a  quo
 sostiene  che:  1)  la  norma  denunziata,  che  prevede  il  termine
 decadenziale sia pure piu' lungo di quello contenuto  nel  precedente
 testo  unico,  sarebbe viziata per eccesso di delega, dal momento che
 la  norma  delegante  autorizzava  il  legislatore  a  migliorare  ed
 ampliare  la  precedente  disciplina, non a diminuire i diritti delle
 parti attraverso la reintroduzione  di  una  decadenza  gia'  espunta
 dall'ordinamento  in  forza  della  pronuncia  costituzionale; 2) che
 comunque la norma stessa contenente il termine  decadenziale  sarebbe
 applicabile  solo  all'ipotesi di infortunio, e in ogni caso non alle
 malattie di silicosi ed asbestosi. Queste tesi sono state  ampiamente
 illustrate nelle memorie e nella difesa orale.
    Di  contro l'I.N.A.I.L., pure costituitosi, ha contestato tutte le
 doglianze dell'ordinanza e  della  parte  privata,  pregiudizialmente
 proponendo  eccezione  di  inammissibilita' per non avere l'ordinanza
 spiegato perche' il termine di novanta giorni si rivela, in  astratto
 ed in concreto, troppo breve.
    4.  -  Nell'esaminare  preliminarmente  le  deduzioni  esposte dai
 soggetti costituiti in questa sede, si appalesa anzitutto  l'evidente
 inconsistenza  dell'ultima eccezione di inammissibilita', dal momento
 che l'ordinanza contiene una piu'  che  ampia  motivazione  circa  la
 rilevanza   teorica   e   pratica   dell'incongruita'   del   termine
 decadenziale, ancorche'  si  sia  riportata  parzialmente  ai  motivi
 addotti  dalla  sentenza  n.  85  del  1968  di questa Corte circa il
 termine di un mese previsto dal vecchio testo unico.
    Inconsistente e' anche l'eccezione relativa al preteso eccesso  di
 delega  del  nuovo  testo  unico  per  aver  reintrodotto  il termine
 decadenziale, ove si consideri che la citata sentenza n. 85 del 1968,
 abolitrice del precedente termine di cui  all'art.  28  del  r.d.  17
 agosto 1935, n. 1765, e' di data successiva alla delega conferita dal
 legislatore  con  l'art.  30  della  legge  19  gennaio  1963, n. 15,
 prorogata con legge 11 marzo 1965, n. 158, la quale fu emanata quindi
 quando  ancora  vigeva  nell'ordinamento  il  termine  di   decadenza
 precedente.
    5.  - Piu' complessa e' la seconda eccezione sollevata dalla parte
 privata costituita per contestare il presupposto stesso da cui  muove
 la  questione  di  costituzionalita':  e cioe' l'applicabilita' della
 norma denunziata (l'art. 122,  contenente  il  termine  decadenziale)
 all'ipotesi   delle  malattie  professionali  nell'industria,  ed  in
 particolare alla silicosi ed asbestosi.
    Ma anche questa eccezione non ha un valido fondamento. Va premesso
 che, ai sensi dell'art. 131 del testo unico n. 1124 del 1965 "per  le
 malattie  professionali  si applicano le disposizioni concernenti gli
 infortuni sul lavoro, salvo le  disposizioni  speciali  del  presente
 capo";  nel quale capo VII, relativo alle malattie professionali, non
 si  rinviene  nessuna  norma  derogativa  alla   decadenza   prevista
 dall'art.  122.  Ne'  il successivo capo VIII della legge, contenente
 "Disposizioni speciali per la silicosi e l'asbestosi" comprende norme
 derogatorie al precedente art. 122, appartenente allo  stesso  titolo
 I,  relativo  alla  "Assicurazione infortuni e malattie professionali
 nell'industria".
    Il  fatto,  poi, che nel titolo II, concernente gli infortuni e le
 malattie professionali nell'agricoltura, sia stato ripetuto (all'art.
 253) che i superstiti "debbono proporre domanda, a pena di decadenza,
 entro novanta giorni dalla data della morte", conferma  il  principio
 previsto  per l'industria, e certamente tale conferma non puo' essere
 intesa come disposizione derogatoria all'estensione di  cui  all'art.
 131,   anche   per   mancanza   di   qualsiasi  ratio  dell'eventuale
 discriminazione fra  le  malattie  dei  lavoratori  dell'industria  e
 quelle degli agricoltori.
    6.   -  Superata  quindi  l'eccezione  di  inammissibilita'  della
 questione di costituzionalita' dell'art. 122 del testo unico n.  1124
 del  1965,  e  ritenuta  tale  norma,  non  esorbitante rispetto alla
 relativa legge delega, applicabile anche  in  tema  di  silicosi  dei
 lavoratori dell'industria, deve passarsi ora all'esame dei profili di
 incostituzionalita' esposti dall'ordinanza di rimessione.
    Come  si e' gia' accennato, il Pretore di Udine, nella prima parte
 della ordinanza, denunzia l'illegittimita' della menzionata norma  in
 quanto  contenente  un  termine  di  decadenza  ancora  troppo breve,
 mentre, nella seconda parte,  sostiene  l'incostituzionalita'  di  un
 qualsiasi  termine di decadenza sulla materia in esame, in base a tre
 distinte  censure.  Questa  seconda  prospettazione,   per   la   sua
 radicalita', va ovviamente affrontata con precedenza sull'altra.
    Si denunzia anzitutto l'irragionevolezza della norma dell'art. 122
 nel  prevedere  un  termine  di  decadenza  concorrente  col  termine
 triennale di prescrizione, previsto dall'art. 112 dello stesso  testo
 unico   anche   per  l'azione  di  riconoscimento  della  rendita  ai
 superstiti.
    Questa prima censura e' infondata.
    Si  ritiene  nella  prevalente  dottrina  e   giurisprudenza   che
 l'istituto  della  decadenza  e  quello  della prescrizione, anche se
 simili per diversi aspetti, assolvono a funzioni  diverse:  il  primo
 alla  necessita'  obiettiva che particolari atti siano compiuti in un
 ristretto tempo, specie nell'interesse di altri soggetti, e quindi  a
 prescindere  dalle circostanze soggettive di chi deve compiere quegli
 atti; il secondo alla  funzione  piu'  generale  della  certezza  dei
 rapporti,  nel  presumere  legalmente l'abbandono del diritto in base
 alla  protratta  inerzia  del  titolare,  non  dovuta  a  cause   che
 giustifichino la sospensione o l'interruzione.
    Del   resto   va  constatato  che  il  legislatore,  non  solo  ha
 distintamente disciplinato  entrambi  gli  istituti  (rispettivamente
 negli  artt. 2934-2963 e negli artt. 2964-2969 del codice civile), ma
 in concreto ha previsto piu' volte -  per  lo  stesso  diritto  -  la
 concorrenza  di  termini  decadenziali  e  di prescrizione (es. artt.
 1495, 1497, 1667  del  codice  civile),  come  effetto  dell'evidente
 presupposto  che  diverse  sono  le  funzioni  cui  assolvono  i  due
 istituti.
    7. - Anche nella materia che viene qui in esame, da un lato l'art.
 122 prevede uno dei numerosi termini di decadenza che il testo  unico
 contempla  allo  scopo di rendere spedito ed efficace il procedimento
 amministrativo necessario per accertare gli infortuni sul lavoro e le
 malattie professionali, nonche' per liquidare le  dovute  prestazioni
 economiche;   d'altro   canto   l'art.  112  prevede  un  termine  di
 prescrizione, contenuto  nello  stesso  capo  della  legge,  per  non
 lasciare  aperta sine die, salvo cause di sospensione o interruzione,
 la  possibilita'  di  esercitare  l'azione  diretta  a  conseguire le
 prestazioni.
    La previsione di detto termine di decadenza e la  sua  concorrenza
 con  quello  di  prescrizione  appaiono  non irragionevoli, in quanto
 giustificati sia dalle diverse funzioni  dagli  stessi  assolte,  sia
 dalla considerazione che una materia come quella in esame conserva in
 parte   la   logica   assicurativa   risarcitoria,   con  conseguente
 bilanciamento dei rispettivi interessi (oltre che di quello  generale
 alla  certezza dei rapporti) dei due soggetti coinvolti; e cioe', sia
 dell'ente  erogatore  ad  un  ordinato  e  sollecito  svolgersi   del
 procedimento  mediante la rapida conoscenza delle persone legittimate
 ad una verifica del nesso eziologico e delle altre  condizioni  della
 pretesa,  sia  l'interesse dei superstiti alla notizia del decesso ed
 al tempestivo avvio della pratica  di  accertamento  e  liquidazione.
 Anche  in  relazione all'onere della prova, il vigente testo unico lo
 ripartisce equilibratamente fra l'Istituto e le parti private  (artt.
 52,  54,  104  e  105),  per  cui l'eccessivo ritardo nuoce all'uno e
 all'altro dei soggetti del rapporto.
    8. - Nell'ordinanza di  rimessione  si  lamenta  poi  una  duplice
 disparita'  di  trattamento, nel senso che il termine di decadenza di
 cui all'art. 122 per un verso sarebbe "limitato alla sola rendita  ai
 superstiti",  e  per altro verso opererebbe "solo quando la morte sia
 conseguenza dell'infortunio o della malattia  professionale  dopo  il
 riconoscimento da parte dell'I.N.A.I.L.".
    Il  primo  rilievo  e' infondato poiche' termini di decadenza sono
 previsti anche per il diretto assicurato (come  quelli  di  cui  agli
 artt. 52 e 53 del citato testo unico). Anche il secondo rilievo viene
 smentito  dal  successivo  art.  123  che,  negli  altri  casi (morte
 dell'assicurato nel corso del procedimento presso l'istituto) pone  a
 carico  di  quest'ultimo  l'obbligo  di  "dare notizie del decesso ai
 superstiti, agli effetti  dell'eventuale  applicazione  dell'articolo
 precedente",  e  quindi  per  far proporre la domanda entro lo stesso
 termine di decadenza.
    9. - Se  allora  un  termine  di  decadenza  per  la  domanda  dei
 superstiti  ad  ottenere la rendita, nella misura e nei modi previsti
 dall'art. 85 del testo unico citato,  non  appare  irragionevole  ne'
 determina  un  diverso  trattamento  di situazioni omogenee, resta da
 esaminare se la misura del termine  stesso  sia  logicamente  congrua
 rispetto al diritto da esercitare.
    Si  e'  gia'  ricordato  che  l'art.  28  del testo unico del 1935
 fissava  tale  termine  in   un   mese   dalla   data   della   morte
 dell'assicurato,  ma  questa  Corte (con la richiamata sentenza n. 85
 del 1968) dichiaro'  incostituzionale  detta  norma,  considerato  il
 turbamento   psicologico  dei  superstiti,  gli  impegni  ricollegati
 all'evento  luttuoso,  l'eventuale  scarsa  conoscenza  delle  norme,
 nonche'  la  decorrenza  del  termine  dalla  data  della  morte  del
 lavoratore.
    L'art. 122 del nuovo testo unico del 1965, ampliando  il  predetto
 termine  a  novanta  giorni,  ha  svuotato di forza persuasiva le due
 prime considerazioni sulle quali la citata  sentenza  fondo'  la  sua
 pronuncia,   ma   non   puo'   dirsi  lo  stesso  per  le  altre  due
 considerazioni.
    E'  vero  che  nell'art.  123  si prescrive che per le ipotesi ivi
 previste l'istituto assicuratore deve dare  notizie  del  decesso  ai
 superstiti  e  che  il termine di cui all'articolo precedente decorre
 dal giorno nel quale  i  superstiti  sono  venuti  a  conoscenza  del
 decesso;  ma  per la diversa ipotesi disciplinata dall'art. 122 resta
 espressamente stabilito che il  termine  decadenziale  decorre  dalla
 data  della  morte,  ne'  si  pone  a carico dell'istituto l'onere di
 avvertire i superstiti dell'esistenza di detto termine.
    Per rendere quindi anche la norma  in  questione  coerente  sia  a
 quella  del  successivo  art. 123, sia ai principi costituzionali che
 giustificarono la pronuncia di illegittimita' del precedente  sistema
 normativo,  va  dichiarata  l'illegittimita' costituzionale dell'art.
 122 nella parte in cui non prevede che l'Istituto  assicuratore,  nel
 caso  di  decesso  del lavoratore, debba avvertire i superstiti della
 loro possibilita' di proporre domanda  per  la  rendita  nel  termine
 decadenziale di novanta giorni dalla data della comunicazione stessa.