ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 2  della  legge
 23 dicembre 1986 n. 898 (Conversione in legge, con modificazioni, del
 decreto-legge  27  ottobre  1986  n.  701,  recante misure urgenti in
 materia di controlli degli aiuti comunitari alla produzione dell'olio
 di oliva. Sanzioni  amministrative  e  penali  in  materia  di  aiuti
 comunitari al settore agricolo.), promosso con ordinanza emessa il 27
 marzo  1993 dal giudice per le indagini preliminari presso la Pretura
 di Matera  nel  procedimento  penale  a  carico  di  Saponara  Marco,
 iscritta  al  n.  272  del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  24,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1993;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del 3  novembre  1993  il  giudice
 relatore Ugo Spagnoli;
                           Ritenuto in fatto
    1. - A conclusione di un procedimento di indagine relativo a fatti
 commessi  sino  all'anno  1991,  per  i quali era stata ipotizzata la
 violazione dell'art. 2 della legge  23  dicembre  1986  n.  898  (che
 prevede  sanzioni  penali e amministrative per l'indebita percezione,
 mediante esposizione di dati o notizie falsi, di erogazioni a  carico
 del  Fondo europeo agricolo), il Pubblico Ministero presso la Pretura
 circondariale di Matera ha trasmesso  gli  atti  al  giudice  per  le
 indagini preliminari con richiesta di archiviazione, in quanto, nella
 specie,  non concorrevano entrambe le condizioni previste dalla norma
 - secondo l'interpretazione autentica di essa  fornita  dall'art.  5,
 comma  3-  bis,  della  legge  4 novembre 1987 n. 460 - perche' possa
 essere erogata la sanzione penale e  cioe'  che  la  somma  percepita
 risulti  pari  o  superiore  a un decimo del beneficio legittimamente
 spettante e, al contempo, che la stessa sia superiore a venti milioni
 di lire. In via pregiudiziale,  il  Pubblico  Ministero  ha  peraltro
 sollevato  questione di legittimita' costituzionale del suddetto art.
 2 della legge n. 898 del 1986, per  contrasto  con  l'art.  3,  primo
 comma,  della  Costituzione, in ragione della incongrua diversita' di
 trattamento che la norma impugnata riserva a coloro che indebitamente
 percepiscono aiuti comunitari per l'agricoltura mediante  esposizione
 di dati falsi, rispetto agli autori del reato di truffa.
    Il giudice per le indagini preliminari ha ritenuto che l'eccezione
 fosse rilevante e non manifestamente infondata e ne ha quindi rimesso
 l'esame  a  questa Corte con ordinanza del 27 marzo 1993 (r.o. n. 272
 del 1993).
   Il giudice a quo osserva - richiamando al  riguardo  giurisprudenza
 di  legittimita'  e  di  merito  -  che  il  reato  previsto e punito
 dall'art. 2 della  legge  n.  898  del  1986  presenta  due  elementi
 specializzanti,  rispetto  al reato di truffa di cui all'art. 640 del
 codice penale, ed  in  particolare  rispetto  all'ipotesi  di  truffa
 aggravata  per  il  conseguimento  di  erogazioni  pubbliche  di  cui
 all'art. 640- bis del codice  penale:  il  primo  e'  collegato  alla
 peculiarita'  degli  artifici e raggiri, che debbono consistere nella
 produzione  di  una  documentazione   ideologicamente,   ovvero,   in
 determinati  casi, materialmente falsa; il secondo e' invece riferito
 al soggetto passivo  del  reato,  che,  nella  ipotesi  speciale,  e'
 rappresentato  dal Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia.
 Si tratta palesemente di elementi che - secondo il giudice  a  quo  -
 non valgono a diversificare la fattispecie speciale rispetto a quella
 generale  sotto  alcun  profilo  rilevante  ai fini della valutazione
 della gravita' del reato. Notevole  e',  invece,  la  diversita'  del
 trattamento  che  il  legislatore  ha  previsto  per  la  fattispecie
 speciale: in primo luogo, la punibilita'  dell'illecito  e'  connessa
 all'effettivo  (e  non  anche  al  solo  tentato) conseguimento delle
 indebite sovvenzioni; in secondo luogo  e'  previsto  che  l'indebita
 percezione   sia   penalmente  rilevante  soltanto  quando  essa  sia
 superiore a venti milioni di lire e, al contempo,  a  un  decimo  del
 beneficio  spettante,  mentre,  al  di  sotto  di  tali limiti, vi e'
 soltanto una sanzione amministrativa; in  terzo  luogo,  le  sanzioni
 penali  previste sono inferiori a quelle comminate dall'art. 640- bis
 del codice penale per coloro che commettono il  reato  di  truffa  al
 fine  di  ottenere "contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero
 altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate,  concessi  o
 erogati  da  parte  dello  Stato,  di  altri  enti  pubblici  o delle
 Comunita' europee".
    La norma impugnata  appare  quindi  fonte  di  una  ingiustificata
 disciplina  di favore per una settoriale categoria di truffatori e si
 pone pertanto in  aperta  violazione  dei  canoni  di  uguaglianza  e
 ragionevolezza affermati nell'art. 3 della Costituzione.
    Con riferimento alle pronunzie di questa Corte che hanno affermato
 il principio di inammissibilita' delle questioni di costituzionalita'
 che   incidano   sulla  sfera  riservata  alla  discrezionalita'  del
 legislatore (nella quale sarebbe compresa la individuazione dei reati
 e la determinazione  delle  relative  sanzioni),  il  giudice  a  quo
 ricorda  il  carattere  primario  e  fondamentale della Costituzione,
 dalla  quale,   quindi,   "bisogna   partire   non   solo   al   fine
 dell'individuazione,  nella  scala  gerarchica  dei  beni socialmente
 rilevanti,  di  quelli  a  cui  presidio  e'  posta  l'extrema  ratio
 costituita  dalla  sanzione  penale,  ma  anche  per  sostenere che a
 comportamenti i quali in maniera analoga ledano o mettano in pericolo
 beni giuridici di rilievo deve corrispondere  una  medesima  reazione
 dell'ordinamento". Non e' quindi ammissibile che la disciplina penale
 tratti in maniera macroscopicamente disomogenea comportamenti che - a
 parte  alcuni  insignificanti  elementi  di  diversita', attinenti al
 "contorno" dei  fatti  regolamentati  -  si  pongono  in  sostanziale
 identica posizione di conflitto con l'ordinamento giuridico".
    Con  riferimento  alla rilevanza della questione, il giudice a quo
 osserva   che,   se   la   normativa   denunziata   venisse   espunta
 dall'ordinamento,  il  giudicante  potrebbe  evitare  l'archiviazione
 degli atti, perche' all'indagato andrebbe ascritto, con le  ulteriori
 valutazioni  del  caso  (anche  in punto di competenza) e sia pur nel
 rispetto dei limiti di cui all'art. 2 del codice penale, il reato  di
 truffa aggravata.
    2.  - Nel giudizio davanti alla Corte e' intervenuto il Presidente
 del Consiglio dei ministri, rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
 generale  dello  Stato,  che  ha  sostenuto  l'inammissibilita' della
 questione per difetto di rilevanza e l'infondatezza della stessa.
    In premessa, l'Avvocatura ricorda che il rapporto tra la norma  di
 cui  all'art.  2 della legge n. 898 del 1986 e quella di cui all'art.
 640 del codice penale (e poi dell'art. 640- bis  del  codice  penale,
 introdotto  con  l'art. 22 della legge 19 marzo 1990 n. 55) era stato
 inteso all'inizio come rapporto di mera  sussidiarieta',  ritenendosi
 che il suddetto art. 2 fosse stato introdotto al fine di non lasciare
 impunite  condotte  che,  seppur  fraudolentemente predisposte per il
 conseguimento  di  illeciti  risultati,   potessero   sfuggire   alla
 repressione  penale,  non  presentando  le  connotazioni dell'ipotesi
 criminosa di cui all'art. 640 del codice penale.  Percio',  nel  caso
 che  il  conseguimento  indebito  di  contribuzioni comunitarie fosse
 avvenuto non solo mediante l'esposizione di notizie false,  ma  anche
 con artifici e raggiri, il fatto doveva intendersi integrare il reato
 di  truffa, con assorbimento di quello minore previsto e punito dalla
 legge n. 898 del 1986. Cosi' si era  espressa  anche  la  Cassazione,
 seconda  sezione  penale,  con  sentenza del 19 ottobre 1988 n. 1023,
 imp. Fani.
    Altre sentenze  di  legittimita'  e  di  merito  avevano  peraltro
 accolto una interpretazione diversa (quella presupposta dal giudice a
 quo)  secondo  cui  la  fattispecie di cui all'art. 2 in esame era da
 considerarsi non gia' sussidiaria,  ma  speciale  rispetto  a  quella
 dell'art.  640  del  codice  penale,  nel senso che il reato previsto
 dalla prima di tali norme rappresentava una  ipotesi  particolare  di
 truffa,  contenendo  tutti  gli  elementi costitutivi di quest'ultimo
 reato.
   E'  allora  intervenuta  la legge 19 febbraio 1992 n. 142, che, con
 l'art. 73, ha sostituito il precedente testo dell'art. 2 della  legge
 n.   898   del  1986  con  una  nuova  formulazione  da  cui  risulta
 espressamente che la norma trova applicazione solo "ove il fatto  non
 configuri  il piu' grave reato previsto dall'art. 640- bis del codice
 penale".
    Cio' premesso, l'Avvocatura rileva che un'eventuale  pronunzia  di
 accoglimento   dell'eccezione   non  potrebbe  spiegare  effetto  nel
 giudizio a quo ed  in  generale  rispetto  ai  fatti  commessi  prima
 dell'entrata  in  vigore  della  legge  n.  142 del 1992, per effetto
 dell'art. 2 del codice penale; ne' potrebbe  avere  influenza  per  i
 fatti  commessi  successivamente,  ai quali si applica il nuovo testo
 della vecchia norma, che ha  eliminato  in  radice  la  questione  in
 esame.   Donde   l'inammissibilita'  della  questione;  e  ad  uguale
 conclusione  si  perverrebbe  anche  ove  si  ritenesse   la   natura
 interpretativa  e non innovativa della nuova formulazione della norma
 impugnata introdotta con la citata legge n. 142 del 1992.
    Nel merito,  l'Avvocatura  ha  sostenuto  che  non  poteva  essere
 ritenuta  irrazionale la depenalizzazione dell'illecito nelle ipotesi
 di danno non particolarmente  elevato.  Resterebbe  il  dubbio  sulla
 razionalita'  della  diversita'  di  trattamento  fra  chi percepisce
 indebitamente provvidenze comunitarie esponendo dati o notizie falsi,
 punito dall'art. 2 della legge n. 898 del 1986 e chi  commette  reato
 di  truffa ordinaria o qualificata, punito dagli artt. 640 e 640- bis
 del codice penale. La  disarmonia  tra  le  due  situazioni  (causata
 invero   da   un'interpretazione  non  del  tutto  convincente  della
 normativa  allora  esistente  e  venuta  ora  meno  con  la  modifica
 apportata  dalla  legge n.  142 del 1992) non assurge pero' - secondo
 la Presidenza del Consiglio - al livello di irrazionalita', in quanto
 l'art. 2 della legge n.  898  del  1986  prescindeva  (nella  vecchia
 formulazione)  e  prescinde (nella nuova formulazione) dalla verifica
 dell'esistenza di artifici e raggiri e finanche dall'ingiustizia  del
 profitto,  ancorandosi  al  dato  obiettivo della mera esposizione di
 dati e notizie falsi: donde la depenalizzazione delle ipotesi di  non
 rilevante  valore economico o (allora, ma non piu' ora) delle ipotesi
 di non rilevante scarto fra quanto  effettivamente  dovuto  e  quanto
 indebitamente percepito.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Il  giudice  per  le  indagini  preliminari  di  Matera, ha
 sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2  della
 legge  23 dicembre 1986 n. 898 (nel testo vigente all'epoca dei fatti
 successivamente modificato dall'art. 73 della legge 19 febbraio  1992
 n.  142),  per  il quale, "Chiunque, mediante l'esposizione di dati o
 notizie falsi, consegue indebitamente, per se' o  per  altri,  aiuti,
 premi,  indennita',  restituzioni,  contributi  o  altre erogazioni a
 carico totale o parziale del Fondo europeo agricolo di orientamento e
 garanzia e' punito con la reclusione da sei mesi a tre  anni.  Quando
 la  somma  indebitamente  percepita  e'  inferiore  ad  un decimo del
 beneficio legittimamente spettante, e comunque non superiore  a  lire
 milioni  si  applica  soltanto la sanzione amministrativa di cui agli
 articoli seguenti".
    Il giudice a quo  ritiene,  in  conformita'  ad  una  parte  della
 giurisprudenza  di  legittimita' e di merito, che tale norma si ponga
 in rapporto di specialita'  rispetto  sia  all'art.  640  del  codice
 penale,  che  prevede  il  reato di truffa, sia all'art. 640- bis del
 codice  penale,  introdotto dall'art. 22 della legge 19 marzo 1990 n.
 55, che prevede il reato di truffa aggravata per il conseguimento  di
 erogazioni  pubbliche  (comprese  esplicitamente,  in  queste ultime,
 quelle concesse dalle Comunita'  europee).  Tale  interpretazione  si
 fonda  sul  presupposto  che,  in  generale,  ad integrare l'elemento
 costitutivo del reato  di  truffa  rappresentato  dagli  "artifizi  e
 raggiri",  e'  sufficiente  anche la sola menzogna (e quindi anche la
 mera "esposizione di dati e notizie falsi"), quando abbia per effetto
 di trarre in errore il soggetto passivo, cosicche' gli unici elementi
 specializzanti che valgono ad individuare la fattispecie prevista dal
 citato art. 2 nell'ambito di  quella  piu'  generale  prevista  dagli
 artt.  640  e  640-  bis  del  codice  penale,  consisterebbero nella
 specificita' degli artifici e raggiri,  nell'identita'  del  soggetto
 passivo (il Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia), nella
 natura del contributo richiesto e nel contesto politico-economico nel
 quale  si inserisce la condotta di frode (cosi' Cass., sez. III pen.,
 19-26 agosto 1987, imp. Coluccio). Ne consegue, tra l'altro,  secondo
 l'orientamento in esame, che, una volta realizzatosi il comportamento
 fraudolento  descritto  dalla norma speciale (l'esposizione di dati o
 notizie false) trova comunque applicazione quest'ultima -  e  non  la
 norma  sul  reato di truffa - a nulla rilevando l'eventuale esistenza
 di artifici e raggiri ulteriori, anche  particolarmente  fraudolenti,
 salvo  che  in  ordine  a  tali  fatti  non siano configurabili altri
 specifici reati concorrenti.
    Il giudice a quo rileva quindi  che  gli  elementi  specializzanti
 sopra indicati sono del tutto marginali e non idonei a fornire alcuna
 giustificazione    razionale    ad   un   trattamento   sanzionatorio
 notevolmente attenuato, quale e' quello previsto dal citato  art.  2,
 rispetto  a quello comminato per il reato di truffa aggravata (minore
 entita' della pena, depenalizzazione delle ipotesi  piu'  lievi  e  -
 secondo il giudice a quo - non punibilita' del tentativo).
   Il  giudice  a quo dubita che questo trattamento "macroscopicamente
 disomogeneo di condotte identicamente confliggenti con  l'ordinamento
 giuridico" determini la violazione dell'art. 3 della Costituzione.
    2.   -   Deve  preliminarmente  essere  disattesa  l'eccezione  di
 inammissibilita' per irrilevanza sollevata  dall'Avvocatura  generale
 dello  Stato,  secondo  la  quale  sarebbe  precluso  alla  Corte  di
 sindacare  la  legittimita'  costituzionale  delle  norme  penali  di
 favore,  posto  che  una  eventuale  pronunzia  di  accoglimento  non
 potrebbe comunque trovare applicazione nel giudizio a quo, in ragione
 del  principio  di  irretroattivita'  delle  norme  penali  stabilito
 dall'art. 25 della Costituzione.
    Fin  dalla  sentenza  n.  148  del  1983,  e'  stato deciso che il
 principio costituzionale della irretroattivita'  dei  reati  e  delle
 pene  non vale ad esonerare dal sindacato della Corte le norme penali
 di favore, "quand'anche lesive  degli  imperativi  costituzionali  di
 eguaglianza  in materia penale". Della motivazione di tale pronunzia,
 merita particolarmente di essere qui ricordato il passaggio in cui la
 Corte  afferma  che  "la  tesi  che  le  questioni  di   legittimita'
 costituzionale  concernenti  norme  penali  di  favore  non siano mai
 pregiudiziali ai fini del giudizio a quo, muove da una visione troppo
 semplificante delle pronuncie che questa Corte potrebbe adottare, una
 volta affrontato il  merito  di  tali  impugnative.  La  tesi  stessa
 considera,  cioe', la sola alternativa esistente fra una decisione di
 accoglimento, nei termini indicati dall'ordinanza di  rimessione,  ed
 una decisione di rigetto, pronunciata sulla base dell'interpretazione
 fatta  propria dal giudice a quo. Ma questa Corte non e' vincolata in
 assoluto  dalle  opzioni  interpretative  del  giudice  che  promuove
 l'incidente   di   costituzionalita'.   In  altre  parole,  non  puo'
 escludersi a priori che il giudizio della Corte su una  norma  penale
 di favore si concluda con una sentenza interpretativa di rigetto (nei
 sensi  di cui in motivazione) o con una pronuncia comunque correttiva
 delle premesse esegetiche su cui  si  fosse  fondata  l'ordinanza  di
 rimessione:  donde  una serie di decisioni certamente suscettibili di
 influire sugli esiti del  giudizio  penale  pendente"  (nello  stesso
 senso anche la sentenza n. 167 del 1993).
    Questo  profilo  -  come  si  dira'  in seguito - assume specifico
 rilievo nel caso in esame.
    3. -  Ove  fosse  da  condividere  l'interpretazione  della  norma
 impugnata  -  e,  piu'  precisamente,  dei  rapporti  di essa con gli
 articoli 640 e 640- bis del codice penale - prospettata dal giudice a
 quo, non potrebbe negarsi  fondamento  al  dubbio  di  illegittimita'
 costituzionale  che  il  medesimo sottopone al vaglio di questa Corte
 con riferimento all'art. 3 della Costituzione.
    E' pur vero, infatti,  che,  secondo  la  costante  giurisprudenza
 costituzionale,   rientra   nella  discrezionalita'  del  legislatore
 stabilire quali  comportamenti  debbano  essere  puniti,  determinare
 quali debbano essere la qualita' e la misura della pena ed apprezzare
 parita'  e  disparita'  di  situazioni.  Ma  la Corte ha sempre anche
 precisato  che  l'esercizio  di  tale  discrezionalita'  puo'  essere
 censurato  quando  esso non rispetti il limite della ragionevolezza e
 dia  quindi  luogo  ad  una  disparita'  di  trattamento  palesemente
 irrazionale ed ingiustificata.
    Orbene   non   sarebbe  possibile  ipotizzare  alcuna  ragionevole
 spiegazione per una norma che riservasse un trattamento sanzionatorio
 piu' favorevole ad una sottospecie del  reato  di  truffa,  enucleata
 dalla  figura  generale  in  ragione  di  un  elemento specializzante
 sostanzialmente unico rapprsentato dal fatto che l'ingiusto  profitto
 perseguito  dall'agente  sia un'indebita erogazione a carico totale o
 parziale del Feoga, anziche', ad esempio,  un'indebita  erogazione  a
 carico dello Stato, di altri enti pubblici o di altri organismi delle
 Comunita' europee.
    Ma tale risultato interpretativo non puo' considerarsi obbligato.
    La  norma impugnata e' stata voluta dal legislatore per ovviare ad
 una situazione normativa  che  permetteva  di  lasciare  impunito  il
 conseguimento  indebito  di  contributi  comunitari  mediante la mera
 esposizione  di  dati  o  notizie  falsi.  Tale   presupposto   della
 iniziativa  legislativa si collegava, come si afferma nella relazione
 alla proposta di legge, alla  constatata  riluttanza,  nella  pratica
 amministrativa  ed  in  quella  giudiziaria,  ad identificare la mera
 esposizione di dati e di notizie falsi  con  la  messa  in  opera  di
 "artifizi  o raggiri" e quindi a far rientrare il comportamento sopra
 descritto, nella figura del reato di  cui  all'art.  640  del  codice
 penale.  La  configurazione  di  una  nuova fattispecie penale, quale
 quella descritta dall'art. 2, era  quindi  diretta  a  rafforzare  la
 tutela  penale  delle  sovvenzioni comunitarie colpendo comportamenti
 che, altrimenti, sarebbero sfuggiti alla repressione, e  non  gia'  a
 ridimensionare  il  sistema sanzionatorio (v. intervento del Ministro
 dell'agricoltura nella seduta del  17  dicembre  1986  -  Camera  dei
 deputati,  IX legislatura, pag. 50918 - nella discussione sulla legge
 di conversione del decreto-legge 27 ottobre 1986, n. 701). Alla norma
 veniva cosi' attribuita una funzione sussidiaria  rispetto  a  quella
 concernente la truffa.
    In    sede   di   applicazione   giurisprudenziale   della   legge
 l'impostazione del legislatore venne confermata da  una  parte  della
 giurisprudenza  della  Corte di cassazione, ma fu invece disattesa da
 altre pronunzie della stessa Corte, che ravvisarono l'esistenza di un
 rapporto di specialita' tra il nuovo reato e la  truffa,  traendo  da
 cio'  le  conseguenze  di  cui gia' si e' fatto cenno. L'ordinanza di
 rimessione fa appunto riferimento a questo secondo orientamento.
    Il  contrasto  giurisprudenziale  si  collegava  a  sua  volta   -
 principalmente,  seppur  non  esclusivamente  -  ad  un piu' generale
 problema  interpretativo,  relativo  alla  idoneita'  o  meno   delle
 dichiarazioni  semplicemente  menzognere  a  concretizzare di per se'
 sole la nozione di "artifizi e raggiri", pur in difetto  di  un  quid
 pluris,  di  un  ulteriore elemento di frode. Un contrasto non nuovo,
 del resto: analoghe discussioni vi furono a  proposito  del  rapporto
 tra  il  reato  di  truffa  e il reato di mendacio bancario, previsto
 dall'art. 95 del regio decreto 12 marzo 1936 n. 375  (ora  riprodotto
 nell'art. 137 del decreto legislativo 1 settembre 1993 n. 385 recante
 il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia).
    Con  l'art.  22  della  legge 19 marzo 1990 n. 55, nell'intento di
 predisporre uno strumento  repressivo  specifico,  il  Parlamento  ha
 introdotto  nel nostro codice penale, con l'art. 640- bis, una figura
 aggravata di truffa per i casi in cui "il fatto di cui  all'art.  640
 riguarda  contributi,  finanziamenti,  mutui  agevolati  ovvero altre
 erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati
 da parte dello Stato,  di  altri  enti  pubblici  o  delle  Comunita'
 europee".  Per  tale  ipotesi  e'  comminata la piu' grave pena della
 reclusione da uno a  sei  anni  ed  e'  stabilita  la  procedibilita'
 d'ufficio.  Ma  l'introduzione  di  questo  piu'  severo  trattamento
 sanzionatorio  e'  caduta  su  un  tessuto  normativo  nel  quale  la
 persistenza  dei  due  diversi orientamenti sopra menzionati circa la
 sussidiarieta' o la specialita' del reato di  cui  all'art.  2  della
 legge  n.  898  del  1986 rispetto al reato di truffa era destinata a
 riprodursi in ordine alla  nuova  fattispecie  di  truffa  aggravata,
 cosi'  determinando  conseguenze  che  per  certi  versi finivano per
 vanificare l'intento di una maggiore tutela nei confronti delle frodi
 comunitarie.
    Il legislatore e' quindi  nuovamente  intervenuto  con  l'art.  73
 della legge 19 febbraio 1992, n. 142 che ha modificato l'art. 2 della
 legge  n.  898  del  1986,  esplicitandone  il carattere sussidiario,
 mediante la formula "Ove il fatto non configuri il piu'  grave  reato
 previsto   dall'art.   640-  bis",  che  precede  il  restante  testo
 dell'articolo,  riproducente,  con  qualche   modificazione,   quello
 originario.  Nella  relazione al disegno di legge n. 5497, presentato
 alla Camera dei deputati nella X legislatura,  si  afferma,  infatti,
 che per evitare che l'accentuazione del rilievo penale delle frodi in
 danno  della  Comunita',  voluta  con  la  citata  nuova disposizione
 codicistica (l'art.  640-  bis)  "sia  vanificata  da  una  malintesa
 specialita'  del reato meno grave previsto dal succitato art. 2 della
 legge n. 898 del 1986 .. e' necessario stabilire che questa norma non
 e'  applicabile  in  luogo  dell'art.  640- bis quando la fattispecie
 materiale integra gli estremi della truffa".
    Questa nuova norma - non considerata dalla ordinanza di remissione
 in quanto successiva ai fatti da giudicare - non per questo perde  di
 rilievo  ai  fini  del  presente  giudizio.  Ed  infatti, considerata
 insieme alla successione di interventi legislativi che l'ha preceduta
 e ai relativi lavori parlamentari, appare palese che, con essa, si e'
 inteso  semplicemente   esplicitare,   a   fronte   di   contrastanti
 interpretazioni  applicative,  quella  che era stata chiaramente, fin
 dall'origine, l'intenzione del legislatore e cioe'  che  la  condotta
 sanzionata  dall'art.  2  della  legge  23 dicembre 1986 n. 898 fosse
 quella consistente nella mera esposizione di dati  o  notizie  falsi,
 mentre  i fatti connotati da ulteriori elementi di frode continuavano
 a ricadere nell'ipotesi  di  cui  all'art.  640  e,  successivamente,
 dell'art. 640- bis del codice penale.
    4.  -  Ne' puo' ritenersi che la disciplina del rapporto tra norma
 speciale e norma generale dettata dall'art. 15 del codice penale  sia
 di  ostacolo  ad  un'interpretazione  che  si uniformi non solo e non
 tanto all'intenzione del legislatore  ma  anche  e  soprattutto  alla
 razionalita'  intrinseca  del sistema ed alla ratio della norma quale
 e' con certezza desumibile  dal  quadro  normativo  in  cui  essa  e'
 inserita  e  dal  contesto politico-economico alla quale la stessa fa
 riferimento.
    E' chiaro che il problema neppure si pone per coloro che  accedono
 alla  tesi  secondo  cui  il  semplice mendacio non e' sufficiente ad
 integrare gli "artifizi e raggiri" di cui  all'art.  640  del  codice
 penale.  Per  costoro,  infatti, l'art. 2 della legge n. 898 del 1986
 colpisce una condotta diversa da quella propria del reato di  truffa,
 sicche'  il  rapporto  tra le due norme non e' di specialita', mentre
 trova applicazione il principio dell'assorbimento o della consunzione
 del reato meno grave in quello piu' grave  allorquando  l'esposizione
 di dati o notizie falsi si accompagni ad altre modalita' ingannevoli.
   Ma  anche la tesi secondo cui, in generale, il semplice mendacio e'
 sufficiente ad integrare il delitto di  truffa,  ove  abbia  comunque
 avuto  l'effetto di trarre in errore il soggetto passivo, non e' tale
 da imporre la soluzione interpretativa presupposta dal giudice a quo.
 E' infatti sufficiente osservare che, in quest'ottica,  la  norma  di
 cui  al citato art. 2 configurerebbe un'ipotesi speciale di truffa di
 gravita' minore, connotata, peraltro, non solo dall'essere  il  fatto
 diretto  ad  ottenere  indebite erogazioni a carico del FEOGA (il che
 non sarebbe sufficiente a giustificare l'attenuazione), ma anche  dal
 ricorso  al meno ingannevole tra i comportamenti sussumibili, secondo
 questa tesi, nella nozione di artifici o raggiri, e cioe' il semplice
 mendacio.  Tra  gli   elementi   specializzati   che   concorrono   a
 distinguere,  all'interno  della  fattispecie  di  truffa, l'autonoma
 figura di reato di cui all'art. 2 della legge n.  898  del  1986,  vi
 sarebbe quindi anche un elemento negativo, costituito dall'assenza di
 elementi  o  modalita'  ingannevoli diversi e ulteriori rispetto alla
 mera falsa dichiarazione, si' che, all'inverso, la presenza di questi
 ultimi determinerebbe anche qui la sussistenza del  solo  reato  piu'
 grave.   E,   certamente,   la  minor  fraudolenza  dei  mezzi  usati
 costituisce, in questa materia, una considerazione idonea  a  fornire
 una    giustificazione   non   irragionevole   per   un   trattamento
 sanzionatorio attenuato rispetto a quello normale.
    Pertanto,  quale  che  sia  l'interpretazione  prescelta  circa la
 nozione di "artifizi o raggiri" agli effetti  dell'art.  640  (e,  su
 questo, la Corte non ha necessita' di pronunziarsi), e' ben possibile
 risolvere  il  problema  dei  rapporti  tra  la norma impugnata e gli
 articoli 640 e 640- bis del  codice  penale  in  termini  diversi  da
 quelli  presupposti  dal giudice a quo e tali da non determinare quei
 vizi di illegittimita' costituzionale che egli ha paventato.
    A tal fine  e'  appunto  sufficiente  interpretare  la  previsione
 dell'art.  2  della  legge  n.  898  del  1986  nel senso che essa si
 riferisce al caso di colui che consegue  indebitamente  erogazioni  a
 carico  del  FEOGA  soltanto mediante l'esposizione di dati o notizie
 falsi. Tale interpretazione - consentita dal tenore  letterale  della
 disposizione,  conforme all'intenzione del legislatore e coerente con
 la considerazione sistematica e  funzionale  della  disciplina  -  e'
 anche  imposta  dal  fondamentale canone ermeneutico secondo cui, tra
 piu'  significativi   possibili   di   una   medesima   disposizione,
 l'interprete deve escludere quello, tra di essi, che non sia coerente
 con il dettato costituzionale.
    E  poiche'  la norma, interpretata come si e' detto, non determina
 effetti di irrazionale ed ingiustificata  disparita'  di  trattamento
 sanzionatorio,  l'eccezione di illegittimita' costituzionale in esame
 deve essere dichiarata infondata.