ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale degli artt. 419, terzo
 comma e 421, terzo comma, del codice di  procedura  penale,  promosso
 con  ordinanza  emessa  il  16  marzo  1993 dal Tribunale militare di
 Padova nel procedimento penale  a  carico  di  D'Avossa  Gianalfonso,
 iscritta  al  n.  331  del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  27,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1993;
    Visti  l'atto  di  costituzione  di  D'avossa Gianalfonso, nonche'
 l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito nella camera di consiglio del 3  novembre  1993  il  Giudice
 relatore Ugo Spagnoli;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  In  un  procedimento  nel quale il pubblico ministero aveva
 compiuto vari atti di indagine dopo la richiesta di rinvio a giudizio
 ed aveva depositato la relativa documentazione solo il  giorno  prima
 dell'udienza   preliminare,   il  Tribunale  militare  di  Padova  ha
 sollevato, con ordinanza del 16 marzo 1993, in  riferimento  all'art.
 24,   secondo   comma,   Cost.,   una   questione   di   legittimita'
 costituzionale dell'art. 419, terzo comma, del  codice  di  procedura
 penale,  nella  parte in cui non prevede un termine per l'adempimento
 dell'obbligo di trasmissione al giudice per le  indagini  preliminari
 di detta documentazione e, piu' specificamente, che tale trasmissione
 avvenga "immediatamente" dopo la ricezione del relativo invito.
    Premesso che la previsione di detto termine servirebbe a tutelare,
 mediante  una  tempestiva  discovery,  il diritto dell'imputato ad un
 effettivo contraddittorio - e che pertanto la questione e'  rilevante
 anche  in  fase  dibattimentale  in  quanto  verte  su  un'ipotesi di
 nullita' ex art. 178, lettera c) in relazione all'art. 180 del codice
 di procedura penale  -  il  Tribunale  rileva  che  nella  specie  il
 deposito degli atti d'indagine "susseguenti" - compiuti sia prima che
 dopo  l'avviso  ex  art.  419,  terzo  comma  -  avvenne  in  modo da
 consentirne a malapena alla difesa una mera lettura; e  osserva  che,
 al  contrario,  il  deposito,  nella  stesura  finale  del codice, fu
 trasformato  da  facolta'   in   obbligo   proprio   per   consentire
 all'imputato  di  vagliare  adeguatamente  la  linea  difensiva  alla
 stregua di tutti gli elementi gravanti a  suo  carico,  e  che  nella
 stessa  prospettiva di salvaguardia del contraddittorio si colloca la
 previsione (art. 419, quarto comma) di un intervallo di dieci  giorni
 tra  l'udienza  preliminare  e  la  notifica  del relativo decreto di
 fissazione.
    L'invocato termine  -  osserva  ancora  il  remittente  -  non  e'
 espressamente  previsto, ne' e' ricavabile aliunde, dato che, secondo
 i lavori preparatori, la documentazione d'indagine "susseguente" puo'
 essere  trasmessa  anche   all'udienza   preliminare;   ne'   sarebbe
 consentito  -  data l'esigenza di speditezza di detta fase - ritenere
 che possa al riguardo concedersi un termine per la difesa.
    Dagli atti in questione,  per  di  piu',  potrebbe  risultare  uno
 stravolgimento  del  quadro  probatorio  - con conseguente effetto "a
 sorpresa"  per  l'imputato  -  dato  che  la  norma   impugnata   non
 circoscrive  in  alcun modo quelli assumibili, diversamente da quanto
 fa l'art. 430 del codice di procedura penale per la fase  susseguente
 al  decreto  che  dispone  il  giudizio.  Anzi,  tali atti potrebbero
 addirittura essere quelli su cui effettivamente si fonda il rinvio  a
 giudizio,  dato  che  non  e' consentita una previa valutazione degli
 elementi posti a fondamento della relativa richiesta  ai  fini  della
 fissazione dell'udienza preliminare.
    Ad  avviso  del  Tribunale  rimettente,  poi,  alla mancanza di un
 termine  per  il  deposito  degli  atti  "susseguenti"  non  potrebbe
 supplirsi  - come ritenuto da una decisione di merito - ritenendo che
 dalla  norma  impugnata  discenda  l'inutilizzabilita'   nell'udienza
 preliminare  di  quelli  compiuti  dal  pubblico  ministero  dopo  la
 ricezione dell'invito a trasmetterli (salvo a far uso di essi ai fini
 delle ulteriori informazioni richieste in  tale  sede  ex  art.  422,
 primo  comma,  del  codice di procedura penale ovvero per chiedere la
 revoca, ex art. 435 del codice di  procedura  penale,  dell'eventuale
 sentenza  di non luogo a procedere). Ne' una parziale menomazione del
 diritto di difesa  potrebbe  giustificarsi  in  base  alla  natura  e
 funzione  dell'udienza  preliminare, dato che una completa conoscenza
 degli elementi a suo carico e' essenziale all'imputato  per  valutare
 se gli convenga ricercare prove a discarico per ottenere gia' in essa
 il "non luogo a procedere", ovvero optare per la richiesta di un rito
 speciale (applicazione di pena, rito abbreviato o immediato) o per la
 via dibattimentale.
    Di  qui  la  necessita' di contemperare l'esigenza di prosecuzione
 delle indagini ( ex art. 112 Cost.) con il diritto  dell'imputato  di
 difendersi  rispetto ad ogni elemento raccolto a suo carico, mediante
 la fissazione di un termine per il  deposito  degli  atti  d'indagine
 susseguenti  alla  richiesta  di  rinvio a giudizio, decorso il quale
 dovrebbe venir meno il potere del pubblico ministero di procedere  ad
 ulteriori  indagini  utilizzabili per l'udienza preliminare: deposito
 che - a precisazione del petitum - dovrebbe avvenire "immediatamente"
 dopo la ricezione del relativo invito di cui art. 419,  terzo  comma,
 del  codice  di  procedura  penale sulla falsariga di quanto previsto
 dall'art.  430  del  codice  di  procedura  penale  per   l'attivita'
 integrativa  di  indagine  successiva  all'emissione  del decreto che
 dispone il giudizio.
    La violazione denunciata - osserva infine il Tribunale  rimettente
 - non viene meno per il fatto che l'art. 421, terzo comma, del codice
 di   procedura  penale  consente  all'imputato  di  produrre  atti  e
 documenti   nell'udienza   preliminare,   fino    all'inizio    della
 discussione,  e quindi gli attribuisce anche un potere di controprova
 rispetto alla documentazione trasmessa ex art. 419, terzo comma,  del
 codice  di procedura penale o presentata dal pubblico ministero nella
 stessa udienza. Tale potere non sarebbe  infatti  effettivo  rispetto
 agli  atti  d'indagine allegabili "a sorpresa" fino a tale momento; e
 da  cio'  dovrebbe,  anzi,  dedursi  l'illegittimita'  costituzionale
 conseguenziale  - ex art. 27 legge n. 87 del 1953 - del medesimo art.
 421, terzo comma, nella parte in cui  consente  che  atti  d'indagine
 susseguenti  alla  richiesta  di  rinvio  a  giudizio e non trasmessi
 "immediatamente"  ex  art.  419,  terzo   comma,   siano   presentati
 direttamente all'udienza preliminare.
    2.  -  Il  Presidente  del Consiglio dei ministri, rappresentato e
 difeso dall'Avvocatura Generale  dello  Stato,  pur  premettendo  che
 l'esigenza   di  accertamento  della  verita'  potrebbe  teoricamente
 legittimare una limitata compressione del diritto di difesa,  osserva
 che  questa puo' essere evitata ritenendo, in via interpretativa, che
 la comunicazione al pubblico ministero dell'invito a  trasmettere  la
 documentazione  relativa  alle  indagini successive alla richiesta di
 rinvio a giudizio segni, implicitamente,  il  limite  temporale  alle
 indagini  utilizzabili  nell'udienza  preliminare,  e  l'ambito degli
 elementi di prova in essa rilevanti: salva, peraltro, l'utilizzazione
 di quelli posteriori nel dibattimento, o ai fini della  revoca  della
 sentenza  di  non  luogo  a  procedere,  ovvero  nella stessa udienza
 preliminare nell'ipotesi di cui all'art. 422, primo comma, del codice
 di procedura penale.
    Ad avviso dell'Avvocatura, tale interpretazione e' confortata  non
 solo  dalla  struttura  logica  della  norma impugnata ma anche dalla
 complessiva  disciplina  dell'udienza  preliminare.  Poiche'  infatti
 l'obbligo  di  trasmettere,  con  la  richiesta di rinvio a giudizio,
 l'intera  documentazione  relativa   alle   acquisizioni   probatorie
 conseguite  (art. 416, secondo comma, del codice di procedura penale)
 e' finalizzato - secondo la Relazione  al  progetto  preliminare  del
 codice - a consentire all'imputato "di compiere le scelte nell'ambito
 delle  diverse  alternative  poste  dai  riti differenziati", sarebbe
 contraddittorio che per gli atti d'indagine successivi sia consentita
 una   discovery   ritardata   fino   all'inizio   della   discussione
 nell'udienza  preliminare  (la  richiesta  di giudizio immediato, tra
 l'altro, va effettuata tre giorni prima di tale udienza).
    Quanto al termine entro cui gli atti dovrebbero essere  trasmessi,
 dovrebbe  ritenersi  che,  in assenza di una previsione esplicita, la
 spedizione non possa che essere  effettuata  immediatamente  dopo  la
 ricezione dell'avviso.
    3.  - La difesa della parte privata si e' costituita fuori termine
 depositando una memoria adesiva  alle  argomentazioni  e  conclusioni
 dell'ordinanza di rimessione.
                        Considerato in diritto
   1. - Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale militare di
 Padova  dubita  che  l'art. 419, terzo comma, del codice di procedura
 penale contrasti con il diritto di  difesa  garantito  dall'art.  24,
 secondo  comma,  Cost.  in  quanto,  non prevedendo un termine per la
 trasmissione ed il deposito da parte  del  pubblico  ministero  della
 documentazione  degli  atti  d'indagine  successivi alla richiesta di
 rinvio a giudizio - e piu' specificamente,  in  analogia  con  quanto
 disposto  dall'art.  430  del  codice di procedura penale, che a tale
 obbligo si ottemperi "immediatamente" dopo la ricezione del  relativo
 invito  -  consente  per  tali  atti  una  "discovery" ritardata fino
 all'udienza preliminare - con conseguente effetto "a  sorpresa"  -  e
 percio' impedisce all'imputato di vagliare la propria linea difensiva
 alla  stregua  di  tutti  gli  elementi  a  suo carico, di apprestare
 eventuali controprove e di effettuare scelte consapevoli in ordine ai
 riti differenziati richiedibili all'udienza preliminare.
    Dall'accoglimento  di   tale   questione,   secondo   il   giudice
 rimettente,  dovrebbe  inoltre  derivare - in riferimento allo stesso
 parametro   -   la   declaratoria   d'illegittimita'   costituzionale
 conseguenziale  (  ex  art.  27 della legge n. 87 del 1953) dell'art.
 421, terzo comma, del medesimo codice, nella parte in cui consente di
 presentare direttamente all'udienza preliminare gli  atti  d'indagine
 compiuti successivamente al termine come sopra precisato.
    2.  -  La  questione  non e' fondata, nel senso di cui si dira' in
 appresso.
    Non pare dubbio, innanzitutto, che  la  prospettiva  additata  dal
 giudice  a  quo si ponga in contraddizione con l'impianto sistematico
 desumibile dalle norme positive.
    Il  legislatore,  infatti,  non  solo non ha frapposto limitazioni
 temporali all'attivita' d'indagine suppletiva consentita al  pubblico
 ministero  dopo  la  richiesta  di rinvio a giudizio (art. 419, terzo
 comma), ma ha consentito alle parti la produzione di (ulteriori) atti
 e documenti nel  corso  dell'udienza  preliminare  (art.  421,  terzo
 comma)  ed  al  pubblico ministero di compiere indagini integrative -
 pur se in certi limiti oggettivi - successive al decreto che  dispone
 il  giudizio  (art.  430),  anche  qui,  senza specifiche limitazioni
 temporali. La continuita' che si e' in  tal  modo  voluta  assicurare
 alle indagini utili, prima alla decisione sul rinvio a giudizio e poi
 alla  formazione  della  prova in dibattimento, sarebbe evidentemente
 frustrata dallo spazio vuoto che l'ordinanza vorrebbe interporre.
    L'introduzione  di  questo,  tra  l'altro,   potrebbe   avere   il
 paradossale  risultato di indurre il giudice dell'udienza preliminare
 a richiedere, con lo strumento di cui  all'art.  422  del  codice  di
 procedura  penale,  ulteriori indagini che sono state gia' svolte nel
 periodo in questione ma che - nella prospettiva qui esaminata  -  non
 sarebbero   utilizzabili   in  detta  udienza.  E  sarebbe  del  pari
 irrazionale un congegno che  -  come  il  giudice  a  quo  propone  -
 contemplasse  indagini  non  utilizzabili ai fini della decisione sul
 rinvio a giudizio e utilizzabili, invece, ai fini della revoca  della
 sentenza di non luogo a procedere.
    Del  resto, il limite temporale che questi vorrebbe frapporre alle
 indagini  del  pubblico  ministero  sarebbe  in  contraddizione   con
 l'assenza  di  norme  che  circoscrivano la facolta' del difensore di
 raccogliere nella fase in questione elementi utilizzabili all'udienza
 preliminare.
    3. -  A  ben  vedere,  poi,  il  richiamo,  come  paradigma,  alla
 disposizione   (art.   430)  che  impone  al  pubblico  ministero  di
 depositare  "immediatamente"  gli  atti  di  indagine  successivi  al
 decreto  che  dispone il giudizio e' inidoneo a risolvere il problema
 posto dall'ordinanza.
    Invero, che anche gli atti di indagine successivi  alla  richiesta
 di  rinvio  a  giudizio debbano essere, pur in mancanza di un'analoga
 previsione  espressa,  depositati  "immediatamente",  man  mano   che
 vengono  formati,  nella  cancelleria  del  giudice  si  desume gia',
 implicitamente, dal fatto  che,  dopo  gli  adempimenti  che  a  tale
 richiesta   conseguono  (art.  416,  secondo  comma,  del  codice  di
 procedura penale), non esiste piu' presso il pubblico ministero alcun
 "fascicolo" nel quale versarli;  ed  a  porre  rimedio  ad  eventuali
 ritardi provvede l'art. 131 disp. att. cod. proc. pen. disponendo che
 le  parti  private  possono  prendere  visione  dei  risultati  delle
 indagini "nel luogo dove si trovano".
    Ma   altro   e'   riconoscere    cio',    altro    e'    affermare
 l'inutilizzabilita', nell'udienza preliminare, delle indagini succes-
 sive  all'"invito"  di  cui  all'art.  419, terzo comma. Ad un simile
 risultato il giudice a quo perviene in quanto assume  che  l'esigenza
 di  speditezza  dell'udienza  preliminare precluderebbe al giudice di
 disporre il differimento per consentire alla difesa di  controdedurre
 rispetto ad atti d'indagine compiuti nell'imminenza di essa.
    Tale presupposizione non puo', pero', essere condivisa.
    Nel  dettare  le regole di svolgimento dell'udienza preliminare il
 legislatore ha gia' previsto espressamente - agli artt. 420, comma  4
 e  422,  comma  4  del  codice  di  procedura penale - due ipotesi di
 differimento   di   essa    funzionali    alla    salvaguardia    del
 contraddittorio.  Nulla autorizza a ritenere che si tratti di ipotesi
 tassative, dato che la disciplina di detta  udienza  si  caratterizza
 per  la  sua  essenziale scheletricita' (basti pensare all'assenza di
 esplicite previsioni al riguardo nell'ipotesi di nuove  contestazioni
 ex  art.  423 del codice di procedura penale); e cio' vale tanto piu'
 se  si  ha  riguardo  all'ampliamento  della  materia   oggetto   del
 contraddittorio   che   consegue   alla   soppressione  della  regola
 dell'"evidenza" contenuta  nell'art.  425  del  codice  di  procedura
 penale (cfr. art. 1 legge 8 aprile 1993, n. 105).
    D'altra  parte,  la considerazione dell'esigenza di concentrazione
 del dibattimento non ha impedito a questa Corte (sentenza n. 203  del
 1992)  di  dedurre  dal  sistema  processuale che si debbono ritenere
 consentite sospensioni  di  breve  durata  di  esso  per  motivi  non
 esplicitamente  indicati,  qualora  cio'  si  appalesi  assolutamente
 necessario  alla  salvaguardia  del  contraddittorio  (nella  specie,
 rispetto alle prove introdotte tardivamente ex art. 493, terzo comma,
 del   codice   di  procedura  penale).  E  poiche'  la  garanzia  del
 contraddittorio rispetto alle prove dedotte da ciascuna  delle  parti
 e'  certamente  un cardine del vigente sistema processuale, essa deve
 valere anche nell'udienza preliminare (ovviamente, nei  limiti  posti
 dall'oggetto del giudizio che vi si svolge).
    Di conseguenza, e' da ritenere che, ove le indagini suppletive del
 pubblico  ministero  sopravvengano  in  tempi  tali da non consentire
 un'adeguata difesa, spetti al giudice di  regolare  le  modalita'  di
 svolgimento  dell'udienza  preliminare  anche attraverso differimenti
 congrui alle  singole,  concrete  fattispecie,  si'  da  contemperare
 l'esigenza   di  celerita'  con  la  garanzia  dell'effettivita'  del
 contraddittorio.
    In questi termini, la questione va dichiarata infondata.