ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  73  regio
 decreto legge 3 marzo  1938,  n.  680  (Ordinamento  della  Cassa  di
 previdenza  per  le  pensioni  agli  impiegati  degli  enti  locali),
 promosso con ordinanza emessa il 26  gennaio  1993  dalla  Corte  dei
 conti,  Sezione  giurisdizionale per la Regione siciliana nei ricorsi
 riuniti proposti da Pampallona Rosa contro il Ministero  del  tesoro,
 iscritta  al  n.  481  del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  37,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1993;
    Visto l'atto di costituzione di Pampallona Rosa;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  30  novembre  1993  il giudice
 relatore Massimo Vari;
    Udito l'avvocato Eugenio Merlino per Pampallona Rosa;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Con ordinanza emessa il 26 gennaio 1993, la Corte dei  conti,
 Sezione  giurisdizionale  per  la Regione siciliana, nel corso di due
 giudizi pensionistici proposti da Pampallona Rosa, ha  sollevato,  in
 riferimento  agli  artt.  3  e  36  della  Costituzione, questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 73 del regio  decreto  legge  3
 marzo  1938,  n.  680  (Ordinamento  della Cassa di previdenza per le
 pensioni agli impiegati degli enti locali), convertito nella legge  9
 gennaio  1939,  n. 41, nella parte in cui esclude - per il dipendente
 cessato  dal  servizio  senza  aver  effettuato  il  versamento   del
 contributo  di  riscatto  in unica soluzione, ma senza essere incorso
 durante il servizio nella decadenza prevista dal precedente art.  72,
 secondo comma - la facolta' di chiedere all'ente previdenziale che il
 contributo  venga recuperato mediante riduzione della pensione di una
 quota vitalizia.
    2. - Premette, in  punto  di  fatto,  il  giudice  remittente  che
 Giordano  Giovanni,  defunto marito della ricorrente, aveva ricevuto,
 nel giugno 1980, la delibera determinativa  dell'onere  del  riscatto
 richiesto,  in  costanza  di  rapporto di impiego alle dipendenze del
 comune di Caltagirone, per periodi di servizio militare a  suo  tempo
 reso.  Dopo  aver dichiarato di accettare il pagamento del contributo
 in unica soluzione, era cessato dal servizio in data 1 agosto 1980, e
 cioe' prima che fosse trascorso l'anno stabilito dalla legge  per  il
 versamento,  mentre,  nella successiva data del 26 aprile 1982, aveva
 chiesto che il contributo dovuto fosse trasformato in quota vitalizia
 passiva. Dopo la morte del Giordano, avvenuta  in  data  3  settembre
 1984,  il  Ministero  del tesoro, Cassa per le pensioni ai dipendenti
 degli enti  locali,  aveva  disposto,  nei  confronti  della  vedova,
 Pampallona  Rosa,  la  sospensione  del trattamento di riversibilita'
 gia' in godimento, con recupero  della  somma  erogata  a  titolo  di
 pensione  provvisoria,  ed  aveva  respinto,  altresi', la domanda di
 pensione diretta a suo tempo prodotta dal Giordano, per mancanza  del
 periodo minimo di anzianita' di servizio.  Rilevato che, tra i motivi
 del  diniego, l'amministrazione adduce la circostanza che il Giordano
 sarebbe incorso nella decadenza di cui al secondo comma dell'art.  72
 del  regio  decreto  legge  n. 680 del 1938, per non aver effettuato,
 entro un  anno  dalla  data  della  comunicazione  del  riscatto,  il
 pagamento   del   contributo  in  unica  soluzione,  il  Collegio  ha
 sollevato,  d'ufficio,  questione  di   legittimita'   costituzionale
 dell'art.  73 del regio decreto legge n. 680 del 1938, nella parte in
 cui omette di considerare, nella disciplina apprestata, l'ipotesi del
 dipendente che, avendo optato per il  versamento  del  contributo  di
 riscatto   in  unica  soluzione,  cessi  dal  servizio  senza  averlo
 compiuto, ma prima che sia maturata la decadenza  prevista  dall'art.
 72, secondo comma del medesimo regio decreto legge n. 680 del 1938.
    3.  -  Quanto  alla non manifesta infondatezza della questione, il
 giudice a quo ritiene che la norma impugnata operi, in contrasto  con
 l'art.  3  della Costituzione, una irrazionale discriminazione tra il
 caso sopra menzionato e quello  di  chi  abbia  scelto  il  pagamento
 rateale,  per il quale l'art. 73 - indipendentemente dal fatto che si
 sia dato o meno inizio al pagamento  delle  rate  nel  momento  della
 cessazione del rapporto - consente di chiedere all'ente previdenziale
 il  recupero  del  contributo  di  riscatto  mediante riduzione della
 pensione di una quota vitalizia. Fatto richiamo della sentenza  della
 Corte costituzionale n. 454 del 1990, la cui ratio decidendi, secondo
 il  giudice  remittente,  tornerebbe  applicabile  anche nel presente
 giudizio,  l'ordinanza  osserva  che  il  dipendente   obbligato   al
 pagamento   dell'intero   contributo   potrebbe,   oltretutto,  veder
 pregiudicate le sue esigenze di vita, dovendo  destinare  allo  scopo
 tutta  o  parte  della pensione, ovvero rinunciare, per effetto della
 difficolta' di adempimento in un'unica soluzione, al godimento  della
 pensione stessa, con violazione dell'art. 36 della Costituzione.
    4. - Si e' costituita in giudizio Pampallona Rosa, rappresentata e
 difesa  dagli  avv.ti  Cristiano  Romano  ed Eugenio Merlino, i quali
 hanno depositato due memorie con cui si  insiste  per  l'accoglimento
 della questione.
                        Considerato in diritto
    1.  -  La  Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione
 siciliana, ha sollevato - in riferimento agli  artt.  3  e  36  della
 Costituzione  -  questione  di  legittimita'  dell'art.  73 del regio
 decreto legge 3 marzo  1938,  n.  680  (Ordinamento  della  Cassa  di
 previdenza  per  le pensioni agli impiegati degli enti locali), nella
 parte in cui non prevede, per il dipendente che abbia optato  per  il
 versamento  del contributo di riscatto in unica soluzione e che cessi
 dal servizio senza averlo compiuto, la facolta' di chiedere  all'ente
 previdenziale  che  il contributo venga recuperato mediante riduzione
 della pensione di una quota vitalizia  da  calcolarsi  in  base  alla
 tabella B annessa allo stesso decreto.
    2. - La questione e' fondata.
    La compiuta valutazione del problema portato all'esame della Corte
 impone  il  richiamo  del  complesso  normativo del quale fa parte il
 predetto art. 73, nel testo vigente prima delle modifiche addotte  in
 materia  dall'art.  10  della  legge  8  agosto  1991, n. 274, norma,
 quest'ultima,  che  qui  non  rileva,  essendo  entrata   in   vigore
 successivamente   ai   fatti  di  causa.  Occorre,  percio',  muovere
 dall'art. 72, primo comma, dello stesso regio decreto legge  n.  680,
 secondo  il quale l'impiegato, il quale abbia ottenuto il riscatto di
 periodi  utili  a  pensione,  ha  facolta'  di  versare  il  relativo
 contributo  in  una  sola  volta  ovvero  di  optare per il pagamento
 rateale, in base alla tabella C unita al medesimo decreto.
    A mente del successivo comma dello stesso articolo,  il  pagamento
 del contributo in unica soluzione va effettuato, a pena di decadenza,
 entro  un  anno  dalla deliberazione del Consiglio di amministrazione
 della  Cassa,   ammissiva   del   riscatto   medesimo.   Nell'ipotesi
 dell'impiegato  che  abbia  optato  per  il  versamento  rateale  del
 contributo di riscatto occorre far  capo,  invece,  all'art.  73,  il
 quale,  al  secondo comma, dispone che, qualora l'impiegato cessi dal
 servizio senza aver compiuto il riscatto stesso, egli ovvero  la  sua
 vedova  o  i  suoi  orfani  debbono versare, in unica soluzione o con
 ritenuta  del  quinto  della  pensione,  l'importo  delle  rate   del
 contributo  che  si  sarebbero  dovute  versare  qualora il pagamento
 rateale avesse avuto effetto  dal  primo  del  mese  successivo  alla
 presentazione  della  domanda  di  riscatto, diminuito, per un verso,
 dell'importo delle rate  effettivamente  versate  ed  aumentato,  per
 l'altro,  dell'importo  degli interessi eventualmente dovuti. A mente
 del terzo  comma,  per  le  ulteriori  rate,  l'impiegato  che  abbia
 acquistato diritto a pensione ha la facolta' di versarne in una volta
 sola  il  valore  capitale,  determinato  sulla  base della tabella C
 annessa al regio decreto legge n. 680 del 1938,  oppure  di  chiedere
 che  la  pensione spettantegli sia ridotta di una quota vitalizia, da
 calcolarsi  in  base  alla  tabella  B  annessa  allo  stesso   testo
 normativo, corrispondente al valore capitale predetto. E' proprio nei
 confronti  di quest'ultima previsione che si appuntano le censure del
 giudice remittente.
    3. - Da quanto sopra riferito risulta che l'art. 73, per  il  solo
 caso  di  colui  che  abbia  optato  per  il  pagamento  rateale  del
 contributo  di  riscatto,  contempla  una  disciplina  del   rapporto
 pensionistico  e  contributivo  che si sostituisce - al momento della
 cessazione del rapporto d'impiego - a quella  collegata  alla  scelta
 precedentemente  effettuata  dal  dipendente,  il quale, pertanto, si
 giova della nuova diversa regolamentazione,  anche  se,  in  ipotesi,
 all'atto  della  cessazione  non  abbia  ancora iniziato il pagamento
 delle rate. Ad avviso del Collegio, la disposizione, cosi'  operando,
 pone  in essere un'irrazionale discriminazione nei confronti di chi -
 come nel caso che ha dato luogo all'ordinanza di rimessione  -  abbia
 scelto  il  pagamento del contributo in unica soluzione, cessando poi
 dal servizio senza adempiere la propria obbligazione, ma  pur  sempre
 prima  che  sia  decorso  l'anno  previsto a pena di decadenza per il
 pagamento. In altri termini, la norma denunciata, non consentendo  di
 chiedere   la   riduzione  della  pensione  spettante  di  una  quota
 vitalizia, determinata con i criteri sopra indicati, fa  si'  che,  a
 danno dell'interessato, operi l'effetto pregiudizievole che l'art. 72
 riconnette  al  mancato pagamento dell'intero contributo dovuto entro
 l'anno  dalla  comunicazione  dell'ente  di  previdenza. E questo con
 conseguenze che possono giungere,  come  nella  specie,  addirittura,
 alla   perdita   della   pensione   e  che,  comunque,  si  risolvono
 nell'impossibilita'  di  fruire  della  piu'  favorevole   forma   di
 adempimento   consentita,  viceversa,  a  chi  abbia  optato  per  il
 pagamento rateale, prescindendosi, oltretutto,  dal  fatto  che  esso
 abbia  avuto  effettivo  inizio  o  meno,  all'atto  della cessazione
 dall'impiego.
    E, invero, da ritenere, che la ratio dell'art. 73, nella parte che
 qui interessa, sia quella di apprestare, per il  dipendente  che,  al
 momento  della  cessazione  dal servizio, abbia in corso il riscatto,
 una  riconsiderazione  ed   una   nuova   disciplina   del   rapporto
 obbligatorio  in  essere  che  salvaguardi  l'interesse della Cassa a
 conseguire quanto le sia dovuto, ma consenta,  al  tempo  stesso,  al
 pensionato,  che,  in  relazione  alla  sua  nuova  condizione,  vede
 fortemente limitata la capacita'  di  produzione  del  reddito  e  la
 disponibilita'   di  risorse  finanziarie,  di  fruire  di  forme  di
 pagamento maggiormente  compatibili  con  la  sua  mutata  situazione
 patrimoniale.
    In  quest'ottica,  appare  assolutamente  arbitraria, da parte del
 legislatore,  una  discriminazione,  quale  quella  che   si   evince
 dall'art.  73, fondata sulle modalita' di pagamento scelte durante il
 rapporto d'impiego, ove  si  tenga  conto  della  ratio  della  norma
 denunciata,  e  in  particolare del fine riequilibratore del rapporto
 obbligatorio, in relazione alle mutate condizioni  di  fatto.  A  ben
 vedere, le esigenze di riequilibrio dei termini del rapporto appaiono
 ancor  piu'  evidenti e significative proprio nel caso del dipendente
 obbligato al pagamento dell'intero  contributo,  in  quanto  potrebbe
 vedere  pregiudicate  le sue esigenze di vita, in maniera ancora piu'
 radicale dell'altra ipotesi, per  la  necessita'  di  destinare  allo
 scopo tutta o parte della pensione ovvero di rinunciare, addirittura,
 per effetto delle difficolta' dell'adempimento in unica soluzione, al
 godimento della pensione stessa.
    La fondatezza della questione, cosi' riconosciuta, assorbe l'altro
 profilo dedotto nell'ordinanza di rimessione.