ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 409 del  codice
 di  procedura  penale, promosso con ordinanza emessa il 7 giugno 1993
 dal Giudice per  le  indagini  preliminari  presso  il  Tribunale  di
 Bolzano  nel procedimento penale a carico di Scherlin Franz ed altri,
 iscritta al n. 558 del registro ordinanze  1993  e  pubblicata  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  40, prima serie speciale,
 dell'anno 1993;
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 25 gennaio 1994 il Giudice
 relatore Giuliano Vassalli;
    Ritenuto che il Giudice per  le  indagini  preliminari  presso  il
 Tribunale  di  Bolzano,  premesso di dover respingere la richiesta di
 archiviazione appalesandosi la necessita' di ulteriori indagini e  di
 dovere, in particolare, "ordinare al P.M. di svolgere intercettazioni
 telefoniche,  di  eseguire  perquisizioni  domiciliari e sequestri di
 documenti, di sentire altri testimoni e parti offese",  ha  sollevato
 questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 409 del codice di
 procedura penale, nella parte in cui prevede che, in caso di dissenso
 sulla  richiesta  di  archiviazione,  il  giudice  per  le   indagini
 preliminari  debba  fissare  udienza  in  camera di consiglio facendo
 cosi' "venir meno il segreto istruttorio";
      che la norma impugnata si porrebbe quindi in contrasto,  secondo
 il  rimettente,  con  gli  artt.  3,  24 e 112 della Costituzione, in
 quanto  la  stessa  farebbe  dipendere   l'esito   del   procedimento
 esclusivamente  "dal  modo  in cui il P.M. imposta un'indagine, senza
 possibilita' di un sostanziale ed efficace  controllo  del  Giudice",
 risultando  per  le stesse ragioni limitato "il diritto dello Stato a
 perseguire i rei" e ridotto "ad un mero fatto formale"  l'obbligo  di
 esercitare l'azione penale;
      e  che  nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio
 dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  Generale  dello
 Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata;
    Considerato  che il giudice a quo evoca sub specie di questione di
 legittimita' costituzionale un profilo di mero  fatto,  quale  e'  il
 possibile  pregiudizio  che  la  celebrazione  dell'udienza  camerale
 prevista dalla norma impugnata determinerebbe per  il  compimento  di
 specifici  atti  di  indagine  "a  sorpresa" che lo stesso rimettente
 ipotizza di dover "ordinare" al pubblico ministero, in cio' muovendo,
 per di piu', dall'erroneo presupposto di  poter  sovrapporre  -  come
 correttamente  osserva l'Avvocatura Generale dello Stato - le proprie
 "metodologie di indagine" a quelle del pubblico ministero;
      che a quest'ultimo proposito questa Corte ha gia' avuto modo  di
 affermare che l'obbligo di espletare le indagini indicate dal giudice
 a  norma  dell'art.  409,  quarto  comma, del codice di rito, "non e'
 avulso ne' autonomo rispetto a quello  di  compiere  "ogni  attivita'
 necessaria"  per  assumere  le  determinazioni inerenti all'esercizio
 dell'azione  penale  (art.  358 in relazione all'art. 326 c.p.p.), di
 talche' l'indicazione del giudice opera come devoluzione di  un  tema
 di  indagine  che  il  pubblico ministero e' chiamato a sviluppare in
 piena autonomia e liberta' di scelta circa la natura, il contenuto  e
 le  modalita' di assunzione dei singoli atti che ritenga necessari ai
 fini suddetti" (v. ordinanza n. 235 del 1991);
      che, d'altra  parte,  a  svelare  l'infondatezza  delle  dedotte
 censure  sta  l'assorbente  rilievo  che l'udienza camerale, vo'lta a
 consentire  attraverso  il  contraddittorio   una   piu'   esauriente
 valutazione  circa  l'effettiva necessita' di svolgere ulteriori atti
 di  indagine,  presuppone  comunque  che  sia  lo   stesso   pubblico
 ministero,  vale  a dire l'unico soggetto deputato alla "gestione" di
 quella attivita', ad aver ritenuto esaurite  le  particolari  cautele
 che  assistono  la  fase  delle  indagini  preliminari,  con  l'ovvio
 corollario di rendere la norma impugnata del  tutto  compatibile  con
 gli invocati parametri;
      e   che,   pertanto,   la   questione   deve  essere  dichiarata
 manifestamente infondata;
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.